il diritto commerciale d’oggi
    II.7 – luglio-agosto 2003

STUDÎ E COMMENTI

 

ANTONINO LA MALFA

Il nuovo processo societario *

 

 

1. La legge delega ed il decreto legislativo
     L’art. 12 della legge n. 366/01, al primo comma, concedeva delega al Governo ad emanare norme «dirette ad assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti» attraverso «la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali».
     Sono queste dunque le linee generali stabilite dalla legge delega, il binario vincolante per il legislatore delegato. Il rito quindi doveva rimanere inalterato nell’ossatura, con l’adozione delle sole modifiche opportune al fine di perseguire gli obbiettivi di celerità ed efficienza. La concentrazione alludeva evidentemente all’eliminazione della tanto criticata fase introduttiva dell’attuale processo di cognizione, scandita in ben tre udienze; l’altro momento in cui attualmente si registrano lungaggini è quello della decisione, sul quale pure la legge delegata ha innovato.
     Le concrete scelte della riforma sembrano in realtà andare un po’ più in là, perché non sembrano limitarsi – quantomeno con riguardo al processo ordinario, a quello sommario e al processo camerale – alla mera concentrazione del procedimento già esistente, ma assumono connotati d’organica riforma complessiva del rito, atta ad incidere nella sua struttura essenziale: parti significative del processo si svolgeranno in assenza del giudice, la sentenza sarà riportata all’enunciazione concisa dei motivi di fatto e diritto, profonde modifiche incideranno sulla struttura argomentativa della decisione e sulle scelte difensive a causa dell’introduzione della ficta confessio.
     I termini della delega non sembrano giustificare quindi le modifiche strutturali della scansione processuale introdotte dalla riforma, con la previsione di un meccanismo bifasico, che potrebbe anche essere più dispendioso in termini di tempo rispetto al sistema tradizionale, essendo rimessa alla valutazione esclusiva delle parti una fase lunga fino a 200 giorni.
     Il decreto attuativo, inoltre, sembra accentuare un carattere che già era presente nella legge delega, quello della progressiva e complessiva riduzione dell’area d’intervento del giudice: si assiste infatti non solo alla sottrazione al controllo del giudice dell’intera fase preparatoria del giudizio ordinario, ma anche ad un sostanziale potenziamento dell’arbitrato (che contiene persino qualche invasione nell’ambito dei diritti disponibili), alla diminuzione dell’area della giurisdizione e al tentativo (meritorio, se sarà efficace) di ampliare gli spazi per la conciliazione.
     Ancora, le fasi che si svolgono avanti al giudice sono state scandite con nuovi ritmi, secondo uno schema che tende, sia pure in forma larvata, a riportare il processo verso una struttura in cui al giudicante è riservata solamente la decisione, mentre gran parte dell’attività preparatoria è lasciata, o almeno può esserlo, alle parti.
     Le ragioni di tale impianto sono facilmente riconducibili all’esaltazione dell’autonomia privata, in un ambito culturale di schietto stampo liberistico che trova ampia espressione anche nella riforma della parte sostanziale delle società.
     Le censure d’eccesso di delega già sollevate (CSM, parere del 12 dicembre 2002, Proto Pisani) possono apparire, quindi, non del tutto infondate, mentre si deve dar atto che altri commentatori (G. Costantino) hanno assunto posizioni più sfumate, rilevando come in realtà la nuova struttura del processo di cognizione non rompa la tradizione romanistica secondo la quale il giudice collabora con le parti ed interloquisce in merito alla formazione del thema decidendum e del thema probandum.
     Certamente prevalgono, in tale complessivo disegno, le ragioni dell’efficienza e della celerità, ma forse è possibile intravedere qualche eco di quella sfiducia nell’esercizio della giurisdizione che talora s’intravede in alcune prese di posizione.
     È comunque criticabile che il legislatore abbia predisposto un ennesimo rito speciale, che si affiancherà a quelli già esistenti e certamente non contribuirà a semplificare l’attività degli Uffici Giudiziari, che dovranno affrontare un discreto impegno organizzativo per predisporre quanto necessario per l’attuazione della riforma. Ad esempio, dovranno essere fissate delle udienze collegiali apposite per la trattazione delle cause e dovranno essere predisposti e tenuti autonomi ruoli e registri, con aggravio delle già oberate cancellerie. Di fatto, tutto ciò ostacola lo snellimento e della riduzione dei tempi della giustizia, con buona pace degli obbiettivi perseguiti anche attraverso la cd Legge Pinto.
     La relazione d’accompagnamento afferma la sostanziale autonomia funzionale della riforma, complessivamente considerata. Tuttavia non ci si può esimere dal rilevare che interi settori del codice di procedura previgente rimangono intatti e che taluno dei “nuovi” istituti (ad es., il procedimento cautelare) si assiste solo a specifici innesti nel tronco normativo già esistente.

