il diritto commerciale d’oggi
    II.6 – giugno 2003

Giurisprudenza

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE, 20 maggio 2003 – proced. C-108/01 – Rodríguez Iglesias Presidente – Gulmann Estensore; Consorzio del Prosciutto di Parma e Salumificio S. Rita s.p.a. c. Asda Stores Ltd e Hygrade Foods Ltd
     L’uso di una denominazione di origine protetta (nella specie DOP «Prosciutto di Parma») può essere subordinato a una condizione di realizzazione, nella zona di produzione, di operazioni, quali l’affettamento ed il confezionamento del prodotto, qualora tale condizione sia prevista nel disciplinare.

 

    (Omissis)
     1.
     Con ordinanza 8 febbraio 2001, pervenuta alla Corte il 7 marzo seguente, la House of Lords ha posto, ai sensi dell’art. 234 CE, una questione pregiudiziale sull’interpretazione dei regolamenti (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, modificato dall’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei Trattati sui quali è basata l’Unione europea (in prosieguo: il «regolamento n. 2081/92»), e (CE) della Commissione 12 giugno 1996, n. 1107, relativo alla registrazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine nel quadro della procedura di cui all’articolo 17 del regolamento n. 2081/92.

     2.
     Tale questione è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, il Consorzio del Prosciutto di Parma (in prosieguo: il «Consorzio»), associazione di produttori di prosciutto di Parma con sede in Italia, nonché il Salumificio S. Rita SpA (in prosieguo: il «Salumificio»), società anch’essa con sede in Italia, produttore di prosciutto di Parma e membro del Consorzio, e, dall’altro, la Asda Stores Ltd (in prosieguo: la «Asda»), società con sede nel Regno Unito, che gestisce supermercati, nonché la Hygrade Foods Ltd (in prosieguo: la «Hygrade»), anch’essa con sede nel Regno Unito, importatore di prosciutto di Parma, relativamente alla commercializzazione nel Regno Unito, con la denominazione di origine protetta «Prosciutto di Parma» (in prosieguo: la «DOP prosciutto di Parma») di prosciutto di Parma affettato e confezionato in questo Stato membro.

Ambito normativo
Disciplina nazionale

     3.
     L’art. 1 della legge 13 febbraio 1990, n. 26, tutela della denominazione di origine «Prosciutto di Parma» (in prosieguo: la «legge 13 febbraio 1990») riserva esclusivamente la denominazione di origine «prosciutto di Parma» al prosciutto munito di contrassegno atto a consentirne in via permanente l’identificazione, ottenuto dalle cosce fresche di suini nati, allevati e macellati nell’Italia continentale, prodotto secondo le prescrizioni di legge, e stagionato nella zona tipica di produzione per il periodo minimo stabilito dalla legge.

     4.
     L’art. 2 della legge 13 febbraio 1990 definisce come zona tipica di produzione la parte pertinente della provincia di Parma. L’art. 3 enuncia le caratteristiche specifiche del prosciutto di Parma, in particolare il peso, il colore, l’aroma e il sapore.

     5.
     L’art. 6 della stessa legge stabilisce che:
     – dopo l’applicazione del contrassegno, il prosciutto di Parma può essere commercializzato disossato e in tranci di forma e peso variabili ovvero affettato ed opportunamente confezionato;
     – se non è possibile conservare sul prodotto il contrassegno, questo deve essere apposto in modo indelebile ed inamovibile sulla confezione, sotto il controllo dell’organismo abilitato e secondo le modalità determinate nel regolamento di esecuzione;
     – in quest’ultimo caso le operazioni di confezionamento devono essere effettuate nella zona tipica di produzione indicata all’art. 2.

     6.
L’art. 11 stabilisce che i Ministri competenti possono avvalersi dell’attività di un consorzio di produttori per fini di vigilanza e di controllo.

     7.
L’art. 25 del decreto 15 febbraio 1993, n. 253, regolamento di esecuzione della legge 13 febbraio 1990, n. 26 (in prosieguo: il «decreto 15 febbraio 1993») prevede che le operazioni di affettamento e di confezionamento del prosciutto di Parma siano effettuate presso laboratori situati nella zona tipica di produzione, riconosciuti dal Consorzio.

     8.
     L’art. 26 dello stesso decreto impone la presenza di incaricati del Consorzio al momento dell’affettamento e del confezionamento del prodotto.

     9.
Il decreto 15 febbraio 1993 contiene anche disposizioni relative al confezionamento e all’etichettatura.

     10.
     In forza del decreto 12 aprile 1994, al Consorzio è stato affidato un compito di vigilanza sull’applicazione delle disposizioni relative alla denominazione di origine «prosciutto di Parma».

Il diritto comunitario

     11.
     L’art. 29 CE stabilisce:
     «Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente».

     12.
     Ai sensi dell’art. 30 CE, l’art. 29 CE lascia impregiudicati i divieti o restrizioni all’esportazione giustificati da motivi, in particolare, di tutela della proprietà industriale e commerciale.

     13.
     L’art. 2 del regolamento n. 2081/92 stabilisce:
     «1. La protezione comunitaria delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli ed alimentari è ottenuta conformemente al presente regolamento.
     2. Ai fini del presente regolamento si intende per:
     a) denominazione d’origine: il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare:
     – originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e
     – la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell’area geografica delimitata;
     (…)».

