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II.5– maggio 2003 |
Giurisprudenza
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE , 8 aprile 2003 – proced. C-44/01 – Rodríguez Iglesias Presidente – Cunha Rodrigues Estensore; Pippig Augenoptik GmbH c. Hartlauer Handelsgesellschaft mbH
La direttiva n. 84/450/CEE, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, osta all’applicazione alla pubblicità comparativa di disposizioni nazionali più restrittive in materia di tutela contro la pubblicità ingannevole per quanto concerne la forma ed il contenuto del confronto.
Pur essendo l’operatore pubblicitario in linea di principio libero di indicare o meno, nell’ambito di una pubblicità comparativa, il marchio dei prodotti concorrenti, spetta tuttavia al giudice nazionale verificare se, in circostanze particolari, caratterizzate dall’importanza del marchio nella scelta dell’acquirente nonché dalla rilevante differenza, in termini di notorietà, tra i rispettivi marchi dei prodotti confrontati, l’omissione del marchio più rinomato possa risultare ingannevole.
(Omissis)
1.
Con ordinanza 19 dicembre 2000, pervenuta in cancelleria il 2 febbraio 2001, l’Oberster Gerichtshof (Corte di Cassazione) ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, quattro questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (GU L 250, pag. 17), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE (GU L 290, pag. 18; in prosieguo: la «direttiva 84/450»).2.
Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia che oppone la società austriaca Pippig Augenoptik GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «Pippig») alla società austriaca Hartlauer Handelsgesellschaft mbH (in prosieguo: la «Hartlauer») e agli eredi di Franz Josef Hartlauer, ex amministratore della Hartlauer, avente ad oggetto la pubblicità effettuata dalla Hartlauer per la promozione della vendita dei suoi prodotti ottici comparando i medesimi agli occhiali venduti dalla Pippig.Ambito normativo
Disciplina comunitaria3.
La direttiva 84/450, che nella sua versione iniziale contemplava solo la pubblicità ingannevole, è stata modificata dalla direttiva 97/55 al fine di comprendere pure la pubblicità comparativa. Il titolo della direttiva 84/450 è stato conseguentemente adeguato dall’art. 1, punto 1, della direttiva 97/55.4.
Il settimo “considerando” della direttiva 84/450 enuncia quanto segue:
«considerando che per conseguire tale obiettivo occorre fissare dei criteri minimi oggettivi in base ai quali si possa giudicare se una determinata forma di pubblicità è ingannevole».5.
L’art. 1 della direttiva 84/450 così dispone:
«La presente direttiva ha lo scopo di tutelare il consumatore e le persone che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché gli interessi del pubblico in generale, dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali e di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa».6.
In conformità all’art. 2, punto 2, della direttiva 84/450, deve considerarsi «pubblicità ingannevole» ai sensi della direttiva stessa «qualsiasi pubblicità che in qualsiasi modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, dato il suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il comportamento economico di dette persone o che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente».7.
Secondo l’art. 2, punto 2 bis, della direttiva 84/450, per «pubblicità comparativa» si intende, ai fini di tale direttiva, «qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente».8.
L’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 così prevede:
«Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è ritenuta lecita qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: che essa
a) non sia ingannevole ai sensi dell’articolo 2, punto 2, dell’articolo 3 e dell’articolo 7, paragrafo 1;
b) confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;
c) confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;
d) non ingeneri confusione sul mercato fra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente;
e) non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazione commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente;
f) per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;
g) non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o a altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;
h) non rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati».9.
Ai sensi dell’art. 7, nn. 1 e 2, della direttiva 84/450:
«1. La presente direttiva non si oppone al mantenimento o all’adozione da parte degli Stati membri di disposizioni che abbiano lo scopo di garantire una più ampia tutela, in materia di pubblicità ingannevole, dei consumatori, delle persone che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché del pubblico in generale.
2. Il paragrafo 1 non è applicabile alla pubblicità comparativa per quanto riguarda il confronto».10.
Il secondo, terzo, quattordicesimo, quindicesimo e diciottesimo “considerando” della direttiva 97/55 sono formulati come segue:
«(2) considerando che col completamento del mercato interno la varietà dell’offerta è destinata ad aumentare sempre più; che, poiché i consumatori possono e devono ricavare il massimo vantaggio dal mercato interno, e la pubblicità costituisce uno strumento molto importante per aprire sbocchi reali in tutta l’Unione europea per qualsiasi bene o servizio, le disposizioni essenziali che disciplinano la forma e il contenuto della pubblicità comparativa devono essere uniformi e le condizioni per l’utilizzazione della pubblicità comparativa in tutti gli Stati membri devono essere armonizzate; che, a queste condizioni, ciò contribuirà a mettere oggettivamente in evidenza i pregi dei vari prodotti comparabili; che la pubblicità comparativa può anche stimolare la concorrenza tra i fornitori di beni e di servizi nell’interesse dei consumatori;
(3) [considerando] (…) che la liceità o il divieto della pubblicità comparativa a seconda delle diverse legislazioni nazionali può costituire un ostacolo alla libera circolazione dei beni e dei servizi e creare distorsioni di concorrenza (…);
(14) considerando (…) che per poter svolgere una pubblicità comparativa efficace, può essere indispensabile identificare i prodotti o i servizi di un concorrente, facendo riferimento ad un marchio di cui quest’ultimo è titolare, oppure alla sua denominazione commerciale;
(15) considerando che una simile utilizzazione del marchio, della denominazione commerciale o di altri segni distintivi appartenenti ad altri, se avviene nel rispetto delle condizioni stabilite dalla presente direttiva, non viola il diritto esclusivo del titolare del marchio, essendo lo scopo unicamente quello di effettuare distinzioni tra di loro e quindi di metterne obiettivamente in rilievo le differenze;
(…)
(18) considerando che l’articolo 7 della direttiva 84/450/CEE, il quale permette agli Stati membri di mantenere in vigore o di adottare disposizioni che abbiano lo scopo di garantire una più ampia tutela dei consumatori, delle persone che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché del pubblico in generale, non può applicarsi alla pubblicità comparativa, poiché l’obiettivo dell’emendamento della presente direttiva è di fissare le condizioni alle quali è consentita la pubblicità comparativa».Disciplina nazionale
11.
