Con la delibera del CICR del 4 marzo 2003 (1) e le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia firmate dal Governatore il 25 luglio, finisce l’ultrattività della disciplina sulla trasparenza bancaria che durava ormai da (troppi!) anni, ossia dal 1992 – anno di emanazione della legge n. 154 –, legge nata “monca” poiché priva, per l’appunto sino ad oggi, della regolamentazione attuativa ivi prevista.
È appena il caso di ricordare, per esigenze sistematiche, che la predetta ultrattività, meccanismo invero assai usato (e abusato!) del legislatore del nostro paese, era consentita (rectius: lo sarà fino al 30 settembre 2003, dato che il nuovo apparato normativo prende vigore dal 1° ottobre 2004, salvo proroghe che, mentre scriviamo, non sono state ipotizzate dalla Banca d’Italia, ancorché richieste del mondo bancario) dal comma 5 dell’art. 161 del Testo Unico Bancario (TUB).
Si tratta ora di vedere, con tutti i limiti di un’analisi provvisoria – accentuati da una lettura che, per forza di cose, è ancora orfana di riscontri nella prassi – se, come accennavamo nel titolo di questo scritto, si possa considerare oggi soddisfacente l’impianto di regole che il nostro ordinamento ha apprestato a favore della trasparenza dei rapporti tra le banche (e gli altri intermediari finanziari) e la clientela.IL QUADRO PREVIGENTE
Prima di addentrarci nella disamina delle novità introdotte dal combinato disposto della delibera e delle Istruzioni sono richiamate, vediamo in sintesi quali sono le disposizioni “di sistema” sulle quali questa importante appendice va ad incardinarsi.
Il TUB dedica, come noto, un intero titolo, il VI, alla materia. Fu un tentativo (a nostro avviso, è così che va definito) di sistematizzare le norme della citata legge 154/1992 e di quella sul credito al consumo (legge 142/1992), e di adeguare la nostra legislazione alle istanze comunitarie in tal senso.
Un processo ineluttabile, non c’è nessun particolare “merito” da attribuire al nostro legislatore; così come inevitabile, anzi tardivo, era l’intervento che qui commentiamo (2).
Gli articoli dal 115 al 120 si deducono più propriamente alla “Trasparenza”: quest’ultimo termine viene utilizzato, almeno da chi scrive, in modo “convenzionale” in questa sede, perché ci pare che – tra tanta elaborazione legislativa, giurisprudenziale e dottrinale che è seguita alla sua introduzione – non gli si possa ancora attribuire carattere di univocità (3).
L’ambito di applicazione, delineato dall’art. 115 del TUB, era (e resta) limitato; in questo senso, non ci pare che il provvedimento della Banca d’Italia faccia chiarezza, poiché si limita a ribadire la formula “banche e intermediari finanziari”, seppure con degli opportuni distinguo.
Alla genericità del comma 1 dell’articolo in questione si contrappone la menzione, nella premessa alle Istruzioni Bankitalia, degli intermediari finanziari ex artt. 106 e 107 del TUB stesso, nonché – oggi – dei c.d. “IMEL” (Istituti di Moneta Elettronica), normati da analoga delibera del 4 marzo 2003 del CICR.
Con tutto ciò, e vista la perdurante mancanza di raccordo con il Testo unico della Finanza (TUF) – giusto il richiamo all’art. 23 co. 4, effettuato dalle Istruzioni in commento –, ci sentiamo di proporre una rivisitazione organica della materia nel suo complesso (4).
Sarebbe ingeneroso verso lo stesso sistema bancario, non ricordare che la legge 154/92 trova il suo prius logico e storico nell’Accordo interbancario stipulato il 30 novembre 1988; è il seguito, a dire il vero, a non essere stato esaltante, perché – lo ribadiamo – un vero e proprio “monitoraggio” dell’ottemperanza all’accordo, prima, e alle leggi, poi, è indubbiamente mancato (5).