     14.
     L’art. 4 dello stesso regolamento precisa:
     «1. Per beneficiare di una denominazione d’origine protetta (DOP) (…) i prodotti devono essere conformi ad un disciplinare.
     2. Il disciplinare comprende almeno i seguenti elementi:
     a) il nome del prodotto agricolo o alimentare che comprende la denominazione d’origine (…);
     b) la descrizione del prodotto agricolo o alimentare mediante indicazione delle materie prime, se del caso, e delle principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche e/o organolettiche del prodotto agricolo o alimentare;
     c) la delimitazione della zona geografica (…);
     d) gli elementi che comprovano che il prodotto agricolo o alimentare è originario della zona geografica ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a) (…);
     e) la descrizione del metodo di ottenimento del prodotto e, se del caso, i metodi locali, leali e costanti;
     f) gli elementi che comprovano il legame con l’ambiente geografico o con l’origine geografica ai sensi dell’articolo      2, paragrafo 2, lettera a) (…);
     g) i riferimenti relativi alle strutture di controllo previste all’articolo 10;
     h) gli elementi specifici dell’etichettatura connessi alla dicitura DOP (…) o le diciture tradizionali nazionali equivalenti;
     i) le eventuali condizioni da rispettare in forza di disposizioni comunitarie e/o nazionali».

     15.
     Gli artt. 5-7 prevedono una procedura normale di registrazione delle DOP. Questa procedura comprende la presentazione di una domanda alla Commissione per il tramite di uno Stato membro (art. 5, nn. 4 e 5). Questa domanda include un disciplinare conforme all’art. 4 (art. 5, n. 3). La Commissione verifica che la domanda comprenda tutti gli elementi di cui all’art. 4 (art. 6, n. 1). Se essa perviene ad una conclusione positiva, pubblica nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, in particolare, la denominazione del prodotto, gli estremi della domanda e i riferimenti alle disposizioni nazionali che disciplinano l’elaborazione, la produzione o la fabbricazione del prodotto (art. 6, n. 2). Ogni Stato membro o qualsiasi persona fisica o giuridica legittimamente interessata può opporsi alla registrazione e l’opposizione in tal caso viene esaminata secondo una procedura determinata (art. 7). In assenza di opposizione, la Commissione registra la denominazione e la pubblica nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee (art. 6, nn. 3 e 4).

     16.
     L’art. 8 enuncia:
     «Le menzioni DOP (…) o le menzioni tradizionali equivalenti possono figurare solo su prodotti agricoli ed alimentari conformi al presente regolamento».

     17.
     L’art. 10, n. 1, stabilisce:
     «Gli Stati membri provvedono a che entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente regolamento vi siano strutture di controllo aventi il compito di garantire che i prodotti agricoli e alimentari recanti una denominazione protetta rispondano ai requisiti del disciplinare (…)».

     18.
     L’art. 13, n. 1, lett. a), prevede che le denominazioni registrate sono tutelate contro qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l’uso di tale denominazione consenta di sfruttare indebitamente la reputazione della denominazione protetta.

     19.
     L’art. 17 organizza una procedura semplificata di registrazione di denominazioni già giuridicamente protette:
     «1. Entro un termine di sei mesi a decorrere dalla data dell’entrata in vigore del presente regolamento, gli Stati membri comunicano alla Commissione quali denominazioni, tra quelle giuridicamente protette (…), essi desiderano far registrare a norma del presente regolamento.
     2. La Commissione registra, secondo la procedura prevista all’articolo 15, le denominazioni di cui al paragrafo 1 conformi agli articoli 2 e 4. L’articolo 7 [relativo al diritto di opposizione] non si applica (…).
     3. Gli Stati membri possono mantenere la protezione nazionale delle denominazioni comunicate in conformità del paragrafo 1 sino alla data in cui viene presa una decisione in merito alla registrazione».

     20.
     Il regolamento n. 1107/96, entrato in vigore il 21 giugno 1996, reca la registrazione, in particolare, della DOP «prosciutto di Parma», sotto la rubrica «Preparazioni di carni».

     21.
     Il 26 ottobre 1996 la Commissione ha pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee una comunicazione sulle strutture di controllo comunicate dagli Stati membri a norma dell’art. 10, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 2081/92. Questa pubblicazione ha per scopo di far conoscere le strutture di controllo corrispondenti a ciascuna indicazione geografica o denominazione di origine registrata in forza del regolamento n. 2081/92. Per la DOP «prosciutto di Parma», essa fa riferimento al Consorzio, del quale precisa l’indirizzo.

La causa principale

     22.
     L’Asda gestisce una catena di supermercati nel Regno Unito. In essi vende, in particolare, prosciutto recante la denominazione «prosciutto di Parma», acquistato già affettato presso la Hygrade, che acquista essa stessa il prosciutto disossato ma non affettato presso un produttore italiano membro del Consorzio. Il prosciutto viene affettato e confezionato ermeticamente dalla Hygrade in confezioni contenenti ciascuna cinque fette.

     23.
     Le confezioni riportano la seguente scritta: «ASDA A taste of Italy PARMA HAM Genuine Italian Parma Ham» («ASDA Il sapore dell’Italia PROSCIUTTO DI PARMA autentico prosciutto di Parma italiano»).

     24.
     Sul retro delle confezioni si legge «PARMA HAM All authentic Asda continental meats are made by traditional methods to guarantee their authentic flavour and quality» («PROSCIUTTO DI PARMA Tutte le carni genuine Asda che provengono dall’Europa continentale sono preparate secondo metodi tradizionali per garantire il loro sapore autentico e la loro autentica qualità») e «Produced in Italy, packed in the UK for Asda Stores Limited» («Prodotto in Italia, confezionato nel Regno Unito per la Asda Stores Limited»).

     25.
     Il 14 novembre 1997, il Consorzio ha avviato nel Regno Unito un procedimento giudiziario contro la Asda e la Hygrade affinché fossero emanate, contro queste ultime, diverse ingiunzioni intese essenzialmente a che esse cessassero la loro attività, poiché quest’ultima sarebbe incompatibile con i regolamenti vigenti per il prosciutto di Parma.