La Repubblica d’Austria ha recepito la direttiva 97/55 modificando, con effetto dal 1° aprile 2000, il Bundesgesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (legge federale sulla concorrenza sleale) del 16 novembre 1984 (BGBl 1984/448; in prosieguo: l’«UWG»). Emerge tuttavia dall’ordinanza di rinvio che la giurisprudenza austriaca ha tenuto conto di tale direttiva ancor prima della scadenza del termine di recepimento ai fini dell’interpretazione dell’art. 2 dell’UWG.12.
Ai sensi dell’art. 2, n. 1, dell’UWG:
«Chiunque, nel competere per concludere affari, fornisca indicazioni idonee a trarre in inganno può essere condannato ad astenersi da tale comportamento (…)».Causa principale e questioni pregiudiziali
13.
La Pippig gestisce tre negozi specialistici di ottica medica, situati a Linz (Austria), nei quali essa commercializza occhiali. Essa si rifornisce presso una sessantina di diversi produttori e dispone di un assortimento rappresentativo della collezione di ciascuno dei suoi fornitori.14.
La Hartlauer è una società commerciale le cui filiali, distribuite in tutta l’Austria, hanno reparti di ottica in cui si commercializzano, per la maggior parte, occhiali di marche poco note che sono venduti a basso prezzo. Per quanto riguarda gli occhiali di marche più famose, la Hartlauer non si serve direttamente dai medesimi fornitori di cui si avvalgono gli ottici, ma si procura i detti occhiali al di fuori dei normali canali distributivi, in particolare ricorrendo ad importazioni parallele.15.
All’inizio del mese di settembre 1997 la Hartlauer ha fatto distribuire in tutta l’Austria un opuscolo pubblicitario in cui affermava che da 52 confronti di prezzi di occhiali effettuati in un periodo di sei anni era emersa una differenza di prezzo complessiva pari ad ATS 204.777, cioè ad ATS 3.900 in media per paio di occhiali, tra i prezzi da essa applicati e quelli fatturati dagli ottici tradizionali. L’opuscolo affermava in particolare che per una lente di marca Zeiss gli ottici realizzavano un margine di profitto pari al 717%.16.
L’opuscolo pubblicitario conteneva inoltre un confronto diretto fra il prezzo di ATS 5.785, praticato dalla Pippig per occhiali Titanflex Eschenbach dotati di lenti della marca Zeiss, ed il prezzo di ATS 2.000 proposto dalla Hartlauer per occhiali dello stesso modello, ma dotati di lenti della marca Optimed.17.
Tale confronto di prezzo è stato altresì reso noto con messaggi pubblicitari diffusi attraverso vari canali radiofonici e televisivi austriaci, i quali, a differenza dell’opuscolo pubblicitario, non precisavano che gli occhiali messi a confronto avevano lenti di marche diverse. Negli annunci televisivi appariva la facciata del negozio della ricorrente nella causa principale con il logotipo «Pippig».18.
La preparazione di tale pubblicità comparativa ha comportato la realizzazione di un «acquisto-test»: l’8 luglio 1997 un dipendente della Hartlauer si è recato in un negozio della Pippig e vi ha ordinato occhiali Titanflex Eschenbach e lenti Zeiss. Questi occhiali sono poi stati fotografati e la fotografia è stata utilizzata per due volte nell’opuscolo pubblicitario distribuito dalla Hartlauer: una volta per illustrare l’offerta della Pippig in relazione a tali occhiali e una volta per illustrare l’offerta della Hartlauer relativa a occhiali dello stesso modello dotati di lenti Optimed, in quanto, alla data dell’«acquisto-test», le montature Titanflex Eschenbach non erano ancora commercializzate nei negozi della Hartlauer.19.
La Pippig ha citato in giudizio la Hartlauer e gli eredi di Franz Josef Hartlauer, chiedendo che la Hartlauer si astenesse da ogni pubblicità comparativa relativa ai prezzi nella forma descritta ai punti 15-18 della presente sentenza, poiché tale pubblicità era ingannevole e la screditava. Essa ha inoltre chiesto la condanna delle resistenti al risarcimento dei danni nonché alla pubblicazione a loro spese della sentenza.20.
Poiché i giudici di primo grado e di appello hanno in gran parte, ma non integralmente, accolto le domande della Pippig, la ricorrente e le resistenti hanno ciascuna presentato un ricorso in cassazione («Revision») dinanzi all’Oberster Gerichtshof.21.