2. Il campo d’applicazione della riforma
     a) rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le società di fatto, l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative;
     b) trasferimento delle partecipazioni sociali, nonché ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti;
     c) patti parasociali, anche diversi da quelli disciplinati dall’articolo 2341-bis del codice civile, e accordi di collaborazione di cui all’articolo 2341-bis, ultimo comma, del codice civile;
     d) rapporti in materia di intermediazione mobiliare, fondi e contratti di investimento, cartolarizzazione dei crediti, offerte pubbliche di acquisto e di scambio, contratti di borsa;
     e) materie di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, quando la relativa controversia è promossa da una banca nei confronti di altra banca ovvero da o contro associazioni rappresentative di consumatori o camere di commercio;
     f) credito per le opere pubbliche.
     Normalmente il Tribunale giudica in composizione collegiale, salvo che nelle controversie di cui al comma 1, lettera e) dell’art. 1.
     Non è chiara la ragione per cui le cause di cui al TULB debbano essere considerate “minori” e giudicate in composizione monocratica.
     Il legislatore ha predisposto un nuovo rito di cognizione, un nuovo rito camerale, un nuovo processo sommario e novità di rilievo in tema giudizio cautelare, di arbitrato e di conciliazione.

3.  Il processo di cognizione
     È la materia che contiene le novità più appariscenti, con la distinzione tra una prima fase preparatoria, che si svolge essenzialmente tra le parti, senza l’intervento del giudice, e una fase che si svolge davanti al giudice, anch’essa contenente molte novità rispetto al processo ordinario.
–    Il giudizio inizia con l’atto di citazione, che deve contenere tutti gli elementi dell’art. 163 cod. proc. civ. (e quindi le ragioni di fatto e di diritto, le conclusioni e le prove richieste), ad eccezione della data dell’udienza. La citazione, da depositare in Tribunale, deve invece contenere la fissazione di un termine, non inferiore a 60 gg. dalla notifica, per la notifica della comparsa di risposta.
     L’attore deve quindi costituirsi nel termine di 10 giorni dalla notifica e sulla base di tale atto è predisposto il fascicolo d’ufficio, nel quale saranno depositati gli atti ed i documenti di causa.
–   Il convenuto deve predisporre e notificare all’attore entro il termine prescritto la comparsa di risposta, in cui deve articolare le difese e le prove, le domande riconvenzionali e la dichiarazione che intende chiamare in causa un terzo. Deve quindi fissare un termine all’attore non inferiore a 30 giorni e non superiore a 60 per la notificazione delle repliche.
     Anche il convenuto si costituisce in cancelleria.
     A questo punto l’attore può o replicare, o chiedere la fissazione dell’udienza.
     Se chiede la fissazione dell’udienza, il processo s’incardina davanti al giudice e procede verso la decisione.
     La replica dell’attore può contenere modifica delle domande già proposte e nuove domande che dipendono dalle difese proposte dal convenuto, dichiarare la chiamata del terzo e proporre nuove prove. Se notifica la replica, deve concedere un nuovo termine per controreplica.
     La palla passa quindi al convenuto, che può a sua volta chiedere la fissazione dell’udienza ovvero depositare controreplica. Se deposita controreplica deve fissare all’attore un termine ulteriore per replica aggiuntiva.
–   L’attore a sua volta, in tal caso, può fissare al convenuto un ulteriore termine per controreplica.
–   È ammessa ancora la notifica di un’ulteriore memoria dall’attore al convenuto e la stessa cosa possono fare le altre parti, entro il termine massimo di 80 giorni dalla notifica della memoria di controreplica.
In ogni caso, entro il termine di 15 gg. dalla ricezione della memoria avversaria ciascuna parte può interrompere questo rimbalzo di memorie e chiedere la fissazione dell’udienza.
     La richiesta fissazione dell’udienza deve contenere: a) le conclusioni definitive senza modificazione delle domande (in mancanza s’intendono proposte quelle di cui al primo atto difensivo); b) le istanze istruttorie già proposte; c) le condizioni alle quali sarebbe disposta a conciliare la lite.
     Entro 10 giorni successivi alla notifica della richiesta le altre parti devono depositare una nota contenente le proprie conclusioni di rito e merito e le istanze istruttorie, esclusa ogni ulteriore modificazione (in mancanza s’intendono proposte quelle di cui al primo atto difensivo).
     Sono in tal modo fissati i termini del giudizio. Il succedersi delle scritture difensive determina il thema decidendum ed il thema probandum.