     26.
     Il 17 novembre 1997 esso ha chiesto che fossero pronunciate nei confronti di queste società con provvedimenti d’urgenza le ingiunzioni richieste nella sua domanda principale e nell’atto di citazione.

     27.
     La Asda e la Hygrade hanno chiesto il rigetto delle domande sostenendo, in particolare, che il regolamento n. 2081/92 e/o il regolamento n. 1107/96 non conferivano al Consorzio i diritti da esso fatti valere.

     28.
     Le domande sono state respinte.

     29.
     Il Consorzio ha interposto appello dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Regno Unito). Il Salumificio è stato ammesso ad intervenire in questo procedimento. L’appello è stato respinto il 1° dicembre 1998.

     30.
     Il Consorzio e il Salumificio hanno allora adito la House of Lords.

     31.
     Ritenendo che la soluzione della controversia dipendesse dall’interpretazione dei regolamenti nn. 2081/92 e 1107/96, la House of Lords ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
     «Se, dal punto di vista del diritto delle Comunità europee, il regolamento (CEE) del Consiglio n. 2081/92, letto in combinato disposto con il regolamento (CE) della Commissione n. 1107/96 e con il disciplinare relativo al Prosciutto di Parma DOP, attribuisca un diritto comunitario valido, che può essere fatto valere direttamente dinanzi al giudice di uno Stato membro, alla limitazione della vendita al dettaglio come prosciutto di Parma di prosciutto affettato e confezionato, derivato da prosciutti debitamente esportati da Parma in conformità ai requisiti posti dalla DOP, ma che non è stato poi affettato, confezionato ed etichettato conformemente al disciplinare».

Sulla questione pregiudiziale

     32.
     In via preliminare, occorre constatare che il disciplinare in base al quale la DOP «prosciutto di Parma» è stata registrata con il regolamento n. 1107/96 menziona esplicitamente il requisito di un affettamento e di un confezionamento del prodotto nella zona di produzione per il prosciutto commercializzato a fette, e fa riferimento alla legge 13 febbraio 1990 nonché al decreto 15 febbraio 1993 relativamente alle condizioni da rispettare in forza di disposizioni nazionali, ai sensi dell’art. 4, n. 2, lett. i), del regolamento n. 2081/92.

     33.
     Sempre in via preliminare, occorre rilevare che, nella causa principale, sono in discussione operazioni di affettamento e di confezionamento effettuate in una fase diversa rispetto a quelle della vendita al dettaglio e della ristorazione, per le quali non è contestato il fatto che non si applica la condizione relativa alla realizzazione di dette operazioni nella zona di produzione.

     34.
     Pertanto, allorché si farà riferimento, nel seguito della presente sentenza, alla condizione di affettamento e di confezionamento nella zona di produzione, saranno considerate solo le operazioni di affettamento e di confezionamento effettuate in una fase diversa da quelle della vendita al dettaglio e della ristorazione.

     35.
     Alla luce di queste osservazioni, la questione pregiudiziale comprende in sostanza quattro elementi.

     36.
     Il primo elemento riguarda l’esame inteso ad accertare se il regolamento n. 2081/92 debba essere interpretato nel senso che si oppone a che l’uso di una DOP sia subordinato a una condizione di realizzazione, nella zona di produzione, di operazioni quali l’affettamento e il confezionamento del prodotto.

     37.
     Il secondo elemento riguarda l’esame inteso ad accertare se il fatto di subordinare a una tale condizione l’uso della DOP «prosciutto di Parma» per il prosciutto commercializzato a fette costituisca una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’esportazione ai sensi dell’art. 29 CE.

     38.
     Il terzo elemento riguarda l’esame inteso ad accertare se, in caso affermativo, la condizione di cui trattasi possa essere considerata giustificata e quindi compatibile con quest’ultima disposizione.

     39.
     Infine, il quarto elemento riguarda la questione se questa condizione possa essere fatta valere nei confronti degli operatori economici, allorché non è stata portata a loro conoscenza.

Sulla possibilità di subordinare l’uso di una DOP a una condizione di realizzazione, nella zona di produzione, di operazioni quali l’affettamento e il confezionamento del prodotto

     40.
     Il Consorzio, il Salumificio, i governi spagnolo, francese e italiano nonché la Commissione ritengono in sostanza che il regolamento n. 2081/92 consenta, in via di principio, a taluni produttori di ottenere che l’uso della DOP sia subordinato a una condizione di realizzazione, nella zona di produzione, di operazioni quali l’affettamento e il confezionamento del prodotto.

     41.
     L’Asda e la Hygrade nutrono dubbi sul fatto che una tale condizione possa rientrare, in un modo qualsiasi, nella normativa comunitaria. Il governo del Regno Unito ritiene che il regolamento n. 2081/92 non conferisca ai produttori il diritto di vietare la vendita con la DOP di un prodotto affettato e confezionato al di fuori della zona di produzione.

     42.
     A tal riguardo, occorre constatare che sia dalla formulazione sia dalla struttura del regolamento n. 2081/92 risulta che il disciplinare costituisce lo strumento che determina l’ampiezza della tutela uniforme che questo regolamento introduce nella Comunità.

     43.
     Infatti, l’art. 4, n. 1, del regolamento n. 2081/92 subordina il beneficio di una DOP alla conformità del prodotto a un disciplinare. L’art. 8 dello stesso regolamento subordina l’apposizione della menzione «DOP» su un prodotto alla conformità di quest’ultimo al detto regolamento e quindi al disciplinare, mentre l’art. 13 determina poi il contenuto della tutela uniforme conferita alla denominazione registrata. L’art. 10, n. 1, precisa che il compito della struttura di controllo istituita in ogni Stato membro è quello di assicurare che i prodotti recanti una DOP rispondano ai requisiti del disciplinare.

