il diritto commerciale d’oggi
    II.7 – luglio-agosto 2003

STUDÎ E COMMENTI

 

CAROLA CARONI

Trasformazione delle società e mutue assicuratrici dopo la riforma del diritto societario

 

 


1. La trasformazione societaria nel testo originario del codice civile e alla luce della nuova disciplina
     La riforma del diritto societario, destinata ad entrare in vigore dal prossimo anno ed attuata in base alla delega della legge 366 del 2001, dal d. lgs.17 gennaio 2003, n. 6, apporta modifiche alla disciplina del codice civile, tra l’altro, per l’istituto della trasformazione, con riflessi sulle società di mutua assicurazione.
     Il testo del codice in vigore fino al 31 dicembre 2003 disciplina, come è noto, la trasformazione delle società con pochi articoli contenuti nel capo VIII del titolo V del V libro (artt. 2498-2500). Questi prevedono esclusivamente le ipotesi di trasformazione di una società in nome collettivo o in accomandita semplice, in società per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilità limitata, e quindi prevedono sostanzialmente la trasformazione di una società di persone (con esclusione della società semplice) in una società di capitali; non risulta prevista espressamente neppure l’ipotesi di trasformazione di una società di capitali, menzionata nell’art. 2447 cod. civ.
     Secondo la disciplina codicistica vigente, la trasformazione deve risultare da atto pubblico e contenere le indicazioni prescritte dalla legge per l’atto costitutivo del tipo di società adottato, mentre la relativa delibera deve essere iscritta nel registro delle imprese. Il legislatore ha garantito la continuità del soggetto giuridico con la esplicita previsione della conservazione dei diritti e degli obblighi anteriori alla trasformazione; ha altresì garantito i creditori della società ed i terzi in genere, prevedendo che i soci a responsabilità illimitata non siano liberati dalle obbligazioni pregresse, salvo il caso di espresso consenso degli stessi creditori sociali alla trasformazione.
     Anche se alquanto limitato appare l’ambito ai autonomia consentito dal legislatore, in dottrina c’è sempre stato largo consenso nel ritenere che lo spazio consentito per le trasformazioni societarie fosse più ampio e che le disposizioni richiamate dovessero essere considerate come regolanti le fattispecie più ricorrenti di trasformazione a titolo indicativo (1)
     Sono state di conseguenza ritenute ammissibili le trasformazioni da un tipo di società di persone ad un altro o da un tipo di società di capitali ad un altro, e le trasformazioni c.d. “regressive”, ossia da una società di capitali ad una società di persone (2).
     Le disposizioni contenute nel decreto legislativo di riforma invece prevedono espressamente e disciplinano sia la trasformazione di una società di persone in società di capitali, sia la trasformazione di una società di capitali in società di persone, con l’unico limite, in entrambe le ipotesi, di una diversa espressa previsione nel contratto sociale e nello statuto.
     Preliminarmente è opportuno osservare come il legislatore della riforma si sia preoccupato di ribadire, approfondendolo, il concetto, sopra ricordato, che, maturato in seno alla dottrina, aveva trovato la sua collocazione ufficiale già nel codice civile del 1942, ossia che la trasformazione, qualsiasi essa sia, è una vicenda giuridica che non incide sulla identità della società, la quale, una volta trasformata, conserva i diritti e gli obblighi preesistenti e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente trasformato (3).
     Ciò posto, è da osservare come, nel caso di trasformazione di società di persone in società di capitali, le nuove disposizioni, oltre a ribadire quanto già previsto in tema di contenuto dell’atto di trasformazione, di assegnazione di azioni o quote successiva alla trasformazione e di responsabilità dei soci, prevedono, affinché la trasformazione abbia effetto, la forma di pubblicità richiesta, sia dal tipo societario adottato, sia da quello che si abbandona, salvo soltanto il diritto al risarcimento del danno ai terzi danneggiati dalla trasformazione.
     Inoltre è previsto che tale trasformazione sia decisa con il consenso della maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili, salvo il diritto di recesso del socio che non ha concorso alla decisione.
     Di rilievo è la previsione di una possibile assegnazione di azioni o quote anche al socio d’opera, titolare di una partecipazione nella società anteriormente alla trasformazione. In tal caso è espressamente previsto che la partecipazione del socio d’opera non influisce sull’ammontare del capitale.
     Per quanto riguarda la trasformazione di una società di capitali in una società di persone, le nuove disposizioni prevedono che la relativa delibera sia adottata con le maggioranze previste per la modifica dello statuto, salvo il consenso obbligatorio di quei soci che con la trasformazione assumono una responsabilità illimitata. Questi rispondono illimitatamente anche per le obbligazioni sociali sorte anteriormente alla trasformazione.
     A questo proposito c’è da dire che già la dottrina aveva in passato anticipato tale previsione, assimilando questa ipotesi a due analoghe fattispecie; la prima, prevista nell’art. 2269 cod. civ., in tema di responsabilità del nuovo socio nella società semplice, la seconda contenuta nell’art. 2320, comma 1, relativo alla responsabilità del socio accomandante che si sia ingerito nell’amministrazione, nella società in accomandita semplice (4).

