il diritto commerciale d’oggi
    II.5 – maggio 2003

MATERIALI

 

Ministero dell’Economia – Agenzia dele Entrate, Risoluzione 17 gennaio 2003 n. 8/E – Istanza di interpello riguardante la disciplina tributaria del trust ai fini delle imposte dirette

 

     Con interpello presentato ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, il Sig. ZY, quale rappresentante legale e co-trustee del TRUST X, ha posto il seguente

QUESITO

Se il TRUST X, costituito a norma della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, ratificata dalla Repubblica Italiana con legge 16 ottobre 1989 n. 364, possa individuarsi come soggetto passivo dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche ai sensi dell’articolo 87, secondo comma, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DALL’ISTANTE
     L’istante fa presente che nel caso specifico si è in presenza di un trust interno, i cui elementi caratterizzanti, ad eccezione della legge regolatrice, sono tutti connessi all’ordinamento nazionale. È ravvisabile in particolare un trust «discrezionale dove i beneficiari ancorché individuati non sono fissi, dove il reddito prodotto viene accumulato e ripartito solo al presentarsi di un evento, dove altri non vi provvedano».
     Ciò premesso, l’istante ritiene che il TRUST X presenti gli elementi caratteristici del trust come definito dall’articolo 2 della citata Convenzione dell’Aja del 1985 e che il soggetto passivo dell’imposta sul reddito - a norma dell’articolo 87, secondo comma, del TUIR - sia il trust stesso, soggetto organizzato, nei confronti del quale «il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario ed autonomo», in senso conforme alla delibera del Comitato di coordinamento del Servizio Centrale degli Ispettori Tributari (Se.C.I.T.) dell’11 maggio 1998, n. 37.
     Sotto il profilo dell’imposizione indiretta, l’istante dichiara di avere applicato l’imposta di registro di cui all’articolo 11 della Tariffa, parte I, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, in misura fissa «non disponendo l’atto stesso nessun trasferimento»
     L’istante inoltre, ritiene corretto considerare il particolare trust quale ente non commerciale, tenuto a presentare il modello unico di dichiarazione solo in presenza di redditi da tassare ai sensi dell’articolo 108 del TUIR.

