il diritto commerciale d’oggi
    II.5 – maggio 2003

STUDÎ E COMMENTI

 

Gianluca Bertolotti

Il reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione e l’evoluzione normativa  *

 

 

     In genere la disciplina del bilancio finale di liquidazione pone complesse questioni applicative (1). Si pensi, in via meramente esemplificativa, al problema relativo alla natura di tale bilancio, che secondo la dottrina prevalente costituirebbe un bilancio a tutti gli effetti (2), mentre secondo alcuni Autori integrerebbe un mero rendiconto (3).
     Fra le questioni “complesse” non sembra invece rientrare quella di cui alla prima massima della sentenza in commento (Cass., 19 aprile 2002, n. 5716) con la quale i giudici di legittimità, limitandosi a ribadire il tenore letterale dell’ art. 2453 (e ora del riformulato art. 2492) cod. civ., hanno affermato che «il termine di tre mesi per la proposizione del reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione decorre dall’iscrizione dell’avvenuto deposito presso l’ufficio del registro delle imprese».
     Come dire, insomma, che l’individuazione del dies a quo per la proposizione del reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione è una questione non controversa nell’ambito della tematica dei bilanci di liquidazione. Del resto, si tratta anche di un aspetto espressamente regolato dalla pur scarna disciplina approntata dal legislatore del 1942 in tema di liquidazione di società di capitali e, oltretutto, sul punto il dato normativo è sufficientemente chiaro: avverso il bilancio finale di liquidazione «Nei tre mesi successivi all’iscrizione dell’avvenuto deposito, ogni socio può proporre reclamo …».
     Non pare, pertanto, si possa fondatamente porre in discussione che la pronuncia della Suprema Corte corrisponda al sistema attualmente in vigore, sistema che è rimasto immutato anche dopo la riforma di cui al d. lgs. n. 6 del 2003 che, come noto, ha riscritto la disciplina delle società di capitali e società cooperative contenuta nel codice civile.
     Bene ha fatto allora la Cassazione a ritenere che le censure del ricorrente, per il quale, in sostanza, il dies a quo per la proposizione del reclamo doveva coincidere con l’avvenuta conoscenza da parte del socio dell’iscrizione presso il registro delle imprese del bilancio finale di liquidazione, fossero sfornite «di qualsiasi sostegno normativo» (4).
     Tuttavia, dalla lettura della sentenza in epigrafe, sembra emergere come il thema decidendum di maggior criticità non fosse quello di verificare se il termine di tre mesi per proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione decorresse dall’iscrizione del deposito del bilancio stesso presso il registro delle imprese quanto, piuttosto, quello di cui alla seconda massima: stabilire, attraverso un’interpretazione sistematica, se la normativa applicabile fosse coerente con gli artt. 3 e 24 Cost. Su tale aspetto la pronuncia che si annota forse non si è sufficientemente soffermata (5).
     Invero, quanto al dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 2453 cod. civ. in riferimento al diritto alla difesa sancito dall’art. 24 Cost., il ricorrente si doleva che «L’iscrizione dell’avvenuto deposito del bilancio finale di liquidazione costituisce un quid pluris rispetto al deposito ed un adempimento successivo per il quale non è fissato alcun termine, con la conseguenza che la tutela del socio resterebbe solo apparente, non essendo dato sapere, in difetto di comunicazione, né quando (e se) il bilancio finale di liquidazione sia stato depositato, né quando (e se) si sia provveduto alla prevista iscrizione».
     Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2453 cod. civ. per pretesa violazione dell’art. 3 Cost., poi, il ricorrente aveva lamentato la posizione deteriore dei soci di società di capitali, i quali non ricevono alcuna comunicazione circa il bilancio finale di liquidazione, rispetto ai soci di società di persone ai quali, invece, il bilancio finale di liquidazione e il piano di riparto devono essere comunicati mediante raccomandata (art. 2311 cod. civ.).
     Secondo la Suprema Corte l’art. 2453 cod. civ. non violerebbe l’art. 24 Cost. perché «il socio è in grado di conoscere il bilancio finale di liquidazione nel termine sufficientemente lungo previsto dalla legge e può quindi agire in giudizio per la tutela dei suoi diritti». Inoltre, l’art. 2453 cod. civ. non violerebbe neppure l’art. 3 Cost.
