il diritto commerciale d’oggi
    II.6 – giugno 2003

STUDÎ E COMMENTI

 

GABRIELE RACUGNO

Le modificazioni del capitale sociale nella nuova s.r.l.  *

 

 


     Sommario: 1. L’aumento delegato. 1.1. Premessa. 1.2. La decisione dei soci. 1.3. Delega agli amministratori. 1.4. La previa integrale acquisizione del capitale precedente. – 2. Aumento di capitale mediante nuovi conferimenti. 2.1. L’aumento effettivo del capitale. 2.2. Diritto di opzione e possibile esclusione. 2.3. L’eventuale sopraprezzo. 2.4. Termine per l’opzione. 2.5. Partecipazioni inoptate. 2.6. Cessione dell’opzione. 2.7. Diritto di recesso. 2.8. Pubblicità dell’eseguito aumento. – 3. Passaggio di riserve a capitale. 3.1 L’aumento nominale. – 4. La riduzione del capitale sociale. 4.1. La riduzione del capitale effettivo. 4.2. Il ruolo dei creditori. 4.3. Le modalità di riduzione del capitale effettivo. – 5. La riduzione del capitale per perdite. 5.1. La fattispecie. 5.2. Regole procedimentali. 5.3. Il ruolo dell’assemblea. 5.4. Le competenze degli amministratori. – 6. La riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. 6.1. La fattispecie. 6.2. Norme e principi applicabili. – 7. La riduzione del capitale per perdite e diritti dei soci. 7.1. Effetti della riduzione del capitale sulle quote sociali.

     

1.1. L’AUMENTO DELEGATO

     1.1. Premessa. La normativa sulle modificazioni del capitale sociale nella s.r.l. recepisce il disposto della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, che, all’art. 3, lett. a), stabilisce, in linea generale, la previsione da parte dei decreti delegati di «un autonomo ed organico complesso di norme». Anche l’articolata materia delle operazioni sul capitale trova così una disciplina completa nella sede sua propria della società a responsabilità limitata (1), alla quale vengono dedicati ben sette articoli, dal 2481 al 2482-quater (2).
     L’ormai abrogata legislazione, risalente all’entrata in vigore del codice civile del 1942, aveva concentrato la regolamentazione delle modifiche del capitale sociale in due stringate norme: l’art. 2495 (aumento del capitale) e l’art. 2496 (riduzione del capitale). La sinteticità di queste disposizioni aveva la sua giustificazione nella tecnica adottata, in via generale, dal legislatore del 1942 nel disciplinare la s.r.l., mediante cioè un continuo rinvio (3) alle norme sulla società per azioni.
     I vantaggi della riforma (4) sono significativi. Vengono meno quelle incertezze interpretative legate alla discontinuità e incompletezza con cui le disposizioni sulla società per azioni venivano richiamate in sede di s.r.l. L’alternarsi di richiami e di silenzi aveva ingenerato una serie di dubbi e talvolta di ardite interpretazioni che, almeno sotto questo profilo, i nuovi testi normativi dovrebbero aver fugato.
     Nella materia delle operazioni sul capitale, peraltro, l’«arretramento» delle norme cogenti e l’ampliamento della sfera dell’autonomia contrattuale (5) nella regolamentazione degli assetti societari, che caratterizza la nuova s.r.l. (6) e la emancipa dal modello azionario, subisce una pacifica limitazione, essendo la relativa disciplina affidata a norme generali tendenzialmente imperative e inderogabili che coniugano la tutela del patrimonio con le correlate garanzie dei soci di minoranza, dei creditori (7) e dei terzi in genere (8): qui «rimane impossibile ogni personalizzazione della s.r.l.» e viene mantenuta «una adeguata protezione delle esigenze di tutela dell’integrità patrimoniale della società» (9), in armonia con il principio contenuto nell’art. 3, 2° comma, lett. i) della legge delega n. 366/2001, secondo cui la riforma deve «prevedere norme inderogabili in materia di formazione e conservazione del capitale sociale», di guisa che le società possiedano un attivo costantemente in grado di coprire tutti i debiti, oltre quel surplus dell’attivo sul passivo costituito dal c.d. netto (10). E così la disciplina non si discosta sostanzialmente da quella della società per azioni a cui si ispira appunto in ordine ai rapporti con i terzi ed alla tutela dell’integrità del capitale sociale. «Nella riforma – è stato osservato (11) – occorre, perciò, essere cauti e rigorosi per evitare il pericolo che la deregulation sia eccessiva».

     1.2. La decisione dei soci. La competenza all’assunzione delle decisioni in ordine all’aumento di capitale (12) è, di regola, dei soci, i quali, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, decidono con il voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale: le decisioni devono essere assunte mediante deliberazione assembleare (13).
     La s.r.l., che pure costituisce un modello di frontiera fra le società di persone e la società per azioni (14), e come tale non esige necessariamente nell’assunzione delle decisioni dei soci il metodo c.d. collegiale (15) – che presuppone un’organizzazione (assemblea) per la formazione della volontà del gruppo dei soci – è caratterizzata in questa materia da una disciplina cogente. Non è sufficiente cioè che intorno alla proposta di aumento del capitale sociale si raccolgano anche separatamente i consensi di tanti soci quanti sono sufficienti a formare la maggioranza, ma è necessaria una riunione previamente convocata (art. 2479-bis, 1° comma).
     Il 4° comma dell’art. 2479 stabilisce che la materia indicata nel numero 4 di detta norma, vale a dire per le modificazioni dell’atto costitutivo – fra cui rientra appunto l’aumento di capitale – le decisioni dei soci debbono essere adottate mediante deliberazione assembleare.
     L’art. 2480 richiama quindi l’art. 2436 che riserva al notaio (16) la verbalizzazione delle modifiche dello statuto. Non solo applicazione del metodo collegiale senza possibilità di formazione non simultanea della volontà dei soci, ma anche verbalizzazione dei deliberati da parte di notaio in relazione al controllo documentale esercitato dal registro delle imprese.
     La regola rileva non tanto perché innovativa, in quanto ricalca la pregressa disciplina in materia, ma siccome cogente rispetto alla liberalità con cui le nuove norme disciplinano le modalità di assunzione delle decisioni dei soci (art. 2479, 3° comma).
     In applicazione del principio generale di cui al penultimo comma dell’art. 2436 la deliberazione di aumento del capitale non produce effetti se non dopo l’iscrizione (17).

     1.3. Delega agli amministratori. Innovando radicalmente rispetto al passato le nuove norme disciplinano ex professo la materia, stabilendo che l’atto costitutivo – e le successive modifiche dello stesso – possono attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale.
     La Relazione ministeriale (n. 1019) al codice civile del 1942 escludeva, come è noto, la facoltà di delegare agli amministratori le deliberazioni di aumento di capitale, in considerazione – si leggeva nella Relazione – del più intimo contatto fra i vari organi e la più diretta partecipazione dei soci alla società. Ed in tal senso la dottrina maggioritaria (18) concludeva per l’inammissibilità dell’applicazione analogica dell’art. 2443, dettato in tema di società per azioni, alla società a responsabilità limitata.
     Il divieto, ormai superato, trovava ragione nell’assenza nella società a responsabilità limitata di quelle esigenze di pronta rispondenza alla domanda di sottoscrizione di nuove partecipazioni da parte del mercato che caratterizza la sola società per azioni.
     A dire il vero il divieto di rivolgersi al mercato del capitale di rischio, sollecitando l’investimento in quote di capitale [art. 3, 2° comma, lett. g), legge 3 ottobre 2001, n. 366 e nuovo art. 2468 (19)], è presente, ed anzi ribadito, nei decreti delegati.
     Nondimeno in applicazione delle nuove regole tendenti a valorizzare sia l’autonomia statutaria che la libertà di forme organizzative – con il limite del rispetto del principio di certezza nei rapporti con i terzi (20) – viene data ampia possibilità, seppure mediante necessaria previsione statutaria, di ricorso all’istituto della delega all’aumento di capitale, ancorché la raccolta del capitale di rischio possa nella s.r.l. essere rivolta unicamente a quello nominato e non già a quello anonimo, essendo del tutto precluso il ricorso al mercato: il reclutamento della compagine sociale è in funzione di trattative private (21).
     L’innovazione rileva non soltanto sotto il profilo dell’an, cioè dell’ammissibilità della delega, ma anche in relazione al quantum: i limiti e le modalità di esercizio della delega sono rimessi, in coerenza con lo spirito liberale della riforma, all’autonomia statutaria (22). La delega non ha necessariamente un tetto temporale e quantitativo (23), come è previsto dall’art. 2443, e potrà determinare i limiti e le modalità di esercizio: vale a dire l’ambito temporale per l’adozione della delibera da parte degli amministratori, l’ammontare massimo e le modalità operative dell’esercizio della delega.
     L’ampia formula della novella autorizza a ritenere ricompreso nella delega anche l’aumento gratuito (24), considerato che secondo l’art. 2481-terè la «società», e non necessariamente l’assemblea, che può aumentare il capitale (25).
     Parimenti a quanto previsto dal 3° comma dell’art. 2443, il verbale della deliberazione degli amministratori – da assumersi in sede consiliare e con il rispetto delle regole di collegialità (art. 2475 ult. comma) – di aumento del capitale deve essere redatto da notaio e depositato e iscritto nel registro delle imprese a norma dell’art. 2436: dalla iscrizione la delibera produce, come di regola, i suoi effetti.
     Nel rispetto del principio di certezza nei rapporti con i terzi [art. 3, 1° comma, lett. c), legge 3 ottobre 2001, n. 366] all’istituto della delega si accompagna l’applicazione dell’ultimo comma dell’art. 2475-bis, che rende inopponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società, le limitazioni al potere di rappresentanza che risultano dall’atto costitutivo, ancorché pubblicate.

     1.4. La previa integrale acquisizione del capitale precedente. L’ultimo comma dell’art. 2481 stabilisce che la decisione di aumentare il capitale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti (26).
     La ratio della norma è evidente: la richiesta di nuovi mezzi finanziari presuppone l’utilizzo di tutti quelli disponibili, costituiti dai conferimenti in denaro non ancora versati. Il principio, già contenuto in sede di disciplina delle società per azioni (art. 2438), era espressamente richiamato dalle regole sull’aumento del capitale contenute nel previgente art. 2495.
     La deliberazione di aumento può essere assunta antecedentemente all’integrale pagamento delle quote, ma non può essere eseguita.
     Il completo pagamento delle quote precedentemente sottoscritte deve essere non soltanto richiesto dagli amministratori, ma anche effettivamente effettuato prima della sottoscrizione dell’aumento: la delibera di aumento deve essere cioè articolata «in modo che la liberazione delle quote, ancorché segua la delibera stessa, tuttavia preceda l’integrale sottoscrizione delle quote» (27).
     La necessità della previa integrale esecuzione dei conferimenti precedentemente dovuti comporta necessariamente che anche un solo inadempimento è sufficiente per impedire l’attuazione della decisione di aumento, almeno fino a quando non sia esaurito il procedimento previsto dall’art. 2466 per la mancata esecuzione dei conferimenti.
     Considerato peraltro che per la disposizione in esame è irrilevante il soggetto che esegua i conferimenti dovuti, questi potrebbero essere eseguiti – in forza del generale principio che nel nostro ordinamento legittima l’adempimento del terzo (art. 1180) – anche da un soggetto diverso dal socio moroso, il quale abbia interesse all’attuazione della decisione di aumento del capitale sociale.
     Trattandosi di una norma (28) che tutela i terzi in ordine alla percezione di una corretta ed immediata rappresentazione dei mezzi propri della società – norma la cui violazione era accompagnata da una sanzione penale (art. 2630, 1° comma, n. 1) – non ne è da ritenersi ammissibile la deroga. La violazione della disposizione in esame determina, per analogia, l’applicazione del 2° comma dell’art. 2438.