Va dato atto, comunque, al legislatore del TUB, di aver creato degli argini saldi entro i quali il necessario divenire di questa materia può dispiegare i suoi effetti senza rischiare “tracimazioni normative e regolamentari.”
Le Istruzioni che di seguito commenteremo ne sono la conferma, perché senza i princìpi-quadro del legislatore del 1993 sarebbe stato ben più arduo emanarle; anzi, in molti punti (e questa è una delle critiche che possiamo fare sicuramente al provvedimento dell’Organo di vigilanza) è possibile riscontrare un “appiattimento” sul testo normativo citato.LE NOVITA’ DELLA DISCIPLINA
Non si può procedere all’esame delle Istruzioni, ancora, senza aver formulato qualche considerazione sulla propedeutica disciplina del CICR, anche per poter meglio valutare le prime rispetto ai criteri delineati dal Comitato.
Mette subito conto evidenziare, guardando alle definizioni del CICR, che quella di “intermediari” – richiamata per individuare i destinatari della disciplina – formulata dalla delibera (art. 1) non coincide con quella di cui al par. 3 delle Istruzioni. Anche la tecnica definitoria risulta, in queste ultime, diversa e più ampia.
Ci chiediamo se ciò possa costituire “elemento di disturbo” in fase applicativa dato che, ad esempio, nella Premessa la Banca d’Italia include come soggetti passivi dei doveri di trasparenza anche gli intermediari ex art. 107 TUB, che poi non rinveniamo nella citazione del CICR.
Si tratterebbe di ritornare, solo accennandone in questa sede, alla diatriba circa l’estensione ed i limiti del potere regolamentare della Banca d’Italia rispetto, non tanto, a quello del CICR – nei confronti del quale la “subordinazione” è già evidente ex se in virtù di quanto prevede il TUB –, bensì rispetto allo stesso TUB, il cui art. 115 parla (come dicevamo sopra) di “banche e intermediari finanziari”, dando facoltà al Ministro del Tesoro (e non, per l’appunto, all’organo amministrativo) di ampliare detta categoria (6).
Il quesito di chi, come Nigro, Dolmetta, Porzio e, da ultimo, Capobianco (7), si domanda se sia sufficiente la legge ordinaria (ergo, il TUF accompagnato dal codice civile) a disciplinare la materia de qua, può legittimamente – alla luce della discrasia che abbiamo appena evidenziato – ricevere risposta positiva, così come le perplessità connesse a differenti interpretazioni ci trovano, almeno ad una prima lettura del nuovo articolato, assolutamente concordi.
Le altre novità della delibera CICR ( e delle conseguenti Istruzioni) sono il frutto dell’importazione di metodi già collaudati in altre sedi e, nella specie, si tratta dell’adeguamento delle norme alle evoluzioni della prassi e alle suggestioni provenienti da provvedimenti e pareri assunti da Autorità europee ovvero da Associazioni di categoria.
Così come, ad esempio, la previsione – all’art. 3 della Delibera – di un “allegato” contenente la lista di operazioni e servizi ai quali si applicano le nuove regole, dando potere a Banca d’Italia di ampliare siffatta elencazione (8). Viene da chiedersi, molto banalmente, quid iuris per un servizio non ricompreso in elenco? Il riferimento a quest’ultimo sembrerebbe tassativo, e il meccanismo di adeguamento non sarebbe (ovviamente) così rapido da attuarsi.
Per quanto concerne l’introduzione dell’avviso sulle “principali norme di trasparenza”, esso concorre a delineare – affiancandosi ai preesistenti “fogli informativi” – una più incisiva possibilità di informare l’utenza non solo sulle caratteristiche tecniche dei prodotti, bensì sui propri diritti (cfr. art. 4).