     44.
     Ai sensi dell’art. 4, n. 2, del regolamento n. 2081/92, il disciplinare comprende almeno gli elementi elencati, in maniera non esaustiva, in questa disposizione.

     45.
     Esso contiene quindi, in particolare, quelli indicati nella detta disposizione sub b), d), e), h) e i), ossia:
     – la descrizione del prodotto, delle sue principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche e/o organolettiche;
     – gli elementi che comprovano che il prodotto è originario di una zona geografica delimitata;
     – la descrizione del metodo di ottenimento del prodotto e, se del caso, i metodi locali, leali e costanti;
     – gli elementi specifici dell’etichettatura connessi alla dicitura «DOP»;
     – le eventuali condizioni da rispettare in forza di disposizioni comunitarie e/o nazionali.

     46.
     Il disciplinare contiene quindi la definizione dettagliata del prodotto protetto, stabilita dai produttori interessati, sotto il controllo dello Stato membro che lo trasmette, quindi della Commissione che registra la DOP, nell’ambito o della procedura normale di cui agli artt. 5-7, o della procedura semplificata di cui all’art. 17 del regolamento n. 2081/92.

     47.
     Questa definizione determina al tempo stesso l’estensione degli obblighi da rispettare ai fini dell’uso della DOP e, come suo corollario, l’ampiezza del diritto protetto nei confronti dei terzi per effetto della registrazione della DOP, che sancisce a livello comunitario norme enunciate o cui si fa riferimento nel disciplinare.

     48.
     A tal riguardo, si deve constatare che la formulazione dell’art. 4 del regolamento n. 2081/92 non esclude affatto che siano adottate regole tecniche particolari che si applicano alle operazioni che portano a diverse presentazioni sul mercato di uno stesso prodotto, affinché quest’ultimo, da un lato, soddisfi, per ciascuna di queste presentazioni, il criterio di qualità che i consumatori, secondo il terzo ‘considerando’ di questo regolamento, hanno tendenza a privilegiare da diversi anni e, dall’altro, offra la garanzia di un’origine geografica certa, sempre più ricercata secondo lo stesso ‘considerando’.

     49.
     In considerazione di questi due obiettivi, regole tecniche particolari possono essere di conseguenza adottate per operazioni quali l’affettamento e il confezionamento del prodotto.

     50.
     Occorre quindi concludere che il regolamento n. 2081/92 dev’essere interpretato nel senso che non si oppone a che l’uso di una DOP sia subordinato a una condizione di realizzazione, nella zona di produzione, di operazioni quali l’affettamento e il confezionamento del prodotto, qualora una tale condizione sia prevista nel disciplinare.

Sulla natura della misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’esportazione della condizione di affettamento e di confezionamento del prodotto nella zona di produzione per la DOP «prosciutto di Parma»

     51.
     La Asda e la Hygrade sostengono che condizioni relative al confezionamento di un prodotto possono costituire restrizioni ai sensi degli artt. 28 CE e 29 CE. In particolare, l’applicazione nel Regno Unito di una norma in forza della quale il prosciutto di Parma commercializzato a fette potrebbe beneficiare della DOP solo se è stato affettato e confezionato nella zona di produzione potrebbe manifestamente ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio intracomunitario.

     52.
     Il governo del Regno Unito ritiene che la condizione di cui trattasi nella causa principale costituisca una restrizione quantitativa all’esportazione.

     53.
     A tal riguardo, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, il divieto di restrizioni quantitative nonché di misure di effetto equivalente vale non solo per i provvedimenti nazionali, ma del pari per quelli adottati dalle istituzioni comunitarie (v., in particolare, sentenze 25 giugno 1997, causa C-114/96, Kieffer e Thill, e 13 settembre 2001, causa C-169/99, Schwarzkopf).

     54.
     L’art. 29 CE vieta tutti i provvedimenti che hanno l’oggetto o l’effetto di restringere specificamente le correnti d’esportazione e di costituire in tal modo una differenza di trattamento fra il commercio interno di uno Stato membro ed il suo commercio d’esportazione, così da assicurare un vantaggio particolare alla produzione nazionale o al mercato interno dello Stato interessato (v., in particolare, a proposito di misure nazionali, sentenza 23 maggio 2000, causa C-209/98, Sydhavnens Sten & Grus).

     55.
     Come è stato constatato al punto 32 della presente sentenza, il disciplinare della DOP «prosciutto di Parma» menziona esplicitamente il requisito di un affettamento e di un confezionamento del prodotto nella zona di produzione per il prosciutto commercializzato a fette e fa riferimento alla legge 13 febbraio 1990, nonché al decreto 15 febbraio 1993 relativamente alle condizioni da rispettare in forza di disposizioni nazionali, ai sensi dell’art. 4, n. 2, lett. i) del regolamento n. 2081/92. In quanto registra la DOP «prosciutto di Parma», il regolamento n. 1107/96 fa così dell’affettamento e del confezionamento nella zona di produzione una condizione di utilizzo della DOP «prosciutto di Parma» per il prosciutto commercializzato a fette.

     56.
     Questa condizione ha come conseguenza che prosciutto prodotto nella zona di produzione, che soddisfa le altre condizioni richieste per poter beneficiare della DOP «prosciutto di Parma», non può essere affettato al di fuori di tale zona, salvo essere privato di questa denominazione.

     57.
     Per contro, il prosciutto di Parma trasportato all’interno della zona di produzione conserva il suo diritto alla DOP allorché è ivi affettato e confezionato conformemente alle norme cui fa riferimento il disciplinare.