2. AUMENTO DI CAPITALE MEDIANTE NUOVI CONFERIMENTI

     2.1. L’aumento effettivo del capitale. L’art. 2481-bis disciplina l’aumento di capitale mediante il conferimento di nuove attività (aumento c.d. reale) (29), che si contrappone all’aumento mediante operazioni contabili relative a valori già nella disponibilità della società (aumento c.d. nominale) di cui al successivo art. 2481-ter.
     Rinviando ai paragrafi successivi la disciplina del diritto di opzione e quella del recesso connesso all’aumento di capitale a pagamento, troviamo nella disposizione in esame alcuni principi già propri della pregressa disciplina della s.r.l.
     In particolare:
• se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, i conferimenti devono farsi in danaro (art. 2464, 3° comma);
• i sottoscrittori dell’aumento di capitale devono, all’atto della sottoscrizione, versare alla società almeno il venticinque per cento (30) della parte di capitale sottoscritta e, se previsto, l’intero sopraprezzo (31): il versamento va fatto a mani degli amministratori e non presso una banca come in sede di costituzione (art. 2464, 4° comma);
• analogamente a quanto previsto all’atto della costituzione della società il conferimento può essere sostituito dalla stipula, per un importo corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria (32) secondo quanto dispone il 4° comma dell’art. 2464;
• le medesime regole che consentono, in sede di costituzione, apporti costituiti da prestazione d’opera o di servizi a favore della società (art. 2464, 6° comma) trovano applicazione nell’aumento di capitale mediante nuovi conferimenti. A tali obblighi si accompagna la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui detti apporti debbono essere garantiti per l’intero valore ad essi assegnato;
• per i conferimenti di beni in natura o di crediti trova applicazione la già menzionata regola che ne impone l’integrale liberazione al momento della sottoscrizione (art. 2464, 5° comma), ferma l’osservanza delle disposizioni degli artt. 2254 e 2255, e, per analogia, del 1° comma dell’art. 2465 che ne richiede la stima mediante relazione giurata di un esperto;
• se l’aumento di capitale è sottoscritto dall’unico socio (art. 2481-bis, 5° comma), il conferimento in danaro deve essere integralmente versato all’atto della sottoscrizione (33).
    Trova espressa disciplina la regola della inscindibilità della delibera di aumento.
    È noto il dibattito (34) che aveva caratterizzato la materia in tema di società per azioni prima che l’art. 20 del d.p.r. 10 febbraio 1986, n. 30, novellasse l’art. 2439 (richiamato dal previgente art. 2495), secondo cui, appunto, l’aumento del capitale costituisce un’operazione inscindibile nell’interesse della società, a meno che nella deliberazione non sia diversamente disposto.
    In questo senso il nuovo art. 2481-bis opta espressamente, al 3° comma, per l’inscindibilità dell’operazione, per cui il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto nell’ipotesi in cui la deliberazione lo abbia previsto: in caso contrario la delibera, in quanto contenente un’offerta contrattuale di sottoscrizione sotto la condizione dell’intera copertura della somma, non vincola la società se non quando la condizione si sia verificata (35).
    Ove la delibera di aumento di capitale non abbia previsto la possibilità di aumento parziale, deve ritenersi che alla società non sia consentito, mediante una successiva assemblea straordinaria, deliberare la conservazione dell’aumento nella misura ridotta raggiunta. La formulazione della norma che deroga alla regola della inscindibilità nella sola ipotesi in cui la deliberazione medesima lo abbia espressamente consentito, induce a ritenere che la via dell’aumento parziale sia possibile soltanto con una nuova delibera che disciplini in toto l’operazione in termini differenti.
    Sulla base della originaria delibera, a cui non abbia fatto seguito l’integrale sottoscrizione del capitale nel termine stabilito dalla decisione di aumento, i sottoscrittori debbono pertanto ritenersi liberati.

    2.2. Diritto di opzione e possibile esclusione. Il c. d. diritto di opzione, denominato in sede di s.r.l.“diritto di sottoscrizione”, ha la funzione di tutelare l’interesse dei soci a conservare la misura dell’originaria partecipazione al capitale sociale, riconoscendo agli stessi il diritto di sottoscrivere l’aumento in proporzione delle partecipazioni da essi possedute. La nuova disciplina del diritto di opzione prevista dall’art. 2481-bis – si legge nella Relazione al decreto legislativo (§ 8) – «tende ad assicurare anche in questo caso il carattere personalistico della società» (36). Trattasi di diritto che, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo, può essere soppresso unicamente con il consenso del suo titolare (37).
    Il testo normativo, da un lato, peraltro nulla dice in ordine all’esclusione del diritto di opzione (38) per l’ipotesi in cui l’aumento di capitale debba essere liberato mediante conferimenti in natura, dall’altro, lascia ampia libertà all’autonomia statutaria, con apposita previsione dell’atto costitutivo, che la maggioranza dei soci esclude il diritto di opzione con offerta a terzi delle quote di nuova emissione.
    Per quanto concerne il primo profilo, cioè l’ipotesi di sottoscrizione dell’aumento mediante conferimenti in natura (39), non può che trovare applicazione, in via analogica, il principio dettato in tema di società per azioni dal 4° comma dell’art. 2441, secondo cui «il diritto di opzione non spetta per le azioni di nuova emissione che, secondo la deliberazione di aumento del capitale, devono essere liberate mediante conferimenti in natura».
    È in re ipsa che soltanto il soggetto che dispone del bene conferendo possa sottoscrivere l’aumento di capitale posto a servizio dell’acquisizione del bene medesimo. La decisione di aumento di capitale mediante conferimenti in natura o di crediti) determinerà così, di per sé, l’esclusione del diritto di opzione, a cui si accompagna il diritto di recesso per i soci che non hanno consentito alla decisione.
    Per quanto attiene all’esclusione in favore di terzi, la seconda parte del 2° comma dell’art. 2481-bis statuisce che possa essere deliberata solo ove prevista dall’atto costitutivo, con connessa applicazione del diritto di recesso per i soci dissenzienti (40).
    Può ricordarsi in proposito come il previgente sistema normativo – pur presentando forti incertezze interpretative (41) a causa del mancato raccordo tra l’art. 2495, che disciplinava l’aumento di capitale nella s.r.l. richiamando peraltro il solo primo comma dell’art. 2441, e la nuova dizione del medesimo art. 2441 introdotta con la novella del 7 giugno 1974, n. 316 –, escludeva o limitava, applicando in via analogica alla s.r.l. il 5° comma dell’art. 2441, il diritto di opzione soltanto in presenza di un prevalente interesse della società (42).
    Alla volontà della maggioranza del capitale sociale di escludere o limitare il diritto di opzione, doveva necessariamente accompagnarsi sia una clausola statutaria (43) in tal senso sia l’obiettiva presenza di un interesse della società.
    In attuazione dei principi fondamentali enunciati dal primo comma dell’art. 3 della legge delega (44), l’atto costitutivo – e quindi le relative successive modifiche – può prevedere «che l’aumento possa essere attuato anche mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi». L’interesse della società perde ogni rilevanza, o meglio coincide con quello dei soci.
    Affinché il diritto di opzione possa essere escluso o limitato a beneficio di terzi è necessaria dunque e sufficiente:
• la previsione statutaria (45);
• la delibera assembleare (46).
    Quindi, una volta che l’atto costitutivo preveda l’astratta possibilità di offerta a terzi, piuttosto che ai soci, delle quote di nuova emissione, è necessario, in concreto, che in tal senso si pronunzino i soci nella medesima assemblea che delibera l’aumento di capitale. Il necessario collegamento sistematico tra l’art. 2480 e l’art. 2481-bis induce a ritenere che la riserva del metodo assembleare prevista dalla prima di queste norme non possa non riferirsi a tutte le decisioni connesse e complementari alla decisione di aumento: decisione quindi da assumersi, anche sotto il profilo che qui interessa, cioè dell’esclusione o della limitazione del c. d. diritto di opzione, con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale (47). In questo caso spetta, come si è detto, ai soci che non hanno consentito alla decisione il diritto di recesso a norma dell’art. 2473 (48).
    La possibilità che l’atto costitutivo possa escludere o limitare il diritto di opzione soffre di un’unica eccezione (49).
    Dispone testualmente l’art. 2481-bis, al 1° comma, che la previsione in esame non può operare «per il caso di cui all’art. 2482-ter». È questa l’ipotesi di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, cioè al di sotto di diecimila euro (art. 2463, n. 4).
    La ratio della disposizione è evidente. Se ai vecchi soci fosse preclusa la possibilità di partecipare alla ricostituzione del capitale perduto, gli stessi verrebbero a perdere, a vantaggio dei terzi, la qualità di socio e quindi quei valori patrimoniali che per lo più si accompagnano al valore contabile della quota: in altri termini che si disperda, a danno dei soci, la plusvalenza del patrimonio rispetto al capitale. La norma, che come si vedrà in prosieguo, trova completamento e conferma nel successivo art. 2482-quater, intende impedire – si legge nella Relazione Vietti, § 8 – «prassi non commendevoli che la pratica ha a volte elaborato per ridurre sostanzialmente o addirittura eliminare la partecipazione della minoranza» (50).

    2.3. L’eventuale sopraprezzo. La flessibilità del modello organizzativo della s.r.l. trova decisiva conferma anche nella disciplina del sopraprezzo (51), che perde comunque obbligatorietà.
    Scompare ogni possibilità di applicazione analogica dell’art. 2441, che, in sede di società per azioni, sia in passato che nella disciplina ormai vigente, àncora la determinazione del prezzo di emissione delle azioni, nel caso di esclusione o limitazione del diritto di opzione, al valore del patrimonio netto della società (52). Più precisamente l’art. 2441 (53) stabiliva, seppure con riferimento alle ipotesi di esclusione o limitazione del diritto di opzione, che un’apposita relazione degli amministratori dovesse indicare i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione, con successivo parere di congruità da parte del collegio sindacale. Che questa fosse la regola anche per la s.r.l. era concetto pacifico (54).
    L’innovazione è radicale. Dall’esclusione o limitazione del diritto di opzione non discende automaticamente un collegamento tra prezzo di emissione delle nuove partecipazioni e patrimonio netto: la materia è rimessa all’autonomia della società, essendo una facoltà – e non già un obbligo – la previsione di un sopraprezzo (55), sia che il diritto di sottoscrizione venga riservato ai soci come pure ove l’aumento di capitale debba essere attuato mediante l’offerta delle quote di nuova emissione a terzi.
    In termini cogenti il 4° comma della norma in esame dispone unicamente che, in ogni caso, ove sia previsto un sopraprezzo questo debba essere versato nella sua integralità all’atto della sottoscrizione dell’aumento di capitale.
Il richiamo, operato dall’art. 2478-bis, alla disciplina del sopraprezzo dettata in sede di bilancio della società per azioni (art. 2431), comporta il vincolo delle somme percepite dalla società a tale titolo fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale.

    2.4. Termine per l’opzione. Come già in passato, anche la riforma non prevede particolari formalità (56) per la decorrenza dei termini per l’esercizio del diritto di opzione. Le modalità e i termini per l’esercizio del diritto di opzione decorrono dal momento in cui viene comunicato ai soci che l’aumento di capitale può essere sottoscritto (c. d. offerta di opzione).
    Il termine per l’esercizio del diritto opzione non può essere inferiore a trenta giorni (57). La decisione di aumento del capitale deve fissare il termine ultimo per la sottoscrizione dell’aumento (3° comma dell’art. 2481-bis). Per la comunicazione non viene richiesta alcuna forma: potrebbe essere sufficiente anche una comunicazione verbale, ancorché non pochi problemi potrebbero in tal caso derivare in punto di prova. La via maestra non può quindi che essere, in mancanza di possibili specifiche forme di comunicazione previste dall’atto costitutivo o anche dalla delibera di aumento di capitale, la comunicazione scritta che consenta alla società mittente di avere il relativo riscontro. In questo senso, oltre la tradizionale raccomandata con ricevuta di ritorno, potrebbe essere utilizzato sia il fax che l’e-mail, sempre, giova ripetere, che la società mittente sia in grado di avere conferma certa dell’avvenuta comunicazione (58).

    2.5. Partecipazioni inoptate. La possibilità di offrire le partecipazioni inoptate ad altri soci o a terzi presuppone una specifica decisione della società (art. 2481-bis, 2° comma, parte seconda) e non consegue naturalmente a quella di aumento di capitale (Relazione Vietti, § 8).
    Viene così accentuato il carattere personalistico della s.r.l. rispetto al passato. La dottrina, seppure non unanime, aveva, invero, ritenuto che «coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di sottoscrivere proporzionalmente le quote rimaste non optate (c. d. diritto di prelazione), dovendosi ritenere applicabile per analogia l’attuale disposto dell’art. 2440, terzo comma» (59).
    La decisione che parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci sia sottoscritta dagli altri soci o da terzi non può che competere, in via esclusiva, alla medesima assemblea che ha deliberato l’aumento di capitale, trattandosi di una decisione connessa e complementare a quest’ultima, escludendosi così la possibilità che una nuova assemblea si pronunzi in un secondo tempo sulla sorte delle partecipazioni inoptate, frantumando in tal modo l’unitarietà dell’operazione (60).