Ritenendo necessaria l’interpretazione della direttiva 84/450 al fine di decidere la controversia dinanzi ad esso pendente, l’Oberster Gerichtshof ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’art. 7, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE, che modifica la direttiva 84/450/CEE relativa alla pubblicità ingannevole al fine di includervi la pubblicità comparativa (in prosieguo: la direttiva), debba essere inteso nel senso che la frase pubblicità comparativa per quanto riguarda il confronto si riferisce alle affermazioni riguardanti l’offerta dello stesso operatore pubblicitario, a quelle riguardanti l’offerta del concorrente e a quelle riguardanti il rapporto tra le due offerte (il risultato del confronto) o se, invece, vi sia un confronto ai sensi del detto art. 7, n. 2, solo in quanto vengono fatte affermazioni sul risultato del confronto, sicché indicazioni errate su altre caratteristiche delle merci o prestazioni confrontate possono essere valutate alla luce di un criterio nazionale in merito al carattere ingannevole eventualmente più rigoroso.
Se il rinvio all’art. 7, n. 1, della direttiva contenuto nell’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva costituisca una lex specialis rispetto all’art. 7, n. 2, della direttiva, sicché un criterio nazionale in merito al carattere ingannevole eventualmente più rigoroso può essere applicato a tutti gli elementi del confronto.
Se l’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva debba essere inteso nel senso che il confronto del prezzo di un prodotto di marca con quello di un prodotto non di marca qualitativamente analogo è illecito se non sono indicati i nomi dei produttori, o se l’art. 3 bis, n. 1, lett. c), e l’art. 3 bis, n. 1, lett. g), della direttiva ostino all’indicazione dei produttori. Se l’immagine di un prodotto (di marca) sia una caratteristica della merce o prestazione ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, lett. c), della direttiva. Se la (eventuale) soluzione negativa di tale questione comporti l’illiceità di ogni confronto (basato sul prezzo) di un prodotto di marca con un prodotto non di marca qualitativamente analogo.
2) Se l’art. 7, n. 2, della direttiva debba essere inteso nel senso che anche le differenze nel modo di procurarsi la merce o prestazione, le cui caratteristiche sono confrontate con quelle della merce o prestazione dell’operatore pubblicitario, devono essere valutate solo alla luce dell’art. 3 bis della direttiva.
Nel caso in cui tale questione venga risolta positivamente, se l’art. 3 bis della direttiva debba essere inteso nel senso che un confronto (basato sul prezzo) è lecito solo se l’operatore pubblicitario e la concorrenza si procurano le merci confrontate attraverso gli stessi canali distributivi e, conseguentemente, le offrono in un assortimento analogo.
3) Se per confronto ai sensi dell’art. 7, n. 2, della direttiva si debba intendere anche la costituzione, mediante un »acquisto-test, dei dati alla base del confronto.
Nel caso in cui tale questione venga risolta positivamente, se l’art. 3 bis della direttiva debba essere inteso nel senso che osta alla realizzazione consapevole di un confronto (basato sul prezzo) vantaggioso per l’operatore pubblicitario, confronto compiuto mediante un acquisto-test effettuato ancor prima dell’inizio dell’offerta di tale operatore e opportunamente organizzato.
4) Se il confronto causi discredito ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, lett. e), della direttiva quando l’operatore pubblicitario sceglie la merce acquistata presso il concorrente in modo tale che vi sia una differenza di prezzo superiore a quella media e/o quando siffatti confronti basati sul prezzo vengono ripetuti continuamente, in modo tale che nasca l’impressione che i prezzi della concorrenza siano in generale esorbitanti.
Se l’art. 3 bis, n. 1, lett. e), della direttiva debba essere inteso nel senso che le indicazioni relative all’identità del concorrente devono essere limitate allo stretto necessario, sicché è illecito mostrare, oltre al nome, il logotipo (eventuale) e il negozio del concorrente».Sulla prima questione
22.
Con la sua prima questione, il giudice a quo intende sapere, in primo luogo, se l’art. 7, n. 2, della direttiva 84/450 si applichi a tutti gli elementi del confronto, cioè alle indicazioni relative all’offerta dell’operatore pubblicitario, alle indicazioni relative all’offerta del concorrente e ai rapporti esistenti tra tali offerte, ovvero se si applichi solamente a quest’ultimo elemento. In secondo luogo, egli chiede se l’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450 debba essere interpretato nel senso che esso consente di applicare alla pubblicità comparativa disposizioni nazionali più restrittive in materia di tutela contro la pubblicità ingannevole. Egli chiede, in terzo luogo, se l’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450 debba essere interpretato nel senso che esso consente di effettuare un confronto tra prodotti di marca e prodotti non di marca quando non siano indicati i nomi dei produttori.Osservazioni sottoposte alla Corte
23.
La Pippig fa valere che l’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450 rappresenta una disposizione cruciale, là dove essa prevede che la pubblicità comparativa non dev’essere ingannevole ai sensi degli artt. 2, punto 2, e 7, n. 1, della direttiva stessa. La disposizione citata non si riferirebbe al n. 2 dell’art. 7, bensì al suo n. 1, cosicché, per quanto concerne la pubblicità comparativa ingannevole, sarebbe lecito applicare criteri nazionali più rigorosi a tutti gli elementi del confronto.24.
Secondo la Pippig, per non privare di ogni effetto utile l’art. 7, n. 2, della direttiva 84/450, questa disposizione dovrebbe essere interpretata nel senso che, salvi i casi di pubblicità ingannevole, il confronto non potrebbe in sé essere limitato.25.
La Pippig ritiene che l’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450 debba essere interpretato nel senso che il confronto tra il prezzo di un prodotto di marca e il prezzo di un prodotto non di marca, di qualità equivalente, è illecito quando non è indicato il nome del produttore del bene di marca. Ciò discenderebbe dall’esigenza di un confronto obiettivo, enunciata al settimo e al quindicesimo “considerando” della direttiva 97/55.26.