2. La trasformazione eterogenea nella riforma del diritto societario
     La novità più rilevante in tema di trasformazioni societarie è data dalla previsione di una trasformazione c.d. eterogenea, ossia tra società di capitali e società consortili, società cooperative, consorzi, comunioni d’azienda, associazioni e fondazioni.
     Nel caso in cui una società di capitali deliberi di trasformarsi in una di queste società o in uno di questi organismi, si applicano, per quanto possibile, le disposizioni che regolano la trasformazione di una società di capitali in una società di persone. È, inoltre, richiesto il voto favorevole di due terzi degli aventi diritto e comunque il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata.
     Non è prevista la possibilità di trasformazione di una società di capitali in una associazione riconosciuta. È stato osservato, a questo proposito, che tale mancata previsione dipende dalla necessità di tenere distinti gli effetti della modifica statutaria dal procedimento per l’acquisto della personalità giuridica di cui al d.p.r. n. 361/00 dell’associazione risultante dalla trasformazione (5). Nel caso contrario sono invece richiesti: nei consorzi, il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consorziati; nelle comunioni d’azienda, l’unanimità; nelle società consortili e nelle associazioni riconosciute, a meno che la trasformazione non sia esclusa dall’atto costitutivo o dalla legge, la stessa maggioranza richiesta dalla legge o dall’atto costitutivo per lo scioglimento anticipato. La trasformazione delle fondazioni, infine, è disposta dall’autorità governativa su proposta dell’organo competente mentre non sembra consentita quella delle associazioni non riconosciute.
     Per la disciplina della trasformazione eterogenea di una società cooperativa occorre far riferimento a quanto previsto dal legislatore della riforma nel titolo VI dedicato a queste società. Qui è prevista una autonomia ancora più ampia, ovverosia non solo la possibilità, per una società cooperativa, di trasformarsi in società di capitali, ma anche quella di trasformarsi in una società di persone o in un consorzio, con il voto favorevole di almeno la metà dei soci, o, qualora siano meno di cinquanta, con il voto favorevole dei due terzi di essi, e con l’unico limite dato dal fatto che non deve trattarsi di una cooperativa a mutualità prevalente.
     È stato in tal modo in pieno attuato uno dei principi base ispiratori della riforma, ossia la previsione della possibilità per una società cooperativa di trasformarsi, con procedimento semplificato, in una società lucrativa, con l’unico obbligo di devoluzione del patrimonio in essere alla data di trasformazione, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione previsti dall’art. 11 della l. 31 gennaio 1992, n. 59 (6).
     La stessa ratio ha ispirato il legislatore, per il caso di trasformazione eterogenea di associazioni e fondazioni costituite prima del 1 gennaio 2004, allorché ha previsto che la stessa è possibile solo quando non comporti distrazione dalle originarie finalità di fondi o valori creati con i contributi di terzi o in virtù di particolari regimi fiscali di agevolazione. In questa ultima ipotesi la trasformazione è consentita qualora vengano versate le relative imposte (7).
     Da quanto sopra esposto sembrerebbe potersi ritenere che l’art. 14 della legge 17 febbraio 1971 n. 127, che ha apportato delle modifiche al d.l.c.p.s. n. 1577/47 in materia di cooperazione (8), sarà implicitamente abrogato o quantomeno non più applicabile a quelle cooperative che non possono qualificarsi a mutualità prevalente. Tale norma, che stabilisce il divieto per le società cooperative di trasformarsi in società ordinarie anche se tale trasformazione viene deliberata all’unanimità, ha rappresentato la codificazione dell’opinione della dottrina che riteneva impraticabile nel nostro ordinamento tale trasformazione.
     Anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 127/71 tuttavia altri due orientamenti si erano contesi il campo.
Il primo sosteneva la trasformabilità delle società cooperative in società lucrative secondo le regole civilistiche della modificazione dell’atto costitutivo, ossia a maggioranza (9), il secondo la ammetteva all’unanimità (10).
     La tesi più estremistica aveva infine prevalso laddove la ratio della norma, suffragata anche dalla giurisprudenza di merito (11), andava anche allora ricercata nel tentativo di impedire ad una società cooperativa di assumere tale forma per godere di particolari agevolazioni fiscali o per ottenere prestiti e sussidi a spese della collettività e di stornarli poi dalla funzione mutualistica o, addirittura, di eludere i controlli statali, con una semplice delibera assembleare di trasformazione.
     Le limitazioni ancora oggi presenti nelle norme appena esaminate sembrano confermare tale ratio.
     Un primo colpo al principio della non trasformabilità della società cooperativa in società lucrativa era stato invero già inferto, se pur in ambito limitato, dall’art. 41 del D. lgs. 14 dicembre 1992 n. 481 che ha recepito nel nostro ordinamento la II direttiva Cee in materia bancaria (12). Infatti tale disposizione prevede che per le banche popolari, che sono tipicamente società cooperative a responsabilità limitata, sia possibile, fatti salvi i diritti dei soci e previa autorizzazione della Banca d’Italia, la trasformazione in società per azioni o la partecipazione ad una operazione di fusione da cui risulti una società per azioni.