     Le preclusioni sono generate in tale fase e derivano dall’obbligo per l’attore di indicare nella citazione il soggetto convenuto, le domande e le richieste istruttorie e per il convenuto di sollevare nella comparsa di risposta le eccezioni non rilevabili d’ufficio, la chiamata in causa, le prove e le domande riconvenzionali. In seguito sarà possibile solo modificare tali elementi e introdurre quegli elementi nuovi che dipendono strettamente dalla necessità di contrastare le difese avversarie.
     Si esaurisce quindi la fase preparatoria ed inizia quella davanti al giudice. Viene formato il fascicolo d’ufficio, il Presidente nomina un Giudice relatore che, entro 50 giorni, deposita il decreto di fissazione dell’udienza.
     Questo decreto, che dovrà essere confermato dall’ordinanza collegiale, contiene la fissazione dell’udienza, l’ammissione dei mezzi istruttori, l’indicazione delle questioni di rito e di merito rilevabili d’ufficio, l’invito eventuale alle parti per la comparizione personale anche per il tentativo di conciliazione e l’interrogatorio libero, l’invito a depositare memorie conclusionali ed il deferimento del giuramento suppletorio.
     Ma il decreto può anche rilevare la nullità della notifica della citazione, ovvero un difetto del contraddittorio. In questo caso il Giudice fissa il termine per la rinnovazione o per l’integrazione, mediante la notificazione ai litisconsorti ed ai terzi di tutti gli scritti difensivi.
     Il termine così lungo concesso al giudice relatore per il deposito del decreto di fissazione dell’udienza è giustificato dalla concreta necessità per lo stesso di studiare a fondo la causa e pronunciare un provvedimento meditato ed approfondito, destinato ad incidere direttamente sull’andamento del giudizio.
     La riforma esalta il ruolo delle difese, cui è aperto un ampio credito di fiducia nell’impostazione e conduzione del giudizio; viceversa, sembra in qualche modo sminuire l’importanza della sentenza per la quale, come vedremo, è stato adottato il modello della succinta motivazione.
     La contumacia dell’attore o del convenuto.
     La contumacia dell’attore per mancata costituzione da facoltà al convenuto di costituirsi e di eccepire l’estinzione del giudizio o di chiedere la fissazione dell’udienza, così cristallizzando la causa a quello stato delle richieste. Oppure l’attore può depositare comparsa di risposta fissare il termine alla controparte per la replica.
Se invece è il convenuto a rimanere contumace non notificando la comparsa di risposta nel termine prescritto, l’attore può notificare un nuova memoria o chiedere la fissazione dell’udienza. In questo caso i fatti affermati dall’attore, anche in caso di tardiva costituzione del convenuto, si hanno per ammessi. Il Giudice può deferire il giuramento suppletorio.
     È questa la fictio confessio, non sanata nemmeno dalla costituzione tardiva (non è chiaro se rimane ferma anche in appello), che costituisce una novità molto pericolosa per il convenuto non tempestivo e che potrà dar luogo ad incertezze applicative in caso di affermazione di fatti non veri, da ritenersi invece veri in base alla presunzione di cui sopra, nel caso in cui la successiva determinazione (ad es. nell’ambito di una CTU) potrebbe in ipotesi avvenire “virtualmente”, mediante una determinazione ipotetica, come se fosse vero.
     L’intervento autonomo può avvenire solo entro il termine per la notifica della comparsa di risposta. Ciascuna parte può chiedere la fissazione di un’udienza per la definizione, con ordinanza reclamabile, della questione dell’ammissibilità.
     La discussione. Le parti illustrano le rispettive conclusioni ed il Tribunale, con ordinanza, conferma in tutto o in parte il decreto di fissazione dell’udienza e procede anche con delega all’assunzione delle prove, fissando apposita udienza.
     La sentenza normalmente è emessa a norma dell’art. 281-sexies, salvo i casi di particolare complessità, in cui è possibile depositare la sentenza nei successivi 30 giorni. La sentenza può sempre essere motivata in forma abbreviata, con rinvio agli elementi riportati negli atti di causa.
     L’utilizzazione di questa norma era sinora stata limitata ai giudizi di particolare semplicità, in cui una motivazione scarna può essere comunque sufficiente per esporre il percorso logico-giuridico che ha portato alla decisione, rimanendo solitamente adottabile lo strumento ordinario della sentenza pienamente motivata, depositata dopo la precisazione delle conclusioni e le memorie conclusionali.
     La macchinosa consecuzione delle memorie e comparse è resa più agevole dalla possibilità di effettuare le notifiche per mezzo del fax, della posta elettronica e mediante consegna diretta al difensore.