Le resistenti nella causa principale sostengono che l’art. 7, n. 2, della direttiva 84/450 ha istituito una «norma fissa», escludendo esplicitamente l’applicazione, da parte degli Stati membri, di criteri nazionali più restrittivi in materia di carattere ingannevole relativamente a tutti gli elementi della pubblicità comparativa. Un’opposta interpretazione comporterebbe che una campagna pubblicitaria sotto forma di pubblicità comparativa, concepita per essere condotta in tutti gli Stati membri, potrebbe essere autorizzata in taluni Stati e vietata in altri.27.
Peraltro, le resistenti nella causa principale fanno valere che, poiché le lenti Optimed sono, al pari delle lenti Zeiss, lenti di marca, la pubblicità comparativa di cui trattasi è lecita. Una diversa interpretazione comporterebbe l’ammissibilità della pubblicità comparativa solamente tra prodotti identici, il che non avrebbe alcun senso alla luce dell’art. 3 bis, n. 1, lett. b), d), e), g) e h) della direttiva 84/450.28.
Inoltre, l’indicazione del nome del concorrente oggetto del confronto non sarebbe obbligatoria. Infatti, sia dall’art. 3 bis della direttiva 84/450, sia dal quindicesimo “considerando” della direttiva 97/55 emergerebbe il carattere facoltativo di tale indicazione.29.
Il governo austriaco ritiene che si debba ammettere la liceità di un criterio nazionale in merito al carattere ingannevole più rigoroso per quanto riguarda il rischio di inganno di cui all’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450, ma non per la definizione della pubblicità comparativa, né per le condizioni indicate al detto art. 3 bis, n. 1, lett. b) - h). Un’interpretazione contraria non permetterebbe di attribuire un senso all’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450. Sarebbe del pari difficile spiegare per quale ragione la pubblicità ingannevole potrebbe essere disciplinata, a livello nazionale, più restrittivamente se effettuata al di fuori di un confronto che nell’ambito di un confronto.30.
Il governo austriaco sostiene che, ancorché il confronto di un prodotto non di marca con un prodotto di marca conduca frequentemente a una situazione di inganno o di discredito, non per questo un simile confronto dovrebbe essere sistematicamente considerato illecito.31.
Secondo la Commissione, la direttiva 84/450 contiene, in materia di pubblicità comparativa, una disciplina esaustiva che riguarda tutti gli elementi di un confronto tra beni o servizi a fini pubblicitari. Essa non lascerebbe pertanto alcun margine ad una disciplina o ad una giurisprudenza nazionali più restrittive quanto alla liceità di una simile pubblicità.32.
In queste circostanze, il rinvio all’art. 7, n. 1, effettuato dall’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450, potrebbe solamente significare che la pubblicità comparativa, in quanto tale lecita sulla scorta delle disposizioni della direttiva citata, sarebbe tuttavia illecita se, su un piano diverso da quello del confronto propriamente detto, essa contenesse indicazioni ingannevoli.33.
La Commissione rileva inoltre che nessuna disposizione della direttiva 84/450 vieta il confronto tra prodotti di marca e prodotti non di marca. Tuttavia, nel caso degli occhiali, il fatto che questi ultimi siano dotati di lenti con marchio celebre potrebbe rappresentare una caratteristica tale da aumentarne la qualità e, di conseguenza, il prezzo, cosicché, perché il confronto di prezzo non sia ingannevole, la presenza o l’assenza di simili lenti sugli occhiali che sono oggetto del confronto dovrebbe essere menzionata.Giudizio della Corte
34.
In ordine alla prima parte della questione, relativa all’applicazione dell’art. 7, n. 2, della direttiva 84/450 a tutti gli elementi del confronto, va ricordato che, ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis, di tale direttiva, si intende per «pubblicità comparativa» qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente.35.
Come questa Corte ha già avuto modo di statuire, si tratta di una definizione ampia, che permette di includere tutte le forme di pubblicità comparativa, cosicché, perché si abbia pubblicità comparativa, è sufficiente che sussista un messaggio che faccia, anche implicitamente, riferimento a un concorrente o beni o ai servizi che esso offre (v. sentenza 25 ottobre 2001, causa C-112/99, Toshiba Europe).36.
Ogni pubblicità comparativa mira ad evidenziare i vantaggi dei beni o dei servizi offerti dall’operatore pubblicitario rispetto a quelli di un concorrente. Per giungere a questo risultato, il messaggio deve necessariamente sottolineare le differenze esistenti tra i beni o i servizi confrontati mediante la descrizione delle loro principali caratteristiche. Il confronto effettuato dall’operatore pubblicitario emergerà necessariamente da una tale descrizione.37.
Conseguentemente, nell’ambito della direttiva 84/450, non vanno effettuate distinzioni, all’interno della disciplina vigente, tra i diversi elementi del confronto, ossia le indicazioni relative all’offerta dell’operatore pubblicitario, le indicazioni relative all’offerta del concorrente ed il rapporto tra tali due offerte.38.
In ordine alla seconda parte della questione, relativa all’applicazione alla pubblicità comparativa di disposizioni nazionali più restrittive in materia di tutela contro la pubblicità ingannevole, si deve rilevare che l’obiettivo della direttiva 84/450 è quello di stabilire le condizioni in cui la pubblicità comparativa deve essere ritenuta lecita nell’ambito del mercato interno.39.
A tal fine, l’art. 3 bis della direttiva 84/450 elenca le condizioni che devono essere soddisfatte, tra le quali figura l’esigenza che la pubblicità comparativa non sia ingannevole ai sensi degli artt. 2, punto 2, e 7, n. 1, della direttiva stessa (v. art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450).40.