    2.6. Cessione dell’opzione. Come già in passato il legislatore nulla dice circa la cedibilità del diritto di opzione da parte del socio che non intenda esercitarlo.
    La cessione del diritto di opzione, come noto, è pacificamente ammessa nell’ambito della società per azioni, ed in tal senso la dottrina (61) è pervenuta a conclusioni affermative anche per la s.r.l.
    A conclusioni analoghe è agevole pervenire anche alla luce del nuovo testo normativo.
    La possibilità, peraltro, che viene offerta dalla riforma alla rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali fra gli stessi, nonché al rilievo dell’autonomia statutaria che lascia ampia possibilità ai soci di disciplinare la circolazione delle quote, apre una serie di problematiche per le ipotesi in cui gli statuti, pur contenendo un’articolata disciplina in ordine alle vicende circolatorie delle quote, nulla prevedano circa la cessione dell’opzione.
    Le considerazioni che in proposito possono svolgersi sono le seguenti.
    Ove non sussistano limiti al trasferimento delle partecipazioni, i titolari del diritto di opzione, che non intendono esercitarlo, avranno la possibilità di cederlo liberamente.
    Qualora lo statuto contenga clausole limitative alla trasferibilità delle partecipazioni, come previsto dal 2° comma dell’art. 2469, analoghi limiti accompagneranno la cedibilità del diritto di opzione.
    Le conclusioni a cui è pervenuta la dottrina che ha affrontato le problematiche sotto la vigenza della passata legislazione, possono essere qui ripetute: «la clausola di intrasferibilità della quota ha il fine di impedire che gli estranei entrino in società e che i soci mutino la misura della loro partecipazione con trasferimenti tra loro. Tale fine sarebbe frustrato se l’opzione fosse cedibile, sicché la clausola stessa deve essere interpretata o integrata nel senso che l’entrata di nuovi soci o il mutamento nella misura della partecipazione dei (già) soci sia ugualmente da escludere anche in conseguenza di un aumento di capitale» (62).
    Ove, naturalmente, l’intrasferibilità concerna unicamente i terzi, con libera cedibilità delle quote all’interno della compagine sociale, il diritto di opzione potrà liberamente essere ceduto da socio a socio.
    In presenza, infine, di clausole limitative della circolazione, e in assenza di espressa disciplina della cessione del diritto di opzione, varranno per il trasferimento di questo diritto le stesse regole che lo statuto riserva al trasferimento delle quote.
    La ratio della clausola di gradimento, come pure della clausola di prelazione, consiste nell’introdurre meccanismi di controllo sulla circolazione delle partecipazioni e sulle connesse modifiche della compagine sociale, siano queste relative a partecipazioni già in essere come pure a partecipazioni emittende in seguito all’aumento del capitale sociale.

    2.7. Diritto di recesso. È forse questo l’istituto più innovativo della nuova s.r.l. Il recesso – che l’abrogata legislazione conteneva, secondo l’interpretazione di gran lunga prevalente, unicamente in tre specifiche ipotesi previste dall’art. 2437 (63), richiamato dall’art. 2494 – riceve ora una disciplina generale all’art. 2473, al quale si rinvia.
    È necessario in questa sede rimarcare come la novella abbia non solo allargato i casi in cui il recesso è possibile, assimilando sostanzialmente la relativa disciplina a quella propria delle società di persone (art. 2285), ma, soprattutto, ha introdotto una tutela dei diritti patrimoniali del socio che recede sconosciuta alla pregressa normativa delle società di capitali (64).
    È noto che solo nelle società di persone la liquidazione della quota veniva effettuata in base alla situazione patrimoniale della società riferita al giorno in cui si verifica lo scioglimento (art. 2289, 2° comma): situazione patrimoniale intesa come bilancio straordinario redatto secondo valori correnti, cioè di stima, e non semplicemente contabili, che tiene conto sia delle operazioni in corso (art. 2289, 3° comma), sia dell’avviamento.
    Nelle società di capitali, e quindi anche nelle s.r.l., la liquidazione della partecipazione del socio receduto poteva essere effettuata unicamente secondo valori di bilancio, cioè valori contabili.
    La legge delega ha in proposito sovvertito regole e principi consolidati, stabilendo all’art. 4, 9° comma, lett. d), anche per la società per azioni, la possibilità sia di introdurre ulteriori fattispecie di recesso a tutela del socio dissenziente, sia di individuare criteri di calcolo del valore di rimborso adeguati alla tutela del recedente, seppure nel rispetto dell’integrità del capitale sociali e degli interessi dei creditori sociali, estromettendo così dal bilancio ogni funzione di valutazione del patrimonio sociale (65).
    Armonicamente, l’art. 3, 2° comma, lett. f), della legge 3 ottobre 2001, n. 366, in sede di delega per la riforma della s.r.l., ha aperto la strada per una più ampia autonomia nella previsione dei presupposti del diritto di recesso e della liquidazione della quota.
    E così in aggiunta alla fattispecie di cui al richiamato art. 2473, l’art. 2481-bis ha stabilito che ove l’atto costitutivo consenta l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione, in tal caso spetta ai soci, che non hanno consentito alla decisione, il diritto di recesso: la norma, non derogabile, tutela il socio «di fronte all’eventualità di veder modificato contro la propria volontà il suo ruolo nella società» (66).
    Il diritto di recesso, che trova quivi la sua fonte direttamente nella legge – e pertanto, analogamente a quanto previsto dal recesso codificato dall’ormai superato art. 2437, non può essere né per via statutaria né in forza della delibera di aumento del capitale reso più gravoso di quanto la legge stessa non stabilisca – consegue automaticamente alla decisione dei soci di attuare l’aumento di capitale mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi.
    Riprendendo quanto più sopra accennato è da ritenersi che il diritto di recesso in parola competa anche ove l’esclusione del diritto di opzione sia soltanto parziale, per l’ipotesi cioè che solo una parte delle quote di nuova emissione vengano offerte a terzi.
    Il recesso costituisce il contrappeso al diritto del socio di mantenere il rapporto con cui partecipa al capitale della società: di qui la possibilità di recedere per il socio dissenziente in ordine alla decisione della maggioranza di offrire, anche soltanto in parte, le quote di nuova emissione a terzi.

    2.8. Pubblicità dell’eseguito aumento. L’art. 2481-bis stabilisce, in chiusura, che «nei trenta giorni dall’avvenuta sottoscrizione gli amministratori devono depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese un’attestazione che l’aumento di capitale è stato eseguito».
    La norma non contiene, come disponeva e dispone l’ultimo comma dell’art. 2444, il divieto di menzione dell’aumento di capitale sociale negli atti della società fino a che l’aumento stesso non sia stato iscritto nel registro delle imprese. A dire il vero questa disposizione, dettata in sede di società per azioni, non era richiamata dalle norme sulla s.r.l., anche se poteva ritenersene pacifica l’applicazione in via analogica.
    Il principio secondo cui l’iscrizione dell’attestazione nel registro delle imprese deve precedere la menzione dell’aumento negli atti della società è da ritenersi comunque una regola ormai acquisita al sistema.
    Fin dall’entrata in vigore della c. d. legge Mancino (legge 12 agosto 1993, n. 10), che all’art. 1 ha modificato l’art. 2479, il legislatore ha valorizzato sotto ogni profilo il sistema pubblicitario del registro delle imprese, subordinando l’iscrizione nel libro dei soci dei trasferimenti delle quote all’esibizione dell’avvenuto deposito dell’atto di trasferimento nel registro delle imprese.
    Parimenti il nuovo art. 2470 ha ribadito che l’iscrizione nel libro dei soci ha luogo … verso esibizione del titolo da cui risultino … l’avvenuto deposito. Di qui l’agevole conclusione che fino a che l’attestazione dell’eseguito aumento non sia stata depositata per l’iscrizione nel registro delle imprese, l’aumento non possa essere menzionato negli atti della società (67).

3. PASSAGGIO DI RISERVE A CAPITALE

    3.1. L’aumento nominale. Risolvendo una problematica lasciata aperta dalla precedente legislazione, la riforma ha espressamente disciplinato il c. d. aumento di capitale gratuito, che da luogo cioè ad un incremento del valore nominale della partecipazione sociale di ciascun socio, in proporzione a quella già posseduta, senza alcuna ulteriore attribuzione patrimoniale da parte dei soci alla società.
    Il codice del 1942, pur disciplinando l’aumento del capitale mediante passaggio di riserve (68) in sede di società per azioni (art. 2442), non richiamava detta normativa con riferimento alla s.r.l. Anzi la Relazione al re, n. 1019, giustificava il mancato richiamo all’art. 2442 in quanto la norma «riflette le modalità di aumento proprie del capitale azionario». La dottrina, invero, aveva risolto positivamente il problema e nonostante il silenzio del legislatore non aveva avuto esitazioni a ritenere possibile il passaggio di riserve a capitale nella s.r.l.(69).
    Con la riforma ogni incertezza è venuta definitivamente meno.
    Considerato che nella società a responsabilità limitata è la quota che aumenta, non si farà luogo all’emissione di nuove partecipazioni: in questo senso, puntualmente , il 2° comma dell’art. 2481-ter precisa che in questo caso la quota di partecipazione di ciascun socio resta immutata. L’aumento del valore della quota determinerà l’aumento dei voti di ogni quota. «Tuttavia il rapporto fra la partecipazione di ciascun socio al capitale ed agli utili non subirà variazioni, essendo aumentato per tutti sia il numeratore (quota) sia il denominatore (capitale sociale)» (70).
    Il passaggio a capitale concerne quelle eccedenze che potrebbero, alternativamente, essere trattenute nel patrimonio sociale oppure essere distribuite ai soci come utile, che, per converso, vengono definitivamente trattenute dalla società con l’introduzione del vincolo di indisponibilità.
    La ratio dell’istituto è nota: l’aumento dell’espressione nominale delle quote determina un vincolo di indisponibilità, proprio del capitale, per le eccedenze presenti nel patrimonio della società, che si hanno ogni qual volta l’attivo è superiore al passivo + il capitale e la riserva legale.
    L’operazione trova sovente la sua origine in un’apposita richiesta da parte di banche e finanziatori in genere della società, che vedono così aumentare – con l’introduzione del vincolo di indisponibilità – le proprie garanzie.
    Infatti, mentre le eccedenze del patrimonio netto sul capitale possono di regola essere sempre distribuite ai soci mediante una semplice delibera assembleare, la riduzione del capitale, mediante rimborso ai soci, è sostanzialmente subordinata al consenso dei creditori (art. 2482, 2° comma).
    L’operazione, come si è detto, viene effettuata mediante l’imputazione a capitale della parte disponibile delle riserve e degli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili.
    Le riserve sono da intendersi le facoltative e le statutarie: l’utilizzo di queste ultime presuppone, naturalmente, la preventiva modifica dell’atto costitutivo che le prevede. Non può essere considerata disponibile la riserva legale (71).
    Gli «altri fondi» sono quelli che corrispondono «ad accantonamenti, riserve speciali, fondi rischi per esigenze specifiche, che possono essere liberati per il venir meno delle cause che ne hanno consigliato l’iscrizione nel passivo dello stato patrimoniale» (72).
    Rinviando agli studi specifici in materia, può qui ancora osservarsi che sono utilizzabili per l’aumento gratuito di capitale la speciale riserva che deve essere accantonata a fronte dei saldi attivi risultanti dalla rivalutazione monetaria dei beni indicati nell’art. 1 della legge 19 marzo 1993, n. 72 (c. d. Visentini bis), mentre è dubbio se siano utilizzabili per aumento gratuito di capitale le cc.dd. riserve tassate (73).