     58.
     Queste norme hanno quindi per effetto di restringere specificamente le correnti di esportazione del prosciutto che può recare la DOP «prosciutto di Parma» e di creare così una disparità di trattamento tra il commercio interno di uno Stato membro e il suo commercio di esportazione. Pertanto, esse comportano restrizioni quantitative all’esportazione ai sensi dell’art. 29 CE (v., nello stesso senso, sentenza 16 maggio 2000, causa C-388/95, Belgio/Spagna).

     59.
     Si deve quindi concludere che il fatto di subordinare l’uso della DOP «prosciutto di Parma» per il prosciutto commercializzato a fette alla condizione che le operazioni di affettamento e di confezionamento siano effettuate nella zona di produzione costituisce una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’esportazione ai sensi dell’art. 29 CE.

Sulla giustificazione della condizione di affettamento e di confezionamento del prodotto nella zona di produzione

     60.
     Il Consorzio, il Salumificio, i governi spagnolo e italiano nonché la Commissione fanno valere che, nella citata sentenza Belgio/Spagna, la Corte ha dichiarato che una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’esportazione, costituita dall’obbligo di imbottigliare un vino, cui è attribuita una denominazione di origine, nella sua zona di produzione per poter utilizzare la denominazione di origine, era giustificata in quanto era intesa a preservare la reputazione della denominazione garantendo, oltre all’autenticità del prodotto, il mantenimento delle sue qualità e delle sue caratteristiche. Essi ritengono che la giurisprudenza che deriva da questa sentenza possa essere trasferita alla condizione di affettamento e di confezionamento del prosciutto di Parma nella zona di produzione, in quanto questa condizione è giustificata ai fini della garanzia dell’autenticità e della qualità del prodotto. Il governo francese sottolinea che questa condizione consente di garantire che il prodotto sia originario dell’area geografica.

     61.
     La Asda, la Hygrade e il governo del Regno Unito affermano che le operazioni di affettamento e di confezionamento non incidono sulla qualità del prosciutto di Parma e non pregiudicano la sua autenticità. Basandosi su questa premessa, il governo del Regno Unito ritiene che l’iter logico seguito nella citata sentenza Belgio/Spagna, che si dovrebbe in effetti seguire nella presente causa, debba portare a una soluzione contraria rispetto a quella adottata in tale sentenza.

     62.
In via preliminare, occorre ricordare che, conformemente all’art. 30 CE, l’art. 29 CE lascia impregiudicati i divieti o restrizioni all’esportazione giustificati da motivi, in particolare, di tutela della proprietà industriale e commerciale.

     63.
     Occorre rilevare che la normativa comunitaria manifesta una tendenza generale alla valorizzazione della qualità dei prodotti nell’ambito della politica agricola comune, al fine di promuoverne la reputazione grazie, in particolare, all’uso di denominazioni di origine oggetto di una tutela particolare (v. sentenza Belgio/Spagna, cit., punto 53). Tale tendenza si è concretata nel settore dei vini di qualità con l’adozione del regolamento (CEE) del Consiglio 16 marzo 1987, n. 823, che stabilisce disposizioni particolari per i vini di qualità prodotti in regioni determinate, abrogato e sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 17 maggio 1999, n. 1493, relativo all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo. Essa si è manifestata anche, relativamente ad altri prodotti agricoli, con l’adozione del regolamento n. 2081/92, il quale, alla luce dei suoi ‘considerando’, mira in particolare a soddisfare l’attesa dei consumatori in materia di prodotti di qualità e di un’origine geografica certa nonché a facilitare il conseguimento da parte dei produttori, in condizioni di concorrenza uguali, di migliori redditi in contropartita di uno sforzo qualitativo reale.

     64.
Le denominazioni di origine rientrano nei diritti di proprietà industriale e commerciale. La normativa pertinente tutela i beneficiari contro l’uso illegittimo delle dette denominazioni da parte di terzi che intendano profittare della reputazione da esse acquisita. Tali denominazioni sono dirette a garantire che il prodotto cui sono attribuite provenga da una zona geografica determinata e possieda talune caratteristiche particolari. Esse possono godere di una grande reputazione presso i consumatori e costituire per i produttori che soddisfano le condizioni per usarle un mezzo essenziale per costituirsi una clientela. La reputazione delle denominazioni di origine dipende dall’immagine di cui queste godono presso i consumatori. A sua volta tale immagine dipende, essenzialmente, dalle caratteristiche particolari e, in generale, dalla qualità del prodotto. E’ quest’ultima, in definitiva, che costituisce il fondamento della reputazione del prodotto (v. sentenza Belgio/Spagna, cit., punti 54-56). Nella percezione del consumatore, il nesso tra la reputazione dei produttori e la qualità dei prodotti dipende, inoltre, dalla sua convinzione che i prodotti venduti con la denominazione di origine sono autentici.

     65.
     Il disciplinare della DOP «prosciutto di Parma», imponendo che l’affettamento e il confezionamento avvengano nella zona di produzione, mira a consentire ai beneficiari della DOP di conservare il controllo di una delle presentazioni del prodotto sul mercato. La condizione che esso pone ha come fine di meglio salvaguardare la qualità e l’autenticità del prodotto nonché, di conseguenza, la reputazione della DOP, di cui i beneficiari si assumono, pienamente e collettivamente, la responsabilità.

     66.
     Pertanto, una condizione quale quella di cui è causa, malgrado i suoi effetti restrittivi sugli scambi, dev’essere considerata conforme al diritto comunitario se è dimostrato che costituisce un mezzo necessario e proporzionato idoneo a preservare la reputazione della DOP «prosciutto di Parma» (v., nello stesso senso, sentenza Belgio/Spagna, cit., punti 58 e 59).

