il diritto commerciale d’oggi
    II.11– dicembre 2003

 

Giurisprudenza

CORTE CASSAZIONE, 9 aprile 2003, n. 5552 – De Musis Presidente – Ragonesi Estensore – Italian Media Service s.r.l. c. Fall. Parinvest s.r.l.
     In caso di fallimento della società di leasing che abbia stipulato un contratto di leasing traslativo, il curatore ha la scelta tra la continuazione dal contratto in corso con l’utilizzatore e lo scioglimento dal medesimo contratto, senza alcun risarcimento del danno.

Commento di Rita Gismondi

 

     Svolgimento del processo – Il giudice delegato del fallimento Parinvest - Partecipazioni ed investimenti s.p.a. autorizzava il curatore sciogliersi ex art. 72 legge fall. dal contratto di leasing stipulato con la società Italian Media Service in data 6.10.1988. Avverso il decreto in questione la Banca Centrale di Credito Popolare S.p.A. proponeva reclamo ex art. 26 legge fall. che veniva rigettato dal Tribunale di Roma con ordinanza dell’8.1.1992. Contro detta ordinanza l’Italian Media Service S.r.L., proponeva reclamo innanzi alla Corte di Appello di Roma.
     Nelle more di tale giudizio, la curatela del Fallimento Parinvest srl, adducendo di essere intenzionata a procedere alla vendita del bene oggetto del contratto di leasing stipulato con l’Italian Media Service S.r.L., citava in giudizio, innanzi al Tribunale Civile di Roma, la società utilizzatrice, per vedere accertato e dichiarato il diritto del fallimento a sciogliersi dal contratto di leasing immobiliare in questione e per ottenere la condanna della società utilizzatrice all’immediato rilascio dell’immobile.
     La società convenuta, costituitasi in giudizio, rilevava che, essendo il contratto di leasing immobiliare a carattere traslativo, riconducibile nel tipo del contratto di vendita con riserva della proprietà, il curatore avrebbe dovuto subentrare ope legis nel contratto medesimo ai sensi di quanto disposto dall’art. 73 legge fall. L’Italian Media Service S.r.L., quindi, concludeva per il rigetto della domanda attrice e, in via riconvenzionale, chiedeva che fosse accertato e dichiarato che il fallimento era subentrato alla società fallita nelle obbligazioni derivanti dal contratto di leasing. Infine, in via riconvenzionale condizionata e salvo gravame, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attrice, chiedeva la condanna del Fallimento della Parinvest srl al pagamento dell’indennizzo ex art. 2041 cod. civ. per le perdite da essa subite di ammontare da determinarsi e liquidarsi in separato giudizio, previo accertamento e valutazione – in particolare – delle notevoli addizioni e migliorie apportate all’immobile in questione.
     Con sentenza n. 4733 del 16.2.1994 il Tribunale di Roma, definiva il giudizio di cui sopra, dichiarando il diritto del curatore del fallimento Parinvest di sciogliersi dal contratto di leasing stipulato con l’Italian Media Service ed ordinando a quest’ultima di rilasciare l’immobile oggetto del contratto di leasing.
     Avverso detta sentenza, la società Italian Media Service s.r.l. proponeva appello chiedendo che venisse dichiarato che il fallimento non era causa di scioglimento dal contratto di leasing c.d. traslativo e che, pertanto, il curatore era subentrato al fallito nelle obbligazioni contrattuali e che la società utilizzatrice Italian Media Service aveva esercitato validamente il diritto di opzione previsto nel contratto di leasing.
     La Corte d’appello di Roma rigettava il gravame.
     Ricorre per cassazione la s.r.l. Italian Media Service sulla base di due motivi. Resiste con controricorso il fallimento della Parinvest srl. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