     La disciplina recata dall’art. 2311 cod. civ. in tema di società in nome collettivo (per la quale, si ripete, al socio devono essere comunicati con raccomandata il bilancio finale di liquidazione e il piano di riparto), secondo i giudici di legittimità, non potrebbe essere applicata alle società di capitali a causa «delle caratteristiche differenziali tra le società di persone e le società di capitali, nonchè delle dimensioni che possono assumere le società di capitali, le quali hanno spesso un numero di soci molto elevato. Qualora fosse richiesta la comunicazione del bilancio finale di liquidazione ai singoli soci, potrebbero esservi difficoltà nelle comunicazioni e tali difficoltà potrebbero tradursi in incertezze sull’avvenuta approvazione del bilancio per mancata proposizione del reclamo da parte di tutti i soci».
     A proposito della assunta violazione dell’art. 24 Cost. da parte dell’art. 2453 cod. civ. si tratta, per alcuni aspetti, dell’annosa critica alla quale viene sottoposto il sistema della pubblicità dichiarativa delineato dal codice civile per le società, critica che, in estrema sintesi, si sostanzia nel rilevare che i consociati non possono recarsi costantemente presso il registro delle imprese al fine di verificare se dal loro ultimo sopralluogo non risulti per avventura l’iscrizione di fatti o vicende sociali in qualche modo rilevanti per la tutela dei loro diritti (6).
     Orbene, se è vero che siffatto argomentare, portato alle estreme conseguenze, dovrebbe condurre a negare validità allo stesso sistema della pubblicità dichiarativa, non è però men vero che, con riguardo al caso di specie, i giudici di legittimità hanno forse trascurato un profilo rilevante.
     Invero, l’art. 2453 cod. civ. non impone ai liquidatori un termine entro cui procedere al deposito del bilancio finale di liquidazione presso il registro delle imprese una volta che sia stata completata la liquidazione del patrimonio sociale. L’art. 2453 cod. civ., insomma, dice solo ciò che devono fare i liquidatori, ma non dice quando devono farlo.
     Pertanto, se si riflette sulla circostanza, da un lato, che l’unica informativa concessa ai soci dall’art. 2453 cod. civ. è quella del registro delle imprese e, dall’altro lato, che tale informativa è temporalmente subordinata alla mera discrezionalità dei liquidatori, si arriva alla conclusione che la questione della violazione dell’art. 24 Cost. da parte dell’art. 2453 (7) cod. civ. non è peregrina, perché i soci, una volta sciolta la società, non hanno alcuna possibilità di controllare lo stato del procedimento di liquidazione: possono non sapere, non solo se il deposito del bilancio finale di liquidazione sia stato iscritto nel registro delle imprese ma, addirittura, se la liquidazione sia stata completata e se i liquidatori abbiano redatto il bilancio finale di liquidazione.
     Quanto poi alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2453 cod. civ. in relazione all’art. 3 Cost., se si muove dalle riflessioni appena svolte e si considerano gli argomenti sui quali la Suprema Corte ha fondato il proprio convincimento, ne consegue che anche su questo punto la soluzione offerta dalla pronuncia che si annota non è completamente appagante.
     In particolare, l’argomento della Suprema Corte in base al quale le società di capitali «hanno spesso un numero dei soci molto elevato» non è palesemente idoneo a giustificare una differenza di disciplina rispetto alle società di persone, come dimostra fra l’altro il dato empirico che sovente le società di capitali hanno meno soci delle società personali.
     Quanto poi all’argomento delle «caratteristiche differenziali tra le società di persone e le società di capitali», in primo luogo si tratta di un argomento così generico da risultare nella sostanza svuotato di qualsivoglia rilievo; di poi e soprattutto, la differenza di disciplina potrebbe al più giustificare una diversa modalità di comunicazione ai soci di società di capitali, una comunicazione di tipo “impersonale” (si pensi alla pubblicazione su quotidiani a diffusione nazionale o sulla Gazzetta Ufficiale, o via internet, ad esempio, su un sito appositamente dedicato), ma non giustifica certo la mancanza di qualsivoglia forma di comunicazione.