Poiché il legislatore comunitario ha compiuto, in materia di pubblicità ingannevole, solamente un’armonizzazione minima dei regimi nazionali, l’art. 7, n. 1, della direttiva 84/450 consente agli Stati membri di applicare in tale materia disposizioni nazionali più restrittive intese a garantire una più ampia tutela, in particolare, dei consumatori.41.
Tuttavia, l’art. 7, n. 2, della direttiva 84/450 prevede espressamente che il n. 1 dello stesso articolo non è applicabile alla pubblicità comparativa per quanto riguarda il confronto.42.
Così, le disposizioni della direttiva 84/150 relative alle condizioni di liceità della pubblicità comparativa per un verso rinviano all’art. 7, n. 1, per quanto concerne la definizione della pubblicità ingannevole (art. 3 bis, n. 1, lett. a) e, per altro verso, escludono l’applicazione di questa stessa disposizione (art. 7, n. 2). Di fronte a questa apparente contraddizione testuale si impone un’interpretazione di tali disposizioni, che deve svolgersi tenendo conto degli obiettivi della direttiva 84/450, nonché alla luce della giurisprudenza della Corte secondo cui le condizioni imposte dalla pubblicità comparativa devono interpretarsi nel senso più favorevole a questa (sentenza Toshiba Europe, cit., punto 37).43.
Ai sensi del secondo “considerando” della direttiva 97/55, le disposizioni essenziali che disciplinano la forma e il contenuto della pubblicità comparativa devono essere uniformi e le condizioni per l’utilizzazione della pubblicità comparativa in tutti gli Stati membri devono essere armonizzate. Ai sensi del terzo “considerando” della medesima direttiva, la liceità o il divieto della pubblicità comparativa a seconda delle diverse legislazioni nazionali può costituire un ostacolo alla libera circolazione dei beni e dei servizi e creare distorsioni della concorrenza. Il diciottesimo “considerando” della direttiva citata esclude l’applicazione alla pubblicità comparativa di disposizioni nazionali più restrittive in materia di pubblicità ingannevole, posto che l’obiettivo perseguito dal legislatore comunitario, con l’adozione della direttiva 97/55, è stato quello di fissare le condizioni alle quali è consentita la pubblicità comparativa in tutta la Comunità.44.
Ne consegue che la direttiva 84/450 ha compiuto un’armonizzazione esaustiva delle condizioni di liceità della pubblicità comparativa negli Stati membri. Una simile armonizzazione implica, per definizione, che la liceità della pubblicità comparativa in tutta la Comunità dev’essere valutata unicamente alla luce dei criteri stabiliti dal legislatore comunitario. Di conseguenza, le disposizioni nazionali più restrittive in materia di tutela contro la pubblicità ingannevole non possono essere applicate alla pubblicità comparativa per quanto concerne la forma ed il contenuto del confronto.45.
In ordine alla terza parte della questione, relativa alla liceità del confronto di prodotti di marca con prodotti non di marca, si deve rilevare che, nella causa principale, i prodotti in questione sono tutti prodotti di marca.46.
In tale contesto, la questione sollevata deve essere intesa come relativa alla liceità del confronto tra prodotti di marche diverse, quando i nomi dei produttori non sono indicati.47.
Si deve in proposito rilevare, innanzitutto, che la direttiva 84/450 consente all’operatore pubblicitario, a talune condizioni, di indicare in una pubblicità comparativa il marchio dei prodotti di un concorrente.48.
Ciò emerge, da un lato, dal quattordicesimo “considerando” della direttiva 97/55, secondo cui, per poter svolgere una pubblicità comparativa efficace, può essere indispensabile identificare i prodotti o i servizi di un concorrente, facendo riferimento ad un marchio di cui quest’ultimo è titolare.49.
Ciò risulta, d’altro lato, dall’art. 3 bis, n. 1, lett. d), e) e g) della direttiva 84/450. Tali disposizioni enunciano infatti tre condizioni di liceità della pubblicità comparativa, esigendo rispettivamente che la stessa non ingeneri confusione sul mercato tra i marchi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente, che non causi discredito o denigrazione dei marchi di un concorrente e che non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio di un concorrente. Ne discende che, quando il confronto non ha ad oggetto o per effetto di provocare tali situazioni di concorrenza sleale, l’utilizzo del marchio di un concorrente è ammesso dal diritto comunitario.50.
Si deve peraltro ricordare che la Corte ha già statuito che l’uso del marchio altrui può essere legittimo quando è necessario per informare il pubblico della natura dei prodotti o della destinazione dei servizi offerti (sentenza Toshiba Europe, cit., punto 34).51.
L’indicazione del marchio di un concorrente nell’ambito della pubblicità comparativa rappresenta quindi una facoltà concessa all’operatore pubblicitario.52.
È possibile che, in particolari circostanze, l’omissione di una simile indicazione in un messaggio pubblicitario avente ad oggetto un confronto induca o quantomeno sia idonea ad indurre in errore i soggetti cui esso si rivolge, rendendolo di conseguenza ingannevole, ai sensi dell’art. 2, punto 2, della direttiva 84/450.53.
Nel caso in cui il marchio dei prodotti possa condizionare sensibilmente la scelta dell’acquirente ed il confronto riguardi prodotti concorrenti i cui rispettivi marchi presentano una notevole differenza in termini di notorietà, il fatto di omettere il marchio più rinomato contrasta con l’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450, che introduce una delle condizioni di liceità della pubblicità comparativa.54.