4. LA RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE

    4.1. La riduzione del capitale effettivo. Anche la passata legislazione consentiva ai soci di procedere volontariamente alla riduzione del capitale sociale. L’operazione (74), peraltro, presupponeva la sussistenza di un dato oggettivo: l’esuberanza del capitale per il conseguimento dell’oggetto sociale (75).
    La disciplina pregressa (art. 2496), che, come si è ormai più volte sottolineato, non prevedeva una disciplina completa della s.r.l., richiamando di volta in volta le disposizioni della società per azioni, rinviava, con riferimento all’ipotesi di riduzione del capitale effettivo o reale, all’art. 2445, rubricato «riduzione del capitale esuberante» (76).
La riduzione volontaria del capitale era dunque già in passato possibile, purché in presenza di una capitale eccessivo rispetto alle esigenze poste dal conseguimento dell’oggetto sociale. Ipotesi classica era in proposito quella in cui grazie all’autofinanziamento operato nel corso egli esercizi pregressi risultasse incongruo, perché troppo elevato, il rapporto tra mezzi propri e mezzi provenienti da terzi. Si discuteva, in particolare, se l’esuberanza dovesse valutarsi con riferimento all’oggetto statutario (77) o piuttosto tenendo conto dell’attività effettivamente svolta dalla società (78).
    Il giudizio sull’esuberanza era rimesso all’autorità giudiziaria (79) in sede di omologa della delibera, che necessitava quindi di una vera e propria motivazione.
    Tutto questo appartiene al passato.
    Nella nuova norma (art. 2482) la riduzione del capitale effettivo compete all’autonoma discrezionale decisione dei soci ed ha quale unico limite (80) il rispetto di quanto previsto dal numero 4 dell’art. 2463: il capitale sociale, così ridotto, non potrà essere inferiore a diecimila euro (81). La decisione non può aver luogo in presenza di perdite in analogia a quanto dispone il 5° comma dell’art. 2478-bis.
    La decisione dei soci di procedere alla riduzione, che rientra in quanto modifica dell’atto costitutivo nelle competenze dell’assemblea (art. 2480), è presa a norma del 3° comma dell’art. 2479-bis, cioè con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale: il verbale è redatto da notaio e trova applicazione l’art. 2436.
    La delibera, al pari di ogni altra modifica dell’atto costitutivo non è più – con l’entrata in vigore dell’art. 32, 2° comma, della legge 24 novembre 2000, n. 340 – soggetta ad omologa, ma unicamente ad iscrizione nel registro delle imprese (82).
    Secondo i primi commentatori è da escludersi che la riduzione in esame possa essere delegata agli amministratori ed è da ammettersi la riduzione anche in fase di liquidazione (83).

    4.2. Il ruolo dei creditori. L’art. 2482, al pari della previgente, cioè dell’art. 2445 richiamato dall’art. 2496, stabilisce che la deliberazione di riduzione può essere eseguita soltanto dopo tre mesi del giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione (84).
    L’interesse dei creditori è evidente: la riduzione del capitale può pregiudicare le loro possibilità di soddisfacimento, e, su questo punto, la riforma ha confermato, con impossibilità di personalizzazione della s.r.l., l’assoluta esigenza di tutela dei terzi, che costituisce il costo ineludibile della responsabilità limitata rispetto alle società di persone (85).
    Di qui la vacatio di tre mesi confermata anche dal nuovo dettato normativo. Durante questo arco di tempo, che decorre dell’iscrizione della delibera di riduzione nel registro delle imprese, qualunque creditore sociale, purché titolare di un credito sorto antecedentemente all’iscrizione, può fare opposizione. L’onere dell’opposizione può essere assolto soltanto per via giudiziaria (86): non è cioè sufficiente una qualsivoglia opposizione formulata con atto scritto, quale per esempio una raccomandata o un atto stragiudiziale, ma è necessario radicare un giudizio di cognizione davanti al tribunale competente: giudizio destinato a concludersi con sentenza.
    Il tribunale, stabilisce il 3° comma della norma in esame, può nondimeno, cioè nonostante l’opposizione, disporre che l’esecuzione della delibera di riduzione abbia luogo, ove, alternativamente:
    a) ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori,
    b) la società abbia prestato un’idonea garanzia.
    Quanto a quest’ultima è da ritenersi, conformemente a quanto rilevato (87) in relazione all’analoga pregressa disposizione (art. 2445, 4° comma), che la garanzia da parte della società debba essere prestata unicamente in favore del solo creditore che ha instaurato il giudizio di opposizione.
    Il tribunale nel giudicare l’opposizione non può peraltro non valutare la sufficienza del patrimonio rispetto alla somma dei debiti (88), che costituisce il presupposto necessario «per affermare l’eventuale pregiudizio del creditore opponente, supposto marginale, cioè ultimo ad essere pagato dalla società» (89). Ne discende che l’accoglimento dell’opposizione comporta un giudizio di pregiudizievolezza della riduzione per tutto il ceto creditorio. L’esecuzione della delibera di riduzione potrà parimenti aver luogo ove la sentenza accerti la mancanza di interesse ad agire del creditore opponente sia per insussistenza del credito come pure per congruità del capitale ridotto all’entità del credito dell’opponente (90).
    Dall’accoglimento dell’opposizione discende l’inefficacia generale (91) della deliberazione, inefficacia non limitata al solo opponente, non potendo la riduzione avere una portata relativa (92).

    4.3. Le modalità di riduzione del capitale effettivo. La riduzione del capitale – recita il 1° comma dell’art. 2482 – può avere luogo, alternativamente:
    a) mediante rimborso ai soci delle quote pagate,
    b) mediante liberazione dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti.
    La norma ricalca il vecchio art. 2445.
    Ove il conferimento in denaro sia stato sostituito da una garanzia (art. 2464, 4° comma), il rimborso verrà attuato con la liberazione per pari valore della garanzia prestata. Analogamente in ipotesi di garanzia relativa a prestazioni d’opera di servizi (art. 2364, 6° comma), non ancora eseguiti; se eseguiti il rimborso verrà effettuato per il corrispondente importo.
    A differenza della riduzione per perdite che si esaurisce in un’operazione contabile, come si dirà in appresso, la riduzione del capitale in esame da luogo ad una riduzione del patrimonio mediante effettivo rimborso (93) (in senso lato) ai soci, in proporzione all’ammontare delle quote (94).
    È da ritenersi, in conformità alla dottrina (95) ed alla giurisprudenza (96) che si sono pronunziati in relazione alla analoga pregressa disposizione, che il “rimborso” possa essere eseguito mediante la creazione di riserve disponibili, con conseguente possibilità di loro impiego in favore dei soci.
    La riduzione, come si è detto sub b), potrà anche avvenire mediante liberazione dei soci dai versamenti ancora dovuti. In ogni caso l’operazione di riduzione comporterà l’abbassamento del valore nominale delle quote.
    In conformità alle conclusioni a cui era giunta la più autorevole dottrina (97) sotto l’abrogata legislazione (con applicazione analogica dell’art. 2357-bis n. 1) può ancora affermarsi che la società a responsabilità limitata può procedere alla riduzione acquistando proprie quote. Né viene in tal modo violato l’art. 2474 (che ricalca il precedente art. 2483) (98) in quanto «non si tratta, in realtà, di acquisto, perché la volontà del socio non concorre a formare la vendita, ma di riscatto e conseguente scioglimento del rapporto sociale nei confronti del socio, al quale faranno quindi capo, per effetto dello scioglimento, il diritto al rimborso della quota al valore nominale e il diritto di partecipare, con la c. d. quota di godimento, alla eventuale eccedenza degli utili o in sede di liquidazione» (99).

5. LA RIDUZIONE DEL CAPITALE PER PERDITE

    5.1. La fattispecie. La disciplina sulla riduzione del capitale per perdite ricalca l’art. 2446 dettato in sede di società per azioni, ed origina dall’esigenza [art. 3, lett. a, l. n. 366/2001] di dotare la s.r.l. di «un autonomo ed organico complesso di norme»: in questo senso l’intervento riformatore «si risolve in una serie limitata di adattamenti tecnici» (Relazione Vietti, § 8).
    La fattispecie è costituita dalla riduzione del patrimonio netto della società (capitale reale) ad un valore inferiore, di oltre un terzo, rispetto a quello del capitale sociale nominale (100). Ratio della norma è mantenere l’attivo in un determinato rapporto con i debiti complessivi della società, di guisa che il capitale nominale trovi corrispondenza in altrettanti valori patrimoniali attivi. I dati di confronto sono rinvenibili, in primo luogo, dal bilancio di esercizio: l’art. 2424 indica infatti al “passivo” sia il capitale nominale A)I, sia il patrimonio netto A), di cui il capitale è parte.
    Il principale dato di riferimento è dunque il patrimonio netto (101), inteso come la differenza fra attività e passività, composto dal capitale sociale e dai diversi tipi di riserva, aumentato degli utili non distribuiti dei precedenti esercizi e di quelli in corso, e diminuito delle perdite portate a nuovo nei precedenti esercizi e di quelle dell’esercizio in corso: alla difesa del netto, che nella società svolge la funzione di criterio ordinatario (102), è rivolta l’intera operazione.
    La perdita inciderà così sul capitale soltanto una volta assorbite le riserve e le ulteriori quote positive del patrimonio netto: l’articolo in esame va letto, secondo un’interpretazione consolidata (103) relativamente al pregresso art. 2446, nel senso che le perdite debbono essere determinate al netto delle riserve (facoltative, statutarie e legali). La norma non trova pertanto applicazione se le perdite sono assorbite dalle riserve.
    Il riferimento al rapporto patrimonio-capitale presuppone, naturalmente, la predisposizione di un bilancio (104): è utilizzabile a tal fine sia quello annuale, ove recente, come pure uno apposito infrannuale (105).
    La concreta possibilità per gli amministratori della società di procedere «senza indugio» (106) alla convocazione dell’assemblea per gli opportuni provvedimenti è legata alla disponibilità da parte di questo organo di tempestive informazioni sulla situazione patrimoniale e reddituale della società. Le più moderne tecniche informatiche consentono oggi agli amministratori di disporre in tempo reale, pressoché quotidianamente, dei dati necessari – partendo da un bilancio di verifica integrato con le opportune scritture di assestamento e rettifica (107) – per l’accertamento del rispetto del limite di tolleranza di un eventuale squilibrio tra capitale sociale e patrimonio netto.
    Ne consegue che dall’obbligo gravante sugli amministratori di adottare i provvedimenti in esame in presenza di perdite qualificate del capitale – a cui si accompagna analogo obbligo in capo al collegio sindacale, ove previsto, in caso di omissione da parte dei primi – discende il dovere per entrambi di monitorare costantemente la situazione patrimoniale ed economica della società, procedendo alle opportune verifiche contabili.

    5.2. Regole procedimentali. Nella riduzione per perdite, a differenza della riduzione di cui all’art. 2482, il procedimento mira ad allineare il (maggior) valore del capitale nominale a quello (minore) effettivo del capitale reale (108). La società non può continuare a presentarsi ai terzi ed al mercato esibendo un capitale che, per effetto di perdite, si è ridotto di oltre un terzo.
    La norma disciplina l’ipotesi in cui il capitale, pur ridotto di oltre un terzo in conseguenza di perdite, sia pur sempre nei limiti del minimo legale, cioè di diecimila euro, trovando applicazione nella diversa ipotesi di riduzione del capitale al disotto del minimo legale il successivo art. 2482-ter.
    Prima incombenza degli amministratori (109) è la convocazione senza indugio dell’assemblea (110) dei soci, alla quale «deve essere sottoposta una relazione degli amministratori sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni nei casi previsti dall’art. 2477 del collegio sindacale o del revisore».
    È ormai pacifico che la situazione patrimoniale di cui alla norma in esame costituisca un vero e proprio bilancio straordinario (111), comprensivo sia dello stato patrimoniale che del conto economico, nonché della nota integrativa (112). I criteri di valutazione sono quelli del bilancio di esercizio. La straordinarietà sta nell’infrannualità, con la conseguenza che potrà essere utilizzato ai fini che qui rilevano l’ultimo bilancio di esercizio dal quale risulti la perdita, quando l’assemblea sia convocata ai sensi della norma in esame in data prossima (113) rispetto a quella che ha approvato il bilancio evidenziante la perdita.
    È discusso se ai fini del calcolo della perdita si debba tener conto del c. d. utile di periodo: la giurisprudenza più recente opta per la soluzione negativa trattandosi di utile contabile non utilizzabile per la distribuzione ai soci (114).
Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo (115) «copia della relazione e delle osservazioni deve essere depositata nella sede della società almeno otto giorni prima dell’assemblea, perché i soci possano prenderne visione».
    Il previgente art. 2496, che disciplinava la riduzione per perdite nella s.r.l., si limitava a rinviare alla disciplina in materia di società per azioni, che, come noto, all’art. 2446, non lasciava alcuno spazio all’autonomia statutaria in ordine alla tassatività del termine di otto giorni, come pure in punto di obbligatorietà del deposito della relazione e delle osservazioni nella sede sociale.
    La riforma, valorizzando l’autonomia statutaria, consente, da un lato, come è fin troppo ovvio, che il termine di otto giorni possa essere allungato, ma senz’altro anche abbreviato, specie se la riduzione sia associata a forme di comunicazione (116), e più in generale di pubblicità dei documenti contabili ed accompagnatori, che consentano ai soci di partecipare con cognizione di causa all’assemblea.