     Tuttavia, non si può escludere che sulla decisione della Suprema Corte abbia influito la circostanza che nella prassi il problema del controllo, da parte dei soci, dello stato del procedimento di liquidazione dopo lo scioglimento di una società di capitali viene superato mediante l’escamotage di subordinare il deposito del bilancio finale di liquidazione all’ approvazione dei soci medesimi.
     Qui, peraltro, non è questione di procedimento assembleare, benché il punto sia controverso, né di effetti derivanti dalla approvazione o dalla mancata approvazione del bilancio finale di liquidazione.
     In questo caso, infatti, siamo fuori dal congegno dell’assemblea intesa quale organo collegiale, i soci approvano o non approvano il bilancio finale di liquidazione uti singuli restando loro quale unico mezzo di reazione il solo rimedio del reclamo ex art. 2453 cod. civ.
     L’utilità del segnalato escamotage sta in ciò che i soci sono chiamati ad approvare il bilancio finale di liquidazione, dunque, se pure decidono di non intervenire alla riunione o non approvano il bilancio finale di liquidazione sanno, anzitutto, che la liquidazione è stata completata, di poi che i liquidatori hanno redatto un bilancio finale di liquidazione, con la conseguenza che, a questo punto, i soci devono ritenersi in grado di monitorare se e quando il bilancio finale di liquidazione viene iscritto nel registro delle imprese al fine di proporre reclamo ex art. 2453 (e ora 2492) cod. civ.
     Inoltre, i soci chiamati ad approvare il bilancio finale di liquidazione potrebbero fissare una data entro la quale i liquidatori debbano provvedere a depositare tale bilancio presso il registro delle imprese, agevolando in tal modo la tutela dei soci insoddisfatti i quali, a loro volta, potrebbero facilmente verificare l’avvenuta iscrizione ovvero il mancato deposito entro i termini stabiliti.
     Con ciò però non ogni problema è risolto. Anzitutto il procedimento segnalato, non essendo obbligatorio, lasciarebbe irrisolto il problema che ci occupa ogniqualvolta i liquidatori decidessero di non convocare i soci per sottoporre alla loro approvazione il bilancio finale di liquidazione.
     Di poi è ben noto che la dottrina contesta decisamente la prassi di sottoporre all’assemblea per l’approvazione il bilancio finale di liquidazione (8). Peraltro, tale ultimo ostacolo sembra agevolmente superabile, se, come già detto, si muove dalla prospettiva che con riferimento all’approvazione del bilancio finale di liquidazione siamo fuori dal procedimento assembleare in senso stretto (9).
     D’altra parte, le incertezze della dottrina su questo e, più in generale, su altri rilevanti aspetti della contabilità e del procedimento di liquidazione originano “a monte” del procedimento di liquidazione stesso, perchè non v’è concordia fra gli interpreti sullo status della società una volta che si sia verificata una causa di scioglimento (10).
     Ci si riferisce ovviamente alla nota circostanza che, accanto alla concezione classica, per la quale lo scioglimento del contratto sociale non estingue la persona giuridica ma ne limita la funzione, funzionalizzando l’attività dei suoi organi alla liquidazione così che muta lo scopo della società stessa, la quale non si volgerà più al perseguimento del lucro quanto, invece, alla monetizzazione dell’attivo al fine di soddisfare i creditori sociali e di ripartire l’eventuale residuo fra i soci (11), si pone la diversa idea per la quale nella fase di liquidazione la società esiste a tutti gli effetti e non invece limitatamente alla funzione di definire i rapporti pendenti.
     Secondo tale ultima opinione non ricorre dunque alcun mutamento dello scopo sociale originario: gli è che ad esso si sovrappone lo scopo particolare del procedimento di liquidazione (tesi della “continuità” della società); ciò pare dimostrato dalla possibilità per la società di continuare la propria attività (12).
     Senza entrare nel merito di un dibattito che all’evidenza non può in questa sede essere affrontato, sembra tuttavia utile segnalare che, mentre il sistema delineato dal codice civile del 1942 prendeva le mosse dal «principio che il verificarsi della causa di scioglimento sciogliesse il contratto sociale, e a ciò conseguiva la permanenza della struttura organizzativa limitata alla funzione di gestire una liquidazione modellata sulla disciplina della liquidazione di società di persone» (13), il recente d. lgs. n. 6 del 2003 sembrerebbe invece muoversi nella prospettiva della “continuità” della società (14). Con la conseguenza che, avendo la contabilità una funzione tipicamente “strumentale” (15), la mutata prospettiva in punto di status della società dopo lo scioglimento non consente di escludere che l’assemblea dei soci, questa volta intesa in senso proprio, possa avere un ruolo anche rispetto al bilancio finale di liquidazione.
