il diritto commerciale d’oggi
    II.9– ottobre 2003

STUDÎ E COMMENTI

 

DIONIGI SCANO

I finanziamenti dei soci nella s.r.l. e l’art. 2467 cod. civ. *

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. I prestiti dei soci in generale – 3. La nuova fattispecie “finanziamenti dei soci” – 4. La postergazione e la revocatoria del rimborso – 5. L’iscrizione in bilancio dei finanziamenti – 6. L’applicabilità della norma agli altri tipi di società.

 

 

1. Premessa
     Le problematiche del finanziamento hanno costituito indubbiamente un importantissimo stimolo per l’avvio della riforma, diventando elemento qualificante del nuovo assetto normativo (1), come si evince dall’art. 2 della legge delega n. 366/2001, che enuncia quale primo principio generale il «perseguire l’obiettivo prioritario di favorire la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, anche attraverso il loro accesso ai mercati interni e internazionali dei capitali» (2).
     La “questione” finanziamento assurge inoltre a connotato tipologico dei vari modelli societari come emerge dall’art. 2, lett. e) della legge delega che prevede l’adeguamento «dei modelli societari alle esigenze delle imprese, anche in considerazione … delle modalità di finanziamento …».
     L’intento legislativo si muove conseguentemente su due chiare direttrici, da un lato l’ammodernamento e il potenziamento delle forme di raccolta finanziaria da parte delle società così da renderle competitive con le imprese di diritto straniero, dall’altro lato il riordino dei vari tipi sociali caratterizzando ciascun modello societario anche in funzione delle forme e delle capacità quali/quantitative di raccolta di capitale di rischio e di credito.
     Nel perseguire questi ambiziosi obiettivi di svecchiamento e rafforzamento della struttura finanziaria delle società il legislatore ha dovuto tenere in conto le istanze dei mercati finanziari, internazionali in particolare, che avrebbero reagito negativamente a fronte di innovazioni legislative tali da non rendere facilmente riconoscibili dagli investitori gli strumenti finanziari emettibili dalle nostre imprese. Di qui, come potrà constatarsi un po’ ovunque nella trattazione del tema normativo della c.d. corporate finance, l’ampio ricorso alle esperienze legislative di altri ordinamenti ad economia avanzata, tra cui in primis quelli anglosassoni e tedesco, esperienze che hanno indubitabilmente suggerito il nuovo assetto della struttura finanziaria delle società di capitali (3).
     Peraltro il grado di invasività legislativa nella specifica regolazione delle meccaniche di provvista finanziaria è alquanto modesto considerato il grande spazio demandato all’autonomia statutaria che, settorialmente, si è tradotta, all’apparenza, in un tendenziale avvio al modello inglese del «free bargaining», cioè della libera negoziazione tra i soci, la società e i terzi investitori, libertà in ogni caso peraltro filtrata da limiti esterni di origine legislativa e regolamentare. Si pensi alla profonda trasformazione, in senso di liberalizzazione ed autonomia negoziale, del contenuto delle azioni di risparmio con l’avvento del TUF, disciplina che può ben considerarsi quale antecedente sistematico della impostazione introdotta con la riforma societaria.
     L’ambito dell’autonomia statutaria deve inoltre essere necessariamente rispettosa dei pubblici interessi che si pongono in posizione antagonistica con quelli privati (4).
     In questo quadro la problematica del finanziamento dei soci, e la soluzione normativa adottata col nuovo art. 2467, rivestono un’importante funzione regolatrice di prassi societarie spesso poco chiare e talvolta anche fraudolente. Il legislatore ha qui visto la necessità di disciplinare e limitare l’autonomia delle parti nell’intento, facilmente intuibile, di tutelare gli interessi generali della collettività che viene a contatto con le imprese.
     La stessa relazione Vietti, al § 11, evidenzia come il tema dei finanziamenti dei soci sia «… da tempo noto sul piano comparatistico, ma che nel nostro sistema non aveva fin qui trovato un esplicito inquadramento legislativo … La soluzione è stata quella, comune alla maggior parte degli ordinamenti e sostanzialmente già affermata in giurisprudenza…». Più nello specifico, può constatarsi che l’intento legislativo volto a contrastare forme surrettizie di capitalizzazione è in corso di completamento grazie alla riforma fiscale, ove all’art. 4, comma 1, lett. g) del disegno di legge approvato dal Senato nella seduta del 12 febbraio 2003, si prevedono articolati limiti alla deducibilità degli oneri finanziari relativi a finanziamenti, erogati o garantiti dal socio che detiene direttamente o indirettamente una partecipazione non inferiore al 10% del capitale sociale (5).
     Il legislatore si è mosso così su un terreno normativamente nuovo ma accompagnato sia da rassicuranti esperienze di ordinamenti stranieri, sia da una linea giurisprudenziale chiaramente orientata a capitalizzare i finanziamenti dei soci in situazioni di sostanziale insolvenza della società.
     Con l’art. 2467 cod. civ. viene dunque disciplinata per la prima volta la questione del finanziamento dei soci, una tematica ben nota a livello comparatistico e già ampiamente vagliata dalla nostra dottrina egiurisprudenza (6). Considerando la nuova disposizione da un punto di vista generale, può notarsi che, nella complessiva considerazione del sistema finanziario della s.r.l., la previsione della postergazione dei finanziamenti effettuati dai soci in determinate condizioni e della possibile revocabilità dei relativi rimborsi, controbilancia la notevole elasticità delle norme in punto di entità conferibili (art. 2464) e di stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti (art. 2465), fornendo un’importante base di tutela dei terzi creditori non soci.
     Nella ratio legis sottesa al complessivo sistema degli apporti dei soci nella s.r.l. può dunque cogliersi un duplice obbiettivo. Da un lato, l’intento normativo è di deregolamentare notevolmente la disciplina vincolistica dei conferimenti, liberalizzandone la disciplina, nel contempo risolvendo la questione del conferimento a capitale di entità, quali opere e servizi che, seppur di indubbia valenza economica, erano state finora relegate a utilità di seconda categoria acquisibili solo in forza di accordi parasociali. Dall’altro lato, la riforma mira a disciplinare, inserendo elementi di rigidità, la materia dei finanziamenti dei soci che, come è ben noto, fino ad oggi era sostanzialmente rimessa all’autonomia privata quanto alla disciplina del prestito e frequentemente era occasione, come detto, di abusi dei soci in danno ai terzi.
     I soci-finanziatori delle società a ristretta base sociale, quale storicamente la s.r.l., sono i primi a venire a conoscere del rischio di insolvenza della società e possono “precedere” gli altri inconsapevoli creditori nel rimborso dei loro prestiti che spesso vengono difficilmente distinti dagli apporti in conto capitale diversi dai conferimenti veri e propri. In dottrina è infatti da tempo avvertito il pericolo che a fronte di somme versate alla società a titolo di finanziamento, i soci concorrano con i creditori al riparto di quanto resta delle attività sulle quali i terzi creditori vantano legittime aspettative di potersi soddisfare allorché hanno concesso il loro credito (7).
     La crisi dell’impresa può quindi comportare un costo sociale di notevole rilievo, coinvolgendo soggetti terzi (i creditori sociali) assolutamente inconsapevoli e, nella normalità, non intenzionati a fornire mezzi finanziari per partecipare al c.d. rischio d’impresa, che viene, in questo modo, in tutto o in parte, traslato sui terzi che si trovino occasionalmente ad avere relazioni commerciali con la società.
     Di qui la opportuna scelta legislativa di far ricadere le conseguenze della sottocapitalizzazione materiale della società principalmente sugli stessi soci onde rafforzare la tutela della collettività.
     Attenta dottrina ha avuto già da tempo occasione di denunciare l’abuso delle società di capitali, situazione nella quale alla degenerazione delle strutture organizzative normalmente si associa un’alterazione del sistema di finanziamento della società. In tal modo la funzione del capitale sociale viene svilita col sistematico ricorso a finanziamenti dei soci sproporzionati in relazione alla modesta entità del capitale sociale (8).
     L’anormalità della situazione è da rinvenirsi nella inadeguatezza dei finanziamenti rispetto alla meritevolezza creditoria che la società ha sul mercato (9).
     Di qui la pericolosità della vicenda per i terzi creditori sociali che hanno concesso credito alla società coerentemente alle dimensioni del suo livello di capitalizzazione e dunque in ragione della fiducia di cui effettivamente gode la società sul mercato in un dato momento storico. Nell’ipotesi di insolvenza della società, questi terzi creditori sono esposti al rischio di concorrere nel riparto con soci finanziatori i quali, al contrario, potrebbero aver concesso prestiti in epoca successiva, allorché la società non era più «meritevole di ricevere credito secondo logiche di mercato.

