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II.4– aprile 2003 |
Giurisprudenza
TRIBUNALE ROMA, ordin. 22 febbraio 2003 – Giud. Covelli – E.D. c. Coop. VV a r.l.
Il collegio dei probiviri, al quale è demandato di dirimere le controversie tra soci e società nelle cooperative, non ha natura arbitrale.
Il procedimento di esclusione del socio di società cooperativa si perfeziona con la pronunzia del collegio dei probiviri, cui il socio escluso si sia rivolto; pertanto, è inammissibile, per carenza momentanea di interesse, il ricorso con il quale il socio escluso si rivolga all’autorità giudiziaria per ottenere la sospensione della delibera di esclusione, prima del perfezionamento del procedimento avanti i probiviri.
Il ricorso per sospensione della deluberazione di esclusione può essere proposto solo contestualmente o successivamente alla proposizione della azione di merito tesa all’annullamento della delibera impugnata.
(Omissis)
Il Giudice Delegato
a scioglimento della riserva che precede,
letti gli atti ed i documenti di causa,
rilevato che il ricorrente - socio della Società Cooperativa VV a r.l. con cui ha anche intrattenuto un rapporto di collaborazione professionale - ha chiesto a questo Tribunale la sospensione, ex art. 2527 c. 3 cod. civ., ante causam, della delibera con cui il Consiglio d’Amministrazione della società in data 20 novembre 2002 ha disposto la sua esclusione dalla compagine sociale ai sensi dell’art. 10 lett. d) dello statuto;
che a sostegno dell’istanza proposta ha dedotto l’invalidità della delibera a) in quanto viziata da eccesso di potere per essere stata preordinata ad uno scopo non consentito dall’ordinamento, perché rispondente ad una finalità persecutoria; b) in quanto fondata su una clausola statuaria, l’art. 10 lett. d), illegittima, l’esclusione del socio, essendo basata su condotte lesive non sufficientemente determinate; c) in quanto avente ad oggetto addebiti del tutto infondati;
rilevato che – avendo già, in data 26 settembre 2002, impugnato la delibera per siffatti motivi dinnanzi al collegio dei probiviri ai sensi degli artt. 10 e 34 dello Statuto – l’istante ne chiede in questa sede la sospensione cautelare ante causam, ai fini della proponenda domanda di merito intesa alla declaratoria di nullità o all’annullamento della stessa unitamente all’eventuale provvedimento di conferma del collegio dei probiviri (v. ricorso e verbale di udienza);
considerato che la resistente eccepisce l’inammissibilità dell’istanza sotto il duplice profilo della sua contrarietà al principio giurisprudenziale secondo cui il provvedimento cautelare ex art. 2527 c. 3 cod. civ. non può essere richiesto antecedentemente all’instaurazione del giudizio di merito di opposizione contro la delibera medesima; e della maturata decadenza del ricorrente dal diritto di opposizione - essendo trascorso il termine di trenta giorni dalla comunicazione della delibera di esclusione previsto dall’art. 2527 c. 3 cod. civ. - non sanata dalla precedente instaurazione del giudizio dinnanzi al collegio dei probiviri ai sensi dell’art. 34 dello statuto;
ritenuto il carattere pregiudiziale della valutazione dei rapporti intercorrenti tra tutela endosocietaria e tutela giurisdizionale e, dunque, della natura giuridica del collegio dei probiviri e delle clausole statutarie che ad esso devolvono la soluzione delle controversie tra società e soci;
ritenuto, sulla base della giurisprudenza prevalente, che il collegio dei probiviri costituisce un organo permanente di giustizia endoassociativa la cui finalità è quella di mettere a disposizione dei soci uno strumento di rapida soluzione di conflitti interni alternativo sia alla giurisdizione che all’arbitrato;
che la negazione della natura arbitrale di tale organo si fonda sul presupposto per cui nell’atto negoziale che lo istituisce - a differenza di quanto avviene nel paradigma contrattuale del quale fanno parte il compromesso e la clausola compromissoria - può non assumere carattere autonomo, quale autonoma fonte di legittimazione, la volontà della controparte del successivo eventuale giudizio;
che, infatti, atto collegiale e contratto, pur essendo assimilabili sul piano dell’unitarietà strutturale e funzionale, divergono profondamente a livello di procedimento di formazione: nel primo le contrapposte volontà si fondono ma si ricollegano a contrapposte posizioni o fonti di legittimazione, ossia ad una pluralità di parti. Nel secondo, invece, le volontà poste in essere dai componenti del collegio, nella loro unitarietà strutturale e funzionale, si ricollegano ad un’unica parte o fonte di legittimazione rappresentata dalla persona giuridica (Cass., 21 ottobre 1980, n. 5635);