     In altri e più espliciti termini, poiché la dottrina in genere si oppone all’approvazione assembleare del bilancio finale di liquidazione, sostanzialmente aderendo alla tesi, della quale si è già detto, che dopo lo scioglimento la società esiste al limitato fine di definire i rapporti in essere, con l’ulteriore conseguenza che «i poteri dell’assemblea, mentre rimangono sovrani per tutto quanto attiene alla liquidazione, trovano ormai nello scioglimento del contratto e nel diritto dei soci alla quota di liquidazione un limite insuperabile» (16), va da sé che se si ritiene che il d. lgs. n. 6 del 2003 si muove invece nella prospettiva di “continuità” della società in liquidazione non dovrebbero frapporsi ostacoli ad ammettere l’approvazione assembleare del bilancio finale di liquidazione.
     Si deve avere chiaro, tuttavia, che tale eventuale approvazione assembleare non è e non può essere sostitutiva del rimedio di cui all’art. 2453 (ora 2492) cod. civ.: il socio assente o dissenziente potrà sempre proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione ex art. 2453 cod. civ. Tale reclamo è precluso invece ai soci che abbiano approvato in sede assembleare il bilancio finale di liquidazione e, se l’approvazione è stata unanime, all’evidenza tale bilancio dovrà ritenersi non più reclamabile (17).
     Del resto il d. lgs. n. 6 del 2003 consente ora all’assemblea dei soci la revoca a maggioranza dello stato liquidazione (art. 2487-ter), mentre è noto che, proprio muovendo dal rilievo dei limitati poteri dell’organo assembleare e della sostanziale intangibilità del diritto del socio alla quota di liquidazione, si riteneva che dopo lo scioglimento «una ripresa della vita attiva» fosse sempre possibile ma in conseguenza di un’unanime espressione di volontà dei singoli soci «non mai della società» (18). Il diritto del socio insoddisfatto di proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione potrebbe allora trovare un presidio nel procedimento assembleare (19).
     È bene sottolineare, tuttavia, che si tratta pur sempre di un presidio debole e come tale forse insufficiente ad evitare le censure di legittimità costituzionale delle quali si è detto, a meno di non voler ritenere che il segnalato procedimento assembleare sia obbligatorio.
     In via incidentale e a meri fini di completezza si noti che il rilievo del segnalato cambiamento di rotta nella direzione della “continuità” della società dopo lo scioglimento si coglie già ad un sommario esame di alcune significative novità recate dal d. lgs. n. 6 del 2003 in tema di liquidazione.
     Così, ad esempio, in coerenza con la prospettiva della “continuità”, si tenta di risolvere una rilevante questione applicativa che si agitava nel vigore della pregressa disciplina (e che all’evidenza originava dalle ricordate incertezze circa lo status della società durante la fase di liquidazione) quella cioè della applicabilità ai bilanci di liquidazione della disciplina in tema bilancio di esercizio recata agli artt. 2423 e ss. cod. civ. e, in particolare, dell’applicabilità ai bilanci di liquidazione dei criteri di valutazione previsti dall’art. 2426 cod. civ. (20).
     Rispetto alla pregressa disciplina, notoriamente muta sul punto, il nuovo art. 2490 cod. civ. prevede ora espressamente che ai bilanci annuali di liquidazione (21) si applicano le disposizioni degli artt. 2423 ss. cod. civ. e ciò all’evidenza rappresenta un passo nella direzione della tesi della “continuità” della società durante la fase di liquidazione (22); anche se l’applicazione ai bilanci di liquidazione della disciplina recata in tema di bilancio di esercizio non è incondizionata. Invero, per espressa previsione, gli artt. 2423 ss. cod. civ. si applicano solo «in quanto compatibili con la natura, le finalità e lo stato della liquidazione» (art. 2490 cod. civ. nel testo riformulato) (23).
     Nel senso della “continuità” pare muoversi, infine, la possibilità di distribuire acconti sul risultato della liquidazione, possibilità ora espressamente riconosciuta dall’art. 2492 cod. civ. e in passato oggetto di vivaci discussioni (24).