     Motivi della decisione – Con il primo motivo di ricorso la Italian Media Service s.r.l. deduce il vizio di violazione di legge e quello di contraddittoria motivazione in cui è incorsa la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di assimilare il contratto di leasing traslativo al contratto di vendita preliminare anziché a quello di vendita con riserva di proprietà ritenendo così ad esso applicabile l’art. 72 legge fall.
     Con il secondo motivo di ricorso si duole che la sentenza impugnata abbia omesso ogni motivazione sulla domanda subordinata di riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 2041 cod. civ.
     Il primo motivo di ricorso è infondato. Lo stesso va preliminarmente ritenuto ammissibile – contrariamente a quanto sostenuto dal fallimento resistente – dal momento che con tale motivo non si censura la qualificazione giuridica del negozio – che è incontroverso essere un leasing traslativo – quanto la normativa fallimentare applicabile ad esso.
     Venendo all’esame della censura proposta, va anzitutto ricordata la distinzione individuata dalla giurisprudenza di questa Corte tra il leasing cosiddetto di godimento e quello definito come traslativo.
     Il primo viene pattuito con funzione di finanziamento rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto, e dietro il versamento di canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi.
     Il secondo, invece, viene pattuito con riferimento a beni atti a conservare alla scadenza del contratto un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’esercizio del diritto di opzione al fine della acquisizione in proprietà, e dietro il versamento di canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto, rispetto al quale la concessione in godimento assume valore strumentale (Cass. 9417/01, Cass. N. 6034/97; Cass. sez. un. 65/93).
     Nel caso di specie non vi è contestazione sul fatto che il contratto oggetto della controversia sia leasing traslativo. Ciò di cui le parti contendono è se a tale contratto, nel caso di specie, in cui si è verificato il fallimento del concedente, debba applicarsi, al fine di individuare le sorti del contratto stesso, l’art. 72 comma 4 legge fall. ovvero l’art. 73 comma 2 della stessa legge. In altri termini se il curatore abbia facoltà di scelta tra lo sciogliersi dal contratto o il darvi esecuzione (art. 72 comma 4) o se invece resti vincolato al contratto stesso che non si scioglie (art. 73 comma 2).
     Ai fini del decidere, premesso che il contratto di leasing è un contratto innominato, occorre effettuare una duplice valutazione: la prima volta di individuare la normativa in generale applicabile al contratto in questione secondo i principi individuati da questa Corte; la seconda, tesa ad accertare quale sia la normativa ad esso applicabile nell’ambito degli articoli della legge fallimentare che disciplinano la sorte dei contratti pendenti dopo la dichiarazione di fallimento.
     Per quanto concerne la prima valutazione, questa Corte ha già chiarito in via generale che ai contratti non espressamente disciplinati dal codice civile (contratti atipici o innominati) possono legittimamente applicarsi, oltre alle norme generale in materia di contratti, anche quelle regolatrici dei contratti nominati, ogni qual volta il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risultante dagli interessi coinvolti, faccia emergere situazioni analoghe a quelle disciplinate dalla seconda serie di norme (Cass. 2069/00).
     Con particolare riferimento al contratto di leasing cd. “traslativo” che qui interessa, la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che «le caratteristiche essenziali di questa fattispecie negoziale, sono state individuate nel fatto che non vi è coincidenza temporale tra il periodo di consumazione tecnica ed economica del bene e quello di durata del contratto per cui, residuando allo scadere del contratto un notevole valore del bene, la volontà originaria delle parti è diretta a realizzare, con lo strumento del leasing, il trasferimento della proprietà del bene al termine del rapporto, costituendo l’acquisto una situazione di fatto necessitata per l’utilizzatore, avuto riguardo alla sproporzione tra (l’ancor notevole) valore residuo del bene stesso ed il modesto prezzo di opzione. In tal senso l’importo globale dei canoni corrisponde al valore del bene in quanto tale e ciascun canone sconta anche una quota di prezzo, ponendosi la vendita come elemento caratteristico causale coessenziale con la funzione finanziaria. La concessione in godimento assume quindi una funzione strumentale rispetto alla vendita. Risulta così ancor più evidente lo scopo di garanzia oggettiva realizzato mediante la conservazione della proprietà del bene in capo al finanziatore fino alla scadenza del contratto» (Cass. sez. un. 65/93).