Infatti, mentre l’avviso “sintetico” di cui alla previgente normativa costituiva una sintesi (“illeggibile” ai più!) alfanumerica che, a nostro modo di vedere, non aveva apprezzabile utilità (anche perché spesso mancavano gli aggiornamenti!), questa nuova modalità, in versione anche “da asporto” (cfr. par. 2, sez. II, Istruzioni), dovrebbe facilitare la lettura e la comprensione, anche perché la Banca d’Italia ha prescritto una veste grafica “di facile identificazione e lettura”, con un contenuto minimale che non consente, quindi, libere interpretazioni da parte degli intermediari (9).
Francamente superflua giuridicamente, anche se nel merito opportuna – data la negativa evoluzione applicativa registrata sulle norme già esistenti – è la previsione (art. 8 del CICR e par. 7, parte II, Istruzioni) di una informativa “precontrattuale”.
Si, perché anche questa possibilità per il contraente, corrispondente ad un preciso dovere per l’intermediario, era sicuramente “atto dovuto” leggendo a sistema gli articoli del TUB dedicati alla trasparenza e, segnatamente, quello sui contratti.
Quando, poi, non si voglia fare riferimento alla sistematica generale del contratto. Non si può pensare, infatti, ad un contratto bancario ovvero ad un operazione finanziaria conclusi senza che vi siano state delle “trattative”, e che quindi, sia scaturita da entrambe le parti l’esigenza di essere informati circa i reciproci diritti/doveri (10).
Ma il CICR pare restringere tale obbligo informativo alla “copia completa” del contratto, che il cliente ha diritto di ottenere, ritenendo, il Comitato, evidentemente esaustiva tale forma di “clientela”.
Non ci pare una innovazione, ripetiamo, da enfatizzare (così come ha fatto, ad esempio, l’ABI nella sua recente circolare sulla materia, nella parte dedicata ai Principi Generali), anche perché le Istruzioni della Banca d’Italia specificano che la richiesta deve partire dal cliente e che “può essere subordinata al pagamento [da parte sua] di un rimborso delle spese” Ciò, evidentemente, ne vanifica pressoché in toto l’efficacia.
Inutile, a questo punto, soffermarsi sul c.d. “documento di sintesi”, unito al contratto stesso a mo’ di frontespizio, che riproduce lo schema del foglio informativo relativo alla operazione.
Gli obblighi appena descritti valgono anche per l’offerta di servizi “fuori sede” ovvero attraverso tecniche di comunicazione a distanza: valgono, a tal proposito, le considerazioni appena formulate, arricchite (laddove ve ne fosse bisogno) dall’ulteriore perplessità del raccordo con la disciplina ad hoc prevista dal TUF e relativi regolamenti attuativi.
Interessante ci sembra, invece, l’abbozzo di disciplina per gli “annunci pubblicitari”, di fatto inesistente (11), anzi, in questi anni affidata (rectius: devoluta) al Giurì dell’Autodisciplina pubblicitaria e, soprattutto, all’Autorità Antitrust (12).
In qualsiasi forma effettuati – prescrive il CICR (art. 7) – ne va chiarita la natura, rinviando ai fogli informativi e, per i finanziamenti, al TAEG ovvero all’ISC.
Sì, l’ISC: Indicatore Sintetico di Costo. Questa si potrebbe definire l’unica vera novità della “miniriforma” sulla trasparenza.
Lo introduce il CICR, lo specifica la Banca d’Italia, come indice – da calcolarsi secondo una formula che la stessa Banca d’Italia è delegata a predisporre – “comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente” (cfr. art. 9 Del. CICR). Dalle Istruzioni dell’Organo di vigilanza (par. 9) sembrerebbe che tale parametro si debba applicare a quelle operazioni che non hanno TAEG.
Francamente, lacunosa e poco chiara appare la disciplina de qua, sulla quale, pertanto si deve per forza sospendere il giudizio sino a nuove determinazioni (13).I CONTRATTI
Ulteriori critiche dobbiamo muovere alla parte (sez. III) relativa ai “Contratti”.