Alla luce del carattere cumulativo dei requisiti enunciati dall’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, una pubblicità comparativa del genere è vietata dal diritto comunitario.55.
Spetta tuttavia al giudice nazionale competente, in ciascun caso di specie, tenuto conto di tutti gli elementi pertinenti della causa che gli è sottoposta, verificare se sussistono le condizioni enunciate al punto 53 della presente sentenza, prendendo in considerazione l’aspettativa presunta di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (sentenza 13 gennaio 2000, causa C-220/98, Estée Lauder).56.
Si deve quindi risolvere la prima questione pregiudiziale nel senso che:
- l’art. 7, n. 2, della direttiva 84/450 osta all’applicazione alla pubblicità comparativa di disposizioni nazionali più restrittive in materia di tutela contro la pubblicità ingannevole per quanto concerne la forma ed il contenuto del confronto, senza che si debbano effettuare distinzioni in ordine ai diversi elementi del confronto, ossia le indicazioni relative all’offerta dell’operatore pubblicitario, le indicazioni relative all’offerta del concorrente e il rapporto tra tali offerte;
- l’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450 dev’essere interpretato nel senso che, pur essendo l’operatore pubblicitario in linea di principio libero di indicare o meno, nell’ambito di una pubblicità comparativa, il marchio dei prodotti concorrenti, spetta tuttavia al giudice nazionale verificare se, in circostanze particolari, caratterizzate dall’importanza del marchio nella scelta dell’acquirente nonché dalla rilevante differenza, in termini di notorietà, tra i rispettivi marchi dei prodotti messi a confronto, l’omissione del marchio più rinomato possa risultare ingannevole.Sulla seconda questione
57.
Con la sua seconda questione, il giudice a quo chiede sostanzialmente se le differenze nella modalità d’approvvigionamento per quanto riguarda prodotti di cui si confrontano le qualità possano incidere sulla liceità della pubblicità comparativa.Osservazioni sottoposte alla Corte
58.
La Pippig sostiene che, quando le differenze nella modalità d’acquisizione dei prodotti o dei servizi sono determinanti per la pubblicità e la provenienza del prodotto può essere importante per il consumatore nonché quindi per il calcolo del prezzo, tali differenze devono essere anch’esse valutate alla luce dell’art. 3 bis della direttiva 84/450. Una simile interpretazione sarebbe conforme all’obiettivo di tale direttiva, posto che il suo art. 3 bis, n. 1, lett. a), rinvia espressamente alle disposizioni dei suoi artt. 3 e 7, n. 1. Orbene, l’art. 3, lett. a), della stessa direttiva prevede che l’indicazione in una pubblicità dell’origine commerciale dei beni o dei servizi rappresenta un elemento determinante per valutare se questa abbia carattere ingannevole.59.
Secondo le resistenti nella causa principale, le differenze nella modalità di approvvigionamento di un prodotto non incidono in alcun modo sulle caratteristiche di quest’ultimo. Così, occhiali con un marchio determinato rimangono il medesimo prodotto di marca, siano essi stati acquistati presso un distributore ufficiale ovvero attraverso il circuito delle importazioni parallele. La pubblicità comparativa relativa ai prodotti della stessa marca potrebbe del resto svolgersi solamente tra un importatore parallelo e un distributore ufficiale, in quanto i distributori ufficiali rispettano abitualmente i prezzi di vendita consigliati dai produttori, eliminando in tal modo la concorrenza sui prezzi.60.
Il governo austriaco rileva che l’art. 3 bis della direttiva 84/450 non osta al confronto di prodotti che l’operatore pubblicitario e i suoi concorrenti si procurano ricorrendo a canali distributivi diversi. Anche la Commissione sostiene tale interpretazione, in quanto nessuna particolare circostanza vi si opponga, ad esempio, l’intento del consumatore di effettuare acquisti regolari di un prodotto.Giudizio della Corte
61.
Come rilevato al punto 44 della presente sentenza, la direttiva 84/450 ha operato un’armonizzazione esaustiva delle condizioni di liceità della pubblicità comparativa negli Stati membri. Tra queste condizioni, elencate all’art. 3 bis, n. 1, di tale direttiva, non figura il requisito che i prodotti confrontati siano ottenuti ricorrendo ai medesimi canali distributivi.62.
Del resto, una simile condizione sarebbe contraria tanto agli obiettivi del mercato interno quanto a quelli della direttiva 84/450.63.
Infatti, per un verso, nell’ambito del completamento del mercato interno quale spazio privo di frontiere interne, in cui deve essere garantita la libera concorrenza, le importazioni parallele giocano un ruolo importante nell’impedire la compartimentazione dei mercati nazionali.64.
D’altro verso, risulta dal secondo “considerando” della direttiva 97/55 che la pubblicità comparativa mira a fornire ai consumatori la possibilità di ricavare il massimo vantaggio dal mercato interno, posto che la pubblicità costituisce uno strumento molto importante per aprire sbocchi reali in tutta l’Unione europea per qualsiasi bene o servizio.65.
Si deve dunque risolvere la seconda questione nel senso che l’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, non osta a che i prodotti confrontati siano acquistati attraverso canali distributivi diversi.Sulla terza questione
66.
Con la sua terza questione, il giudice a quo chiede in sostanza se l’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 osti alla realizzazione, da parte dell’operatore pubblicitario, di un «acquisto-test» presso un concorrente prima ancora dell’inizio della propria offerta.Osservazioni sottoposte alla Corte
67.