3. Le mutue assicuratrici
     La società mutua di assicurazione può definirsi una società cooperativa di assicurazione con caratteristiche proprie.
Essa si costituisce, come la società cooperativa, per esercitare un’attività a favore dei soci, ma in essa si ha una sorta di compenetrazione tra rapporto sociale e rapporto assicurativo nel senso che, mentre il socio della cooperativa per ottenere la prestazione assicurativa deve stipulare un apposito contratto di assicurazione con la società, nella mutua assicuratrice il socio ha diritto alla prestazione assicurativa esclusivamente in base al contratto sociale. La volontà di contrarre genera contemporaneamente diritti e doveri di socio e diritti e doveri di assicurato.
     Le mutue assicuratrici possono quindi essere definite come società che si propongono il risarcimento dei danni subiti dai soci a causa del verificarsi dei rischi previsti nel contratto sociale.
     Occorre aggiungere però che il collegamento che esiste tra rapporto sociale e rapporto assicurativo è mitigato dalla figura del socio sovventore che è colui che ha effettuato conferimenti per la costituzione del fondo di garanzia necessario per il pagamento delle indennità. Tale figura è delineata dall’art. 2548 del codice civile accanto a quella del socio assicurato di cui è garantita comunque la preminenza.
     D’altra parte l’art. 2546 del codice civile stabilisce che per acquistare la qualità di socio è necessario assicurarsi, mentre non stabilisce anche che un assicurato debba essere socio; nulla vieta quindi che l’esercizio dell’attività assicurativa si attui anche al di fuori del ristretto ambito sociale, ossia concludendo contratti di assicurazione con estranei che non diventano soci per effetto della stipulazione della polizza, né la loro stipulazione sembra poter pregiudicare lo svolgimento del rapporto sociale. La pratica di tali contratti è infatti molto diffusa anche se su tale aspetto la dottrina è tuttora divisa (13).
     Un’altra caratteristica della mutua assicuratrice derivante dall’interdipendenza tra il rapporto sociale e il rapporto assicurativo è che il fondo comune viene ad essere creato con il contributo dei soci assicurati i quali realizzano così contemporaneamente la partecipazione alla società e la copertura del rischio. Non è pertanto necessaria la costituzione di un capitale essendo sufficiente la costituzione del fondo di garanzia.
Come appare evidente tale modello societario non è fondato su una mutualità pura e non ha quindi offerto al mercato un effettivo strumento alternativo rispetto alle imprese di assicurazione a premio.
     È sicuramente questo il motivo per cui le mutue assicuratrici non hanno avuto grande sviluppo in Italia, ma anzi si è assistito, negli ultimi anni, ad un progressivo ridursi del loro numero. Basti considerare che nel 1994 erano 12 e sono scese a 7 nel 1999 a fronte di un numero complessivo di imprese di assicurazione e riassicurazione nazionali pari a 200 unità (14).
     All’operare dei principi della pura mutualità è invece dovuta l’affermazione delle mutue assicuratrici come dimostra l’analisi di mercati di altri paesi. In Francia, ad esempio, le società di mutua assicurazione rappresentano circa la metà del mercato assicurativo.
     Il fenomeno di demutualizzazione che ha caratterizzato il mercato italiano è dovuta non solo all’obsolescenza del modello, non più in grado di rendere percepibili i vantaggi per i soci assicurati, ma anche alla difficoltà di coniugare l’organizzazione mutualistica con le necessità proprie di un intermediario finanziario quale è l’imprenditore assicurativo (15).
     Inoltre l’estendersi delle dimensioni dei mercati ha comportato l’esigenza per le imprese di assicurazione di realizzare processi di ristrutturazione societaria, organizzativa e gestionale al fine di meglio affrontare le nuove sfide concorrenziali, offrendo ai consumatori prodotti sempre più vari e sempre più rispondenti alle loro esigenze.
     In tale frangente le società di mutua assicurazione in particolare sono state penalizzate dalla difficoltà di reperire capitali e quindi di disporre di risorse finanziarie e di fondi adeguati.
     Sono queste le ragioni per cui alcune mutue assicuratrici presenti nel mercato hanno optato per la trasformazione in società per azioni (16).