Iniziando dalla premessa (p. 16), che dovrebbe aiutare nella riferibilità della disciplina ivi dettata, al di là della già evidenziata novità della c.d. “Contrattazione a distanza” (cui pure si applica), vi leggiamo di un’estensione “indiscriminata”, cioè che prescinde dall’allegato alla Delibera CICR, e con la (scontata) esclusione dei servizi di investimento.
Si attua, quindi, quella “facoltà di tipizzazione” (14) attribuita dall’art. 117 TUB alla Banca d’Italia, e sembrerebbe trattarsi di un intervento totalizzante. Ciò è rafforzato dalla previsione, assai singolare (perché, a nostro avviso, ridondante), che “restano rimessi ai rapporti tra intermediari e cliente e, in ultima analisi, alla valutazione dell’autorità giudiziaria le questioni relative alla validità dei contratti o di singole clausole”.
Per evidenti ragioni di spazio, non possiamo indugiare sul tema del collegamento tra normativa primaria e legge speciale in subiecta materia, così come al già cennato problema della “divisione dei poteri” tra legislatore ordinario e amministrativo.
È tempo, però, secondo chi scrive, che si assumano decisioni univoche, rispondenti alla nostra consolidata tradizione civilistica, nella materia dei contratti sui servizi bancari e finanziari lato sensu intesi (15), restando anche noi convinti, con l’Autorevole dottrina citata in questo scritto, che in materia di trasparenza “la legge, come tale, è perfettamente in grado di soddisfare direttamente e compiutamente le esigenze di tutela che ne sono alla base” (16).
Come in ogni testo normativo però, c’è qualcosa da salvare (ed in verità, poi, più di qualcosa).
Si è finalmente chiarito quali contratti possono non essere redatti “per iscritto” (cfr. par. 2, sez III, Istruzioni di vigilanza), l’obbligo di informativa scritta sui bonifici effettuati (anche transfrontalieri), le modalità ed i contenuti informativi relativi all’utilizzo di tecniche di comunicazione a distanza (17).
Mancano, nella parte finale (sez. V, Controlli), disposizioni realmente “pungolanti” sull’attuazione del dettato regolamentare, perché le sanzioni restano blande, ossia quelle già previste e, a quanto ci consta sino ad oggi, scarsamente applicate (o, quantomeno, deterrenti).
NOTE(1) Pubblicata nella G.U. del 27 marzo 2003, n. 72.
(2) E ciò ha legittimato, almeno fino ad oggi, quel “pasticcio normativo” di cui parla A. NIGRO nell’opera in appresso citata, p. 512.
(3) Per una efficace quanto puntuale sintesi del processo evolutivo del concetto di trasparenza ci aiuta molto il lavoro di P. VALENTINO, Commento sub art. 115, in Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. CAPRIGLIONE, p. 887 e ss. Non possiamo che concordare con l’A. sul fatto che “lo studio del concetto di trasparenza non può comprendere soltanto l’analisi degli strumenti attraverso i quali si dà informazione, ma deve estendersi a quella delle disposizioni che impongono un determinato agire al soggetto che informa” (p. 889): ci pare che, ad oggi, il mercato abbia recepito solo l’onere, non il vantaggio (non vogliamo dire il “dovere”!). Tutto ciò senza dimenticare che si deve ad A. NIGRO, Disciplina di trasparenza delle operazioni bancarie, in Dir. banca e mer. finanz., 1998, I, p. 511 e ss., l’averci fornito tra le prime illuminanti analisi della normativa in discorso, così come A. DOLMETTA, Normativa di trasparenza e ruolo della Banca d’Italia, nella stessa Riv., 1998, I, p. 29 e ss.