2. I prestiti dei soci in generale
     2.1. La materia dei prestiti dei soci alla società è tradizionalmente contornata da una equivocità strutturale: a fronte della sottocapitalizzazione materiale (c.d. thin capitalisation) dell’impresa, le società tendono a risolvere il problema di conseguire nuove risorse finanziarie ricorrendo a prestiti (capitale di credito), anziché a conferimenti (capitale di rischio), prestiti i quali possono avere natura eventualmente partecipativa (10). In tal modo si soddisfa l’esigenza di mezzi finanziari dell’impresa evitando nel contempo di esporre il patrimonio dei soci a responsabilità per le obbligazioni sociali.
     Questa attitudine al minimo rischio è stata peraltro fortemente condizionata dal trattamento fiscale nel tempo riservato all’operazione di finanziamento da parte dei soci; con il che può sostenersi che la prassi ha registrato un sostanziale compromesso tra due convergenti seppur diversi interessi: (i) da un lato, quello di limitare l’esposizione del patrimonio personale del socio per le obbligazioni sociali, (ii) dall’altro lato, quello di neutralizzare, per quanto possibile, ogni carico fiscale.
     Nella prassi non è pertanto infrequente la conclusione di accordi tra soci e finanziatori esterni (le banche o, in genere, gli intermediari finanziari fornitori di capitale di credito) aventi ad oggetto la (irrevocabile) postergazione convenzionale del rimborso del finanziamento dei soci (già effettuato o da effettuarsi) rispetto al rimborso dei crediti dei finanziatori esterni. Tali accordi sono di norma completati e rafforzati da un informale impegno degli amministratori della società finanziata di non procedere al rimborso verso i soci fintanto che le banche non siano state tacitate (11).
     Gli altri creditori dell’impresa, in particolare i piccoli o quelli c.d. involontari, cioè coloro che si trovano a diventare creditori dell’impresa in totale difetto di volontà in ordine alla costituzione del rapporto giuridico (12), non hanno avuto fin qui alcuna reale tutela normativa davanti ad eventuali comportamenti dei soci che li danneggiavano ponendo a rischio il pagamento del credito e traslando su di loro parte del rischio d’impresa (13).
     Una indagine sulle varie fonti di provvista finanziaria della società deve prendere necessariamente le mosse da una chiarificazione e classificazione, possibilmente anche terminologica, degli strumenti a tali fine utilizzati.
     La summa divisio è fondata sulla contrapposizione tra conferimento, da un lato, e prestito dall’altro lato.
     La distinzione tra conferimento (o apporto di capitale) e prestito (o finanziamento) non va semplicisticamente ricercata nella natura di socio o di terzo del “fornitore di finanza”, essendo pacifico che il socio può effettuare apporti di entrambe le specie, ma esclusivamente nella causa giuridica sottesa al trasferimento del denaro o dell’altra entità economica in favore della società (14). Infatti, a fronte del conferimento, la società non assume alcun immediato obbligo di restituzione (la restituzione resta regolata dalla disciplina della società e costituisce ipotesi meramente eventuale in occasione di riduzione reale del capitale, di liquidazione della società, di esclusione o di recesso del socio), ma, quale contropartita del conferimento, accorda un complesso di diritti sociali (15). Viceversa, nel caso di prestito, la società assume senz’altro l’obbligo del rimborso di quanto versato, normalmente maggiorato di interessi (16).
     La distinzione tra apporto di capitali di rischio, da un lato, e prestito, dall’altro lato, è nella prassi piuttosto disagevole, nonostante la questione assuma rilevante interesse pratico nell’ipotesi di insolvenza della società: i creditori “non soci” hanno infatti il massimo interesse che gli apporti dei soci vengano qualificati “di rischio” anziché mero mutuo, considerato che soltanto nel primo caso tali apporti verranno rimborsati in via postergata. La soluzione adottata dalla dottrina e dalla giurisprudenza riposa su una quaestio facti improntata alla disamina di una serie di indici presuntivi, che forniscono la prova del diritto alla restituzione, quali ad esempio il modo di concreta attuazione del versamento, le finalità pratiche a cui è diretto e gli interessi sottesi (17).
     Ai sensi del § B)1 del Principio contabile n. 28 è chiarito che i «“Versamenti a titolo di finanziamento“ sono quelli per i quali la società ha obbligo di restituzione. Si tratta di capitali di credito che devono trovare collocazione in bilancio tra le passività, alla lettera D), punto 4) “Debiti verso altri finanziatori“. Al riguardo, non è rilevante la natura fruttifera o meno di tali debiti, né l’eventualità che i versamenti vengano effettuati da tutti i soci in misura proporzionale alle quote di partecipazione: l’elemento discriminante va individuato esclusivamente nel diritto dei soci alla restituzione delle somme versate. Ne consegue che per questa tipologia di versamenti il loro eventuale passaggio a capitale necessita della preventiva rinuncia dei soci al diritto alla restituzione, trasformando così il finanziamento in apporto. Ha così natura di riserva di capitale quella che viene ad essere costituita con la rinuncia al credito vantato dai soci, sia per partecipare alla copertura della perdita, sia per futuri aumenti di capitale».
     A complicare questa bipartizione delle fonti di finanziamento della società, intervengono una serie di ulteriori strumenti ibridi, a metà strada tra il conferimento e il prestito: versamenti a fondo perduto, in conto capitale o a copertura perdite, prestiti postergati ed irredimibili.
     Dal ricorso a tali strumenti ulteriori di finanziamento della società sono discese interessanti questioni di ordine classificatorio e sistematico.
     L’occasione ha propiziato il sorgere del neologismo di derivazione tedesca del “quasi-capitale (18), termine che sta ad indicare i prestiti (del socio o del terzo) sottoposti alla condizione della subordinazione o della postergazione al soddisfacimento degli altri creditori sociali chirografari ovvero della irredimibilità.
     La dottrina e la giurisprudenza distinguono i versamenti in conto capitale, da un lato, dai versamenti in conto futuro aumento capitale, dall’altro lato. I primi sono versamenti effettuati indipendentemente dall’esistenza di un attuale o programmato aumento di capitale, mentre i secondi sono effettuati in vista di un futuro aumento di capitale (19).
     Tale distinzione è produttiva di effetti sul piano della disciplina poiché i versamenti in conto capitale non costituiscono un debito rimborsabile da parte della società a differenza di quelli in conto futuro aumento di capitale che, essendo nella sostanza un’anticipazione della sottoscrizione e del versamento dell’aumento, vanno restituiti qualora l’operazione di aumento non vada in porto (20).
     I versamenti in conto capitale si differenziano dai conferimenti per la loro spontaneità, poiché slegati da operazioni di costituzione della società o di aumento del capitale (21).

     2.2. L’ammissibilità del finanziamento dei soci di società di capitali ha ricevuto una disciplina affatto particolare da parte del Testo unico bancario (d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385), il cui art. 11 (intitolato “Raccolta del risparmio”) espressamente prevede che: «Ai fini del presente decreto legislativo è raccolta del risparmio l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma. La raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche. Il CICR stabilisce limiti e criteri, anche con riguardo all’attività e alla forma giuridica dei soggetti, in base ai quali non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella effettuata …».
     Il CICR (Comitato Interministeriale per Credito e il Risparmio), con la nota delibera del 3 marzo 1994 [G.U. 11 marzo 1994, n. 58.], ha specificato la previsione disponendo: «La raccolta di risparmio tramite acquisizione di fondi con obbligo di rimborso presso soci non è considerata “raccolta di risparmio tra il pubblico” se effettuata in ottemperanza alle disposizioni di cui al presente paragrafo. La raccolta deve essere rivolta a soggetti iscritti nel libro dei soci da almeno tre mesi che detengano una partecipazione di almeno il 2 per cento del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato. Tale facoltà deve essere prevista dallo statuto. … La raccolta presso i soci non può comunque avvenire con strumenti “a vista” o collegati all’emissione o alla gestione di mezzi di pagamento».
     In forza delle appena richiamate norme il finanziamento da parte dei soci non è libero ma trova limiti formali (previsione statutaria, clausole oramai divenute di stile) e sostanziali (partecipazione qualificata del socio-finanziatore). In difetto di tali presupposti alla società deve considerarsi preclusa la via del prestito del socio anche se la raccolta, rivolta indiscriminatamente a tutti i soci, si concretizzi di fatto presso un numero esiguo di soci e non sia come tale qualificabile ex post come “raccolta tra il pubblico” (22).
     Nella prassi è stata elaborata la fattispecie dei c.d. prestiti o crediti subordinati, nelle diverse sub-fattispecie della “subordinazione assoluta” e della “subordinazione specifica”. Si tratta di una forma di subordinazione o postergazione convenzionale ben distinta da quella legale introdotta con l’art. 2467 (23). La subordinazione convenzionale di un prestito consegue alla stipula di un negozio giuridico che può variare notevolmente per quanto riguarda gli elementi oggettivi e soggettivi. Il dato ricorrente, costituente il minimo comune denominatore dell’operazione, è rinvenibile nella necessaria pattuizione della subordinazione di certi creditori rispetto ad altri che vengono ad essere i beneficiari dell’accordo (24). Qualora i beneficiari siano tutti gli altri creditori della società, si parla di subordinazione assoluta; mentre nell’ipotesi di un limitato novero di beneficiari la subordinazione è definita come specifica (25).