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
     A seguito della ratifica, senza riserva, della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, intervenuta con legge 16 ottobre 1989, n. 364, possono essere riconosciuti effetti giuridici in Italia al trust costituito secondo la legge di uno Stato che lo preveda nel proprio ordinamento giuridico quale istituto tipico.
     Ai fini della Convenzione, l’articolo 2, comma 1, definisce il trust come il complesso dei «rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente - con atto tra vivi o mortis causa - qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato».
     Rientrano pertanto nell’ambito di applicazione della Convenzione i soli negozi giuridici riconducibili al concetto di trust come sopra definito.
     Si osserva, inoltre, che se l’articolo 11 prevede in via generale l’obbligo di riconoscimento del trust istituito secondo la legge di uno Stato che lo preveda nel proprio ordinamento giuridico quale istituto tipico, con riferimento invece al trust cosiddetto interno, i cui elementi essenziali soggettivi e oggettivi sono collegati al nostro ordinamento, il successivo articolo 13 stabilisce che «nessuno Stato è tenuto a conoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luogo di amministrazione e della residenza abituale del trustee sono più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust o la categoria del trust in questione». Al riguardo si ritiene, conformemente all’orientamento della più recente giurisprudenza e della dottrina prevalente, che il citato articolo 13 non preveda un divieto di riconoscimento. L’articolo 6, infatti, che prevede che «il trust è regolato dalla legge scelta dal costituente», non sottopone la scelta di quest’ultima ad alcun limite, nel rispetto della più ampia autonomia delle parti.
     Per quanto di interesse, si ritiene che la “riconoscibilità” dei trust debba effettuarsi non in astratto, considerando innanzitutto la loro natura “domestica” o meno, bensì caso per caso, tenuto conto del limite espressamente previsto dall’articolo 15 della Convenzione, ossia il rispetto delle norme imperative e dei principi inderogabili dell’ordinamento giuridico.
     Circa il relativo trattamento tributario, l’unico riferimento normativo è dato dall’articolo 19 secondo cui «la Convenzione non pregiudica la competenza degli Stati in materia fiscale».
     L’individuazione del regime impositivo da applicare è quindi lasciata all’autonomia di ciascuno Stato contraente. Ne consegue che in assenza, tuttora, di un intervento in materia da parte del legislatore, deve soccorrere l’interpretazione al fine di individuare nell’ordinamento vigente le regole applicabili alle singole fattispecie.
     Sul terreno squisitamente tributario, le implicazioni derivanti dal riconoscimento - prima tra tutte la segregazione dei beni in trust - devono essere valutate dall’interprete in concreto, tenuto conto della molteplicità dei rapporti giuridici, della loro evoluzione oltre che della circostanza che sono modificabili ex post gli essenziali elementi di collegamento del trust con il territorio nazionale (localizzazione dei beni, sede di amministrazione del trust, residenza del trustee o dei beneficiari, ecc. …).
     Ciò premesso, con riguardo alla fattispecie in esame, la cui legge regolatrice è la legge di Jersey, Isole del Canale, si evidenzia che trattasi di un trust “interno”. L’unico elemento di internazionalità di tale trust, infatti, è la legge regolatrice, mentre sono residenti in Italia il disponente, i beneficiari, il trustee, e sono situati in Italia il luogo di amministrazione del trust e i relativi beni. Il trust in esame, inoltre, è un trust discrezionale, nel quale - per di più - il flusso del reddito verso i beneficiari può essere attivato o interrotto, nell’ipotesi in cui «altri provvedano» alle erogazioni che ne costituiscono lo scopo.
     In particolare, nell’atto istitutivo si premette che il disponente, «non essendo più giovane, è consapevole di non poter provvedere personalmente - nel tempo - ai piccoli bisogni degli ultimi nipoti, così come ha provveduto per i primi nipoti ormai maggiorenni o quasi; pertanto si è determinato a stipulare il presente Strumento avvertendo l’obbligazione morale e giuridica di provvedere ai bisogni di tali nipoti ovvero dei figli del suo secondogenito», pur senza ledere - si afferma - gli interessi dei legittimari, poiché sarebbero trasferite al trustee modiche somme comunque non eccedenti la porzione disponibile.
     Lo scopo del trust, «ove altri non vi provvedano», è pertanto quello di garantire ai beneficiari del reddito «la paghetta settimanale proporzionata all’età … un giocattolo ad ogni festa di compleanno e ad ogni natale» e dunque «l’istruzione, anche universitaria e specialistica … un terzo del patrimonio del trust - di loro spettanza - per iniziare un’attività di lavoro autonomo.
     Di conseguenza, il disponente «si obbliga a trasferire al trustee le somme necessarie per aprire un rapporto di conto corrente sul quale provvedere ad investimenti finanziari», precisando che «potranno essere trasferiti in seguito … altri beni mobili o immobili, titoli di credito, diritti di ogni tipo e genere e quanto altro possa comunque formare oggetto di trasferimento.»
     Posto che - come affermato dall’istante - l’atto istitutivo non ha comportato nessun trasferimento della titolarità giuridica dei particolari beni mobili, occorre in primo luogo stabilire se il negozio posto in essere è qualificabile come istitutivo di un trust secondo la richiamata definizione convenzionale.