     67.
     A tal riguardo, occorre constatare che il «prosciutto di Parma» viene consumato principalmente a fette e che tutte le operazioni che portano a questa presentazione sono concepite per ottenere, in particolare, un sapore, un colore e una struttura determinati, che saranno apprezzati dal consumatore.

     68.
     L’affettamento e il confezionamento del prosciutto costituiscono quindi operazioni importanti, che possono nuocere alla qualità e, di conseguenza, alla reputazione della DOP se vengono effettuate in condizioni che portano a un prodotto non conforme alle qualità organolettiche associate a quest’ultimo. Queste operazioni possono anche compromettere la garanzia di autenticità del prodotto, poiché hanno necessariamente come conseguenza l’eliminazione della marchiatura di origine dalle cosce intere utilizzate.

     69.
     Il disciplinare della DOP «prosciutto di Parma», mediante le regole che prevede e mediante i requisiti che devono essere rispettati in forza delle disposizioni nazionali alle quali fa riferimento, istituisce un dispositivo che disciplina in maniera dettagliata e rigorosa le tre fasi che portano all’immissione sul mercato di prosciutto preconfezionato a fette. La prima fase comporta il disossamento del prosciutto, la preparazione dei pezzi, la refrigerazione e il congelamento di questi ai fini delle operazioni di affettamento. La seconda fase corrisponde alle operazioni di affettamento. La terza consiste nel confezionamento del prosciutto affettato, sotto vuoto o in atmosfera protetta.

     70.
     Tre regole principali devono essere rispettate nel corso del processo industriale.

     71.
     In primo luogo, dopo un controllo dell’autenticità delle cosce di maiale utilizzate, deve essere operata una selezione tra queste. Solo le cosce che soddisfano talune condizioni aggiuntive più restrittive, relative in particolare al peso, alla durata d’invecchiamento, al contenuto di acqua, al tasso di umidità interno, all’assenza di difetti visibili, possono essere affettate e confezionate. La selezione continua nelle varie fasi del processo, allorché appaiono anomalie del prodotto, come macchie che derivano da microemorragie, zone bianche nei muscoli, o ancora la presenza digrasso intramuscolare eccessivo, che non potevano essere scoperte prima del disossamento o dell’affettamento.

     72.
     In secondo luogo, tutti gli operatori della zona di produzione che hanno l’intenzione di affettare e confezionare prosciutto di Parma devono essere autorizzati dalla struttura di controllo, che autorizza anche i fornitori di confezioni.

     73.
     In terzo luogo, rappresentanti della struttura di controllo devono essere presenti in ciascuna delle tre fasi del processo. Essi controllano permanentemente che siano rispettate tutte le prescrizioni del disciplinare, ivi compresa la marchiatura del prodotto in ciascuna fase. A conclusione delle operazioni, essi certificano il numero di confezioni prodotte.

     74.
     Le differenti fasi danno luogo a interventi tecnici e di controllo molto precisi, che vertono sull’autenticità, la qualità, l’igiene e l’etichettatura. Talune richiedono valutazioni specializzate, in particolare nel corso delle fasi di refrigerazione e di congelamento dei pezzi.

     75.
     In tale contesto, si deve ammettere che i controlli effettuati al di fuori della zona di produzione fornirebbero meno garanzie in merito alla qualità e all’autenticità del prodotto rispetto a quelli effettuati nella zona di produzione nel rispetto della procedura prevista dal disciplinare (v., nello stesso senso, sentenza Belgio/Spagna, cit., punto 67). Infatti, da un lato, i controlli effettuati secondo quest’ultima procedura presentano un carattere approfondito e sistematico e sono effettuati da professionisti che hanno una conoscenza specializzata delle caratteristiche del prosciutto di Parma. Dall’altro, sarebbe difficilmente concepibile che i rappresentanti dei beneficiari della DOP possano instaurare efficacemente tali controlli negli altri Stati membri.

     76.
     Il rischio per la qualità e l’autenticità del prodotto infine offerto al consumo è, di conseguenza, più rilevante allorché esso è stato affettato e confezionato al di fuori della zona di produzione che non nel caso in cui esso è stato affettato e confezionato all’interno della detta zona (v., nello stesso senso, sentenza Belgio/Spagna, cit., punto 74).

     77.
     Questa constatazione non è inficiata dalla circostanza, sottolineata nella presente causa, secondo cui l’affettamento del prosciutto può essere effettuato, quanto meno a talune condizioni, da dettaglianti e ristoratori al di fuori della zona di produzione. Infatti, quest’operazione deve essere effettuata, in via di principio, dinanzi al consumatore, o, quanto meno, quest’ultimo può richiedere che questo avvenga al fine, in particolare, di verificare la presenza del marchio di origine sulla coscia utilizzata. In particolare, operazioni di affettamento e di confezionamento effettuate a monte della fase del commercio al dettaglio o della ristorazione costituiscono, a causa dei quantitativi di prodotti interessati, un rischio di gran lunga più concreto per la reputazione di una DOP, in caso di controllo insufficiente dell’autenticità del prodotto e della sua qualità, rispetto ad operazioni effettuate da dettaglianti o da ristoratori.

     78.
     Pertanto, la condizione di affettamento e di confezionamento nella zona di produzione, la quale è diretta a preservare la reputazione del prosciutto di Parma potenziando il controllo delle sue caratteristiche particolari e della sua qualità, può essere considerata giustificata come misura di tutela della DOP di cui beneficia la collettività degli operatori interessati e che riveste per questi ultimi un’importanza decisiva (v., nello stesso senso, sentenza Belgio/Spagna, cit., punto 75).

     79.
     La restrizione che ne deriva può essere considerata necessaria per la realizzazione dell’obiettivo perseguito, nel senso che non esistono misure alternative meno restrittive e idonee a conseguirlo.