 

* Il presente lavoro è destinato alla pubblicazione su "Giustizia civile".

 

Note

     (1) Cfr. su questi temi ALESSI, I liquidatori di società per azioni, Torino 1994; NICCOLINI, Interessi pubblici e privati nella estinzione delle società, Milano, 1990; ID, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, Tratt. delle spa Colombo e Portale, Torino, 1997, VII***; DESARIO, Bilancio ordinario e bilanci di liquidazione nelle società per azioni. Profili funzionali e impugnative, Milano, 1998.

     (2) SIMONETTO, I bilanci, Padova 1967, 456; PORTALE, I bilanci straordinari delle società per azioni, in Riv. soc. 1978, 305; LIBONATI, I bilanci straordinari, in Giur.comm., 1982, I, 836; ALESSI, Profili contabili della liquidazione di società per azioni, in Riv. dir. comm., 1988, I, 523. In giurisprudenza Cass., 28 febbraio 1996, n. 605, in Giust. civ., 1966, I, 1087.

     (3) Così fra gli altri BRUNETTI, Trattato del diritto delle società, II, Milano, 1948, 578.

     (4) Nello stesso ordine di idee si erano pronunciati il Tribunale di Brescia, con sentenza del 20 gennaio 1997, che aveva ritenuto il reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione inammissibile perché notificato oltre il termine di tre mesi dall’iscrizione presso il registro delle imprese e la Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 19 dicembre 1998, sentenza contro la quale era stato proposto il ricorso sul quale si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza che qui si annota.

     (5) La questione di costituzionalità era stata proposta dal ricorrente avanti la Corte di Appello di Brescia che l’aveva giudicata manifestamente infondata.

     (6) In proposito si pensi alla tormentata vicenda circa le modalità di liberazione dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali anteriori alla fusione eterogenea, vicenda culminata nella sentenza del 20 febbraio 1995, n.47 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2503 codice civile “nella parte in cui non prevede che la liberazione dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali anteriori alla fusione consegua esclusivamente al consenso espresso o presunto, nei modi e nel termine di cui al 2499 codice civile, dei creditori della società di persone partecipante alla fusione”. Sul punto mi permetto il rinvio a BERTOLOTTI, Responsabilità dei soci, tutela dei creditori e limiti di operatività nella fusione eterogenea, in Riv. dir. comm., 1996, II, 311 ss., ivi ogni ulteriore riferimento.

     (7) Il rilievo vale ovviamente anche per le nuove disposizioni giacchè, come si è sopra ricordato, il nuovo art. 2492 cod. civ. sul punto è rimasto immutato rispetto al precedente art. 2453 cod. civ.

     (8) Per tutti PORTALE, I bilanci, cit., 382.

     (9) Secondo DESARIO, op. cit., 68 testo e note, l’assemblea dei soci non è tenuta ad approvare il bilancio finale di liquidazione giacchè l’approvazione assembleare trova la propria giustificazione nell’esistenza di un interesse dell’organismo d’impresa che si reputa meritevole di tutela privilegiata, interesse che nel caso di specie non ricorre poiché il bilancio finale di liquidazione è strumentale «al solo interesse del singolo socio a percepire la propria quota del(l’eventuale) patrimonio residuo».
     Tuttavia, prosegue l’Autore, «nulla ovviamente vieta che il bilancio finale di liquidazione riporti – ad abundantiam – l’approvazione assembleare ma ciò non toglie che il socio assente o dissenziente possa proporre reclamo ex art. 2453, terzo comma, cod. civ.».

     (10) Per la verità, si tratta di incertezze che, come si dirà più oltre, sembrerebbero destinate a risolversi per effetto della recente riforma delle società di capitali e delle società cooperative. È evidente, tuttavia, che in questa sede la questione può essere solo accennata.In generale sulla liquidazione delle società, oltre gli autori citati in nota 1 si veda PORZIO, L’estinzione della società per azioni, Napoli, 1959; MAISANO, Lo scioglimento della società, Milano, 1974; GALLESIO PIUMA, I poteri dell’assemblea di società per azioni in liquidazione, Milano, 1986; CAIAFA, Società: scioglimento e liquidazione, Padova, 1987; MONTAGNANI, Deliberazioni assembleari e procedure liquidatorie, Milano, 1999.