    5.3. Il ruolo dell’assemblea. Il 3° comma dell’art. 2482-bis esordisce col disporre che «nell’assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la relazione prevista nel precedente comma».
    Trattasi di una disposizione quanto mai opportuna che mancava nel vecchio art. 2446. La riforma consente ai soci di disporre di ogni utile aggiornato elemento sulla situazione della società. I fatti di rilievo possono, invero, assumere un ruolo decisivo nelle scelte dei soci: se positivi agevolando la possibilità di rinvio di ogni decisione alla chiusura dell’esercizio successivo (anno di grazia); se negativi evitando l’inutile procrastinarsi di una crisi economica verosimilmente irreversibile.
    I fatti di rilievo in parola evocano l’analoga regola contenuta nella normativa che disciplina la relazione sulla gestione da parte degli amministratori al bilancio di esercizio (art. 2428, n. 5), che appunto mira ad attualizzare le vicende della gestione tenendo conto dei fatti (di rilievo) successivi alla chiusura annuale.
    L’assemblea, che a questo punto dispone sia di una situazione patrimoniale della società, sia di ogni significativa recente notizia sull’andamento economico della gestione, è così chiamata ad adottare gli opportuni provvedimenti (art. 2482-bis, 1° comma), fra cui:
    – procedere all’immediata riduzione del capitale, adeguando la relativa cifra all’attuale valore in dipendenza della perdita;
    – eliminare la perdita con operazioni di ripianamento da parte dei soci (117);
    – procedere ad una riduzione solo parziale delle perdite (118);
    – limitarsi ad un semplice rinvio a nuovo delle perdite (119).
    Questa autonomia di scelte viene meno «se entro l’esercizio successivo (120) la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo» (art. 2482 bis, 4° comma).
    A questo punto ogni riduzione parziale è preclusa. L’assemblea che approva il bilancio (121) di tale esercizio «deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate».
    In mancanza gli amministratori e i sindaci o il revisore nominati ai sensi dell’art. 2477 devono richiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio (a conferma della necessità che la perdita venga eliminata nella sua interezza), in funzione di un corretto rapporto tra capitale e patrimonio.
    Il tribunale, anche su istanza di qualsiasi interessato (122) – senza più l’intervento del pubblico ministero – provvede mediante decreto che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori. Contro il decreto del tribunale è ammesso ricorso alla corte d’appello entro trenta giorni dall’iscrizione (123). Nel silenzio della legge circa i soggetti legittimati al reclamo, può senz’altro condividersi l’opinione prospettata in passato, intendendosi cioè legittimati coloro che avrebbero potuto promuovere la proceduta (amministratori e sindaci, non quindi i soci) (124).

    5.4. Le competenze degli amministratori. L’articolo in esame si chiude con un rinvio all’ultimo comma dell’art. 2446.
    Secondo questa disposizione «lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale di cui al precedente comma sia deliberata dal consiglio di amministrazione».
    Il gioco dei rinvii, che sembrava scomparso nelle varie bozze che hanno preceduto il presente decreto delegato, riaffiora, con tutti i connessi problemi di coordinamento.
    Funzione della norma è quella di consentire la devoluzione al consiglio di amministrazione (125) delle competenze dell’assemblea in ordine alla riduzione del capitale per perdite.
    Presupposti in tal senso sono una previsione ad hoc da parte dello statuto, o di una successiva modifica dello stesso, ovvero di una deliberazione assembleare adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria.
    Sotto quest’ultimo profilo sorgono i problemi, in quanto come si è visto, nella s.r.l. non è prevista una distinzione tra assemblee ordinarie e assemblee straordinarie. Deve quindi ritenersi che debbano trovare applicazione i quorum previsti per le modificazioni dell’atto costitutivo: cioè voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale (art. 2479-bis, 3° comma).
    Dal rinvio all’art. 2436, con cui si chiude la disposizione, discende infine la necessità che la decisione degli amministratori risulti da verbale redatto da notaio, a cui segue l’iscrizione del registro delle imprese.

6. LA RIDUZIONE DEL CAPITALE AL DISOTTO DEL MINIMO LEGALE

    6.1. La fattispecie. La situazione di stand-by che caratterizza l’art. 2482-bis, cioè l’ipotesi di riduzione del capitale di oltre terzo in conseguenza di perdite, con connesso temporeggiamento annuale, viene meno allorquando a causa di tali perdite il capitale, o meglio il patrimonio netto, si riduce al di sotto del minimo legale, cioè di diecimila euro: così l’art. 2483-ter che ricalca testualmente l’art. 2447, già richiamato dal previgente art. 2496, che disciplinava la riduzione del capitale per perdite nella società a responsabilità limitata.
    L’assemblea non ha più la scelta in ordine agli opportuni provvedimenti da adottare, essendo la strada, vincolativamente, segnata dal legislatore: deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore a diecimila euro (126). La società, i cui soci godono del beneficio della limitazione della responsabilità, non può continuare ad operare in presenza di perdite qualificate (127) che abbiano ridotto il capitale al disotto del minimo di legge. In mancanza la società di scioglie (art. 2484 n. 4), l’impresa, cioè, che si trova in tale situazione deve fermarsi, salvo che i soci ne deliberino la trasformazione (128) ad altro tipo (art. 2482-ter ult. comma) per il quale non è previsto un capitale minimo.

    6.2. Norme e principi applicabili. L’obbligo di convocazione dell’assemblea grava naturalmente sugli amministratori e, in difetto, sull’organo di controllo, ove costituito. Troveranno applicazione, pur non richiamate, le norme procedimentali dettate dall’art. 2482-bis sulla situazione patrimoniale e relativa relazione e deposito, ivi compreso il rendiconto sui fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione (art. 2482-bis, 3° comma): si tratta pur sempre di una perdita di oltre il terzo del capitale sociale (129).
    Analogamente a quanto ricordato a proposito dell’art. 2482-bis, anche in questa ipotesi è possibile il ripianamento diretto delle perdite mediante versamenti dei soci, senza modifiche statutarie (130).

7. LA RIDUZIONE DEL CAPITALE PER PERDITE E DIRITTI DEI SOCI

    7.1. Effetti della riduzione del capitale sulle quote sociali. L’art. 2482-quater ricalca sostanzialmente il previgente 3° comma dell’art. 2496, che già disponeva come la riduzione del capitale per perdite non incide sui diritti sociali secondo il valore originario delle rispettive quote, disancorando così le quote dal parametro dei relativi valori.
    Con formula più precisa la novella esclude, in tutti i casi di riduzione del capitale per perdite (131), sia ogni modificazione delle quote di partecipazione sia dei diritti dei soci: le perdite, incidendo proporzionalmente su tutti i soci, si spalmano cioè sull’intera base sociale (132), di guisa che ciascun socio conserva, in misura percentualmente ridotta, l’originario valore della quota di partecipazione (133), come pure i connessi diritti (134).
    Viene così rafforzato il principio – peraltro già contenuto nel vecchio testo – secondo cui le quote di partecipazione mantengono il loro valore originario. La portata della norma era ben chiarita dalla Relazione al re al codice del 1942: se «la riduzione distribuita sulle quote di partecipazione determina un valore di queste, che non è più di mille lire o multiplo di mille lire, è necessario riferirsi al valore nominale originario delle quote per l’esercizio di tutti i diritti del socio e specialmente per il calcolo dei voti nell’assemblea».

 

     * Relazione svolta al Seminario sul nuovo diritto societario organizzato dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, dall’Istituto di Diritto Privato della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma – La Sapienza, e dal Dipartimento di Teoria dello Stato della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma – La Sapienza (Roma 19 giugno 2003); destinata alla pubblicazione in “Rivista delle società”.

 

Note

     (1) V. BUONOCORE, La società a responsabilità limitata, in La riforma del diritto societario, a cura di A. Bassi, V. Buonocore, S. Pescatore, Giappichelli, Torino, 2003, p. 136 ss.; F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato Galgano, XXIX, Cedam, Padova, 2003, p. 473 ss.

     (2) Gli articoli citati nel corso del lavoro, privi di altra indicazione, si riferiscono al codice civile.

     (3) Cfr. G. SANTINI, Della società a responsabilità limitata, nel Comm. Scialoja-Branca, Foro. it.- Zanichelli, Bologna-Roma, 1992, p. 12 ss.

     (4) In argomento, cfr. G. ZANARONE, La società a responsabilità limitata nella riforma. Modelli legali e modelli statutari, in Verso un nuovo diritto societario, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 39 ss.; Id., Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 2003, p. 58 ss. Fra i numerosi e significativi contributi di questo autore va ricordata la monografia, seppure ormai risalente negli anni, Società a responsabilità limitata, in Trattato Galgano, VIII, Cedam, Padova, 1985, ove una ricostruzione in chiave tipologica della s.r.l. Sulla crisi, almeno per quanto concerne le sue applicazioni al diritto societario, del «metodo tipologico», v. M. S. SPOLIDORO, La società a responsabilità limitata (Le ragioni di una scelta), in Foro pad., 1991, II, c. 29 ss. Sulla riforma, per un’impostazione generale e senza pretese di completezza date le peculiarità di questo scritto, cfr. A. GAMBINO, Brevi note sul progetto di legge delega di riforma delle società di capitali non quotate, in Riv. dir. comm., 2000, I, p. 209 ss.; M. PERRINO, La nuova s.r.l. nella riforma delle società di capitali, in Riv. soc., 2002, p. 1118 ss.; V. DI CATALDO, La società a responsabilità limitata nel disegno di legge delega per la riforma del diritto societario, in La corporate governance nelle società non quotate, a cura di S. Rossi e G.M. Zamperetti, Giuffrè, Milano, 2001, p. 33 ss., nonché gli studi richiamati nel prosieguo del discorso.

     (5) Che, come è stato in più sedi sottolineato, rappresenta l’architrave dell’intera riforma del diritto delle società di capitali e, più in generale, dell’impresa. Di qui: «l’Italia deve diventare il Delaware dell’Europa», affermazione paradossale resa nelle discussioni della Commissione Mirone, riferita in P. MARCHETTI, in La corporate governance, cit., , p. 121. Sul ruolo dell’autonomia privata nel nuovo diritto societario, cfr. M. VIETTI (Presidente della Commissione di riforma del diritto societario), Le linee guida della riforma del diritto societario, in Società, 2003, p. 267 ss.; O. CAGNASSO, Ambiti e limiti dell’autonomia concessa ai soci della «nuova» società a responsabilità limitata, in Società, 2003, p. 368 ss.

     (6) Caratterizzata appunto da una più ampia autonomia statutaria in quanto tipo sociale funzionalmente preordinato alla “incorporazione” di realtà societarie “chiuse” (al mercato del capitale di rischio e del capitale di credito), in contrapposizione alle società “aperte”: cfr. P. MARCHETTI, L’autonomia statutaria nella società per azioni, in Riv. soc., 2000, p. 562 ss.; C. ANGELICI, Soci e minoranze nelle società non quotate, in La riforma delle società per azioni non quotate, a cura di M. Porzio, M. Rispoli Farina, G. Rotondo, Giuffrè, Milano, 2000, p. 36 ss.; M. STELLA RICHTER jr., Dalla riforma del diritto delle società quotate alla riforma del diritto delle società di capitali e ritorno, in Assogestioni, Quaderni di documentazione giuridica, n. 25, Roma, Bancaria Editrice, 2002, p. 16 ss. Sulla autonomia statutaria che «cresce man mano che ci si allontana dal mercato dei capitali, fino a diventare massima, sul piano organizzativo, e quasi illimitata, nella detipizzata nuova s.r.l.», cfr. L. ROVELLI, in Contratto e impresa, 2002, p. 826.

     (7) Sulla tutela dei creditori e sulle norme a tutela del capitale sociale, cfr. V. AFFERNI, La tutela dei soci e dei terzi nella nuova s.r.l., in “Progetto Mirone” e modelli organizzativi per la piccola e media impresa, a cura di V. Afferni e L. De Angelis, Giuffrè, Milano, 2001, p. 169 ss.

     (8) Compresi quanti interessati alle sorti della società, definiti genericamente stakeholders.

     (9) Così M. RESCIGNO, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto societario in tema di società a responsabilità limitata, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a cura di P. Benazzo, S. Patriarca, G. Presti, Giuffrè, 2003, p. 50 e p. 38.