(4) Come afferma lo stesso VALENTINO, op. cit., p. 892, la legge 154/92 «ha lasciato l’ordinamento in balia di non precisati limiti di competenza e di intervento nell’organizzazione delle materie disciplinate», mentre oggi, dal citato art. 115 TUB, «emerge con chiarezza l’esclusione dell’applicazione della disciplina sulla trasparenza di ogni soggetto che non sia “banca” o “intermediario finanziario” sia che svolgono attività bancaria o finanziaria o attività e servizi ad esse accessorie, connesse o strumentali». In senso più restrittivo M. PORZIO, La disciplina generale dei contratti bancari, in I contratti delle banche, a cura di AA.VV., UTET, Torino, 2002, p. 49, che pare limitare il suddetto ambito alle sole “banche”. D’altro canto, questo nostro invito non è originale, ma aderisce a quelli più autorevolmente formulati in altre e numerose sedi.
(5) In tal senso, tra gli altri, A. MAISANO, Trasparenza e riequilibrio delle operazioni bancarie, Giuffrè, Milano, 1993. Non si può essere d’accordo, ad esempio, con L. NIVARRA, La banca tra obblighi di contrarre e regola di trasparenza, in Contr. e Impr., 1998, p. 143 ss., e con quant’altri affermi – ancora oggi che detto controllo possa in qualche modo contrastare con l’autonomia negoziale dell’impresa bancaria. Abbiamo già avuto modo, in varie sedi, di ribadire una nostra indefettibile convinzione, e cioè quella della particolarità dell’oggetto dell’attività bancaria, il che non può che giustificare limitazioni e controlli (cfr., tra gli altri, i nostri Trasparenza bancaria e diritti della curatela fallimentare, in Dir. Prat. Soc., n. 16/2002. p. 75 e ss.; Antitrust e trasparenza: il ruolo della Banca d’Italia, in Corr. Giur., n. 8/2000, p. 1111 e ss.). In senso analogo anche F. Corsi, Lezioni di diritto bancario, Giuffrè, Milano, 2002, p. 48, così come G. MOLLE e L. DESIDERIO, Manuale di diritto bancario e dell’intermediazione finanziaria, Giuffrè, Milano, 2000, p. 9. Non riteniamo, pertanto peregrina la proposta di G. CARRIERO, Trasparenza bancaria, credito al consumo e tutela del contraente debole, in Foro It., 1992, p. 354 ss., laddove l’A. arriva a proporre l’utilizzo del vecchio art. 32, co. 1, lett. b) della legge bancaria – nella parte sui controlli autoritativi sui tassi e condizioni economiche praticate dalle banche – in misura “complementare” alla normativa su credito al consumo e trasparenza. Assai utile è la ricostruzione del dibattito in questo argomento operata da A. M. CARRIERO, Commento sub art. 117, in Commentario al TUB, cit., p. 905 ss.
(6) Sul punto, la posizione di chi scrive è già stata espressa (come adesiva ai citati Nigro, Dolmetta e Porzio), mentre si fa rinvio, per comodità espositiva, alle più Autorevoli dottrine già citate, nonché alle altre e corpose posizioni ivi richiamate. Parla, con un’efficace ipostasi, di “smagliatura normativa”, A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, Giuffrè, Milano, 1997, p. 291.
(7) E. CAPOBIANCO, I contratti delle banche: trasparenza ed equilibrio nei rapporti con la clientela, in Dir. banca e mer. finanz., 2002, I, p. 199 e ss. (in particolare, da p. 225 in poi).
(8) Anche qui si pongono, a nostro avviso, i problemi di coordinamento con l’art. 115, co. 2, del TUB cui sopra facevamo cenno. Tutto ciò in punto di mero diritto, astraendoci da qualsivoglia considerazione di merito circa l’attribuzione dei citati poteri, che ben altro spazio meriterebbe nell’economia del presente scritto.
(9) È forse utile ricordare, come fa opportunamente G. LIACE, La responsabilità civile della banca, Giuffrè, Milano, 2003, p. 34, che “non è esclusa la possibilità di inserire e di pubblicizzare clausole dal contenuto non economico”.