3. La nuova fattispecie “finanziamenti dei soci”
     3.1. Con la riforma delle società di capitali, per le società a responsabilità limitata, viene introdotta un’apposita norma che definisce la fattispecie dei finanziamenti dei soci (26). Tali finanziamenti sono quelli effettuati sotto ogni forma in particolari situazioni di crisi della società beneficiaria, allorché, valutando la natura dell’attività esercitata dalla società, (i) sussiste un’eccessiva sproporzione tra i debiti e il patrimonio netto, ovvero (ii) sarebbe ragionevole effettuare un conferimento anziché un finanziamento, considerata la complessiva situazione finanziaria (27).
     La nuova disposizione riveste grandissimo interesse sistematico perché alla stessa può attribuirsi il primato di aver introdotto in Italia un principio di «corretto finanziamento dell’impresa» (28).
     Alla disposizione può dunque riconoscersi non solo una valenza negativa (reprimere forme di sottocapitalizzazione nominale) ma altresì una positiva (affermare un principio generale che soprassiede le forme di finanziamento della società).
     I prestiti dei soci sono pertanto giudicati “anormali”, poiché indipendentemente dalla loro esteriorità giuridica sono da ricondursi ad un sostegno finanziario motivato dalla partecipazione del finanziatore alla società, cioè dalla c.d. affectio societatis (29).
     I suddetti finanziamenti dei soci sono sanzionati con la postergazione del loro rimborso rispetto agli altri crediti, e con la inefficacia e conseguente revocabilità delle restituzioni effettuate entro l’anno dalla dichiarazione di fallimento.
     Con l’introduzione della nuova norma i finanziamenti dei soci potranno astrattamente suddividersi, a contrariis, in due sottocategorie: a) i finanziamenti anormali, effettuati in una situazione in cui la società beneficiaria presenta sintomi di squilibrio patrimoniale e/o di difficoltà finanziarie, b) i finanziamenti fisiologici, effettuati in difetto di tali circostanze (30).
     Nel caso sub a) troverà applicazione la disciplina della postergazione e della revocabilità prevista dall’art. 2467, mentre nel caso sub b) il debito derivante dal finanziamento dei soci sarà trattato alla stregua di qualsivoglia altro debito.
     Salvo i casi estremi di società palesemente in crisi o in salute, l’articolato normativo porrà notevoli incertezze applicative e, in ogni caso, pare precludere ex ante una sicura diagnosi sulla tipologia del finanziamento qualora questo venga effettuato in assenza di un bilancio straordinario che “certifichi” lo stato del patrimonio netto e la situazione finanziaria della società.
     Di qui il dilemma: per «finanziamenti concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto» devono intendersi, in omaggio al principio di certezza, (i) soltanto quei finanziamenti effettuati allorché esisteva un effettivo accertamento o perlomeno la effettiva consapevolezza da parte del finanziatore dello squilibrio, ovvero, a garanzia dei creditori non soci, vanno inclusi (ii) anche i finanziamenti effettuati senza che ex ante risultasse o potesse verosimilmente conoscersi tale squilibrio poi successivamente accertato (31)?
     Allo stato, considerata la ratio legis volta alla tutela dei creditori sociali, in obiettiva situazione di crisi della società, bisogna propendere per la seconda alternativa: il verbo «… risulta …» deve quindi leggersi anche come «… dovesse risultare un eccessivo …».
     La diversa conclusione, di ritenere “fisiologico” il prestito eseguito allorché l’eccessiva sproporzione debito/patrimonio netto non dovesse risultare palese, valorizzerebbe l’aspetto soggettivo della consapevolezza del socio a tutto svantaggio dei terzi creditori.
     D’altronde l’art. 2467 non può essere interpretato estrapolandolo dal contesto socio-economico di riferimento, ed in considerazione di ciò gli effetti della sottocapitalizzazione devono farsi ricadere sui soci piuttosto che sui terzi.
     Discorso a parte dovrebbe riservarsi alla imprecisione o, se si preferisce, all’ambiguità degli indici di sottocapitalizzazione previsti dall’art. 2467.
     Per l’individuazione dei criteri idonei a distinguere i finanziamenti postergati da quelli non postergati, il legislatore, non potendo adottare un parametro quantitativo sufficientemente preciso, ha preferito fare ricorso ad un approccio tipologico tramite cui accertare se la “causa” del finanziamento sia da ricondursi al contratto sociale. A tal fine la norma enuncia un generico “criterio di ragionevolezza” in forza del quale il finanziamento è da considerarsi postergato, perché si assume avente causa nel rapporto sociale piuttosto che in un ingiustificabile autonomo rapporto di credito, «qualora per un terzo estraneo, nelle medesime condizioni del socio-finanziatore, non sarebbe stato ragionevole effettuare tale finanziamento» (32).
     Il comportamento del socio finanziatore deve essere pertanto comparato con il comportamento che sarebbe stato ragionevole attendersi dal mercato in una certa situazione della società: se un finanziatore terzo avrebbe ragionevolmente concesso credito alla società conoscendone le condizioni economiche, patrimoniali e finanziarie, allora non sussiste motivo per “patrimonializzare” il prestito del socio (33).
     La logica normativa è molto chiara: i finanziamenti dei soci, eseguiti allorché la società non possedeva oggettivi requisiti per ottenere credito secondo una ragionevole valutazione del suo merito creditizio da parte del mercato, devono essere trattati alla stregua dei versamenti in conto capitale.
     Tale chiarezza scema drammaticamente quando ci si voglia adoperare, nel concreto, per stabilire se il finanziamento risponde al criterio di ragionevolezza, nella sua duplice specificazione normativa (i) dell’eccessiva sproporzione tra debiti e patrimonio netto, e (ii) della ragionevole esigenza di eseguire un conferimento.
     Questa incertezza applicativa diverrà senz’altro, almeno fintanto che non si consoliderà uno stabile orientamento giurisprudenziale, un ostacolo alle forme di autofinanziamento diverse dai conferimenti a capitale.

     3.2. La fattispecie dell’art. 2467, indistintamente, riguarda tutti i finanziamenti «… in qualsiasi forma effettuati …», e dunque sia in danaro che in natura. Ogni apporto del socio da cui derivi un debito della società, e non abbia una diversa causa giuridica, è quindi qualificabile come finanziamento (34). Ai finanziamenti devono accostarsi anche le varie garanzie prestate dal socio nell’interesse della società (35), poiché è evidente come la disponibilità di garanzie reali o personali rilasciate dal socio consente alla società di ricorrere a prestiti di terzi altrimenti non ottenibili (36).
     La norma sarebbe invero facilmente eludibile, se di stretta applicazione: il socio, anziché effettuare direttamente il finanziamento, potrebbe procedere all’acquisto (ad esempio) delle materie prime necessarie alla società per poi rivenderle a quest’ultima concedendo una “graziosa” dilazione. In alternativa il socio potrebbe ricorrere a triangolazioni, mediante un terzo non socio, di solito un familiare, che effettui il finanziamento. Ne consegue che la norma dovrà applicarsi anche a queste forme di finanziamento indiretto o “camuffato” (37) a condizione che venga dimostrata l’interposizione soggettiva, la simulazione ovvero il ricorso al negozio in frode alla legge.
     Resta da chiedersi se anche i finanziamenti ottenuti ricorrendo all’altro strumento tipico dei titoli di debito previsti dall’art. 2483 possano essere ricompresi nella sfera applicativa dell’art. 2467 ed incorrere nella postergazione qualora vengano successivamente collocati dagli investitori professionali tra i soci dell’emittente.
     È difatti evidente che mediante l’emissione di titoli di debito si potrebbe raggiungere il medesimo risultato di dotare la società dei mezzi finanziari necessari, con un modesto costo connesso alle commissioni da corrispondere al collocatore che tra l’altro non assumerebbe alcun obbligo di garanzia della solvenza della società verso i soci ai sensi dell’art. 2483, comma 2.
     I titoli di debito potrebbero divenire la forma “istituzionale” per aggirare la previsione dell’art. 2467, con notevoli difficoltà per chi intendesse dimostrare il fraudolento ricorso a tale strumento di provvista.

     3.3. La (ratio della) norma, destinata a colpire i finanziamenti dei soci attuati in una conclamata situazione di sottocapitalizzazione, implicitamente non pare porre ostacoli alla astratta possibilità per i soci di effettuare, spontaneamente, finanziamenti “postergati”, “subordinati” o “irredimibili”, anche al di fuori delle ipotesi legali, mentre impone, inderogabilmente, la postergazione in quelle determinate situazioni patrimoniali e di mercato.
     La potenziale coesistenza di finanziamenti postergati legalmente o convenzionalmente impone particolare attenzione nella loro contabilizzazione ed esposizione in bilancio, come infra chiarito, onde non ingenerare nei terzi falso affidamento circa la “consistenza” del vincolo di postergazione. Difatti mentre la liberazione dal vincolo della postergazione convenzionale può discendere da un atto volontario, la postergazione legale cessa solo in presenza di rigidi requisiti legali: la soddisfazione degli altri creditori.
     Sotto altro aspetto, in dottrina sono stati sollevati dubbi circa la perdurante legittimità di versamenti dei soci in conto capitale imputati a patrimonio (38).
     Da un punto di vista sistematico, ricorrendo ad una interpretazione di contenuto restrittivo, potrebbe difatti ritenersi che oltre ai conferimenti a capitale ed ai finanziamenti dei soci non sussistano più spazi per altre forme di apporto finanziario da parte dei soci.
     La conclusione ci sembra eccessivamente drastica anche in considerazione della dichiarata causa societatis dei versamenti spontanei dei soci che li rendono assolutamente diversi dai finanziamenti anche per la funzione che di norma assolvono nella prassi societaria.
     La natura cogente dell’art. 2467, posto a tutela dell’interesse dei terzi creditori non soci, non consente alla società e ai soci di derogare convenzionalmente in pejus verso tali creditori. Non vi è peraltro apparente ostacolo ad adottare clausole statutarie più rigorose, ad esempio prevedendo la postergazione assoluta di tutti i prestiti eseguiti dai soci indipendentemente dalla situazione della società.