     (10) Le cui poste sono quote ideali del capitale proprio: cfr. P. FERRO-LUZZI, Problemi vecchi e nuovi in tema di passivo, in A. Jorio (a cura di), Il progetto italiano di attuazione della IV direttiva Cee, Giuffrè, Milano, 1988, p. 124.

     (11) G. PRESTI, Osservazioni sulla riforma della s.r.l. nello schema di legge delega per la riforma del diritto societario, in Verso un nuovo diritto societario, cit., p. 67.

     (12) In argomento, fra i più recenti e completi studi antecedenti alla presente riforma, cfr. V. CALANDRA BUONAURA, L’aumento di capitale nella società a responsabilità limitata, in Studi in onore di Gastone Cottino, vol. II, Cedam, Padova, 1997, p. 1119 ss.

     (13) Art. 2480, che richiama l’art. 2479-bis (di cui cfr., in particolare, il 3° comma).

     (14) Cfr. P. BENAZZO, La s.r.l. nella riforma del diritto societario: società di capitali o società di persone?, in Verso un nuovo diritto societario, cit., p. 105 ss.; F. DI SABATO, La società a responsabilità limitata come tipo intermedio fra società di persone e società di capitali, in “Progetto Mirone” e modelli organizzativi, cit., p. 8 ss.

     (15) Il superamento del “dogma della collegialità” (su cui, da ultimo, Cass., 14 dicembre 1995, n. 12820, in Società, 1996, p. 776, e, in dottrina, G. GRIPPO, Deliberazioni e collegialità nella società per azioni, Giuffrè, Milano, 1979, p. 91 ss., sulle orme degli studi di F. Galgano) ha, come è noto, la sua origine nel Testo unico Draghi (d. lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998).

     (16) Sui nuovi ruoli del notaio in seguito all’entrata in vigore dell’art. 32 della legge 24 novembre 2000, n. 340, cfr. A. PACIELLO (a cura di), Il controllo notarile sugli atti societari, Giuffrè, Milano, 2001; N. RICCARDELLI (a cura di), Il controllo degli atti societari e la legge n. 340/2000, Giappichelli, Torino, 2002.

     (17) Viene così superato il dibattito sull’incidenza dell’iscrizione sulle deliberazioni modificative dell’atto costitutivo: in passato, secondo un’opinione diffusa, l’atto assembleare sarebbe stato immediatamente produttivo di effetti (efficacia interna), ancorché non opponibile ai terzi prima dell’iscrizione.

     (18) G. C. M. RIVOLTA, La società a responsabilità limitata, Giuffrè, Milano, 1985, p. 371; G. RACUGNO, voce Società a responsabilità limitata, in Enc. dir., XLII, Giuffrè, Milano, 1990, p. 1068 ss.; G. LAURINI, La società a responsabilità limitata, Giuffrè, Milano, 2000, p. 54 ss.; Trib. Udine, 9 aprile 1994 e App. Trieste, 6 luglio 1994, in Giur. comm., 1996, II, p. 135. In senso contrario, R. SACCHI, Sulla delega agli amministratori di società a responsabilità limitata della facoltà prevista dall’art. 2443 c.c., in Riv. soc., 1984, p. 886 ss.

     (19) Recita questa norma: «Le partecipazioni dei soci non possono … costituire oggetto di sollecitazione all’investimento». Sulla contrapposizione tra s.r.l. e s.p.a. in ordine all’accesso al pubblico risparmio, cfr. G. ZANARONE, S.r.l. contro s.p.a. nella legislazione recente, in Giur. comm. 1995, I, p. 400 ss.

     (20) Art. 3, 1° comma, lett. c), legge n. 366/2001.

     (21) Cfr. G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società, cit., p. 69 ss.; M. STELLA RICHTER jr., in AA.VV., Diritto delle società di capitali [Manuale breve], Giuffrè, Milano, 2003, p. 195 ss. D’altronde questo è il pendant di un’autonomia statutaria forte che caratterizza la s.r.l. in quanto società chiusa.

     (22) D.U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Giuffrè, Milano, 2003, p. 230 ss.

     (23) Per un’interpretazione restrittiva, v. ASSOCIAZIONE PREITE, Il nuovo diritto delle società, a cura di G. Olivieri, G. Presti, F. Vella, Il Mulino, Bologna, 2003, p. 271; G. GIANNELLI, S.r.l. – Le operazioni sul capitale, Convegno di Grosseto, 9-10 maggio 2003 (in corso di pubblicazione).

     (24) G.D. MOSCO, Le deleghe assembleari, Giuffrè, Milano, 2002, p. 147 ss.; E. FAZZUTTI, Aumento di capitale (art. 2481), in Comm. Sandulli-Santoro, Giappichelli, Torino, 2003, p. 183 ss. Analogamente possono essere rimesse agli amministratori le decisioni di finanziare la società mediante emissione di titoli di debito (art. 2483).

     (25) Cfr. ASSOCIAZIONE PREITE, op. cit., p. 275.

     (26) Il conferimento può naturalmente avvenire anche mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria, come previsto dal 4° comma dell’art. 2464.

     (27) G. SANTINI, op. cit., p. 330. Sul dibattito, in tema di società per azioni, in merito alla liberazione integrale delle azioni precedentemente emesse, se costituisca cioè condizione di validità della delibera di aumento, ovvero condizione per l’eseguibilità, cfr. G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Utet, Torino, 2002, p. 487, nt. 3.

     (28) Che non può trovare applicazione relativamente ai conferimenti di beni in natura e di crediti in quanto le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione (art. 2464, 5° comma).

     (29) Principi contabili n. 20 e n. 28. Sulla prassi dei versamenti in conto capitale, non disciplinata dalla novella sulle s.r.l., cfr., ora, G. GIANNELLI, op. cit.

     (30) In ogni caso l’assemblea potrà statuire un diverso maggiore importo. In passato, come è noto, la quota da versarsi all’atto della sottoscrizione era pari ai tre decimi (art. 2439, 1° comma, richiamato dall’art. 2494).

     (31) V. infra par. 2.3.

     (32) .In argomento, cfr. G.B. PORTALE, Dal capitale «assicurato» alle «tracking stocks», in Riv. soc., 2002, p. 17 ss.

     (33) Cfr. V. CALANDRA BUONAURA, op. cit., p. 1155 ss.

     (34) Cfr. i pareri (Grassetti, Bonelli, Galgano) resi a proposito del caso Genoa 1893 spa, pubblicati in Giur. comm., 1976, II, p. 485 ss. In argomento, cfr. E. GINEVRA, Sottoscrizione e aumento del capitale sociale nelle s.p.a., Giuffrè, Milano, 2001, p. 280 ss.

     (35) F. DI SABATO, Manuale delle società, Utet, Torino, 1995, p. 621, nt. 85.

     (36) Sul diritto di opzione nella s.p.a., cfr. l’art. 4, 9° comma, lett. b, della legge delega e il commento di M. NOTARI, Appunti sul diritto di opzione nella riforma delle società, in Riv. not., 2002, p. 841 ss.

     (37) G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società, cit., p. 77; M. STELLA RICHTER jr., op. ult. cit., p. 208. Di qui un ulteriore distacco rispetto alla disciplina della s.p.a. che ha indotto la dottrina, fin da anni ormai risalenti, a qualificare l’opzione come un semplice «interesse occasionalmente protetto»: V. BUONOCORE, Le situazioni soggettive dell’azionista, Morano, Napoli, 1965, p. 285. Sul conflitto tra istanze relative alla gestione e istanze partecipative, v., per tutti, G. OPPO, Eguaglianza e contratto nella società per azioni, in Riv. dir. civ., 1974, I, p. 629 ss.

     (38) Sull’argomento, in generale, cfr. R. ROSAPEPE, L’esclusione del diritto di opzione degli azionisti, Giuffrè, Milano, 1998.

     (39) Su cui v. G. NICCOLINI, In tema di rinvio dell’assemblea e di applicabilità dell’art. 2441 c.c. alla s.r.l. (con una postilla sui termini di convocazione dell’assemblea di s.r.l.) , in Riv. dir. civ., 1997, II, p. 593, ove viene affrontato il coordinamento con la disciplina dettata per la società per azioni prima della presente riforma.

     (40) V. infra par. 2.7

     (41) L’art. 2495 continuava infatti a richiamare il 1° comma dell’art. 2441, nonostante che con la riforma del 1974 l’esclusione del diritto di opzione, con riguardo alle azioni da liberare mediante conferimenti in natura, fosse stata trasferita al 4° comma: per un quadro della dottrina e della giurisprudenza, v. O. CAGNASSO – M. IRRERA, Società di capitali, in Giur. sist. civ. comm. fondata da W. Bigiavi, Utet, Torino, 1990, p. 1178 ss.

     (42) Disponeva (e dispone) la norma: «Quando l’interesse della società lo esige, il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento di capitale, approvata da tanti i soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale …», interesse che trascende quello dei singoli soci e rivaluta in parte le teorie istituzionalistiche.

     (43) Sulla possibilità di prevedere statutariamente l’esclusione del diritto di opzione in presenza di un interesse della società, cfr. App. Roma, 21 aprile 1998, in Riv. dir. comm., 1998, II, p. 204, con nota di G. NICCOLINI.

     (44) a) rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci; b) ampia autonomia statutaria; c) libertà di forme organizzative nel rispetto del principio di certezza dei rapporti con i terzi.

     (45) La cui mancanza può essere superata dall’assunzione della delibera con il consenso di tutti i soci: cfr. ASSOCIAZIONE PREITE, op. cit., p. 273.

     (46) Considerato che l’aumento del capitale può essere delegato agli amministratori con ampia facoltà da parte dell’atto costitutivo di determinazione dei “limiti e delle modalità di esercizio” (art. 2481), deve ritenersi ammissibile la delega anche per la limitazione o soppressione del diritto di opzione, analogamente a quanto disposto in tema di s.p.a. (art. 2443): cfr. V. SALAFIA, Il nuovo modello di società a responsabilità limitata, in Società, 2003, p. 11; in senso contrario, G. GIANNELLI, op. cit., che argomenta dall’art. 2479, 2° comma, n. 5 (rilevante modificazione dei diritti dei soci).

     (47) Art. 2479-bis, 3° comma, richiamato espressamente dall’art. 2480.

     (48) Salvo, dunque, il contrappeso del diritto di recesso dei soci dissenzienti, il diritto di opzione in caso di aumento di capitale è assai più facilmente escludibile rispetto alla società per azioni: cfr. M. RESCIGNO, Osservazioni sul progetto di riforma, cit., p. 50.

     (49) Ancorché nella realtà fattuale l’offerta di quote di nuova emissione a terzi non potrà che essere eccezionale, essendo la s.r.l. destinata ad essere formata prevalentemente da gestori e quindi a rimanere tendenzialmente chiusa, per lo più in un ambito a controllo familiare.

     (50) Secondo i primi commentatori «la norma deve trovare applicazione analogica in tutti gli aumenti che mirano, anche attraverso più decisioni, alla ricostituzione del capitale perduto: E. FAZZUTTI, op. cit., p. 188.

     (51) In argomento, cfr. G. MUCCIARELLI, Il sopraprezzo delle azioni, Giuffrè, Milano, 1997; V. SALAFIA, Il nuovo modello, cit., p. 11.

     (52) Sulle metodiche per il calcolo, cfr. M. CONFALONIERI, Le operazioni societarie sul capitale, Il Sole-24 Ore, Milano, 2002, p. 22 ss. Per un esame degli spazi che la normativa lascia all’operato degli amministratori, cfr. A. MIGNOLI, Determinazione dell’entità del sopraprezzo, in Riv. soc., 1982, p. 525 ss.

     (53) E stabilisce tutt’ora.

     (54) Cfr. G.C.M. RIVOLTA, op. cit., p. 363 ss.

     (55) La cui determinazione e quantificazione, slegata da ogni dato normativo cogente, non potrà che essere effettuata secondo criteri di stretta convenienza economico-strategica. Sul principio della necessità del sopraprezzo nei casi di esclusione del diritto di opzione nella s.p.a., cfr. M. NOTARI, op. cit., p. 842.

     (56) Era opinione pacifica che fosse sufficiente un avviso inviato a tutti i soci: cfr. L.F. PAOLUCCI, Le società a responsabilità limitata, in Trattato Rescigno, 17, Utet, Torino, 1985, p. 297 ss.

     (57) In passato era rimesso alla delibera di aumento la determinazione del termine per l’esercizio del diritto di opzione; sulla necessità della congruità del termine, cfr. Trib. Roma, 8 gennaio 1996, in Società, 1996, p. 698.