4. La trasformazione delle mutue assicuratrici
     Per le società di mutua assicurazione nulla apparentemente cambierà con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni del codice civile.
     L’art. 8 del decreto in esame infatti ripropone, al capo II del titolo VI, le medesime disposizioni già vigenti nel codice civile.
     Tuttavia è opportuno evidenziare come il rinvio operato dall’art. 2547 del codice civile alla disciplina delle società cooperative avrà un valore diverso; esso comporterà infatti il riferimento ad una disciplina più ampia della precedente, la quale prevede due modelli di società cooperativa (la cooperativa a mutualità prevalente e la cooperativa “diversa”) ed un generico e non più limitato rinvio alle disposizioni che regolano le società per azioni.
     Anche in tema di trasformazione societaria, la riforma, pur in mancanza di disposizioni al riguardo, sembrerebbe aprire nuove possibilità per la società di mutua assicurazione.
     Invero, già in passato, stante il citato rinvio dell’art. 2547, molto si era dibattuto in dottrina sull’applicabilità, alle mutue assicuratrici, dell’art. 14 della legge n. 127/71 poc’anzi esaminato. In assenza di disposizioni normative al riguardo, la ratio che aveva ispirato il legislatore della legge n. 127/71 non sembrava potesse essere posta a base di un divieto di trasformazione di una società di mutua assicurazione in società lucrativa.
     Per queste società, come già evidenziato, gli interessi pubblicistici protetti sono sempre stati non tanto quelli tipici della cooperazione intesa come strumento di fruizione diretta e a condizioni più vantaggiose dei servizi dell’ente da parte dei soggetti che vi danno vita, quanto quelli propri del fenomeno assicurativo, disciplinato da una particolare legislazione, sottoposto a particolari controlli e praticamente privo di agevolazioni e benefici fiscali (17).
     Anche l’ISVAP, chiamato ad esercitare la vigilanza sul settore assicurativo, si è più volte occupato del fenomeno per valutarne l’ammissibilità, giungendo alla conclusione che tale trasformazione è possibile sul presupposto che tra una società di mutua assicurazione ed una società per azioni, operante nel medesimo settore, la differenza delle rispettive cause negoziali è talmente esigua da palesare una sostanziale omogeneità. Infatti il fondo di garanzia, finanziato prevalentemente dai soci sovventori, è considerato equivalente al capitale sociale delle società per azioni, ed i predetti soci sovventori debbono avere i requisiti prescritti per gli azionisti qualificati e di controllo delle società per azioni mentre ad essi può essere destinato l’utile di bilancio a remunerazione del capitale investito; inoltre lo scopo di mutualità è affievolito dal divieto della ripartizione dei danni tra i soci e dalla disciplina pubblicistica che regola l’attività assicurativa (18).
     La legislazione speciale del settore assicurativo prevede e disciplina poi il fenomeno della fusione, da sempre considerata unanimemente in dottrina capace di effetti di trasformazione; la circostanza che nelle relative disposizioni che si sono susseguite nel tempo non sia mai stato specificato che la stessa possa avvenire soltanto tra società per azioni, ha sempre indotto a ritenere che essa sia consentita anche tra società per azioni e società di mutua assicurazione (19).
     Con l’entrata in vigore delle nuove disposizioni quindi, benché non sia prevista una disposizione ad hoc, sembra che il problema relativo alla trasformabilità di una società di mutua assicurazione in società ordinaria potrà essere risolto con il generico rinvio operato dall’art. 2547 del codice civile e l’applicazione tout court delle disposizioni previste per le società cooperative in quanto la mutua assicuratrice, per i motivi suesposti e per la natura dell’attività esercitata, non può sicuramente essere considerata una società a mutualità prevalente.
     Venendo ad una considerazione di sintesi, si può osservare che l’intento del legislatore di abolire la tradizionale rigida distinzione tra le diverse tipologie societarie, in ossequio al generale principio dell’autonomia contrattuale, più volte dimostrato in passato con disposizioni di settore, troverà, nel prossimo futuro, una pressoché organica attuazione. L’unico baluardo resistente a qualsiasi riforma sembra essere quello della società cooperativa a mutualità prevalente, quasi che il legislatore della riforma volesse preservare l’ultimo esempio di mutualità pura del nostro ordinamento da qualsivoglia rischio speculativo.

