SOMMARIO 1. La vicenda concreta. – 2. Le motivazioni della Corte di Cassazione: distinzione tra leasing operativo e leasing traslativo. – 3. Segue: Fallimento della società concedente ed applicazione dell’art. 72 co. 4 legge fall. – 4. I riflessi sulle operazioni di cartolarizzazione dei crediti. – 5. In particolare: il fallimento dell’impresa cedente.
1. La vicenda concreta
La sentenza della Corte di Cassazione n. 5552 del 9 aprile 2003 si segnala per la novità dell’oggetto e costituisce l’occasione per una riflessione sulle conseguenze della dichiarazione di fallimento sul contratto di leasing, nonché sulla ratio sottesa alle norme del R. D. 16.3.1942, n. 267 (d’ora in avanti, legge fall.) relative ai rapporti giuridici pendenti. Essa ha, inoltre, suscitato un acceso dibattito per i riflessi che i principi affermati in motivazione potrebbero determinare nel settore della cartolarizzazione dei crediti, con particolare riferimento alle operazioni su leasing traslativo, in caso di fallimento della società concedente.
Al fine di illustrare l’iter logico e giuridico seguito dalla Suprema Corte e di apprezzarne le implicazioni, è opportuno premettere un breve esame dei fatti di causa. Il giudice delegato autorizzava il curatore del fallimento della Parinvest (società concedente) allo scioglimento di un contratto di leasing immobiliare stipulato con la società Italian Media Service (società utilizzatrice) ex art. 72, co, 4. legge fall., sulla base dell’assimilazione della fattispecie al contratto di vendita preliminare. La curatela conveniva in giudizio la Italian Media Service dinanzi al Tribunale di Roma, al fine di ottenere la condanna al rilascio del bene dedotto in contratto. La società utilizzatrice, soccombente in primo grado e in appello, proponeva infine ricorso per cassazione, adducendo che la fattispecie fosse piuttosto da ricondurre alla vendita con riserva di proprietà, con conseguente subingresso ope legis del fallimento nelle obbligazioni derivanti dal contratto di leasing, ai sensi dell’art. 73, co. 2, legge fall.2. Le motivazioni della Corte di Cassazione: distinzione tra leasing operativo e leasing traslativo
La Corte di Cassazione dichiara l’infondatezza dei motivi di ricorso proposti dalla società utilizzatrice muovendo dalla qualificazione giuridica del contratto di leasing.
Il leasing è una figura negoziale sorta dalla pratica commerciale negli ordinamenti anglosassoni al fine di consentire all’imprenditore di finanziarsi in modo diverso rispetto ai canali normalmente praticati. Scopo del leasing è, infatti, quello di consentire all’utilizzatore, privo di adeguate disponibilità finanziarie o intenzionato ad eseguire investimenti economici in altre operazioni commerciali, di utilizzare un bene senza l’immediato impiego di capitali, grazie all’intervento finanziario dell’impresa concedente.
Superate le incertezze iniziali, derivanti dalla impossibilità di inquadrare il leasing negli schemi contrattuali tipici previsti nel codice civile, esso è stato definitivamente accolto nel nostro ordinamento, in considerazione della meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti dalle parti (cfr. art. 1322 cod. civ.).
In assenza di una compiuta disciplina legislativa (1), il leasing può essere definito come il contratto in base al quale, in via generale, il concedente mette a disposizione dell’utilizzatore un bene, acquistato o costruito o fatto costruire dal primo su indicazione del secondo, concedendone il godimento, dietro corresponsione di un canone periodico determinato; al termine del rapporto può essere prevista in capo all’utilizzatore, in via alternativa, la facoltà di restituire il bene o di acquistarlo per una somma residua e predeterminata (diritto di opzione) (2).
Poiché l’operazione economica sottostante al leasing ha come scopo di far acquisire ad un imprenditore la disponibilità di beni idonei ad incrementare la produzione senza, nel contempo, dover erogare in un’unica soluzione il prezzo, si ritiene che il contratto assuma una causa unitaria ed autonoma, caratterizzata da una funzione di finanziamento.
Sulla base di una ormai consolidata giurisprudenza di legittimità (3), la decisione che qui si annota richiama la distinzione tra leasing tradizionale o di godimento e leasing cd. traslativo: il leasing di godimento viene pattuito rispetto a beni che non conservano un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto negoziale, mentre il leasing traslativo riguarda beni idonei a mantenere alla scadenza un valore residuo ed appare caratterizzato dal pagamento di canoni che non rappresentano esclusivamente il corrispettivo dell’uso del bene oggetto del contratto, ma scontano anche una quota di prezzo, in previsione del successivo acquisto da parte dell’utilizzatore.
Nel primo caso, pertanto, l’utilizzazione della res da parte del cessionario si inquadra in una funzione di finanziamento a scopo di godimento del bene per la durata del contratto, in conformità alla potenzialità economica del bene stesso, ed i canoni previsti costituiscono esclusivamente il corrispettivo di tale godimento. Nel secondo caso, invece, le parti al momento della formazione del consenso, prevedono che la res, considerata la sua natura, l’uso previsto e la durata del negozio, avrà al termine dello stesso un valore residuo particolarmente apprezzabile per l’utilizzatore. Ne consegue che, in presenza di un leasing traslativo, il trasferimento del bene all’utilizzatore non costituisce, come nel leasing tradizionale, un’eventualità del tutto marginale ed accessoria, ma rientra nella funzione assegnata dalle parti al contratto (4).