     (11) Cfr. per tutti FERRI, Le società, 3° ed., Tratt. di dir. civ. Vassalli, Torino 1987, 963; ID, Manuale di diritto commerciale, 11° ed., a cura di Angelici e Ferri, Torino 2001, 459-460. Per una prospettiva secondo la quale lo scioglimento del contratto costituisce il primo degli elementi della fattispecie estintiva della persona giuridica si veda GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1950, 526; in senso analogo PORZIO, L’estinzione della società per azioni, cit., 59, per il quale però la fattispecie estintiva inizia con la nomina dei liquidatori.
     La ricordata concezione classica in tema di scioglimento di società è stata recentemente accolta dalla giurisprudenza di legittimità. Cfr. Cass.15 giugno 1995, n. 6787, in Giust.civ. mass., 1995, 1228.

     (12) In questo senso soprattutto ALESSI, I liquidatori, cit., spec. 23 e 29 per il quale la sostanziale differenza tra la società prima e dopo la liquidazione si rinviene non già nel mutamento dello scopo sociale quanto, piuttosto, nei diversi criteri di gestione cui sono tenuti i liquidatori rispetto agli amministratori; NICCOLINI, Interessi pubblici, cit., 23.
     In giurisprudenza Trib. Catania, 21 maggio 1992, in Foro it. 1992, I, c. 2514; Trib. Genova 18 marzo 1991, in Società, 1991, 1384; Trib. Roma 23 giugno 1966, in Dir. fall., 1966, II 697.

     (13) Così la relazione illustrativa al d.lgs. n. 6 del 2003. Questa prospettiva si coglie chiaramente nell’analisi di DESARIO, op. cit., 2, per il quale «già al colpo d’occhio, la teleologia della contabilità di liquidazione si mostra profondamente differenziata rispetto a quella dell’impresa operativa, non foss’altro per la circostanza che ne risulta modificato il referente, costituito dall’organizzazione non più in funzionamento, ma – appunto – in liquidazione, con consequenziale perseguimento di una nuova “missione” (dismissiva), anch’essa oltremodo lontana da quella tipica del going concern».

     (14) Si legge nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 6 del 2003: «Si è ritenuto che la delega, anche in funzione dell’esigenza di conservazione del valore dell’impresa, imponesse di valorizzare la permanenza di una organizzazione sociale» ( § 12). In questo senso cfr. gli autori citati in nota 12.

     (15) Sulla funzione “strumentale” delle scritture contabili cfr. per tutti BUSSOLETTI, Le società di revisione, Milano, 1985, 23, per il quale «l’ordinamento dispone l’obbligo di tenuta delle scritture contabili come situazione strumentale, perchè di tale strumento intende servirsi in una serie indefinita di ipotesi, per la disciplina di situazioni finali», ivi ogni riferimento.

     (16) Così FERRI, Le società, cit., 967.

     (17) In questo senso non può condividersi la recente pronuncia del Trib. Sala Consilina, 22 marzo 2000, in Società, 2001, 89, che ha annullato la deliberazione con la quale l’assemblea di una società a responsabilità limitata aveva approvato il bilancio finale di liquidazione, ritenendo che all’assemblea tale approvazione «sia preclusa».

     (18) FERRI, op.loc.ult.cit. Su questo tema, da ultimo, PACIELLO, Scioglimento della società per azioni e revoca della liquidazione, Napoli, 1999.

     (19) Secondo ALESSI, Profili contabili, cit., 526 s., durante la vita della società è necessario disporre di un bilancio pienamente efficace (“bilancio approvato”) per rendere effettive disposizioni quali, ad esempio, quelle relative all’emissione di obbligazioni o all’acquisto di azioni proprie, mentre «esigenze analoghe non sussistono nella fase finale».
     Su queste premesse si nega che l’assemblea possa approvare il bilancio finale di liquidazione anche perchè, prosegue l’Autore, la presenza di un bilancio approvato potrebbe creare notevoli inconvenienti: «La quota di liquidazione percepita da un socio di buona fede dovrebbe infatti ritenersi, applicando analogicamente l’art. 2433 cod. civ. in materia di distribuzione di utili, irripetibile. Conseguentemente, l’eventuale l’impugnativa … contro il bilancio finale di liquidazione regolarmente approvato dall’assemblea … risulterebbe svuotata di significato».