4.  Il giudizio sommario
     L’art. 19 introduce nel sistema un nuovo procedimento a cognizione sommaria, con esame superficiale delle prove, in possibile presenza di prove atipiche e in assenza di certezza del diritto oggetto della tutela. Non è un procedimento cautelare, poiché manca della strumentalità e del periculum in mora o anche dell’urgenza, bensì un procedimento che è stato definito sommario con funzione esecutiva, tendente cioè alla formazione di un titolo esecutivo con forme abbreviate.
     Come il rito monitorio riguarda pagamento di somme di danaro (anche non liquide) o consegna di cose mobili determinate.
     Si propone con ricorso al giudice (monocratico) che dispone la comparizione delle parti. All’udienza, se il giudice constata la presenza di due presupposti a) che i fatti costituitivi sono sussistenti e b) che le contestazioni del convenuto sono manifestamente infondate, pronuncia ordinanza immediatamente esecutiva di condanna, che costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziaria. L’ordinanza non determina effetto di giudicato.
     Nulla si dice riguardo alle prove. Certamente ammissibili le prove precostituite, non è chiaro quale potrà essere il regime delle prove costituende (come ad es. la CTU o le sommarie informazioni).
     Se invece ritiene che l’oggetto della causa o le difese del convenuto richiedano l’istruzione ordinaria fissa i termini di cui all’art. 6 (per la memoria di replica dell’attore) ed allora inizia il giudizio ordinario societario.
     È dunque un giudizio che si fonda sull’evidenza della prova.
     Si discute già se sia ammissibile un puro e semplice provvedimento di rigetto, che alcune volte potrebbe realizzare una consistente economia processuale (ad es., sentenze d’incompetenza, o di manifesta mancanza del presupposto di accoglimento). Si osserva in senso contrario che non è prevista la condanna del ricorrente alle spese e la mancanza di un meccanismo d’impugnazione del rigetto, in quanto il penultimo comma stabilisce che solo l’ordinanza di condanna può essere impugnata in appello.

5.  Il giudizio d’appello
     Non si è ritenuto necessario riformare il rito dell’appello, nel quale sono state introdotte solo modeste novità, tra cui può essere segnalata quella della possibilità per le parti di convenire con atto scritto anche anteriore alla sentenza che la stessa sia solamente ricorribile per cassazione: in tal caso l’appello eventualmente presentato è dichiarato improcedibile.