     3.4. Come già detto, il congegno normativo utilizza due criteri per valutare se il finanziamento ricade tra quelli postergati:
     (i) eccessiva sproporzione nel rapporto indebitamento/patrimonio netto;
     (ii) ragionevolezza di un conferimento nella particolare situazione finanziaria.
     Entrambi i criteri implicano necessariamente l’applicazione di principi sviluppati in materia contabile ed aziendale, vuoi per comprendere (se esista e) quale sia il rapporto ottimale indebitamento/patrimonio netto e quando lo squilibrio diventi eccessivo, vuoi per accertare quando siano opportuni nuovi conferimenti data una particolare situazione finanziaria (39).
     A tal riguardo autorevole dottrina condivisibilmente auspicava l’adozione da parte del legislatore italiano di parametri aziendalistici idonei a valutare ex ante, cioè al tempo in cui si progetta l’effettuazione del finanziamento, l’eventuale patologica situazione societaria e quindi la natura postergata del finanziamento in itinere (40). Va peraltro avvertito che allo stato non pare invocabile un oggettivo criterio “miracoloso” che possa consentire la generale “diagnosi” precoce circa lo stato della struttura finanziaria della società: «Non esiste, infatti, una struttura finanziaria “valida in eterno”, come non esiste una struttura finanziaria “valida per lunghi periodi”; la convenienza di una determinata struttura finanziaria è mutevole, poiché estremamente mutevoli sono le condizioni che la caratterizzano» (41).
     Per quanto riguarda l’eccessivo squilibrio indebitamento/patrimonio netto, l’art. 2467 stabilisce che è rilevante «quando risulta nel momento in cui venne effettuato il finanziamento». Pertanto il finanziamento nasce postergato ma non può diventarlo a causa del successivo deteriorarsi delle condizioni della società. L’accertamento di tale eccessivo squilibrio non è ovviamente rimesso alla discrezionalità della società o dei soci. Conseguentemente l’eccessivo squilibrio normalmente risulterà da accertamento effettuato ex post, ad esempio a seguito di una rettifica dei bilanci o del fallimento della società.
     Per quanto riguarda il criterio della “ragionevolezza del conferimento”, pur riguardando anche questa ipotesi una situazione di sottocapitalizzazione materiale, è condivisibile la tesi secondo cui il conferimento è ragionevole non solo per superare il momento di crisi ma altresì per assecondare programmi di sviluppo della società che sottendono particolari esigenze di nuova finanza (42).
     Resta a questo punto da chiedersi se l’indagine circa la natura postergata dei finanziamenti debba esclusivamente e rigidamente attenersi agli elementi di valutazione offerti dalla norma (l’eccessiva proporzione debiti/patrimonio netto e la ragionevolezza del conferimento) ovvero se all’interprete sia (anche) dato ricorrere ai consueti criteri di indagine sulla struttura patrimoniale-finanziaria-economica delle società elaborati dalle scienze ragionieristiche ed aziendali (43).
     Se si vuole garantire alla norma una concreta possibilità di applicazione sarà senz’altro necessario ricorrere ad analisi di bilancio a spettro più ampio, secondo criteri consolidati ed universalmente accettati dalla scienza aziendalistica.

4. La postergazione e la revocatoria del rimborso
     La nuova norma detta come visto due regole applicabili ai finanziamenti dei soci: postergazione e divieto di rimborso. Le due fattispecie esigono una autonoma considerazione anche se hanno un comune presupposto: la presunzione assoluta di conoscenza dello “stato di insolvenza” della società da parte del socio-finanziatore (44). La situazione di eccessiva sproporzione debito/patrimonio netto o la ragionevole sussistenza delle condizioni per eseguire un conferimento rilevano infatti oggettivamente, indipendentemente dalla consapevolezza del socio-finanziatore. Ciò comporta che alla base della postergazione e dell’inefficacia del rimborso vi è la presunzione, che non ammette prova contraria, di conoscenza della condizione di sottocapitalizzazione.

     4.1. La postergazione comporta che la società non può rimborsare il socio-finanziatore qualora vi siano altri terzi-creditori insoddisfatti (45). La norma non chiarisce però se tra gli altri creditori a cui vantaggio opera la postergazione debbano includersi anche coloro il cui credito (i) sia sorto posteriormente al momento del sorgere del debito per il finanziamento o (ii) sia ancora inesigibile al tempo in cui deve effettuarsi il rimborso del finanziamento (46).
     Per quanto riguarda il duplice dubbio interpretativo di cui sopra, la dizione «altri creditori» contenuta nella norma pare da interpretarsi come «coloro che risultino creditori al momento del rimborso». Diversamente si consentirebbe il rimborso del finanziamento pur persistendo la situazione di sottocapitalizzazione con la sola (irrilevante) differenza che i creditori risultanti al momento in cui venne effettuato il finanziamento sono stati soddisfatti. Ma poiché la norma tende ad offrire indistinta tutela al ceto creditorio in presenza dei sintomi di sottocapitalizzazione, anche i creditori il cui titolo sia sorto in epoca successiva all’effettuazione del finanziamento avranno buon diritto ad invocare la postergazione.
     In presenza di eventuali crediti non scaduti al momento in cui la società intende effettuare il rimborso del finanziamento in favore del socio sarà ovviamente sufficiente che vengano accantonate le somme necessarie o, comunque, che gli amministratori accertino la sussistenza dei mezzi finanziari per il pagamento di tali crediti.
     Il divieto di rimborso conseguente alla postergazione legale comporta l’inefficacia dell’eventuale termine per il rimborso pattuito tra socio e società nel contratto di finanziamento.
     Il mancato rimborso alla scadenza non provoca la mora del debitore ex art. 1218, poiché il ritardo nella fattispecie è inimputabile al debitore e discende da un obbligo di legge.
     In sostanza gli effetti negativi della postergazione si producono nella sfera giuridico-economica del socio-finanziatore, mentre la società risulta beneficiata dalla temporanea “patrimonializzazione” del prestito.
     I finanziamenti postergati peraltro non divengono conferimenti, e ciò per due motivi, in primo luogo la postergazione non ha il carattere della definitività, in secondo luogo il credito dei finanziatori, in sede di riparto, è da rimborsarsi prima dei conferimenti.
     Tra i primi commentatori dell’art. 2467 si veniva ad ipotizzare la conclusione circa la sussistenza di un divieto assoluto di rimborso dei finanziamenti postergati durante societate. Questa tesi non pare però accoglibile (47). Invero, dalla stessa ratio della norma consegue che il finanziamento postergato può e deve essere rimborsato, anche prima dello scioglimento e della liquidazione della società, qualora ricorrano, cumulativamente, le seguenti due condizioni:
     • l’originario eccessivo squilibrio tra l’indebitamento e il patrimonio netto sia venuto meno,
     •i debiti esigibili siano stati soddisfatti o sussistano sufficienti mezzi finanziari perché lo possano essere.
     In tal senso parrebbero propendere anche i ragionamenti che sono stati fatti anteriforma, secondo cui alla riqualificazione dei prestiti in conferimenti non era riconosciuto il carattere della definitività, potendo venir meno tale riqualificazione col ritorno in bonis della società e col venir meno della sottocapitalizzazione materiale (48).
     La previsione dell’art. 2467, che sanziona con l’inefficacia soltanto i rimborsi dei finanziamenti effettuati entro l’anno dalla dichiarazione di fallimento, offre all’interprete un ulteriore argomento interpretativo che fa propendere per l’insussistenza di un divieto di rimborso durante la vita della società, poiché altrimenti tutti i rimborsi, e non solo quelli entro l’anno dal fallimento, dovrebbero essere considerati inefficaci, salvo il limite della prescrizione.
     In conclusione il divieto di rimborso di cui all’art. 2467 è da intendersi in senso relativo: se la s.r.l. ritorna in bonis gli amministratori possono procedere alla restituzione dei prestiti. Da un punto di vista meramente teorico, l’eventuale eccessiva prudenza dell’organo gestorio circa l’accertamento del venir meno delle condizioni per la postergazione potrebbe confluire nel promuovimento (anche da parte del socio finanziatore) di un giudizio di cognizione finalizzato alla statuizione della cessazione del divieto di rimborso.