     (20) Per superare queste difficoltà si è invocata la deroga prevista dall’art. 2423 cod. civ., comma 4, al fine di giustificare nei bilanci di liquidazione il ricorso a criteri non perfettamente in linea con quelli previsti per la redazione del bilancio di esercizio. Sul punto cfr. PORTALE, I bilanci, cit., 353; ALESSI, I criteri, cit., 453; COLOMBO, Il bilancio d’esercizio, Tratt. delle spa Colombo e Portale, Torino, 1994, VII*, 331; CARATOZZOLO, I bilanci straordinari. Profili economici, civilistici e tributari, Milano, 1996, 24. In generale sull’ambito di operatività dell’art. 2423 cod. civ., comma 4, si veda, oltre agli Autori citati, GIAMBANCO, Principi di redazione del bilancio, La nuova disciplina dei bilanci di società Bussoletti, Torino, 1993, 38-40.

     (21) L’art. 2490 cod. civ. nel testo riformulato prende espressamente in considerazione i bilanci che i liquidatori devono redigere e presentare all’assemblea per l’approvazione «alle scadenze previste per il bilancio di esercizio della società»; ciò fà pensare che il riferimento sia ai bilanci c.d. “annuali” di liquidazione.
     È ben noto che nel sistema antecedente alla riforma introdotta con il d. lgs. n. 6 del 2003 si discuteva sulla sussistenza di un obbligo in capo ai liquidatori di redigere bilanci annuali di liquidazione. In giurisprudenza si sono pronunciate per la soluzione affermativa Cass., 1988 n. 6018, in Società, 1989, 249 annotata da CABRAS; Cass., 7 giugno 1977, n. 2330, in Giur.comm. 1977, II, 756. Per la giurisprudenza di merito Trib. Milano 7 luglio 1995, in Giur.it. 1996, I, 2 114; Trib. Genova 18 marzo 1991, cit. Contra Trib. Roma 2 aprile 1960, in Dir. fall. 1960, II, 390. In dottrina COLOMBO, Il bilancio di esercizio delle società per azioni, Padova 1965, 253; PORTALE, I bilanci cit., 325; LIBONATI, I bilanci, cit., 836; FERRI, Le società, cit., 972; ALESSI, I liquidatori, cit., 119; CARATOZZOLO, op. cit., 520; QUATRARO, Statuti sociali e volontaria giurisdizione societaria, tomo II, Milano 1996, 1518 ss. Contra PORZIO, op. cit., 139. In generale sui bilanci annuali di liquidazione (e in particolare sui criteri di valutazione degli stessi) si vedano le considerazioni di DESARIO, op. cit., 64 ss.

     (22) Secondo ALESSI, I criteri di valutazione nei bilanci di liquidazione, in Riv. dir. comm., 1994, I, 451 il problema dell’applicabilità della disciplina in tema di bilancio di esercizio si pone solo con riguardo al bilancio “iniziale” e a quello “annuale” di liquidazione, ciò perché secondo questa dottrina solo ai menzionati documenti contabili spetta la qualifica di bilanci straordinari di liquidazione. Con la conseguenza, per quanto qui interessa, che invece per il bilancio finale di liquidazione la questione dell’applicabilità degli artt. 2423 cod. civ. e ss. non si pone.

     (23) Si tratta di un indice normativo che non consente di ritenere definitivamente risolta la questione dello status della società dopo lo scioglimento.
     Del resto il d. lgs. n. 6 del 2003 non è privo di indici normativi ancorati alla concezione classica dello status della società dopo lo scioglimento: il nuovo art. 2486 cod. civ. prevede, al verificarsi di una causa di scioglimento, che gli amministratori conservino il potere di gestire la società «ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio».

     (24) Quanto alla possibilità di una distribuzione di utili durante la fase di liquidazione si erano pronunciati contro PORZIO, L’estinzione, cit., 138; COLOMBO, Il bilancio di esercizio delle società per azioni, cit., 15; PORTALE, I bilanci, cit., 307; CARATOZZOLO, I bilanci, cit., 522. Contra ALESSI, I liquidatori, cit., 29, per il quale il meccanismo di cui all’art. 2280 cod. civ. prevedendo un accantonamento delle somme necessarie a soddisfare i creditori sociali non pone ostacoli alla distribuzione degli utili, anche durante la fase di liquidazione, purchè vi sia detto accantonamento. Su questi aspetti da ultimo NICCOLINI, L’accantonamento delle somme necessarie a pagare i creditori nella liquidazione della società, in Giur.comm., 2001, I, 679 ss., spec. 689-690, per il quale il tema centrale della questione è quello dell’individuazione delle modalità che consentano un sostanziale rispetto dell’art. 2280 cod. civ.

 

Top

Home Page