6.  Il giudizio cautelare
     Anche il giudizio cautelare, così importante nella materia societaria, è stato notevolmente innovato, forse ancor di più che il giudizio ordinario, perché pur rimanendo intatta l’ossatura di cui agli artt. 669-bis ss. cod. proc. civ., è mutata in parte la natura. Due le principali novità, che derivano da un’unica scelta di fondo: a) che la strumentalità non costituisce più uno dei requisiti dell’azione e b) la previsione del cd giudizio abbreviato.
     Molto spesso i giudizi in tema di società vertono su questioni di mero diritto, in cui, essendo comunque essenziale l’immediata statuizione giudiziale, può non esservi un concreto interesse delle parti ad una successiva pronuncia con efficacia di giudicato sul diritto controverso. In altri termini, basta il provvedimento cautelare a soddisfare l’interesse delle parti, salvo che le stesse non richiedano la pronuncia di merito.
     E così il primo comma dell’art. 23 dispone che alle cause cautelari ed anticipatorie non si applica l’art. 669-octies (quindi il giudice, nei giudizi cautelari ante causam non fisserà più un termine per l’inizio della causa di merito, né s’intenderà automaticamente fissato tale termine in mancanza del provvedimento giudiziale) e che i provvedimenti d’urgenza e cautelari non perdono la loro efficacia se la causa di merito non viene iniziata ovvero se la causa di merito si estingue. Tuttavia il provvedimento non acquista autorità di giudicato e può sempre essere modificato e revocato dallo stesso giudice che l’ha emanato, per sopravvenuto mutamento delle circostanze.
     Ciò non vuol dire certo che la parte potrà ottenere il provvedimento senza avere, in qualche modo, prospettato la sussistenza del diritto a cautela del quale il provvedimento urgente è stato richiesto. Piuttosto, la tendenziale identificazione tra la tutela cautelare e quella di merito fa sì che la mancata indicazione del diritto violato possa dar luogo al rigetto nel merito della domanda, ma non all’inammissibilità della stessa.
     La seconda innovazione è quella del giudizio abbreviato. L’art. 24 prevede che, in caso di giudizio cautelare in corso di causa, quando la richiesta sia proposta anteriormente al decreto di fissazione dell’udienza, può col decreto che dispone la comparizione delle parti, invitarle a depositare i documenti che ritiene rilevanti in relazione alla decisione e fissare anche un termine per memorie e repliche. Quindi sente le parti, svolge l’istruttoria necessaria e provvede con ordinanza: se ritiene che la causa sia matura per la decisione di merito senza bisogno d’ulteriore assunzione di mezzi di prova, ovvero che il giudizio sia in condizione di essere definito, ne dà comunicazione alle parti presenti e le invita a precisare le conclusioni. All’esito pronuncia sentenza, al termine della discussione, ai sensi dell’art. 281-sexies. In sostanza la sentenza definisce congiuntamente il giudizio cautelare e quello dimerito.
     Questa norma consente una forte interferenza del giudice nella fase preparatoria, che è riservata all’esclusiva iniziativa delle parti, permette d’interrompere il normale determinarsi delle preclusioni sulle domande ed eccezioni e sulle prove. Dovrà quindi essere utilizzata con prudenza, ma si potrà dimostrare utile in relazione all’impugnazione delle delibere, che è materia solitamente con scarsa incidenza delle prove orali o di lunga assunzione.