     L’art. 2, comma 2, della Convenzione individua quali elementi essenziali del trust la distinzione dei beni del trust dal patrimonio del trustee, l’intestazione degli stessi al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee, il fatto che «il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee».
     Più in particolare, l’art. 8, comma 1 lett. d) e e) prevede che la legge regolatrice del trust dovrà disciplinare i poteri del trustee, di amministrare e disporre dei beni, di darli in garanzia e di acquisire nuovi beni, nonché di effettuare investimenti.
     Pertanto, requisito essenziale del trust è l’effettivo potere-dovere del trustee di amministrare e disporre dei beni, a lui effettivamente affidati dal disponente. Ne consegue che i diritti e le facoltà che il settlor può riservare a se stesso, devono essere tali da non precludere al trustee il pieno esercizio del potere di controllo sui beni. Ciò del resto trova conferma nell’articolo 2, comma 3, secondo cui «il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà … non è necessariamente incompatibile con l’esistenza del trust».
     In sintesi, «il rapporto tra disponente e trustee - osserva autorevole dottrina - nasce e muore in unattimo». Diversamente, il negozio non potrebbe essere qualificato come trust ai fini della Convenzione e dei suoi effetti.
     In proposito, dall’esame dell’atto istitutivo del trust in questione emerge che il potere di gestire e disporre dei beni permane intatto in capo al disponente.
     Assume rilevanza centrale, infatti, la figura del guardiano (enforcer), prevista dall’art. 10B della legge regolatrice, che in atto si identifica con il disponente stesso, e la cui volontà prevale su quella del trustee in ordine a qualsiasi attività di amministrazione e disposizione dei beni.
     In particolare, l’art. 5 dell’atto istitutivo prevede che il primo guardiano del trust sia il disponente il quale, comunque, può in qualsiasi momento nominare o revocare, in tale funzione, altri soggetti. In caso di morte o sopravvenuta incapacità del disponente, la sua posizione giuridica si trasferisce al guardiano (art. 2).
     L’art. 14 regola i poteri del guardiano in modo estremamente ampio, che non trova corrispondenza nelle previsioni della stessa legge regolatrice.
     Viene precisato che le disposizioni che prevedono l’acquisizione del consenso del guardiano comportano «che il trustee debba richiedere e ottenere tale consenso prima del compimento dell’atto al quale esso si riferisce, a pena di invalidità dell’atto stesso e di responsabilità per ogni danno arrecato». Nel senso sopra precisato, è dunque richiesto il consenso del guardiano prima del compimento di qualsiasi atto di alienazione di beni del trust, di costituzione di garanzie reali su di essi, di stipulazione di contratti che ne attribuiscano a terzi il godimento per qualsiasi titolo per un periodo eccedente i nove anni (art. 14)
     Il trustee non ha il potere di accettare da terzi (art. 31) né di sostituire (art. 33) i beni in trust senza il consenso del disponente o del guardiano.
     Per di più, ogni disposizione dubbia deve essere interpretata «nel senso della maggiore latitudine» delle prerogative del guardiano (art. 14).
     Con riguardo agli investimenti, l’art. 23 prevede che il trustee non possa modificare il tipo, le modalità di amministrazione e gestione, né il grado di rischio, determinati dal disponente al momento del loro trasferimento. Spetta solo al disponente richiedere - e in tal caso «il trustee è tenuto ad aderire a tale richiesta - di rivolgersi ad altra struttura o di variare tipo, modalità e grado di rischio degli investimenti.
     In coerenza con la persistente connotazione di dominus del rapporto giuridico che l’atto in esame attribuisce alla figura del disponente/guardiano, art. 31 introduce una previsione che, ancora una volta, non trova riscontro nell’omologo art. 50 della legge di Jersey. I beni del trust sono dichiarati non aggredibili dai creditori del trustee, né - ed è questa l’enunciazione nuova e significativa - dai creditori del disponente.
     Pertanto, non ravvisandosi nel concreto un effettivo potere di gestione e amministrazione del trustee, tale negozio non è qualificabile come istitutivo di un trust, secondo il modello convenzionale di trust quale delineato dall’articolo 2 della Convenzione. Piuttosto è riconoscibile una delle fattispecie negoziali che secondo il rapporto OCSE del 26-27 aprile 2001, Report on the misure of corporate vehicles for illicit purposes, potrebbero prestarsi ad usi non del tutto trasparenti. È il caso ad esempio, secondo tale rapporto, di un trust formalmente regolare in cui il settlor mantiene l’effettivo controllo sui beni attraverso un guardiano che - persona di fiducia o consigliere del settlor - può sostituire il trustee per qualsiasi ragione e in qualsiasi momento (Part. I, B, 47)
     Se la gestione del trust è riconducibile al settlor o disponente, il trust è tamquam non esset come pacificamente riconosciuto in dottrina e affermato dalla nota sentenza della Royal Court of Jersey nella causa A e B.
     Se quindi non si verifica un reale spossessamento del disponente, e i beni in trust sono - come nel caso - beni mobili, il negozio rileva ai fini fiscali come un mandato con rappresentanza, con la conseguente diretta imputabilità dei redditi al disponente.
     La risposta di cui alla presente risoluzione, sollecitata con istanza di interpello presentata alla direzione regionale, viene resa dalla scrivente ai sensi dell’articolo 4, comma 1, ultimo periodo del DM 26 aprile 2001, n. 209.

 

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