     80.
     A tale riguardo, la DOP «prosciutto di Parma» non sarebbe tutelata in modo comparabile da un obbligo, imposto agli operatori stabiliti al di fuori della zona di produzione, di informare i consumatori, mediante un’adeguata etichettatura, del fatto che l’affettamento e il confezionamento sono avvenuti al di fuori di tale zona. Infatti, un pregiudizio alla qualità o all’autenticità di un prosciutto affettato e confezionato al di fuori della zona di produzione, dovuto al realizzarsi dei rischi connessi alle operazioni di affettamento e di confezionamento, potrebbe nuocere alla reputazione di tutto il prosciutto smerciato con la DOP «prosciutto di Parma», compreso quello affettato e confezionato nella zona di produzione sotto il controllo della collettività beneficiaria della DOP (v., nello stesso senso, sentenza Belgio/Spagna, cit., punti 76 e 77).

     81.
     Occorre quindi concludere che il fatto di subordinare l’uso della DOP «prosciutto di Parma» per il prosciutto commercializzato a fette alla condizione che le operazioni di affettamento e di confezionamento siano effettuate nella zona di produzione può essere considerata giustificata e, pertanto, compatibile con l’art. 29 CE.

Sull’opponibilità agli operatori economici della condizione di affettamento e di confezionamento nella zona di produzione
Osservazioni presentate alla Corte

     82.
     Il Consorzio e il Salumificio ritengono che la condizione di affettamento e di confezionamento nella zona di produzione, prevista dal disciplinare della DOP «prosciutto di Parma», possa essere fatta valere dinanzi ai giudici nazionali. A loro parere, un operatore potrebbe far valere la sua ignoranza di questa condizione derivante da atti e disposizioni ai quali non ha accesso solo nel caso in cui fosse richiesta nei suoi confronti l’applicazione di una sanzione. Analogamente al governo italiano, essi ritengono che l’operatore non può per contro far valere la sua ignoranza della condizione allorché, come nella causa principale, gli è richiesto solo di porre fine, per il futuro, alla vendita di prosciutto di Parma affettato e confezionato al di fuori della zona di produzione. Essi aggiungono che, in ogni caso, la Asda e la Hygrade non hanno incontrato alcuna difficoltà nella causa principale per ottenere e utilizzare liberamente e legittimamente tutte le informazioni e tutti i documenti necessari, in particolare una versione in lingua inglese del disciplinare, disponibile dal 1997.

     83.
     Il governo francese sostiene che, in applicazione dell’art. 249 CE, ogni soggetto può far valere direttamente un regolamento comunitario dinanzi a un giudice nazionale nell’ambito di un procedimento civile.

     84.
     La Commissione afferma che la mancata pubblicazione del disciplinare risulta dalla struttura del regolamento n. 2081/92 e dalla procedura di registrazione specifica attuata. A suo parere, la questione pregiudiziale posta tocca l’essenza stessa della normativa e mette in discussione tutta la procedura di registrazione prevista dal regolamento n. 2081/92. La mancata pubblicazione del disciplinare deriverebbe da una scelta deliberata del legislatore comunitario nell’ambito della procedura semplificata. Questa procedura avrebbe raggruppato tutte le denominazioni già protette dalle normative nazionali. Le denominazioni registrate nell’ambito della sua applicazione sarebbero state già ben conosciute non solo dal pubblico, ma, verosimilmente, anche dagli operatori economici, che fossero importatori, distributori o venditori al dettaglio. Si dovrebbe anche supporre che questi operatori commercializzavano i prodotti di cui trattasi prima della registrazione della DOP. L’intento perseguito dal legislatore comunitario sarebbe stato unicamente quello di concedere alle denominazioni già protette a livello nazionale il beneficio della protezione comunitaria dopo la verifica, da parte della Commissione, della loro conformità con i termini e le condizioni degli artt. 2 e 4 del regolamento n. 2081/92.

     85.
     La Asda e la Hygrade sostengono che un provvedimento non pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee non può essere attuato nei confronti di un singolo allorché, come nella causa principale, quest’ultimo non è legittimato ad ottenere una copia di questo provvedimento, che sia nella sua lingua o in un’altra lingua. Nonostante il principio dell’efficacia diretta dei regolamenti, previsto all’art. 249 CE, un provvedimento comunitario potrebbe far sorgere diritti individuali solo se è sufficientemente chiaro, preciso e incondizionato. La portata e l’efficacia di una normativa comunitaria dovrebbero essere chiare e prevedibili dai singoli, sotto pena di violazione del principio di certezza del diritto e di quello di trasparenza. Le norme adottate dovrebbero consentire agli interessati di conoscere con precisione la portata degli obblighi che ad essi incombono. La mancata pubblicazione di un atto osterebbe a che obblighi stabiliti da questo atto siano imposti a un singolo. Inoltre, un obbligo imposto dal diritto comunitario dovrebbe essere facilmente accessibile nella lingua dello Stato membro dove deve essere applicato. In mancanza di una traduzione ufficiale, un provvedimento comunitario non potrebbe far venir meno i diritti di singoli sia nell’ambito di procedimenti civili sia in quello di procedimenti penali. Se il Consorzio fosse autorizzato a far rispettare, dinanzi a un giudice nazionale, un disciplinare non pubblicato, i principi di certezza del diritto e di trasparenza sarebbero violati. Di conseguenza, le disposizioni relative a questo disciplinare non potrebbero avere efficacia diretta.