7.  Il rito camerale
     Il rito camerale, sovente adottato per la tutela dei diritti fondamentali e status dei cittadini e quindi area d’espansione per l’ingresso di nuovi e disparati interessi riferibili a varie tipologie di soggetti, coagula molte delle incertezze e delle tensioni che ruotano attorno alla giurisdizione.
     La procedura è fortemente deformalizzata, e si conclude con un provvedimento reclamabile che non definisce questioni di diritti soggettivi, anche se è idoneo ad incidere sugli stessi, e non acquista efficacia di giudicato.
     Essa, se per un verso consente l’immediata adozione del provvedimento, per altro verso si presta a possibili compressioni del diritto di difesa, soprattutto per la forte resistenza che la giurisprudenza di legittimità oppone alla ricorribilità dei provvedimenti per cassazione. Tale difetto, considerata l’importanza delle questioni rimesse al procedimento in questione, non sempre è compensato dalla possibilità di modifica e revoca del provvedimento, che per un verso è rimessa allo stesso giudice che aveva emesso il precedente provvedimento, e quindi sconta la sfiducia di colui che ha subito il provvedimento negativo, e per altro verso impone la necessità, non sempre presente in concreto, della presenza di nuove circostanze a sostegno della riproponibilità del ricorso per la medesima fattispecie.
     Il legislatore delegante aveva quindi stabilito l’introduzione di «uno o più procedimenti camerali, anche mediante la modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile ed in estensione delle ipotesi attualmente previste che, senza compromettere la rapidità di tali procedimenti, assicurino il rispetto dei princìpi del giusto processo».
     L’indicazione era evidente, per un verso l’apertura della possibilità di vulnerare le regole degli artt. 737 e 738 e dall’altra il richiamo alle regole del giusto processo, soprattutto in funzione della tutela dei diritti di difesa di entrambe le parti.
     I primi tre articoli del titolo IV dettano le disposizioni generali, valide per tutti i giudizi camerali.
     Le regole generali riguardano:
     a) la proposizione con ricorso; la necessità della difesa tecnica e la composizione collegiale del giudice solamente per il caso di processo con più parti, in considerazione della minor complessità e della tendenziale mancanza di concreto contrasto di parti (anche se non è del tutto da escludere) in relazione ai provvedimenti nei confronti di una parte sola;
     b) il provvedimento con decreto;
     c) la riproponibilità del ricorso, in caso di rigetto, solo per il mutamento delle circostanze; su questo punto si è già acceso il dibattito tra chi ritiene che debbano essere ricompresi nelle nuove circostanze anche le prove antecedenti che in buona fede non si erano fatte valere nel precedente giudizio (limitatamente ai fatti accaduti successivamente al termine per il reclamo) e chi adotta tesi più restrittive, che escludono le prove o le limitano in gran parte.
     d) La predeterminazione delle ipotesi d’applicazione del procedimento unilaterale e di quello nei confronti di più parti.
     e) La reclamabilità del decreto entro 10 giorni dalla comunicazione del provvedimento.
     Sono poi previste due forme differenti: il rito camerale che si svolge nei confronti di una parte sola e quello che si svolge nei confronti di più parti. Il primo ha forme più semplificate e corrisponde ai provvedimenti di tipo autorizzatorio-omologatorio o avente funzione di nomina di soggetti qualificati, dotati di adeguata capacità professionale e di terzietà, per lo svolgimento di funzioni di stima di elementi patrimoniali della società. È stato comunque rilevato (Ferri) che si tratta di una distinzione che non incide sulla sostanza, sugli effetti o sulla stabilità del provvedimento finale, posto che questi elementi di tipo sostanziale rimangono immutati nei due differenti modelli.
     Prima di esaminare le due forme di procedimento previste, è opportuno dire del dibattito già in atto sulla conformità della legge delegata alla delega e sulla legittimità costituzionale della nuova normativa, in ordine al rispetto dei vincoli del giusto processo (Ferri). Si è rilevato infatti che non può per nulla escludersi che i provvedimenti camerali possano incidere direttamente su diritti soggettivi o su status o altri diritti fondamentali. In tal caso, le garanzie difensive delle parti, con particolare riguardo al contraddittorio in ordine alle prove (richiesta, ammissione, espletamento) sono state ritenute troppo scarsamente tutelate per soddisfare il minimum richiesto dall’art. 111 cost.
     Il problema non si pone, invece, per i fautori dell’opposta opinione secondo cui in nessun caso i provvedimenti camerali possono definire i diritti soggettivi, limitandosi casomai ad incidere sugli stessi indirettamente per gli effetti amministrativi dell’atto su cui si è disposto.
     È questo un argomento molto delicato, che certamente darà luogo ancora a discussioni, sui quali sarà importante attendere anche l’orientamento della Corte Costituzionale.

8.  Il procedimento unilaterale
     Esso si applica all’art. 2323, 1° c. (nomina di un esperto per stima conferimento dei beni in natura e crediti), 2343 bis, 2° c. (altra nomina di un esperto per stima dei beni dei soci promotori e fondatori acquistati dalla società), 2417 II c. (nomina rappresentante comune degli obbligazionisti), 2436, 4° c. ordine di iscrizione nel registro delle imprese delle delibere dello statuto quando non vi abbia provveduto il notaio, 2437-ter, 6° c., 2501-sexies, 3° c., 2545-undecies (altri casi di nomina di stimatore). L’ultima parte dell’art. 29 estende il procedimento ai casi analoghi.
     Il procedimento è monocratico: il Presidente nomina un magistrato incaricato che, a differenza del giudizio nei confronti di più parti, fissa l’udienza per l’audizione solo ove ve ne sia l’opportunità. Non si determina un contraddittorio in senso tecnico.
     Nei procedimenti con la presenza del PM questi ha 10 gg. per depositare osservazioni e chiedere la fissazione dell’udienza.
     L’istruttoria è stabilita dal giudice, che assume le informazioni necessarie ed invita l’istante a depositare documenti o dare chiarimenti.
     Può essere disposta la comunicazione ad altri soggetti, perché assistano, ma questi non diventano parti in senso tecnico.
     In caso di erronea scelta del rito, è prevista la trasformazione in quello con più parti.