     4.2. L’art. 2467 prevede quindi la revocatoria dei rimborsi effettuati entro l’anno dalla dichiarazione di fallimento.
     L’inefficacia dei rimborsi effettuati entro l’anno anteriore al fallimento dovrà essere rilevata dal curatore il quale avrà il dovere di rivolgersi al socio finanziatore per domandare la restituzione di quanto ricevuto. Trascorso l’anno, per i rimborsi effettuati nei due anni anteriori al fallimento, può senz’altro invocarsi l’applicazione dell’art. 65 legge fall.
     L’art. 65 legge fall. prevede infatti l’inefficacia rispetto ai creditori dei pagamenti di crediti scaduti nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente se effettuati nei due anni anteriori al fallimento.
     La norma fallimentare si attaglia perfettamente alla fattispecie dei finanziamenti postergati il cui rimborso venga effettuato nel periodo temporale di due anni anteriormente alla dichiarazione di fallimento. Non casualmente la ratio dell’art. 65 legge fall. è individuata nell’anormalità del pagamento ottenuto dal creditore in via anticipata (49), così come l’anormalità connota il finanziamento del socio da cui discende la sanzione della postergazione.
     Al di fuori dell’ipotesi di fallimento, nel caso di violazione del divieto di rimborso, ai terzi creditori è consentito tutelarsi attraverso l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 cod. civ. per la declaratoria di inefficacia dei rimborsi dei prestiti eseguiti durante societate, mentre, da un punto di vista concreto, per il creditore appare difficilmente esercitabile un’azione preventiva di contenuto inibitorio. In via generale i creditori si troveranno a fronteggiare una situazione consolidatasi, in cui la società ha già eseguito il rimborso dei prestiti in favore dei propri soci.
     In fase di riparto dell’attivo, per effetto della postergazione, ai creditori aventi un titolo sorto anteriormente al tempo del rimborso (illegittimo) deve essere riconosciuto un grado potiore rispetto ai creditori con titolo successivo. Questi ultimi non sono infatti ricompresi tra i soggetti beneficiari della postergazione.

5. L’iscrizione in bilancio dei finanziamenti
     5.1. Tutti i finanziamenti dei soci, seppure diversificati contabilmente dagli altri finanziamenti, vanno indistintamente iscritti in bilancio alla voce D) 3) del passivo come previsto dal nuovo art. 2424.
     La voce D) 3) è stata inserita ex novo nell’art. 2424, mentre prima della riforma i finanziamenti dei soci dovevano essere iscritti alla voce D) 4) del passivo, “debiti verso altri finanziatori”, voce che attualmente permane ma con la nuova numerazione D) 5).
     Dall’analisi del bilancio della società i terzi hanno la possibilità di dedurre quali dei finanziamenti dei soci iscritti in bilancio siano postergati esaminando la nota integrativa ove il correlato art. 2427, n. 19-bis), dispone l’indicazione separata dei finanziamenti con “clausola di postergazione” (50).
     L’art. 2427, 19-bis) peraltro è riferito ai finanziamenti dei soci con clausola di postergazione. Si tratta cioè di forme di “postergazione volontaria” che, come già si è chiarito, differiscono dalla “postergazione legale” di cui all’art. 2467. La differenza non è di poco conto visto che per i finanziamenti postergati ex art. 2467, l’obbligo di rappresentazione in bilancio non discende dalla presenza di un’apposita clausola di subordinazione inserita nel contratto di finanziamento ma da un’attività valutativa degli amministratori in relazione alle condizioni della società allorché il prestito venne erogato. Non sempre gli amministratori potranno avere chiara consapevolezza circa la sussistenza dei presupposti legali perché scatti l’applicazione della regola della postergazione, situazione che implica per i redattori del bilancio una particolare attenzione nella redazione della voce 19-bis) della nota integrativa.
La ragione della mancata puntuale previsione nell’art. 2427 delle ipotesi di postergazione legale è facilmente intuibile: per le società per azioni non è contenuta alcuna previsione equipollente a quella di cui all’art. 2467 cod. civ. dettato per la società a responsabilità limitata. Gli artt. 2424 e 2427 cod. civ., come è noto, sono applicabili alla s.r.l. giusto rinvio dell’art. 2478-bis cod. civ. (51).
     La circostanza può divenire un fattore fortemente condizionante nei rapporti con i terzi e in particolare, si pensi, con il sistema bancario. Di qui l’esigenza che tale lacuna informativa del bilancio debba essere colmata mediante opportune indicazioni, a cura degli amministratori, nella nota integrativa. In tal modo la postergazione legale dei finanziamenti dei soci può divenire invocabile anche al di fuori di procedure concorsuali, anche, ad esempio, nelle esecuzioni individuali promosse da terzi creditori, altrimenti nella impossibilità di avvalersi del beneficio qualora intervenga nel procedimento esecutivo un socio-finanziatore (52).
     È peraltro ovvio che la discrezionale ed unilaterale “qualificazione” operata dagli amministratori ai fini dell’iscrizione in bilancio del debito da finanziamento (tra quelli “postergati” o “ordinari”) non è vincolante per i terzi.
     Già in passato la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che nel qualificare la natura dell’apporto finanziario del socio, l’interprete, pur dovendo dare prevalenza alla rilevazione contabile, non è vincolato dalle modalità della sua esposizione in bilancio (53).

     5.2. La questione dell’iscrizione in bilancio dei finanziamenti merita peraltro qualche ulteriore riflessione problematica.
     Se da un lato è certo che nella voce D)3) dell’art. 2424 devono essere inclusi i finanziamenti in genere, gratuiti e non, dall’altro lato, possono sorgere questioni, ad esempio, sulla identificazione dei “finanziamenti soci”:
     • tali per legge, ma ontologicamente non riconducibili ad un’operazione di mutuo,
     • postergati.
     Infatti, in considerazione della comprensibile latitudine della previsione legislativa, secondo cui «s’intendono per finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati …», sono da qualificarsi tali anche le situazioni giuridiche attive derivanti da operazioni economiche non qualificabili come di mutuo, ad esempio crediti per prestazioni in natura o la mancata esazione di un precedente credito (54). Orbene, mentre è indubitabile, come prima già affrontato, che qualsivoglia operazione, tra cui senz’altro quelle appena evocate, da cui ne derivi un’utilità economica per la società siano legalmente da considerarsi finanziamenti ai fini della (potenziale) applicazione dell’art. 2467, possono esprimersi non irrilevanti perplessità circa la possibilità di qualificare, da un punto di vista generale, tali situazioni quali finanziamenti, soprattutto per quanto riguarda la successiva iscrizione in bilancio. Poniamo l’esempio in cui un socio abbia alienato un proprio immobile alla società in un momento in cui quest’ultima si trovava in condizione di assoluto equilibrio patrimoniale, finanziario ed economico, pattuendo che il pagamento del prezzo debba avvenire trascorsi 24 mesi. In applicazione dell’art. 2467, qualora alla scadenza del pagamento sopravvengano cumulativamente le due condizioni: (i) dello squilibrio patrimoniale e/o della ragionevole opportunità di un conferimento, e (ii) della mancata esazione del credito, dovrebbe concludersi per la “trasformazione” del preesistente credito per il pagamento dell’immobile in finanziamento soci.
     Una tale conclusione potrebbe o dovrebbe legittimare gli amministratori a trasferire il debito dalla voce D) 7) (debiti verso fornitori) alla predetta voce D) 3) (debiti verso soci per finanziamenti).