La Pippig fa valere che l’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450 rinvia espressamente alle condizioni di liceità della pubblicità comparativa elencate all’art. 3 della direttiva stessa. Quest’ultima disposizione preciserebbe che «i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sui beni o sui servizi» possono determinare il carattere ingannevole della pubblicità. Quindi, il fatto che un operatore pubblicitario provochi scientemente un confronto di prezzo a lui favorevole effettuando, ancor prima dell’inizio della propria offerta, un «acquisto-test» inteso a tal fine, renderebbe illecito il confronto.68.
Al contrario, le resistenti nella causa principale e la Commissione ritengono che l’art. 3 bis della direttiva 84/450 non richiede che, alla data dell’«acquisto-test» presso un concorrente, l’operatore pubblicitario ponga già in vendita il prodotto che sarà in seguito confrontato con quello che è stato oggetto dell’«acquisto-test». Secondo le resistenti nella causa principale, sarebbe inevitabile che l’«acquisto-test» preceda la pubblicità e sia quindi anteriore alla fase in cui l’operatore pubblicitario offre egli stesso il prodotto oggetto del confronto ad un prezzo più basso.69.
Il governo austriaco sottolinea che le condizioni di liceità di un confronto di prezzo sono previste in forma tassativa dall’art. 3 bis della direttiva 84/450. Spetterebbe quindi al giudice nazionale determinare se il fatto che l’operatore pubblicitario provochi scientemente un confronto di prezzo per sé vantaggioso, procedendo ad un «acquisto-test» ancor prima dell’inizio della propria offerta, possa costituire un inganno.Giudizio della Corte
70.
Poiché un «acquisto-test» effettuato dall’operatore pubblicitario presso un concorrente non è in sé vietato dalla direttiva 84/450, il messaggio pubblicitario che confronta l’offerta di tale operatore pubblicitario con quella del detto concorrente sarà illecito solo qualora esso non rispetti una delle condizioni previste dall’art. 3 bis, n. 1, della direttiva citata, il che dev’essere verificato dal giudice nazionale.71.
Si deve quindi risolvere la terza questione nel senso che l’art. 3 bis della direttiva 84/450 non osta alla realizzazione, da parte dell’operatore pubblicitario, di un «acquisto-test» presso un concorrente ancor prima del lancio della propria offerta, purché le condizioni di liceità della pubblicità comparativa ivi enunciate siano rispettate.Sulla quarta questione
72.
Con la sua quarta questione, il giudice a quo chiede, in primo luogo, se un confronto di prezzo comporti il discredito del concorrente e sia quindi illecito ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, lett. e ), della direttiva 84/450, quando i prodotti siano scelti in modo tale che vi sia una differenza di prezzo superiore a quella media e/o quando i confronti vengano ripetuti continuamente, facendo sorgere l’impressione che i prezzi del concorrente siano eccessivi. Esso chiede, in secondo luogo, se la medesima disposizione debba essere interpretata nel senso che una pubblicità comparativa è illecita quando riproduce, oltre al nome, anche il logotipo e un’immagine del negozio del concorrente.Osservazioni sottoposte alla Corte
73.
La Pippig fa valere che un confronto causa discredito, ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, lett. e), della direttiva 84/450, quando l’operatore pubblicitario sceglie la merce acquistata presso il concorrente in maniera tale da ottenere una differenza di prezzo superiore a quella normale e quando effettua continuamente simili confronti di prezzo in modo tale da suscitare l’impressione che i prezzi praticati dal concorrente siano, in generale, eccessivi. L’esigenza di obiettività implicherebbe che l’operatore pubblicitario non è legittimato a suscitare una simile impressione.74.
Peraltro, emergerebbe dal quindicesimo “considerando” della direttiva 97/55 che l’utilizzazione del marchio, della denominazione commerciale, del logotipo della ditta o di un’immagine della facciata del negozio di un concorrente non viola il diritto esclusivo del titolare se avviene nel rispetto delle condizioni stabilite dalla direttiva 84/450, essendo lo scopo unicamente quello di contraddistinguere i prodotti o i servizi di un concorrente e quindi di metterne obiettivamente in rilievo le differenze. La Pippig sostiene tuttavia che, nella causa principale, non era indispensabile che l’operatore pubblicitario si presentasse in maniera «trionfante» davanti al negozio del concorrente i cui prodotti erano oggetto del confronto.75.
Le resistenti nella causa principale sostengono che l’art. 3 bis della direttiva 84/450 non richiede che la pubblicità comparativa si limiti ad indicare l’eventuale differenza media di prezzo tra le offerte delle imprese messe a confronto. Infatti, non sussisterebbe alcuna restrizione in ordine al numero dei confronti di prezzo validamente effettuabili. Se si introducesse un simile requisito, non previsto dall’art. 3 bis, si escluderebbero i confronti di prezzo relativi a taluni prodotti tra imprese che praticano mediamente gli stessi prezzi.76.
Il riferimento, nella pubblicità, ai locali commerciali ovvero agli indirizzi dei negozi di un concorrente rappresenterebbe un valido strumento di identificazione del concorrente, ammesso dal quattordicesimo “considerando” della direttiva 97/55.77.
Secondo il governo austriaco, spetta al giudice nazionale determinare, sulla base dei criteri di cui all’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, segnatamente in combinato disposto con l’art. 2, punto 2, della stessa, se la pubblicità comparativa sui prezzi comporti il discredito del concorrente e se sia illecito mostrare, oltre al nome di quest’ultimo, anche il suo logotipo e il suo negozio.78.