     In virtù di siffatte caratteristiche, la giurisprudenza di questa Corte ha pertanto ritenuto, nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, applicabile per analogia al leasing traslativo la disposizione dettata dall’art. 1526 cod. civ. per la vendita con la riserva della proprietà, «avuto riguardo all’esistenza di tutta una serie di situazioni analogiche tra i due contratti (causa finalizzata al trasferimento del bene in mancanza della disponibilità di capitali da parte dell’acquirente o dell’utilizzatore; comune funzione di finanziamento; garanzia per il finanziatore di poter riprendere, fino all’integrale pagamento del prezzo, la piena disponibilità del bene; rischio del perimento della cosa posto a carico dell’acquirente o utilizzatore; attribuzione all’utilizzatore, in forza di clausola normalmente inserita nei moduli contrattuali di leasing, della facoltà di esercitare reazioni che spettano al proprietario della cosa)» (Cass. sez. un. n. 65/93).
     Sulla base dunque della riscontrata analogia tra il contratto di leasing traslativo e quello di vendita a rate con riserva di proprietà occorre rilevare quale incidenza abbia tale analogia ai fine della sorte del contratto di leasing nel caso di fallimento del concedente.
     La sentenza impugnata rileva a tale proposito che occorre tenere distinta l’ipotesi di leasing traslativo in cui il soggetto inadempiente è l’utilizzatore da quello in cui è invece il concedente, sostenendo che in tale secondo caso si deve, in primo luogo, registrare l’inopponibilità del contratto nei confronti della massa dei creditori del contratto di leasing ai fini del trasferimento della proprietà, non essendo questo ancora avvenuto per mancato esercizio del diritto di opzione e perché, comunque, il titolo del trasferimento non sarebbe stato trascritto.
     In secondo luogo – osserva la sentenza impugnata – proprio perché il contratto di leasing traslativo dà luogo ad una fattispecie a formazione progressiva, in cui il trasferimento della proprietà avviene per l’esercizio del diritto di opzione, lo stesso sarebbe in realtà assimilabile, ai fini della sua sorte in caso di fallimento, al contratto preliminare che è anch’esso un contratto a formazione progressiva in cui il trasferimento della proprietà avviene per effetto di un successivo negozio tra le parti.
     Ritiene la Corte che la valutazione del giudice di secondo grado sia sostanzialmente corretta.
     A tale proposito va evidenziato che l’art. 72, che costituisce una norma generale applicabile a tutti i contratti di scambio non espressamente disciplinati dalla sezione IV del capo III del titolo II della legge fallimentare, e, quindi, anche al leasing traslativo, prevede espressamente (comma 4) l’ipotesi in cui, in caso di fallimento del venditore, la cosa venduta non sia passata in proprietà del compratore, stabilendo che in tal caso il curatore ha la scelta tra l’esecuzione e lo scioglimento del contratto.
     Tale disposizione trova applicazione non solo nei contratti preliminari di vendita (cui fa riferimento la sentenza impugnata) ma anche nei contratti di vendita definitiva in cui gli effetti del trasferimento di proprietà non si realizzano al momento della formazione del consenso ma in un momento successivo. Ciò può avvenire perché le parti stesse concordano che l’effetto traslativo sia posticipato (Cass. 2213/80) ovvero perché la vendita è sottoposta a condizione sospensiva. Altre ipotesi in cui il trasferimento della proprietà è normalmente dilazionato sono quelle della vendita di cose di genere finché i beni non vengono individuati (art. 1378 cod. civ.), della vendita di cose altrui (art. 1478 cod. civ.) e della vendita di cosa non ancora esistente (art. 1472 cod. civ.). Una ipotesi particolare si verifica poi per i contratti di compravendita di immobili situati in regioni già appartenenti all’impero austro-ungarico, ove vige il sistema tavolare, in cui se il bene venduto non è ancora intavolato non si produce il passaggio della proprietà dal venditore al compratore (Cass. 7082/90).
     Non appare seriamente contestabile che il contratto di leasing traslativo sia inquadrabile nella fattispecie dell’art. 72 comma 4 legge fall. come affermato dal giudice di merito. Anche a tale caso, infatti, come più volte osservato, il trasferimento della proprietà previsto dalla volontà originaria contraenti si verifica in un momento successivo quando cioè l’utilizzatore al momento del versamento dell’ultimo canone esercita l’opzione di acquisto. Se pertanto, il fallimento del concedente-venditore si verifica prima che il predetto diritto potestativo di opzione venga esercitato non è dubbio che il passaggio della proprietà del bene non si è verificato.
     Resta da esaminare in quale rapporto si pone la disposizione dell’art. 73 comma 2 (che, come ricordato prevede che il fallimento del venditore nell’ipotesi di vendita a rate con riserva di proprietà non comporta lo scioglimento del contratto) rispetto alla esaminata norma di cui all’art. 72 comma 4 legge fall..