9.  Il procedimento nei confronti di più parti
     Si tratta di procedimenti più complessi, in cui sono coinvolti più interessi, di norma confliggenti. L’art. 33 indica i casi di applicazione (art. 2409 cod. civ., denunzia al Tribunale; art. 2367, 2° c., cod. civ., convocazione dell’assemblea su richiesta dei soci; art. 2400, 2°c., cod.civ., revoca dei sindaci; art. 2503, 2° c., cod. civ., opposizione dei creditori alla fusione ecc.), ma è disposta l’estensione ai casi analoghi.
     Si svolge normalmente davanti al Collegio con la nomina di un giudice relatore. Il ricorrente deve notificare il ricorso alle altre parti nei cui confronti il provvedimento è richiesto entro il termine fissato. Quindi, il ricorrente deve individuare la controparte, ma non può essere negato al giudice (collegio) la potestà di integrare il contraddittorio nei confronti di quegli altri soggetti che dal provvedimento possano essere pregiudicati.
     L’istruttoria è disposta dal collegio, ma l’assunzione delle informazioni può essere delegata al relatore.
Nei casi di «eccezionale motivata urgenza»è prevista la possibilità di richiedere al Presidente di provvedere direttamente sull’istanza con decreto, prima della fissazione dell’udienza. Questa disposizione appare opportuna considerati i casi in cui nelle materie societarie sia necessario provvedere con urgenza e sottolinea la prossimità dei provvedimenti camerali societari con alcuni casi di provvedimenti d’urgenza.
     Entro i successivi 15 giorni il Presidente fissa l’udienza di comparizione delle parti. All’udienza sarà il collegio a provvedere, con decreto, confermando, modificando o revocando il provvedimento emesso.
     La prosecuzione col rito ordinario. Ciascuna delle parti può, nel giudizio con più parti, chiedere che sia decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale della quale il giudice deve conoscere ai fini del provvedimento.
     Il giudizio in camera di consiglio, si è premesso, non consente l’accertamento dei diritti, ma solo l’emissione di provvedimenti idonei ad incidere sugli stessi, senza alcuna efficacia di giudicato. Tuttavia, succede spesso che preliminarmente alla decisione camerale sia necessario definire delle questioni pregiudiziali, ciò che di solito avviene solo incidentalmente, mentre la parte che lo ritiene potrà adire il giudizio ordinario per una pronuncia efficace sullo stesso.
     L’art. 32 costituisce un’indubbia novità e stabilisce che possa essere proposta nel giudizio camerale plurilaterale la decisione con giudicato della questione pregiudiziale.
     In tal caso il giudice “camerale” non sospenderà il giudizio, ma dovrà provvedere autonomamente, giudicando quindi incidentalmente anche sulla questione pregiudiziale ai fini dell’emissione o meno del provvedimento e dovrà fissare un termine per la notificazione alle altre parti dell’atto di citazione. Ma nel corso del giudizio in questione, il decreto potrà essere modificato o revocato (dal collegio), mentre in caso d’estinzione il provvedimento mantiene la sua efficacia.
     La norma sembra prendere posizione favorevole all’impostazione che esclude la radicalmente la possibilità per i provvedimenti camerali di pronunciare con effetto di giudicato in materia di diritti soggettivi: se pregiudiziali si considerano le questioni attinenti ai diritti o agli status la cui verifica è necessaria al fine di ammettere la tutela camerale, ciò vuol dire che in ogni caso al giudice camerale è consentito pronunciarsi incidentalmente sulla questione, essendo necessario un provvedimento “amministrativo” che, nelle more dell’accertamento con efficacia piena, consenta alla società di proseguire la sua attività, ma che non gli compete di assumere la decisione sul diritto.
     La tutela dei diritti di coloro che sono pregiudicati dalla decisione camerale si sposta nel giudizio ordinario, nel quale è consentita la revoca o la modifica del decreto, con pronuncia – anche anteriore alla sentenza (la norma l’ammette «nel corso del giudizio») – avente gli stessi caratteri e la stessa efficacia del provvedimento camerale revocato.
     Può discutersi sulla reclamabilità di questo ulteriore provvedimento, che evidentemente si fonda su un’opposta valutazione, rispetto a quella camerale, in ordine alla questione pregiudiziale.
     Se il provvedimento di modifica o revoca è emesso prima della sentenza di merito, probabilmente potrà riconoscersi la possibilità di una diversa valutazione, similmente a quanto attualmente accade nei giudizi cautelari, con un provvedimento a sua volta destinato ad essere ulteriormente modificato a seguito della sentenza. Ne deriverebbe tuttavia una eccessiva instabilità dei provvedimenti.
     Se invece il provvedimento è contenuto nella sentenza finale, si deve dubitare che sussista una competenza diversa ed ulteriore rispetto a quella del giudice del gravame ordinario.
     L’ultimo comma dell’art. 32 estende l’applicazione dell’accertamento con giudicato della questione pregiudiziale anche al «caso in cui la legge prevede che, a seguito dell’approvazione o dell’autorizzazione giudiziale di un atto, spetti, nel caso in cui l’atto stesso sia dichiarato illegittimo nel giudizio ordinario di cognizione, soltanto il risarcimento del danno; in tal caso, non si applica il primo periodo del comma 3»; è escluso quindi il potere di revoca o modifica del provvedimento.
     La norma provvede, consequenzialmente ed opportunamente, ad escludere il potere di revoca e modifica da parte del giudice ordinario nei casi in cui al titolare del diritto controverso, in caso d’illegittimità dell’atto a suo tempo dichiarato legittimo, spetti solamente il risarcimento del danno. In tale ipotesi la norma sostanziale ha già effettuato il bilanciamento degli interessi, ed ha ritenuto prevalente quello alla stabilità del provvedimento (pur illegittimo) al fine di preservare i rapporti sorti e le decisioni assunte nel frattempo.