che, invero, la clausola compromissoria ed il compromesso nonché, a fortiori, la nomina degli arbitri, necessitano, a pena di nullità, del consenso di tutte le parti contendenti (Cass., 5 febbraio 1997, n. 1090; Cass., 25 marzo 1998, n. 3136; Cass., 7 marzo 2001);
considerato che, in assenza di unanimità, il collegio dei probiviri non può essere qualificato come organo arbitrale ma come organo endosocietario con compiti di riesame e di controllo delle decisioni degli organi sociali e delle questioni oggetto di controversia;
che, pertanto, la decisione probivirale, rendendo definitive le decisioni della società, consente ai soci destinatari la loro impugnativa dinnanzi all’autorità giudiziaria ordinaria;
che sulla base di tali premesse il procedimento di esclusione del socio di società cooperativa si perfeziona non con la sola delibera societaria, ma con la successiva determinazione dei probiviri, con la conseguenza che il termine di proposizione dell’opposizione ex art. 2527 cod. civ. resta sospeso fino alla conclusione del procedimento dinnanzi ai probiviri ed inizia a decorrere solo dalla comunicazione al socio dell’atto conclusivo del procedimento stesso (Cass., 7529/1997; 5912/1995; 5767/1990; 2943/1991);
che, infatti, prima dell’esaurimento di tale preventivo procedimento dinnanzi ai probiviri si configura un provvisorio difetto di proponibilità della domanda giudiziale per temporanea carenza dell’interesse processuale (Cass., 5635/1980);
rilevato che, inoltre, nella specie, pendendo ancora il giudizio probivirale, instaurato in data 26 settembre 2002, il ricorrente non risulta decaduto dalla azione di impugnazione dinnanzi all’autorità giurisdizionale;
rilevato - sotto altro profilo - che in ogni caso il ricorrente non sarebbe legittimato ad un’azione cautelare ante causam dinnanzi all’autorità giurisdizionale, posto che, esclusa la natura arbitrale del collegio probivirale, l’instaurato procedimento ex art. 2527 c. 3 cod. civ., non potendo essere ricondotto all’art. 669 quinquies cod. proc. civ., e, quindi, non essendo ancora stato incardinato il procedimento di merito dinnanzi all’autorità giurisdizionale, sarebbe, comunque, inammissibile;
che, infatti, per prevalente orientamento giurisprudenziale, anche di questo Tribunale, l’art. 2527 cod. civ. - che, in virtù dell’art. 2516 cod. civ., condivide lo schema procedimentale tipico previsto dall’art. 2378 cod. civ. - può essere esperito solo contestualmente o successivamente alla proposizione della domanda di opposizione alla delibera assembleare (Pret. Catania., 9 novembre 1977; Trib. Palermo 12 settembre 1961; Pret. Jesi, 8 luglio 1974; Trib. Padova, 20 aprile 2000);
che siffatto orientamento ermeneutico fa leva sul tenore del dato normativo di cui all’art. 2378 cod. civ. il quale, innovando rispetto al precedente art. 164 cod. comm., legittima alla richiesta di sospensione il socio opponente e fa espresso riferimento ad una deliberazione impugnata;
che tale ricostruzione valorizza il principio di certezza giuridica sotteso agli strettissimi termini decadenziali di impugnazione delle delibere assembleari che vorrebbero, di fatto, prolungati da una automatica applicazione alla fattispecie in parola, in virtù del disposto ex art. 669 quaterdecies cod. proc. civ., della tutela cautelare ante causam ex art. 669 ter cod. proc. civ.;
ritenuto, peraltro, che, esclusa l’ammissibilità ante causam del rimedio ex art. 2527 c. 3 cod. civ., la proposta domanda di cautela tipica non può nemmeno essere ricondotta nei termini di cui all’art. 700 cod. proc. civ.;
che, infatti, data la sussidiarietà e residualità del rimedio atipico, il suo impiego concorrente rispetto ad una misura tipizzata può giustificarsi esclusivamente nel caso in cui il pregiudizio concretamente dedotto dall’istante sia diverso rispetto a quello neutralizzabile attraverso quest’ultima (Cass., 29 gennaio 1993, n. 1164; Trib. Padova, 20 aprile 2000);
che, tuttavia, al caso di specie, non si attagliano i precedenti giurisprudenziali invocati dal ricorrente in quanto la misura richiesta, avente ad oggetto la sospensione degli effetti della delibera di esclusione, non si discosta contenutisticamente da quella accordata dall’art. 2527 c. 3 cod. civ.;
che, in conclusione, sulla base di tutti tali rilievi il ricorso va dichiarato inammissibile, che la natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del procedimento (Omissis).