     A tal fine occorre esaminare perché il contratto di vendita a rate con riserva di proprietà ha una propria peculiare disciplina distinta da quella dei contratti di vendita in cui, al momento del fallimento, non si sia ancora verificato il trasferimento della proprietà, di cui si è dianzi detto.
Due distinte ragioni appaiono invero possibili per sostenere tale diversità.
     La prima può essere fondata sulla tesi, da molti sostenuta, secondo cui nel contratto di vendita a rate con riserva di proprietà il trasferimento di quest’ultima si verifica in realtà al momento dell’accordo anche se viene poi concretamente differito, a fini di garanzia, al momento del pagamento dell’ultima rata.
     È di tutta evidenza che se si accedesse a tale tesi, l’articolo 73 comma 2 legge fall. non sarebbe applicabile al contratto di leasing traslativo poiché al momento della stipula del predetto contratto, avente effetti esclusivamente obbligatori, nessun trasferimento della proprietà è ipotizzabile.
     La seconda ragione, che anche se non si volesse accedere alla dianzi esposta tesi, avrebbe comunque piena ed autonoma validità, trova il proprio fondamento in una valutazione pienamente discrezionale del legislatore il quale, pur consapevole della assimilabilità della vendita a rate con riserva di proprietà a tutte le altre ipotesi inquadrabili nel disposto dell’art. 72 comma 4 legge fall., ha ritenuto di stabilire un'eccezione nei confronti di quest’ultima disciplina per la vendita a rate in esame in ragione della esigenza di una migliore tutela nei confronti dell’acquirente.
     Trattandosi dunque di una eccezione specificatamente prevista alla regola generale di cui all’art. 72 comma 4 legge fall., la stessa non può che essere di stretta interpretazione e, come tale, non suscettibile di applicazione a fattispecie diverse ancorché possano presentare delle analogie con la vendita a rate con riservato dominio.
     Del resto tra la vendita a rate ed il leasing traslativo a parte le riscontrate analogie sussistono delle differenziazioni sostanziali.
     Nel primo contratto, trattandosi di contratto ad effetti reali, il trasferimento della proprietà è già stato consensualmente deciso dalle parti e tale evento è del tutto automatico verificandosi con il pagamento dell’ultima rata del prezzo senza che debba intervenire alcun ulteriore accordo o manifestazione di volontà e senza che alcun elemento esterno possa influire sul detto trasferimento.
     Nel leasing traslativo invece, trattandosi di contratto ad effetti obbligatori le parti hanno concordato esclusivamente un rapporto di scambio avendo lasciato il perfezionarsi dell’effetto traslativo della proprietà dei beni ad un evento futuro ed eventuale conseguente ad una manifestazione di volontà unilaterale del conduttore.
     Tale differenziazione si presenta come particolarmente significativa e rilevante in ambito fallimentare. Mentre, infatti, nel caso di vendita con riserva di proprietà è certo che il bene alla scadenza del periodo di rateazione non farà più parte della massa attiva fallimentare, nel caso del leasing traslativo, invece, non è dato sapere se il bene resterà o meno acquisito alla massa, dipendendo tale evento dall’esercizio del diritto potestativo di opzione da parte dell’utilizzatore.
     Tutto ciò può comportare una serie di effetti negativi sulla liquidazione e sulla durata della procedura e si pone in dissonanza, oltretutto, con la ratio che sottostante alla disciplina del titolo II capo III sezione IV della legge fallimentare che nel disciplinare gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, sembra informata a due principi fondamentali: la rapidità nella definizione dei rapporti contrattuali qualunque essa sia a seconda delle diverse ipotesi e, laddove sia prevista una facoltà di scelta tra l’esecuzione e lo scioglimento del contratto, l’attribuzione, di regola, di tale potere al curatore salvo alcune eccezioni particolari.
     Il primo motivo non merita in conclusione accoglimento né miglior pregio ha il secondo motivo di ricorso.
     La motivazione sintetica con cui la Corte d’Appello di Roma non ha preso in esame la domanda di indebito arricchimento («non è compito di questa sentenza affrontare il tema del trattamento che deve essere riservato ai canoni pagati dall’utilizzatore del bene») costituisce una pronuncia di inammissibilità della domanda ed appare del tutto corretta e coerente con la decisione di merito in precedenza assunta.
     Una volta, infatti, riconosciuto il diritto al curatore del fallimento della Parinvest di sciogliersi dal contratto di leasing, in applicazione del disposto dell’art. 72 comma 4, consegue, sempre in applicazione di quest’ultima norma, che il conduttore ha diritto a far valere nel passivo del fallimento il proprio credito per i canoni versati con conseguente competenza funzionale a decidere su tale domanda del giudice fallimentare.
     Il ricorso va in conclusione rigettato. In ragione della novità e complessità della questione giuridica oggetto del ricorso si compensano tra le parti le spese di giudizio.

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