     86.
     Il governo del Regno Unito rileva che il regolamento n. 1107/96 indica solo che la denominazione «prosciutto di Parma» è una DOP. Nulla in questa DOP indicherebbe che un operatore che ha acquistato prosciutto di Parma non possa affettarlo e confezionarlo ai fini della sua vendita al consumatore. Nulla nella natura delle operazioni attirerebbe l’attenzione dell’operatore sul fatto che la DOP «prosciutto di Parma» non può essere utilizzata per le fette tagliate al di fuori della zona di produzione da un prosciutto che recava legittimamente la DOP. Qualsiasi divieto di utilizzare la DOP «prosciutto di Parma» dovrebbe essere trasparente e facilmente accessibile. I principi di trasparenza e di accessibilità verrebbero rispettati solo se la restrizione può facilmente essere determinata sulla base di pubblicazioni ufficiali della Comunità.

Giudizio della Corte

     87.
     Occorre ricordare che, in applicazione dell’art. 249, secondo comma, CE, il regolamento, atto di portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

     88.
     A tale titolo, esso contiene non solo diritti, ma anche obblighi di cui i singoli possono esigere il rispetto da parte di altri singoli agendo dinanzi ai giudici nazionali.

     89.
     Tuttavia, l’imperativo della certezza del diritto richiede che una normativa comunitaria consenta agli interessati di riconoscere con esattezza l’estensione degli obblighi ch’essa impone loro (v. sentenza 1° ottobre 1998, causa C-209/96, Regno Unito/Commissione).

     90.
     Il regolamento n. 2081/92 enuncia, nel dodicesimo ‘considerando’, che per usufruire della protezione in ciascuno degli Stati membri, le denominazioni d’origine devono essere registrate a livello comunitario e che l’iscrizione in un registro consente altresì di garantire l’informazione degli operatori del settore e dei consumatori.

     91.
     Tuttavia, esso non prevede la pubblicazione del disciplinare o di elementi di quest’ultimo nell’ambito della procedura semplificata.

     92.
     Il regolamento n. 1107/96 si limita a prevedere che la denominazione «prosciutto di Parma» è registrata in quanto DOP ai sensi dell’art. 17 del regolamento n. 2081/92.

     93.
     In quanto opera questa registrazione, esso sancisce a livello comunitario le condizioni enunciate o cui si fa riferimento nel disciplinare e, in particolare, quella che impone la realizzazione delle operazioni di affettamento e di confezionamento nella zona di produzione. Questa condizione comporta per i terzi un obbligo di non fare, che può essere sanzionato civilmente, e perfino penalmente.

     94.
     Ora, come hanno ammesso nel corso del procedimento tutti gli intervenienti che si sono espressi al riguardo, la tutela conferita da una DOP non si estende di solito ad operazioni quali l’affettamento e il confezionamento del prodotto. Queste operazioni sono vietate ai terzi al di fuori della zona di produzione solo se una condizione in tal senso è prevista espressamente nel disciplinare.

     95.
     In tale contesto, il principio di certezza del diritto richiedeva che la condizione di cui trattasi fosse portata a conoscenza dei terzi mediante una pubblicità adeguata nella normativa comunitaria, pubblicità che avrebbe potuto essere realizzata mediante la menzione di questa condizione nel regolamento n. 1107/96.

     96.
     Non essendo stata portata a conoscenza dei terzi, la detta condizione non può essere fatta valere nei loro confronti dinanzi a un giudice nazionale, che sia ai fini di una sanzione penale o nell’ambito di un procedimento civile.

     97.
     Non si può utilmente sostenere che la pubblicazione delle condizioni contenute nel disciplinare non fosse necessaria nell’ambito della procedura semplificata di cui all’art. 17 del regolamento n. 2081/92, per il fatto che le denominazioni registrate erano già ben conosciute dal pubblico e dagli operatori economici e l’intento perseguito dal legislatore comunitario era unicamente quello di estendere a livello comunitario una protezione già esistente a livello nazionale.

     98.
     Infatti, prima dell’adozione del regolamento n. 2081/92, le denominazioni di origine erano protette da disposizioni nazionali pubblicate e applicabili, in via di principio, sul solo territorio dello Stato membro che le aveva adottate, con riserva di convenzioni internazionali che estendevano la protezione al territorio di altri Stati membri, di comune accordo tra i contraenti. Ora, con quest’ultima riserva, non si può presumere che, in conseguenza di una tale situazione, le condizioni relative alle dette denominazioni di origine fossero necessariamente conosciute dal pubblico e dagli operatori economici di tutta la Comunità, ivi comprese quelle relative all’esatta estensione della protezione, determinata da disciplinari e da disposizioni nazionali di contenuto tecnico, redatte nella lingua nazionale dello Stato membro interessato.

     99.
     Occorre quindi concludere che la condizione di affettamento e di confezionamento del prodotto nella zona di produzione non è opponibile agli operatori economici, se non è stata portata a loro conoscenza mediante una pubblicità adeguata nella normativa comunitaria.

(Omissis)
Per questi motivi,

LA CORTE,

pronunciandosi sulla questione sottopostale dalla House of Lords con ordinanza 8 febbraio 2001, dichiara:
     1) Il regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, modificato dall’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei Trattati sui quali si fonda l’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che non si oppone a che l’uso di una denominazione di origine protetta sia subordinato a una condizione di realizzazione, nella zona di produzione, di operazioni quali l’affettamento e il confezionamento del prodotto, qualora una tale condizione sia prevista nel disciplinare.
     2) Il fatto di subordinare l’uso della denominazione di origine protetta «prosciutto di Parma» per il prosciutto commercializzato a fette alla condizione che le operazioni di affettamento e di confezionamento siano effettuate nella zona di produzione costituisce una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’esportazione ai sensi dell’art. 29 CE, ma può essere considerato giustificato e quindi compatibile con quest’ultima disposizione.
     3) Tuttavia, la condizione di cui trattasi non è opponibile agli operatori economici, se non è stata portata a loro conoscenza mediante una pubblicità adeguata nella normativa comunitaria.

 

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