(10) Troviamo nella dottrina già citata in questo lavoro, scusandoci per le incolpevoli omissioni, univoche indicazioni in tal senso. Ad es., P. VALENTINO, op. cit., p. 889, nel delineare il concetto di trasparenza (perché di questo si tratta, poi, ai nostri fini), lo definisce come “lo strumento, il mezzo per rendere edotti gli altri del proprio essere e del proprio divenire: un divenire, è meglio chiarirlo, che già preesiste nel momento in cui si manifesta (ancora più chiaramente, si legga p. 895). Così come E. CAPOBIANCO, op. cit., p. 206, che parla di una normativa “prevalentemente incentrata sull’aspetto dell’informazione”. Sottolinea invece che la ratio della normativa sulla trasparenza è quella di mettere in grado il cosiddetto contraente debole “di conoscere e valutare l’effettiva portata delle clausole contrattuali”, M. PORZIO, cit., p. 48 (in senso analogo, G. Romano, op. cit., p. 97). Più specifico il contributo di A. DO)LMETTA, op. cit., il quale afferma che “nel suo significato specifico, la trasparenza esprime il concetto di flusso di informazione sull’operazione predisposta che deve raggiungere ovvero entrare nella sfera di conoscibilità del cliente”, flusso che “può venire attestato al livello precontrattuale e/o in funzione dell’esecuzione del contratto” (p. 30). Enfatizza tale aspetto anche F. Corsi, op.cit., p. 49, così come U. MAJELLO, Problematiche in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali, in La nuova legge bancaria, a cura di Rispoli Farina, Jovene, Napoli, 1995, p. 308, il quale ultimo precisa, tra l’altro, che “la trasparenza consiste nel dovere di far conoscere le condizioni del contratto, prima ancora che il contratto venga stipulato”, aggiungendovi, opportunamente, un riferimento all’art. 1341 cod. civ.
(11) Ve n’è menzione in alcune roneate della Banca d’Italia, ma di fatto risultano disapplicate.
(12) È diventata significativa la mole di pronunzie per pubblicità ingannevole nei Bollettini periodici dell’Autorità Garante della Concorrenza.
(13) Sulla stessa linea, autorevolmente, G. CARRIERO, Trasparenza delle condizioni contrattuali, in Dir. banca e mer. finanz., 2003, II, p. 7.
(14) Così la chiama A.M. CARRIERO, op. cit., p. 912. Parla, secondo noi più propriamente, di potere di “connotazione” contrattuale, finalizzata all’esigenza di “evitare che la clientela sia indotta in equivoco dalla dissociazione tra nomen e contenuto del contratto”, G. DE NOVA, Trasparenza e connotazione, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1994, p. 935 e ss. Sempre preziosa, in questi casi, è la trattazione di R. LENER nel suo Forma contrattuale e tutela del contraente debole nel mercato finanziario, Giuffrè, Milano, 1998.
(15) Anche su questi termini sarebbe bene intendersi , dato che ormai – come anticipava già P. FERRO-LUZZI nel suo Attività bancaria e attività delle banche, in Banca, Impresa e Società, 1996, p. 13 – risulta di difficile individuazione il discrimine tra le due (e più attività ), fermo restando che – secondo noi – non basta l’evoluzione dell’industria finanziaria a giustificare, da sola, la predisposizione di regole di massima ed elastiche, onde poterle adattare nel tempo all’inarrestabile integrazione delle strutture e delle tecniche di finanziamento e canalizzazione del risparmio.
Sull’art. 117, co. 8, quindi, ci pare che rimangano valide le parole preoccupate (e profetiche!) di A. NIGRO, op. loc. cit., p. 523, il quale la definisce una norma “di cui tutto, allo stato, è oscuro: ne è oscuro l’ambito, ne è oscura la portata, ne sono oscuri gli effetti”. Si veda, altresì, E. CAPOBIANCO, cit., p. 214.(16) Così sempre A. NIGRO, op. cit., p. 523.
(17) Su questo punto, per più articolate informazioni e considerazioni sistematiche, rinviamo a A. ANTONUCCI (a cura di), E-commerce: la direttiva 2000/31/CE e il quadro normativo della rete, Giuffrè, Milano, 2001.