     5.3. Ancora non pare superfluo domandarsi se la “patrimonializzazione” sottostante alla riqualificazione di un finanziamento come postergato debba avere anche degli effetti sullo stato patrimoniale (55).
     Più in particolare, può avanzarsi il sospetto che gli amministratori non possano semplicemente completare l’informazione data con la voce D) 3) fornendo precisazioni nella voce 19-bis) della nota integrativa, ma debbano perfino inserire un’apposita riserva alla voce VII (altre riserve) del patrimonio netto, ovviamente eliminando il corrispondente debito dal passivo (56). In tal modo si perverrebbe alla “quadratura” contabile di una patrimonializzazione che verrebbe anche chiaramente percepita come tale dai terzi. Una conclusione siffatta si espone, tra le altre, a due sostanziali eccezioni. In primo luogo, la “patrimonializzazione” del finanziamento legalmente postergato comporta l’adozione di un trattamento contabile affatto diverso da quello convenzionalmente postergato che, come visto, trova esplicitazione solo con la voce 19-bis) della nota integrativa. In secondo luogo, la soluzione non può essere condivisa qualora si concluda che l’art. 2467 opera solo a livello della disciplina del rimborso non incidendo viceversa sulla fattispecie negoziale, con la conseguenza di una attenuazione della rievocata “patrimonializzazione” o, se si preferisce, una scissione tra profili sostanziali del finanziamento postergato (equiparato ai mezzi propri) e profili formali (resta un debito).
     La questione non è meramente teorica ma ha importanti ricadute pratiche. Il superamento della sottocapitalizzazione nominale mediante l’imputazione a capitale proprio dei prestiti dei soci può infatti svolgere una notevole funzione propulsiva per l’afflusso di nuova finanza, sia da parte dei finanziatori esterni sia da parte dei soci.
     Infatti, se la “patrimonializzazione” del prestito avesse una equivalente esposizione contabile, la società ne può godere in termini di proprio credit scoring (57), divenendo meritevole per nuovi finanziamenti alla luce del riequilibrato rapporto tra mezzi propri e debiti, così migliorando il grado di leva finanziaria ed aumentando di riflesso la propria potenzialità di indebitamento (58). Egualmente, tale situazione può favorire l’afflusso di ulteriori finanziamenti dei soci ché altrimenti, a seguito dei precedenti finanziamenti postergati, iscritti al passivo tra i debiti rilevano contabilmente un peggioramento anziché un miglioramento del rapporto debiti/patrimonio, con verosimile diniego ad effettuare finanziamento “a perdere”. Non a caso in una versione antecedente dell’art. 2467, al fine di verificare la sproporzione tra debiti e patrimonio netto, si prevedeva di conteggiare nel patrimonio netto i finanziamenti postergati.
     A tal riguardo, esasperando le possibili situazioni riguardanti la società, vi è da interrogarsi sulla utilizzabilità di tale (eventuale) posta del patrimonio netto per la copertura delle perdite. Infatti, una volta che si condivide la scelta di “riclassificare” il finanziamento postergato quale elemento del netto, per coerenza deve accettarsi la conclusione che quanto versato dal socio, in quanto “capitale proprio”, può essere destinato alla difesa del capitale sociale in presenza di perdite.
     Senza dubbio alcuno, gli amministratori di s.r.l. si troveranno ad affrontare problematiche piuttosto complesse e possibile fonte di responsabilità anche per quanto attiene la non corretta esposizione in bilancio dei finanziamenti dei soci.

6. L’applicabilità della norma agli altri tipi di società
     Come è stato già evidenziato, nella nuova disciplina delle società per azioni non è prevista alcuna norma come quella dell’art. 2467, fatta eccezione per la previsione della regola della postergazione nei finanziamenti intragruppo, di cui all’art. 2497-quinquies.
     Si pone quindi il problema di verificare se tale norma possa applicarsi anche ad altri tipi sociali diversi dalle società a responsabilità limitata, e in particolare alla società per azioni.
     Al momento parte della dottrina che si è occupata della questione, invocando l’emersione a livello normativo di un principio già esistente ovvero l’esperienza comparatistica, propende per l’estensione analogica dell’art. 2467 alle società per azioni (59). Questa conclusione pare però intrinsecamente poco convincente.
     Come è noto, il ricorso all’analogia deve considerarsi precluso qualora la disposizione sottenda la sussistenza di elementi caratteristici di un certo modello societario (60). Al riguardo non può non evidenziarsi la diversa centralità assunta dal socio di s.r.l. rispetto al socio della s.p.a. nella gestione dell’impresa (61), centralità che giustifica la presunzione legislativa circa una particolare consapevolezza della situazione finanziaria, come argomentabile sia richiamando l’art. 2483, per la parte che esclude la garanzia di solvenza in favore dei soci della società emittente che acquistano i titoli di debito da investitori professionali, sia l’art. 2497-quinquies, per la parte in cui indica quali destinatari della disposizione dell’art. 2467 solo coloro che esercitano attività di direzione e coordinamento, nonché l’art. 2412, comma 2, nella parte in cui, diversamente dall’art. 2483, conserva la garanzia di solvenza per il trasferimento di obbligazioni effettuato da investitori professionali in favore di soci della società emittente. In conclusione l’estensione analogica della norma in commento alla s.p.a. non può non tenere conto della natura del soggetto finanziatore: non qualsiasi socio, ma chi si trovi con la società in una relazione stretta. In dottrina è stata sostenuta l’applicazione analogica dell’art. 2497-quinquies alle s.r.l., con la conseguenza che l’art. 2467 potrebbe invocarsi anche a fronte di finanziamenti effettuati da non soci che esercitano attività di direzione o di coordinamento (62).
     L’art. 2467 sanziona con la postergazione i finanziamenti dei soci onde reprimere quelle che la relazione Vietti, molto efficacemente, definisce forme surrettizie di capitalizzazione. La fattispecie è dunque colorata da valenze negative, diremo di patologia finanziaria, il cui presupposto economico-sostanziale è un giudizio di disvalore sul comportamento del socio: la centralità della sua posizione sociale, concretizzata in uno straordinario potenziamento dei poteri gestori e di controllo sugli atti di amministrazione e contabili, poteva e doveva dunque metterlo in guardia dall’effettuare un finanziamento in quella situazione dell’impresa (63).
     La circostanza che il socio abbia effettuato il finanziamento comporta la presunzione assoluta di aver voluto concludere un negozio fraudolento, situazione a cui l’ordinamento reagisce con la postergazione, e dunque con una sostanziale protezione dei creditori terzi. Se questa è la ratio legis dell’art. 2467, confermata dai richiamati artt. 2412, comma 2, 2483, comma 2, e 2497-quinques che pongono il socio “semplice” (rectius “non imprenditore”) della s.p.a. in una condizione di tutela giuridica equipollente a quella dei terzi, parrebbe francamente difficile sostenere la assiomatica applicazione analogica dell’art. 2467 alla s.p.a., tentativo che vieppiù evoca quella facile contaminazione della disciplina tra diversi tipi sociali che il legislatore sembra aver voluto espungere dal sistema in nome di una maggiore autonomia e caratterizzazione di ciascun tipo di società. La posizione del socio di s.p.a. non equivale tout court a quella del socio di s.r.l., quest’ultimo tipo è tutto informato alla centralità del socio, centralità affatto non ricavabile nel sistema normativo sulla s.p.a.
     Peraltro, verificandosi la illegittima situazione in cui soci della s.p.a., privi della qualifica di titolari di poteri di coordinamento e/o direzione, effettuino finanziamenti ben conoscendo lo stato di “crisi” dell’ente finanziato, nulla pare ostare alla applicazione dei medesimi principi giurisprudenziali (conversione del finanziamento in conferimento) nei termini e limiti fino ad oggi utilizzati. Come ben si comprende ciò comporterà riflessi probatori notevolmente diversi: dal regime della presunzione assoluta implicita nel 2467 si passa alla prova in concreto, seppur ricorrendo ad elementi indiziari e presunzioni semplici, con ben diverse garanzie per il socio finanziatore.
     Non a caso la stessa dottrina favorevole alla applicazione dell’art. 2467 alla s.p.a. sentiva l’esigenza di mitigarne la ricaduta applicativa escludendo dalla postergazione i finanziamenti effettuati dai titolari di c.d. “partecipazioni minime” (64).
     Resterà da attendere il vaglio giurisprudenziale sui finanziamenti effettuati a favore di s.p.a. in concreto equiparabili ad s.r.l.: si pensi alla s.p.a. chiusa a ristretta base azionaria, in cui può ricorrere la situazione di fatto presupposta dall’art. 2467 (65), anche se pare opportuno notare che l’art. 2467 troverà generale applicazione anche qualora il modello della s.r.l., pur elettivamente destinato alle imprese medio-piccole e a ristretta compagine sociale, … dovesse essere … utilizzato anche da imprese di maggiori dimensioni (66).

 

     * Lo studio sarà pubblicato sulla Rivista di diritto commerciale.

 

Note

     (1) (1) L.A. BIANCHI, Prime osservazioni in tema di capitale e patrimonio nelle società di capitali, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a cura di Benazzo, Patriarca, Presti, Milano, 2003, p. 79.

     (2) N. ABRIANI, La struttura finanziaria delle società di capitali nella prospettiva della riforma, in Riv. dir. comm., 2002, I, p. 131 ss.; M. LAMANDINI, Società di capitali e struttura finanziaria: spunti per la riforma, in Verso un nuovo diritto societario, Bologna, 2002, p. 277.

     (3) Cfr. M. LAMANDINI, Struttura finanziaria e governo nelle società di capitali, Bologna, 2001, p. 107, che evidenzia l’ispirazione comparatistica di molte delle nuove indicazioni contenute nei progetti di legge delega; il richiamo agli ordinamenti di common law e tedesco è altresì confermato da G.B PORTALE-A. ZOPPINI, Disciplina finanziaria all’europea, in Il sole 24 ore, 9 gennaio 2003, p. 21.

     (4) Cfr. M. LAMANDINI, ult. op. cit., p. 117, il quale ricorda il pensiero del risalente E. VIDARI, Corso di diritto commerciale, Milano, 1889, II, p. 90.

     (5) G. FERRANTI, I finanziamenti dei soci tra riforma societaria e fiscale, in Corr. trib., 2003, p. 93; R. CAMODECA, I finanziamenti dei soci, in Contabilità, finanza e controllo, 3, 2003, p. 283.

     (6) F. PARRELLA, Versamenti in denaro dei soci e conferimenti nelle società di capitali, Milano, 2000, p. 17 ss.; M. RUBINO DE RITIS, Gli apporti “spontanei” in società di capitali, Torino, 2001, p. 15 ss; Cass., 6.7.2001, n. 9209, in Società, 2002, p. 35; Cass., 14.12.1998, n. 12539, in Notariato, 1999, p. 538; Cass., 19.3.1996, n. 2314, in Società, 1996, p. 1267.