10. L’arbitrato
     Le modifiche introdotte sul tema dell’arbitrato appaiono rilevanti, tenuto conto del non infrequente ricorso nella materia societaria al giudizio arbitrale.
     Il legislatore ha introdotto norme di favore ed ha sancito anzitutto la possibilità che gli atti costitutivi delle società – ma con eccezione di quelle che fanno ricorso al capitale di rischio – prevedano la devoluzione ad arbitri di tutte o alcune controversie tra soci, o tra soci e società o anche di giudizi promossi da o contro gli amministratori, liquidatori i sindaci. L’accettazione dell’incarico rende la clausola automaticamente efficace verso costoro.
     La clausola deve prevedere le modalità di nomina degli arbitri, con particolare attenzione al principio di terzietà: si riserva la nomina ad un soggetto estraneo alla società e, in caso di mancata nomina, al Presidente del Tribunale.
     È stato esteso il potere di cognizione degli arbitri: a) essi possono incidenter tantum pronunciare su questioni che per legge sono escluse dal giudizio arbitrale (ad es. questioni non transigibili); b) possono sospendere l’efficacia della delibera; c) la tutela cautelare è riconosciuta anche nell’arbitrato irrituale. L’arbitrato non è ammesso nel procedimento ex art. 2409 cod. civ.
     È importante segnalare una novità assoluta nel nostro ordinamento, quale è la possibilità del cd arbitrato economico, per il caso di contrasti sulla gestione della società con devoluzione ad un collegio arbitrale delle questioni su cui gli organi amministrativi siano in contrasto. Il provvedimento è reclamabile davanti ad un collegio formato con criteri di terzietà rispetto alla società.

11. Il tentativo di conciliazione
     Il decreto legislativo dedica un intero titolo alla conciliazione, con finalità espresse d’incentivazione.
     È prevista la costituzione, presso enti pubblici e privati, d’organismi deputati alla conciliazione, iscritti in un registro presso il Ministero della Giustizia.
     È prevista poi che gli atti relativi alla conciliazione sono esenti dal bollo e da spese o tasse e che il verbale di conciliazione è esente dall’imposta di registro entro il valore di euro. 25.000,00.
     La presentazione dell’istanza di conciliazione interrompe la prescrizione e la decadenza.
     Inoltre, se lo statuto della società prevede il ricorso preventivo alla conciliazione, ciascuna parte adita in giudizio ha diritto ad un termine – su richiesta – con sospensione del giudizio per un periodo fino a sei mesi.
Il verbale di conciliazione, infine, deve essere omologato e costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione d’ipoteca giudiziale.

12. La disciplina transitoria
     Le norme attualmente vigenti si applicano ai giudizi in corso alla data del 1° gennaio 2004, eccezion fatta per i provvedimenti cautelari e per il giudizio abbreviato, in caso di domande cautelari proposte dopo il 1° gennaio 2004.

* Relazione svolta al Convegno “La riforma del diritto societario” organizzato il 31 maggio 2003 presso la Corte d’Appello di Palermo dal Consiglio Superiore della Magistratura e dall’Ordine dei Dottori Commercialisti di Palermo

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