     (58) Non pare applicabile analogicamente l’art. 2441, 2° comma, dettato in sede di s.p.a.: cfr. G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società, cit., p. 83. Sulla possibilità di considerare l’offerta come già comunicata a tutti i soci nel caso di delibera assembleare adottata in presenza dell’intero capitale sociale, cfr. Trib. Napoli, 24 gennaio 1989 (ord.), in Giur. comm., 1989, II, p. 592.

     (59) G.M. RIVOLTA, op. cit., p. 362. In argomento, ampiamente, V. CALANDRA BUONAURA, op. cit., p. 1143 ss.

     (60) Come già sottolineato nel par. 2.3.

     (61) G. SANTINI, op. cit., p. 338; G.C.M. RIVOLTA, op. cit., p. 366. I problemi sorgevano in presenza di clausole di divieto di alienazione delle quote oppure di limiti al loro trasferimento, dovendosi, nel primo caso, escludere l’entrata di nuovi soci, come pure il mutamento nella misura di partecipazione, in conseguenza di un aumento di capitale; nel secondo caso, trovavano applicazione le medesime regole disciplinanti i limiti al trasferimento delle quote.

     (62) G. SANTINI, op. cit., p. 338.

     (63) Il riferimento al «valore di mercato» introdotto dal 3° comma dell’art. 2473 antecipa l’ormai inarrestabile ingresso, anche nel diritto italiano, delle valutazioni con il fair value (infra nt. 105), che porrà significativi problemi di compatibilità con l’attuale normativa basata sul principio della prudenza (art. 2423-bis, n. 1). 1 In ordine al legame tra aumento del capitale e diritto di recesso nel codice di commercio del 1882, cfr. M. NOTARI, op. cit., p. 846 ss. Sulla opportunità di espandere il recesso nella s.r.l., cfr. R. WEIGMANN, Controlli e rimedi, in La riforma delle società per azioni non quotate, cit., p. 98 ss.

     (64) F. GALGANO, op. cit., p. 400.

     (65) Cfr. V. DI CATALDO, La società a responsabilità limitata nel disegno di legge delega per la riforma del diritto societario. Prime riflessioni sul nuovo regime, in La corporate governance, cit., p. 45.

     (66) Relazione Vietti, § 8.

     (67) Cfr. E. GINEVRA, Sottoscrizione e aumento, cit., p. 343.

     (68) In generale, cfr. M. CERA, Il passaggio di riserve a capitale, Giuffrè, Milano, 1988; B. QUATRARO – S. D’AMORA, Le operazioni sul capitale, Giuffrè, Milano, 1994.

     (69) Per un quadro della materia, cfr. O. CAGNASSO – M. IRRERA, Società di capitali, cit., p. 283 ss.

     (70) G. SANTINI, op. cit., p. 342.

     (71) Per l’affermativa, cfr. S. FORTUNATO, Capitale e bilanci della s.p.a., in Riv. soc., 1991, p. 155. Alcuni autori ritengono l’operazione possibile anche se la riserva legale non è stata completata, purché sia stata accantonata la parte prevista degli utili annuali: F. DI SABATO, Manuale delle società, cit., p. 613, nt. 20; in argomento, C. COSTA, Riserve e fondi nel bilancio di esercizio, a cura di G. CASTELLANO, Giuffrè, Milano, 1986, p. 155 ss. Sulla non imputabilità a capitale della riserva legale, almeno per la parte che non supera il quinto del capitale sociale: Trib. Bologna, 3 dicembre 1995, in Società, 1996, p. 688. In argomento, F. MASSA FELSANI, Qualche appunto sul tema dell’intangibilità della riserva legale, in Riv. dir. comm., 1992, II, p. 339 ss.

     (72) F. DI SABATO, Manuale delle società, cit., p. 613. Sui fondi speciali imputabili a capitale, cfr. G. E. COLOMBO, Il bilancio e le operazioni sul capitale, in Giur. comm., 1984, I, p. 843.

     (73) Secondo la giurisprudenza non si tratta di una riserva in senso tecnico, ma solo di una posta ideale a cui non corrisponde un (plus) valore reale dell’attivo: cfr. Trib. Milano 23 dicembre 1968, in Riv. dir. comm., 1970, II, p. 193, con nota di B. LIBONATI.

     (74) Fino all’introduzione dell’istituto della scissione (art. 2504-septies ss., aggiunto dall’art. 18 del d. lgs. 16 gennaio 1991, n. 22) non era possibile procedere alla scorporazione dalla società di beni per attribuirli a soci o gruppi di soci: cfr. Cass., 22 dicembre 1969, in Giur. it., 1970, I, 1, c. 456); in argomento, cfr. G. RACUGNO, Lo «scorporo» d’azienda, Giuffrè, Milano, 1995.

     (75) Cfr. F. FERRO-LUZZI, Riduzione del capitale per esuberanza, in Riv. soc., 1994, p. 1052 ss.

     (76) Cfr. G. SANTINI, op. cit., p. 348 ss.

     (77) F. FENGHI, La riduzione di capitale, Giuffrè, Milano, 1974, p. 47; U. BELVISO, Le modificazioni dell’atto costitutivo nelle società per azioni, in Trattato Rescigno, 17, Utet, Torino, 1985, p. 122 ss.

     (78) R. NOBILI–M. S. SPOLIDORO, La riduzione del capitale, in Trattato Colombo-Portale, 6*, Utet, Torino, 1993, p. 220.

     (79) Che, a dire il vero, esigeva particolare rigore nella delibera di riduzione, ritenendo, in particolare, necessario che il ridimensionamento delle attività svolte dalla società non dipendesse da cause momentanee o contingenti. Sui limiti del controllo, cfr. G. FERRI, Sindacabilità da parte del giudice dell’omologazione della deliberazione di riduzione del capitale per esuberanza, in Riv. dir. comm., 1977, II, 337.

     (80) Nondimeno l’atto costitutivo potrebbe subordinare la riduzione del capitale sociale all’esuberanza del medesimo, cfr. G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società, cit., p. 85.

     (81) Non vi era in passato omogeneità di orientamenti in merito alla possibilità di riduzione quando venisse disposta la liquidazione della società. Essendo venuto meno il vincolo dell’esuberanza, la soluzione positiva oggi appare senz’altro preferibile: in senso contrario, cfr. Trib. Roma, 12 luglio 1983, in Giur. comm., 1984, II, p. 636; in senso favorevole, App. Brescia, 18 marzo 1971, in Giur. it., 1972, I, 2, c. 227.

     (82) La giurisprudenza ha ormai chiarito come il Conservatore del registro delle imprese prima ed il Giudice del medesimo successivamente abbiano il limitato compito di verificare la corrispondenza tipologica dell’atto da iscrivere a quello previsto della legge, tramite un controllo di legittimità sostanziale limitato alla rilevazione di quei vizi di invalidità individuabili prima facie e tali da rendere l’atto non corrispondente a quello previsto dalla legge: cfr. Trib. Catania, 26 novembre 2001 (decr.), in Giur. comm., 2002, II, p. 464.

     (83) M. PINNARÒ, Riduzione del capitale sociale (art. 2482), in Comm. Sandulli-Santoro, cit., p. 198 e p. 200.

     (84) In argomento, cfr. G. CABRAS, Le opposizioni dei creditori nel diritto delle società, Giuffrè, Milano, 1978.

     (85) Cfr. M. RESCIGNO, Osservazioni sul progetto di riforma, cit., p. 50.

     (86) In senso contrario, cfr. F. FERRARA–F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Giuffrè, Milano, 2001, p. 585.

     (87) Cfr. F. DI SABATO, Manuale delle società, cit., p. 683.

     (88) E quindi dovrà tenere conto anche delle posizioni creditorie potenziali dei dipendenti in relazione al trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato [art. 2424, passivo, C)].

     (89) G. SANTINI, op. cit., p. 350.

     (90) La fattispecie è analoga a quella prevista dal 2° comma dell’art. 2394, che subordina la proponibilità dell’azione di responsabilità da parte dei creditori sociali nei confronti degli amministratori alla insufficienza del patrimonio al soddisfacimento dei loro crediti.

     (91) G. SANTINI, op. cit., p. 350.

     (92) Finché l’opposizione non venga superata la delibera non potrà sviluppare i propri effetti: cfr. G. CABRAS, Le opposizioni dei creditori, cit., p. 122.

     (93) Sia mediante assegnazione di una somma in contanti oppure di altri valori, quali, per esempio, azioni di altre società.

     (94) Per una possibilità di rimborso graduale, cfr. G. FERRI, in Riv. dir. comm., 1965, II, 83, con nota critica alla diversa posizione del Trib. Roma, 15 luglio 1964.

     (95) R. NOBILI–M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 243; G. FERRI jr., op. cit., p. 15.

     (96) Trib. Milano, 9 marzo 2000, in Giur. it., 2000, c. 1879.

     (97) G. SANTINI, op. cit., p. 352.

     (98) Secondo la formulazione introdotta dall’art. 28 del d.p.r. 10 febbraio 1986, 30. In argomento, da ultimo, cfr. G. RACUGNO, Operazioni sulle proprie partecipazioni nella nuova s.r.l., in Società, 2003, p. 373 ss.

     (99) G. SANTINI, op. cit., p. 353. Ma la soluzione non era affatto pacifica. Con riferimento alla nuova s.r.l. si veda, in senso contrario, M. RESCIGNO, Osservazioni sul progetto di riforma, cit., p. 41, e l’opinione dubitativa di M. PINNARÒ, op. cit., p. 206, che, sotto diverso ulteriore profilo, esclude l’ammissibilità, salvo decisione unanime, di un rimborso tramite sorteggio (p. 207).

     (100) È noto che la società non è obbligata a ridurre il capitale quando la perdita dello stesso non sia superiore ad un terzo, ancorché la riduzione facoltativa costituisca il presupposto per la distribuzione degli utili successivamente conseguiti: distribuzione altrimenti vietata fino a che le perdite non siano state ripianate (art. 2478-bis, 5° comma). In questo caso la riduzione è soggetta alle norme che regolano le modificazioni dell’atto costitutivo (artt. 2479, 2479-bis).

     (101) Che il confronto vada effettuato fra patrimonio netto e capitale è un dato assolutamente pacifico: cfr. G. SANTINI, op. cit., p. 353, nt. 1.

     (102) Sulle diverse concezioni del capitale cfr., da ultimo, M. S. SPOLIDORO, voce Capitale sociale, in Enc. dir., Aggiornamento, IV, Giuffrè, Milano, 2000, p. 195 ss.; M. CASTELLANO, Riserve e organizzazione patrimoniale nelle società per azioni, Giuffrè, Milano, 2000, p. 45 ss.

     (103) Da ultimo, cfr. Trib. Roma, 20 febbraio 2001, in Società, 2001, p. 969. Per una sintesi della materia, cfr. G. RACUGNO, L’ordinamento contabile delle imprese, in Trattato Buonocore, Giappichelli, Torino, 2002, p. 161 ss.

     (104) I cui criteri di redazione sono appunto finalizzati alla tutela del patrimonio netto, da considerarsi nella sua globalità, tenendo conto di eventuali elementi positivi sopravvenuti dopo la chiusura dell’ultimo esercizio: App. Milano, 2 febbraio 1999, in Giur. it., 1999, c. 1667.