La Commissione ritiene che l’indicazione di prezzi più elevati praticati da un concorrente non possa, di per sé, comportare il discredito ovvero la denigrazione di quest’ultimo. Di conseguenza, per sapere se un confronto di prezzo sia obiettivo e non ingannevole sarebbe sufficiente applicare l’art. 3 bis, n. 1, lett. a) - c), della direttiva 84/450. La Commissione sostiene che, non essendo prescritto alcun livello di prezzi, l’affermazione secondo cui un concorrente pratica costantemente prezzi «eccessivi» non può, in linea di principio, comportare discredito o denigrazione, a meno che non si evochi l’applicazione di prezzi usurari.79.
La Commissione osserva infine che la semplice riproduzione del logotipo e del negozio di un concorrente non comporta discredito o denigrazione, purché non sia accompagnata da un’affermazione falsa o diffamatoria. Una tale riproduzione potrebbe accrescere l’efficacia e la credibilità di una pubblicità comparativa.Giudizio della Corte
80.
Si deve rilevare, in ordine alla prima parte della questione, che il confronto tra offerte concorrenti, in particolare per quanto riguarda i prezzi, rientra nella natura stessa della pubblicità comparativa. Di conseguenza, il confronto dei prezzi non può in sé comportare il discredito o la denigrazione di un concorrente che pratichi prezzi più elevati, ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, lett. e), della direttiva 84/450.81.
Si deve precisare che la scelta del numero di confronti che l’operatore pubblicitario intende effettuare tra i prodotti che egli offre e quelli offerti dai suoi concorrenti rientra nell’esercizio della sua libertà economica. Un eventuale obbligo di circoscrivere ciascun confronto di prezzo ai prezzi medi dei prodotti offerti dall’operatore pubblicitario rispetto ai prodotti concorrenti sarebbe contrario agli obiettivi del legislatore comunitario.82.
Infatti, ai sensi del secondo “considerando” della direttiva 97/55, la pubblicità comparativa deve contribuire a mettere oggettivamente in evidenza i pregi dei vari prodotti comparabili. Una tale oggettività richiede che le persone cui è destinata la pubblicità possano venire a conoscenza delle reali differenze di prezzo dei prodotti confrontati e non solamente della differenza media tra i prezzi praticati dall’operatore pubblicitario e quelli praticati dai concorrenti.83.
In ordine alla seconda parte della questione, relativa al problema della riproduzione, nel messaggio pubblicitario, del logotipo e dell’immagine della facciata del negozio del concorrente, si deve rilevare che, ai sensi del quindicesimo “considerando” della direttiva 97/55, l’utilizzazione del marchio, della denominazione commerciale o di altri segni distintivi appartenenti ad altri, se avviene nel rispetto delle condizioni stabilite da tale direttiva, non viola il diritto esclusivo del titolare del marchio.84.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve risolvere la quarta questione, in primo luogo, nel senso che un confronto di prezzo non causa il discredito di un concorrente ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, lett. e), della direttiva 84/450, né ove la differenza di prezzo tra i prodotti confrontati sia superiore alla differenza media di prezzo, né in ragione del numero di confronti effettuati. In secondo luogo, l’art. 3 bis, n. 1, lett. e), della direttiva 84/450 non osta a che una pubblicità comparativa riproduca, oltre al nome del concorrente, il suo logotipo e un’immagine della facciata del suo negozio, se tale pubblicità rispetta le condizioni di liceità stabilite dal diritto comunitario.
(Omissis)
Per questi motivi,LA CORTE,
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dall’Oberster Gerichtshof con ordinanza 19 dicembre 2000, dichiara:
1) L’art. 7, n. 2, della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE, osta all’applicazione alla pubblicità comparativa di disposizioni nazionali più restrittive in materia di tutela contro la pubblicità ingannevole per quanto concerne la forma ed il contenuto del confronto, senza che si debbano effettuare distinzioni in ordine ai diversi elementi del confronto, ossia le indicazioni relative all’offerta dell’operatore pubblicitario, le indicazioni relative all’offerta del concorrente e il rapporto tra tali offerte.
2) L’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450, modificata, dev’essere interpretato nel senso che, pur essendo l’operatore pubblicitario in linea di principio libero di indicare o meno, nell’ambito di una pubblicità comparativa, il marchio dei prodotti concorrenti, spetta tuttavia al giudice nazionale verificare se, in circostanze particolari, caratterizzate dall’importanza del marchio nella scelta dell’acquirente nonché dalla rilevante differenza, in termini di notorietà, tra i rispettivi marchi dei prodotti confrontati, l’omissione del marchio più rinomato possa risultare ingannevole.
3) L’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, modificata, non osta a che i prodotti confrontati siano acquistati attraverso canali distributivi diversi.
4) L’art. 3 bis della direttiva 84/450, modificata, non osta alla realizzazione da parte dell’operatore pubblicitario di un «acquisto-test» presso un concorrente ancor prima del lancio della propria offerta, purché le condizioni di liceità della pubblicità comparativa ivi enunciate siano rispettate.
5) Un confronto di prezzo non causa il discredito di un concorrente ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, lett. e), della direttiva 84/450, modificata, né ove la differenza di prezzo tra i prodotti confrontati sia superiore alla differenza media di prezzo, né in ragione del numero di confronti effettuati. L’art. 3 bis, n. 1, lett. e), della direttiva 84/450, modificata, non osta a che una pubblicità comparativa riproduca, oltre al nome del concorrente, il suo logotipo e un’immagine della facciata del suo negozio, se tale pubblicità rispetta le condizioni di liceità stabilite dal diritto comunitario.