 

Note

     (1) Vedi per tutti CABRAS, Le trasformazioni, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 7***, UTET, Torino, 1997, p. 35 ss., nel senso dell’estensione dell’istituto anche a vicende non strettamente societarie.

     (2) Sulla possibilità di tale trasformazione avevano peraltro espresso dubbi, in tempi non recenti, A. GRAZIANI e G. MINERVINI, Manuale di diritto commerciale, Morano, Napoli, 1974 , p. 172.

     (3) C. MONTAGNANI, in La Riforma delle società a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Giappichelli, 2003, sub art. 2498, p. 355.

     (4) F. GALGANO, Diritto Commerciale. Le Società, Zanichelli, 2003, p. 487, nota 5.

     (5) AA.VV., Diritto delle società di capitali. Manuale breve, Giuffrè 2003, p. 320.

     (6) Nuove norme in materia di società cooperative.

     (7) Art. 223-octies, sub art. 9 del D. lgs. n. 6/2003.

     (8) Decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947 n. 1577, modificato con legge 8 maggio 1949, n. 285 e con ulteriori modificazioni dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, concernente provvedimenti per la cooperazione.

     (9) F. MESSINEO, Società cooperativa e sua trasformabilità, in Foro it., 1949, I, c. 68; A. SCIALOJA, In tema di trasformazione delle società nel nuovo ordinamento delle imprese cooperative, in Foro it., 1948, I, c. 82.

     (10) Tra gli altri, A. GRAZIANI, Diritto delle società, Morano, Napoli, 1962, p. 57.

     (11) Trib. Roma 4 luglio 1984.

     (12) Attuazione della direttiva Cee n. 646/89, relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardante l’accesso all’attività degli enti creditizi ed il suo esercizio e recante modifica della direttiva Cee n. 780/77.

     (13) In senso favorevole: G. FANELLI, L’assicurazione mutua. Le assicurazioni private nel codice civile, Commentario, ed. rivista Assicurazioni, p. 41, 1943; A. BRUNETTI, Trattato del diritto delle società, III, Giuffrè, Milano, 1950, p. 502; A. DONATI e G. VOLPE PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni, Giuffrè, Milano, VII ediz., p. 26; C.G. CORVESE, in La Riforma delle società, Giappichelli, Torino, 2003, sub art. 2546-2548, p. 244. In senso contrario G. MINERVINI, in Dir. e giur., 1946, p. 263; G. VALERI, Manuale di diritto commerc iale, p. 198.

     (14) Rapporto sull’attività dell’ISVAP nell’anno 1999, p. 115, tavola n. 1.

     (15) Rapporto sull’attività dell’ISVAP nell’anno 1998, p. 24.

     (16) G. MANGHETTI, Intervento tenuto il 4 dicembre 2000 in occasione della Tavola Rotonda della LUISS–Ceradi.

     (17) Aveva sostenuto analoga tesi, per una particolare categoria di cooperative, A. GAMBINO, Sulla trasformabilità delle banche popolari in aziende di credito ordinarie, in Giur. comm., 1984, I, p. 1003 ss.

     (18) Rapporto sull’attività dell’ISVAP nell’anno 1997, p. 198 ss.

     (19) Vedi gli artt. 65 e 76 dei D. lgs. nn. 174 e 175 del 1995; in passato gli artt. 69 e 73 delle leggi nn. 742/1986 e 295/1978 ed art. 8 della legge n. 576/1982.

 

 

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