     (105) Che l’art. 2446 denomina «situazione patrimoniale», riconducibile al più vasto genus dei bilanci straordinari, da redigersi con i criteri di valutazione propri del bilancio d’esercizio, di guisa che può accadere che si debba procedere ad una riduzione di capitale pur in presenza di cospicue sottovalutazioni dell’attivo (cioè di riserve latenti) e di attendibili prospettive di reddito a medio/lungo termine: in questo senso, cfr. Trib. Milano, 16 marzo 1998, in Giur. it., 1998, c. 1426, ove l’irrilevanza di plusvalenze celate dall’iscrizione di un immobile al costo storico fino all’effettivo recupero del maggior valore. Per una critica all’automatismo disposto dal legislatore tra perdita (oltre il terzo del capitale) e svalutazione del capitale, cfr. P. CAPALDO, Reddito, capitale e bilancio di esercizio. Una introduzione, Giuffrè, Milano, 1998, p. 426, che, seppure con procedimenti ispirati a grande prudenza e sotto vincoli ben precisi, riterrebbe più equo, soprattutto a tutela dei soci non in grado di sottoscrivere le azioni per la ricostituzione del capitale, ricoprire la perdita con rivalutazioni di attività.
     Significative modifiche in materia potrebbe comportare il passaggio dall’attuale disciplina del bilancio ancorata al principio del costo a un bilancio in cui trova applicazione in maniera sempre più significativa il fair value: il principio del «valore equo» (fair value) è stato introdotto con la modifica della IV (78/660/Cee) e della VII (83/349/Cee) direttiva sui bilanci approvata dal Consiglio dell’Unione Europea in data 31 maggio 2001 (in Società, 2001, p. 1139), con la finalità di pervenire ad «una maggiore omogeneizzazione» dei bilanci a livello internazionale e rendere «i bilanci delle società europee più universalmente comprensibili nelle giurisdizioni extra comunitarie». In particolare la direttiva ha stabilito il principio del valore equo nella valutazione degli elementi «finanziari» del patrimonio d’impresa, prevedendo che talune attività e passività finanziarie siano valutate, nello stato patrimoniale, al valore equo (inteso come l’odierno valore di mercato) piuttosto che al loro costo storico (costo originario o di sostituzione) – in deroga al principio cardine che vieta l’emersione di plusvalenze non realizzate – così consentendo alle società europee di fornire informazioni conformi ai parametri elaborati dallo IASC, evidenziando anche i plusvalori latenti espressi dalmercato. L’art. 4 della direttiva ha stabilito che gli Stati membri provvedano a conformarsi alle nuove regole entro il 1° gennaio 2004. La giurisprudenza, peraltro, come è noto, ritiene illecita la rivalutazione finalizzata alla copertura di perdite: cfr., per esempio, Trib. Venezia, 26 maggio 1983, in Giur. comm., 1984, II, p. 327.
     In argomento, e in generale sull’inadeguatezza del criterio del costo storico per la valutazione delle immobilizzazioni immateriali di durata indeterminata, nell’ambito di un progetto comunitario di creazione di un mercato finanziario europeo integrato, che presuppone la costruzione di un unico sistema di regole contabili che consenta la comparabilità dei bilanci, cfr. M. CARATOZZOLO, L’introduzione del «fair value» nella IV e VII direttiva comunitaria: una prima valutazione, in Società, 2002, p. 1340 ss. e Le modifiche alla IV e VII direttiva per consentire l’applicazione dei principi IASC, in Società, 2003, p. 143 ss.: in quest’ultimo scritto l’Autore si sofferma, in particolare, sul progetto di direttiva presentato il 28 maggio 2002 dalla Commissione europea, dove, fra l’altro, viene introdotta la previsione generale del principio di valutazione al fair value per tutte le attività e passività, anche non finanziarie, in deroga al criterio del costo storico, con la rilevazione nel conto economico delle differenze di valore. Sulla applicabilità, a far data dal prossimo 2005, dei principi contabili internazionali a tutte le imprese senza differenza tra società quotate e non, con una sostanziale uniformità di regole per i bilanci consolidati e di esercizio, v. ora l’allargamento deciso dal Consiglio europeo il 6 maggio 2003.

     (106) Così testualmente la norma in esame e già l’art. 2446.

     (107) Sono queste nozioni proprie del sistema della contabilità aziendale: in argomento, cfr. G.E. COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, in Trattato Colombo-Portale, 7*, Utet, Torino, 1994, p. 76.

     (108) Cfr. FERRI jr., in AA. VV., Diritto delle società di capitali [Manuale breve], cit., p. 14.

     (109) Trattasi di obbligo (un tempo) sanzionato penalmente (art. 2630, 2° comma, n. 2), che grava anche sui sindaci: il nuovo art. 2631 (introdotto dal d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61, a norma dell’art. 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366) prevede unicamente una sanzione amministrativa.

     (110) Ormai assemblea tout court non esistendo più nella s.r.l. una distinzione tra assemblea ordinaria e assemblea straordinaria. In passato l’assemblea convocanda era quella straordinaria: cfr. G. SANTINI, op. cit., p. 354, sul presupposto che l’assemblea potesse anche assumere decisioni che importano modificazioni dell’atto costitutivo.

     (111) In argomento, cfr. G. RACUGNO, L’ordinamento contabile, cit., p. 142 ss.

     (112) Secondo la Cass., 5 maggio 1995, n. 4923, in Riv. dir. comm., 1997, II, p. 197, con nota di F. CARBONETTI, non è necessaria la redazione del conto economico e, quindi, a maggior ragione della nota integrativa: un bilancio mutilato non consente, peraltro, una percezione completa della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società.

     (113) Da ultimo, Trib. Napoli, 1 ottobre 1998, in Riv. dir. comm., 1999, II, p. 129.

     (114) In senso negativo, Trib. Roma, 8 novembre 1999, in Società, 2000, p. 749, con nota critica di G.E. COLOMBO; in senso positivo, App. Milano, 19 gennaio 1999, in Società, 2000, p. 724.

     (115) Sul presupposto, per esempio, che tutti i soci siano anche amministratori e quindi siano ben informati sulla situazione patrimoniale: cfr. ASSOCIAZIONE PREITE, op. cit., p. 279.

     (116) Sotto questo profilo il ricorso a notizie trasmesse via internet e/o pubblicate on line – quali la pubblicazione nel sito della società o l’invio per e-mail all’indirizzo di posta elettronica di ciascun socio, ferme naturalmente le vie di comunicazione tradizionali – può senz’altro sostituire il deposito presso la sede sociale. G. GIANNELLI, op. cit., sottolinea come nella s.r.l., rispetto alla s.p.a., vi sia una carenza dell’informazione assembleare e preassembleare.

     (117) Quali accollo della perdita, remissione dei crediti, versamenti a fondo perduto: cfr. F. DI SABATO, Manuale delle società, cit., p. 689.

     (118) Che consenta di far scendere la perdita a meno di un terzo: in questo senso R. NOBILI–M.S. SPOLIDORO, op. cit., p. 306. Di diverso avviso la giurisprudenza, quantomeno nell’ipotesi in cui le perdite perdurino nell’esercizio successivo: cfr. Trib. Roma, 17 febbraio 2000, in Foro it., 2001, I, c. 748.

     (119) Nella speranza cioè, che la gestione futura sia idonea a riassorbire le perdite o quantomeno a ridurle a meno di un terzo del capitale.

     (120) Per tale intendendosi l’esercizio che segue quello in cui si sono verificate le perdite (F. FERRARA–F. CORSI, op. cit., p. 589), e non invece l’esercizio «successivo all’adunanza dei soci in cui si è constatata la perdita»: G. SANTINI, op. cit., p. 355, nt. 8.

     (121) È opinione diffusa, stante il riferimento all’assemblea che approva il bilancio, che la delibera di riduzione possa essere assunta dall’assemblea ordinaria: ex multis, cfr. App. Cagliari, 23 marzo 1979, e Trib. Oristano, 1 marzo 1979, in Riv. dir. comm., 1979, II, p. 275, con nota contraria di G. FERRI. Secondo i primi commentatori della riforma la normativa sulla riduzione obbligatoria del capitale non deroga alla forma ed al quoziente stabiliti dalla legge per le decisioni consistenti in modificazioni dell’atto costitutivo: cfr. M. PINNARÒ, op. cit., p. 215; in questo senso, Trib. Milano, 9 gennaio 1992, in Foro it., 1992, I, c. 3133.

     (122) Quindi è da ritenersi anche da parte dei creditori

     (123) Il reclamo, nonostante l’imperfetta formulazione della norma, è da ritenersi possibile anche contro il decreto di rigetto, trovando applicazione il principio generale in tema di procedimenti in camera di consiglio di cui all’art. 742-bis cod. proc. civ.: cfr. G. SANTINI, op. cit., p. 356, nt. 11.

     (124) Sulla possibilità che i terzi facciano valere il difetto dei presupposti del decreto in sede contenziosa, cfr. F. FERRARA – F. CORSI, op. cit., p. 555.

     (125) Secondo i primi commentatori non vi sarebbero alternative alla deliberazione collegiale: di qui l’inapplicabilità della norma in presenza di un amministratore unico o di più amministratori operanti in regime di amministrazione disgiuntiva: cfr. ASSOCIAZIONE PREITE, op. cit., p. 280, che ricomprende nell’esclusione anche l’ipotesi di amministrazione congiunta (tesi quest’ultima non condivisibile).

     (126) Con salvezza, naturalmente, del diritto di opzione, di guisa che i soci che adottano la delibera potranno contestualmente sottoscrivere le quote loro riservate: cfr. App. Roma, 21 gennaio 1999, in Giur. it., 1999, c. 1239; nel senso della necessità della contestuale sottoscrizione quantomeno nei limiti del minimo legale, cfr. Trib. Roma, 16 giugno 1998, in Foro it., 1999, I, c. 3040. Circa la possibilità di assegnazione ai soci di un termine per la sottoscrizione dell’aumento senza che il differimento della sottoscrizione comporti lo scioglimento “ope iuris” di cui all’art. 2448 n. 4, cfr. App. Roma, 22 dicembre 1998, in Foro it., 1999, I, c. 3039. Discussa, specie in passato, era la possibilità di una deliberazione a maggioranza che decide la riduzione a zero del capitale interamente perduto ed il relativo aumento: per un esame dell’originario dibattito, cfr. V. BUONOCORE, Le situazioni soggettive, cit., p. 175 ss. Che la disciplina della riduzione del capitale al disotto del minimo legale sia applicabile anche in caso di perdita integrale è oggi opinione pacifica: in giurisprudenza, Cass., 29 ottobre 1994, n. 8928, in Riv. dir. comm., 1995, II, p. 109; in dottrina, da ultimo, cfr. G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, cit., p. 505 ss.
     In ogni caso il ripianamento delle perdite potrà avvenire mediante delibere plurime e parziali purché contestuali, anche con emissione di quote gravate da sopraprezzo destinato alla copertura delle perdite sotto lo zero. La ricostituzione del capitale sarà condizionata al previo ripianamento delle perdite sotto lo zero, cioè all’eliminazione di ogni valore negativo del patrimonio netto, essendo inammissibile un rinvio agli esercizi successivi delle perdite ulteriori non assorbite con l’azzeramento del capitale: in termini, cfr. G. MANZINI, Le operazioni sul capitale sociale, Cedam, Padova, 2000, p. 749 ss. e p. 1065 ss.

     (127) Ove infatti la riduzione al di sotto del minimo dipenda da perdite non superiori al terzo, la norma in esame non trova applicazione, e la riduzione riveste carattere soltanto facoltativo: cfr. G. NICCOLINI, Il capitale sociale minimo, Giuffrè, Milano, 1981, p. 53 ss. Ma, cfr. G. FIGÀ-TALAMANCA, Bilanci e organizzazione dei poteri dispositivi sul patrimonio sociale, Giuffrè, Milano, 1997, p. 255 ss.

     (128) È discusso se il passaggio da società di capitali a società di persone – l’unico praticamente percorribile nella fattispecie anche nell’ipotesi in cui il patrimonio netto risulti negativo (F. GALGANO, Diritto commerciale. Le società, Zanichelli, Bologna, 2003, p. 464) – possa avvenire a maggioranza o richieda l’unanimità dei consensi: in senso favorevole alla trasformazione a maggioranza considerato che il socio dissenziente è tutelato dal diritto di recesso, cfr. G.C.M. RIVOLTA, op. cit. , p. 381, nt. 57; Cass., 27 maggio 1999, n. 5173.

     (129) Cass., 13 febbraio 1969, in Giur. it., 1969, I, 1, c. 628.

     (130) Cfr. G. TANTINI, Capitale e patrimonio nella società per azioni, Cedam, Padova, 1980, p. 142; P. SPADA, Reintegrazione del capitale reale senza operare sul nominale, in Giur. comm., 1978, I, p. 36; M. RUBINO DE RITIS, Gli apporti «spontanei» in società di capitali, Giappichelli, Torino, 2001, p. 131 ss.

     (131) La norma in esame, come già l’omologa del codice del 1942, trova applicazione unicamente in caso di riduzione per perdite, e non quindi per l’ipotesi di riduzione del capitale esuberante, dovendo in tal caso l’assemblea adottare le opportune delibere per salvaguardare i diritti dei soci.

     (132) Sulla dubbia possibilità che l’atto costitutivo possa prevedere che alcuni soci, nei limiti del divieto del patto leonino, vengano postergati nelle perdite, cfr. ASSOCIAZIONE PREITE, op. cit., p. 281.

     (133) Cfr. M. PINNARÒ, op. cit., p. 225.

     (134) I diritti speciali dei soci, in ogni caso, non possono essere toccati, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, che all’unanimità (art. 2468, 3° e 4° comma): cfr. D.U. SANTOSUOSSO, op. cit., p. 232.

 

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