     (7) F. CHIOMENTI, I versamenti a fondo perduto, in Riv. dir. comm., 1974, II, p. 115 ss.

     (8) A. PAVONE LA ROSA, La teoria dell’«imprenditore occulto» nell’opera di Walter Bigiavi, in Riv. dir. civ., 1967, I, p. 670 ss.

     (9) Op. loc. citt.; l’A. utilizza premonitoriamente l’avverbio “ragionevolmente”, richiamo che non può non rievocare il “criterio della ragionevolezza”, su cui infra § 3, fatto proprio nel nuovo art. 2467.

     (10) M. LAMANDINI, Struttura finanziaria, cit., p. 96 ss.

     (11) Frequente è il ricorso all’istituto della postergazione convenzionale nelle ristrutturazioni economiche e nei risanamenti delle imprese: al fine di ottenere nuova finanza, alcuni creditori, i c.d. creditori junior, convengono di essere postergati al soddisfacimento di altri creditori, i c.d. creditori senior (cfr. R. ROSSI, Insolvenza, crisi di impresa e risanamento, Milano, 2003, p. 273). Per una disamina delle tipologie di prestiti subordinati, cfr. G.F. CAMPOBASSO, I prestiti subordinati nel diritto italiano, in AA.VV., Ricapitalizzazione delle banche e nuovi strumenti di ricorso al mercato (a cura di G.B. Portale), Milano, 1983, p. 356 ss.; G.B. PORTALE, «Prestiti subordinati» e «prestiti irredimibili» (appunti), in Banca, borsa, tit. cred., 1996, I, p. 1 ss.

     (12) A. AMATUCCI, Fatto illecito della società e responsabilità “proporzionata” dei soci, Milano, 2002, p. 14.

     (13) ASSOCIAZIONE PREITE, Il nuovo diritto delle società, a cura di G. Olivieri, G. Presti, F. Vella, Bologna, 2003, p. 232.

     (14) M.S. SPOLIDORO, voce «Capitale sociale», in Enc. dir, IV, agg., Milano, 2000, p. 200.

     (15) A tal riguardo non può che rinviarsi al determinante studio di V. BUONOCORE, Le situazioni soggettive dell’azionista, Napoli, 1960, p. 87 ss.

     (16) Sulla distinzione delle varie forme di finanziamento dell’impresa, tra auto ed eterofinanziamento, cfr. G. RACUGNO, L’ordinamento contabile delle imprese, Torino, 2002, p. 28 ss.

     (17) G. TANTINI, Capitale e patrimonio nelle società per azioni, Padova, 1980, p. 131; M. IRRERA, I «prestiti» dei soci alla società, Padova, 1992, p. 83 ss.; F. PARRELLA, op. cit., p. 17 ss.; M. RUBINO DE RITIS, op. cit., p. 15 ss.; E. GINEVRA, Sulla qualificazione dei «finanziamenti» dei soci alla società partecipata, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, p. 728; G.B. PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Riv soc., 1991, 3, p. 108 ss., il quale, scartata la possibilità in concreto di invocare la simulazione, ritiene che il prestito possa essere “riqualificato forzosamente” come conferimento di capitale di rischio ricorrendo a vari strumenti giuridici, tra cui l’abuso del tipo contrattuale (cioè il mutuo), l’exceptio doli e la frode alla legge, e l’A. opta per il ricorso alla “sanzione” della frode alla legge.

     (18) M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 202, e spec. nt. 32.

     (19) Cfr. M. RAGNO, Versamenti in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale e prestiti subordinati effettuati dai soci di società di capitali, in Giur. comm., 2000, I, p. 763 s.

     (20) G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, 5° ed., Torino, 2002, p. 490 ss., spec. nt. 1 p. 491.

     (21) M. RUBINO DE RITIS, op. cit., p. 2 ss. In relazione alla possibile pluralità delle fonti di finanziamento dell’impresa, la dottrina distingue tra sottocapitalizzazione nominale, ove tra i mezzi propri si considerano anche i prestiti dei soci ad integrazione dell’insufficiente capitale sociale nominale, e sottocapitalizzazione materiale, che descrive l’effettivo anomalo sbilanciamento tra mezzi propri e debiti, cfr. G.B. PORTALE, op. cit., p. 1 ss.

     (22) R. COSTI, L’ordinamento bancario, 3a ed., Bologna, 2002, p. 187 ss.; ma vedi le critiche mosse al provvedimento del CICR per la parte in cui impone limitazioni alla raccolta tra i soci anche qualora non possa di fatto definirsi come effettuata tra il pubblico, così G. FERRI jr., La raccolta del risparmio da parte di soggetti diversi dalle banche, in Studi e materiali, a cura della Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, Milano, 1995-1997, p. 20 ss, spec. p. 31 ss; nello stesso senso la Circolare Assonime del 4 aprile 1994, n. 55, in Riv. not., 1995, p. 1186 ss. Di recente con le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, titolo IX, capitolo 2, si è specificato che non configura «raccolta di risparmio tra il pubblico» il reperimento di risorse … sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, né le singole operazioni di finanziamento a favore della società che uno o più soci decidano di effettuare, sempreché tali operazioni non si configurino, di fatto, come forme di raccolta.

     (23) S. VANONI, I crediti subordinati, Torino, 2000, p. 2 ss.

     (24) La tematica dei prestiti subordinati ha sollevato interessanti questioni sistematiche generali. Così la più attenta dottrina non ha mancato di osservare come il prestito subordinato “sfugga” dal tipo del contratto di mutuo per divenire un contratto aleatorio atipico di c.d. “prestito a tutto rischio”. Questa conclusione poggia sulla constatazione dell’incompatibilità tra la causa del mutuo e del patto o della clausola di postergazione che rendono aleatoria la restituzione della somma mutuata; cfr., anche per ampi riferimenti alla dottrina civilistica in argomento, G. B. PORTALE, «Prestiti subordinati» cit., p. 7 e spec. nt. 20. Sulla distinzione concettuale tra patto e clausola di postergazione cfr. M. RAGNO, op. cit., p. 781 e nt. 54.

     (25) La complessità classificatoria della postergazione negoziale non si limita a quanto riportato nel testo. Per un accurato lavoro ricostruttivo delle varie fattispecie registrabili nella prassi, con attenta considerazione delle operazioni finanziarie sottostanti, cfr. S. VANONI, op. cit., p. 14 ss.

     (26) La stessa disciplina prevista dall’art. 2467 per i finanziamenti dei soci di s.r.l. è prevista, dall’art. 2497 quinquies, per i finanziamenti della controllante alla controllata, su cui vedi infra, § VI.
(27) Tra i primi commenti sistematici della nuova norma, cfr. F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, Trattato Galgano, XXIX, Padova, 2003, p. 474 s.; nonché V. BUONOCORE (a cura di), La riforma del diritto societario, Torino, 2003, p. 176 s.

     (28) Cfr. G.B. PORTALE, Capitale sociale, cit., p. 31 ss., ove l’A. dà conto delle decisioni giurisprudenziali che in Germania hanno sostenuto l’immanenza nell’ordinamento dello stesso principio.

     (29) Si rinvia ancora allo studio del G.B PORTALE, Capitale sociale, cit., p. 109 ss.

     (30) Resta da domandarsi se un prestito del socio effettuato per sopperire, quale anticipazione, ad una temporanea esigenza di cassa, e dunque con un termine di rimborso brevissimo, sia da qualificarsi quale “finanziamento” È infatti evidente che con tale prestito “a brevissimo” il socio non intende sopperire alla situazione di sottocapitalizzazione, finalità conseguibile solo con una certa durata temporale del finanziamento. Non casualmente, nella dottrina e giurisprudenza tedesca uno degli indici dell’anormalità del finanziamento riposa nell’elemento temporale (non aver previsto alcun termine o un termine straordinariamente lungo per il rimborso); sul punto cfr. G.B. PORTALE, Capitale sociale, cit., p. 110.

     (31) Come sicuramente accadrà in caso di successivo fallimento ad opera del curatore.

     (32) Rel. Vietti, § 11; E. FAZZUTI, sub art. 2467, in La riforma delle società a cura di Sandulli e Santoro, 3, Torino, 2003, p. 49; D.U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, p. 201.

     (33) La circostanza che il finanziamento non trovi supporto nell’“affidabilità” della società sul mercato è un indice di anormalità utilizzato da tempo in Germania, cfr. G.B. PORTALE, Capitale sociale, cit., p. 110.

     (34) Conta, E. FAZZUTI, op. cit., p. 49 s.; secondo cui dalla norma resterebbero esclusi i prestiti “onerosi” e quelli c.d. “indiretti”.

     (35) A. IRACE, sub art. 2497-quinquies, in La riforma delle società, cit., p. 344.

     (36) Nel caso di rilascio di garanzie da parte del socio nell’interesse della società, ricorrendo i presupposti previsti dall’art. 2467, i soci perdono il diritto alla liberazione del bene concesso in garanzia o al rimborso di quanto loro spettante in via di regresso a seguito della escussione della garanzia. Questa soluzione è stata adottata nell’ordinamento tedesco, cfr. G.B. PORTALE, Capitale sociale, cit., p. 122.

     (37) A. IRACE, op. cit., p. 343.

     (38) D.U. SANTOSUOSSO, op. cit., p. 202; in tal senso, anche se in termini più dubitativi, cfr. il Parere dei componenti del Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Diritto commerciale interno ed internazionale, Università Cattolica di Milano, in Riv. soc., 2002, p. 1498 s.

     (39) Più di tante parole, sia concesso rinviare al secco commento dell’aziendalista, cfr. L. DE VECCHI, Le nuove esserrelle, in La riforma del diritto societario, a cura di A. Danovi, Milano, 2003, p. 191, secondo cui «La formula adottata, che fa riferimento ad indici di impossibile pratica determinazione, oppure addirittura alla “ragionevolezza” dell’ipotesi alternativa del conferimento, è talmente astrusa ed ambigua da renderne di fatto impossibile l’applicazione».

     (40) A. GAMBINO, Il finanziamento dell’impresa sociale nella riforma, in Riv not., 2002, I, 279, p. 284; e per una disamina aziendalistica in ordine all’equilibrio tra le varie fonti di finanziamento dell’impresa si rinvia a A. PAVAN, L’amministrazione economica delle aziende, Milano, 2002, p. 213 ss.

     (41) Così ammonisce C. CARAMIELLO, Indici di bilancio, Milano, 1993, p. 238; ove l’A. rende conto delle complessità valutative. Queste complessità non possono che evidenziare la atecnica ed ingenua semplicità dei parametri valutativi introdotti con l’art. 2467. I criteri legislativi non contengono pertanto un sufficiente grado di specificità, ragione per la quale gli interpreti, e in primo luogo la giurisprudenza, sono chiamati a delimitarne il contenuto.

     (42) D.U. SANTOSUOSSO, op. cit., p. 201, il quale ritiene che l’eccessivo squilibrio connoti la situazione del grave dissesto finanziario, mentre la ragionevolezza del conferimento evochi la incipienza di una fase di sviluppo aziendale.

     (43) Il tentativo di reperire tra la dottrina commercialistica approfondimenti o, perfino, cenni sui parametri evocati dal nostro legislatore può avere connotati di massima frustrazione per chi si cimenti in ciò. Si rimanda, per una trattazione dello “stato dell’arte” in materia di accertamento della condizione delle imprese, a G. FERRERO-F. DEZZANI-P. PISONI-L. PUDDU, Le analisi di bilancio. Indici e flussi, 2a ed., Milano, 1998, p. 173 ss.

     (44) Nel senso che gli indici sintomatici dell’anormalità dei prestiti dei soci abbiano carattere oggettivo, prescindendo da indagini di contenuto soggettivo, in relazione all’ordinamento tedesco, cfr. G.B. PORTALE, Capitale sociale, cit., p. 109 s.

     (45) Dovendo delimitare l’effettivo contenuto del divieto di rimborso, onde non privare la norma del suo contenuto precettivo, stante anche la sua evidente natura imperativa, è senz’altro preferibile ritenere che il divieto riguardi non solo il capitale ma anche gli accessori del credito.

     (46) La questione non è puramente teorica ma ha grande rilievo pratico-applicativo anche in considerazione delle rilevanti conseguenze risarcitorie per gli amministratori (ed eventuali sindaci o revisori) qualora eseguano un rimborso in violazione del precetto normativo: stante il divieto di rimborso previsto dall’art. 2467, gli amministratori sono responsabili verso i terzi creditori dell’eventuale pagamento effettuato in favore dei finanziatori-soci in violazione del divieto. Oltre alla responsabilità degli amministratori, in forza del disposto dell’art. 2476, è ipotizzabile anche la responsabilità solidale dei soci che abbiano deciso o autorizzato la restituzione del finanziamento postergato in difetto dei presupposti.

     (47) A. IRACE, op. cit., p. 345; D.U. SANTOSUOSSO, op. cit., p. 201, cui adde “Osservazioni generali sulla riforma del diritto societario” del Consiglio Nazionale dei Ragionieri Commercialisti ed Economisti d’Impresa, reperibile sul sito «www.consrag.it/approfondimenti/riformadirittosocietario/osservazioni.pdf».

     (48) G.B. PORTALE, Capitale sociale, cit., p. 121.
(49) P. PAJARDI, Il sistema revocatorio, Milano, 1990, p. 159.
(50) L. QUATTROCCHIO, Le novità in tema di bilancio di esercizio, in Società, 2003, 361, p. 363 ss.
(51) La soluzione prospettata nel testo di dare evidenza alla postergazione legale nella sola nota integrativa è preferibile rispetto alle altre possibili soluzioni ed appare conforme alla disciplina del bilancio. Infatti, per i finanziamenti postergati non può darsi una specifica evidenza nello stato patrimoniale: esistendo la voce D) 3) del passivo non è invocabile la facoltà di introdurre una nuova voce ad hoc come previsto dall’art. 2423-ter, comma 3. Ancora, la conclusione di non dare alcuna notizia sulla esistenza della postergazione non è conforme al dettato dell’art. 2423, comma 3, che in ossequio al principio della rappresentazione veritiera e corretta impone obbligatoriamente di fornire le informazioni necessarie allo scopo. È infatti pacifico che una delle funzioni primarie della nota integrativa sta nel dettagliare le voci dello stato patrimoniale, analizzandone la composizione e fornendo una compiuta illustrazione; cfr. L.A. BIANCHI (a cura di), La disciplina giuridica del bilancio di esercizio, Milano, 2001, p. 938 ss.
(52) E. FAZZUTI, sub art. 2467, La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, 3, Torino, 2003, p. 50.
(53) Cass., 19.7.2000, n. 9471, in Mass. giust. civ., 2000, p. 1569; G. RACUGNO, op. cit., p. 28 ss.; E. GINEVRA, op. cit., p. 736 ss.; M. RUBINO DE RITIS, op. cit., p. 16 ss.
(54) G.B. PORTALE, Riforma delle società, cit., p. 147.
(55) Come è noto la novità legislativa implicita nell’art. 2467 sta proprio nella patrimonializzazione, seppur temporanea, del prestito dei soci, secondo un percorso da tempo già segnato da una attenta giurisprudenza, cfr. A. GAMBINO, Il finanziamento dell’impresa sociale, cit., p. 283 ss.; ID., Intervento al XVII Convegno organizzato dal Centro Nazionale di Prevenzione Sociale su “Diritto societario: dai progetti alla riforma”, Courmayeur 27-28 settembre 2002, p. 5 del manoscritto reperibile sul sito www.odc.mi.it/upload/gambino.pdf; ove l’A. sostiene «… l’importanza della nuova disciplina che tende a trasferire i finanziamenti soci al patrimonio netto».

     (56) A tal riguardo, così come per i versamenti dei soci in conto capitale, è da escludersi che i prestiti postergati possano rilevarsi tra gli elementi positivi di reddito. Dunque i prestiti avranno un’evidenza nello stato patrimoniale ma non nel conto economico.

     (57) Cfr. U. MORERA, Il fido bancario. Profili giuridici, Milano, 1998, p. 111 ss.

     (58) Secondo le scienze aziendalistiche, l’impresa deve tener presente che il grado di indipendenza finanziaria, cioè il rapporto tra capitale di credito e capitale proprio, non deve superare l’unità, in difetto la gestione resta irrimediabilmente condizionata dai rapporti con i creditori.

     (59) M. RESCIGNO, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto societario in tema di società a responsabilità limitata, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a cura di Benazzo, Patriarca, Presti, Milano, 2003, p. 54; U. TOMBARI, La nuova struttura finanziaria delle società di capitali, in Fisco, 2003, p. 13 ss; ASSOCIAZIONE PREITE, op. cit., p. 232; A. IRACE, op. cit., p. 342.

     (60) G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 2003, 58, p. 83.

     (61) G. ZANARONE, op. cit., p. 83.

     (62) A. IRACE, op. cit., p. 342.

     (63) M. PERRINO, La nuova s.r.l. nella riforma delle società di capitali, in Riv. soc., 2002, p. 1119, ove l’A. stressa la tendenziale coincidenza fra soci investitori e soci gestori.

     (64) Cfr. G.B. PORTALE, Brevi note sulla costituzione e sul finanziamento della spa e della srl, Relazione al convegno di Palermo del 10-11 maggio 2002 sul tema Costituzione, finanziamento, strutture dell’organo amministrativo e legge di riforma delle società di capitali, p. 5 del manoscritto; ID., Riforma delle società di capitali e limiti di effettività del diritto nazionale, in Società, 2003, p. 147.

     (65) M. STELLA RICHTER, in Aa.Vv., Diritto delle società di capitali, Milano, 2003, p. 193.

     (66) G. COTTINO, Le società, Diritto commerciale, Appendice di aggiornamento, a cura di N. Abriani, Padova, 2002, p. 22.

 

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