Come lo stesso Supremo Collegio ha più volte sottolineato, anche a sezioni unite, nel contratto di leasing traslativo la concessione in godimento assume un valore strumentale (5). L’acquisto del bene da parte dell’utilizzatore al termine del rapporto negoziale è ciò che realizza la vera finalità perseguita dalle parti all’atto della stipulazione.
Nel caso di specie, i principali caratteri del leasing traslativo vengono individuati dalla Corte nella natura traslativa del negozio posto in essere tra le parti, nella mancanza di una coincidenza temporale tra il periodo di consumazione tecnica ed economica del bene e quello di durata del contratto, nonché in una maggiore evidenziazione dello scopo di garanzia oggettiva realizzato con la conservazione della proprietà del bene in capo alla società concedente fino alla scadenza del contratto.
Una volta accertato che il rapporto negoziale stipulato tra le parti appare riconducibile allo schema del leasing traslativo (6), la Cassazione individua due distinti livelli sui quali compiere una valutazione: da un lato, quello della normativa applicabile in generale al contratto in esame (principi generali in materia contrattuale e norme regolatrici di altri schemi negoziali nominati, qualora il concreto atteggiarsi degli interessi coinvolti comporti l’emersione dell’analogia); dall’altro, quello della normativa applicabile con specifico riferimento alle disposizioni della legge fall. che disciplinano la sorte dei rapporti giuridici pendenti alla data della dichiarazione di fallimento.
Quanto al primo profilo, i punti di contatto tra locazione finanziaria e vendita a rate sono innegabili: si pensi alla comune funzione di finanziamento; all’effetto traslativo, comune ad entrambi i contratti (ma non automatico nel leasing, come si vedrà più specificamente nel successivo par. 3); all’assunzione da parte dell’utilizzatore (o dell’acquirente) del rischio del perimento del bene fin dal momento della consegna; alla garanzia per il finanziatore di poter recuperare, fino all’integrale pagamento del prezzo, la piena disponibilità del bene.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte riconosciuto la concreta operatività delle norme in tema di vendita con riserva di proprietà in relazione a fattispecie qualificabili in termini di locazione finanziaria. Nella decisione a sezioni unite poc’anzi menzionata (cfr. nota 5), in particolare, la Corte ha sottolineato che la risoluzione della locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore non si estende alle prestazioni già eseguite, in base alle previsioni dell’art. 1458 co. 1, cod. civ. in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica (irretroattività degli effetti della risoluzione), ove si tratti di leasing di godimento, pattuito con funzione di finanziamento rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto, con consequenziale marginalità dell’eventuale opzione di acquisto e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi.
La risoluzione si sottrae, invece, a dette previsioni e resta assoggettata all’applicazione in via analogica dell’art. 1526 cod. civ., stante l’omogeneità degli interessi tutelati (con conseguente obbligo per ciascuna delle parti di ripetere la prestazione ricevuta), ove si tratti di leasing cosiddetto traslativo, pattuito con riferimento a beni atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione, e dietro canoni che scontano, oltre al corrispettivo del godimento, anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (7).3. Segue: Fallimento della società concedente ed applicazione dell’art. 72 co. 4 legge fall.
È necessario valutare se e in che misura le evidenti analogie riscontrabili in via generale tra leasing traslativo e vendita a rate abbiano conseguenze di rilievo ai fini della sorte del contratto di locazione finanziaria in caso di fallimento del concedente (8).
Secondo la Corte è innegabile che il contratto di leasing traslativo costituisca una fattispecie a formazione progressiva, in cui il trasferimento avviene in conseguenza dell’esercizio del diritto di opzione. Per tale ragione, esso appare assimilabile al contratto preliminare e, in generale, a tutti i casi in cui l’effetto traslativo è differito rispetto al momento della formazione del consenso (es. vendita sottoposta a condizione sospensiva; vendita di cose generiche finché i beni non vengano individuati; vendita di cosa altrui, art. 1478; vendita di cosa futura, art. 1472). Pertanto, se alla data della dichiarazione di fallimento il trasferimento della proprietà in capo all’utilizzatore non si è ancora verificato per il mancato esercizio del diritto di opzione, il contratto di leasing è inopponibile alla massa dei creditori.
Appare pienamente condivisibile l’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 72 legge fall., sedes materiae della disciplina generale inerente ai rapporti di scambio e norma invocabile anche per i rapporti giuridici pendenti alla data della dichiarazione di fallimento che siano privi di una più specifica regolamentazione: norma che, come è noto, prevede in capo al curatore la facoltà di scelta (eventualmente sollecitata dal contraente in bonis ex art. 72, co. 3) tra l’esecuzione e lo scioglimento del contratto, alla luce di una valutazione in termini di convenienza ed opportunità in favore del ceto creditorio (9).
Nel caso in cui, pertanto, il curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, manifesti la volontà di sciogliersi dal contratto di locazione finanziaria, l’utilizzatore sarà tenuto alla restituzione del bene. Benché la questione dei canoni già percepiti dal concedente prima della dichiarazione di fallimento non sia stata affrontata dal Supremo Collegio, è da ritenersi che debba essere riconosciuto all’utilizzatore un credito di natura concorsuale per i canoni corrisposti ante fallimento il quale, previa verifica, dovrà essere soddisfatto in sede di riparto dell’attivo. L’utilizzatore sarà, inoltre, tenuto al risarcimento del danno derivante al fallimento da un eventuale ritardo nella restituzione del bene (10).
La decisione in esame si discosta significativamente da un orientamento dottrinale che, in passato, si era espresso in favore della prosecuzione del rapporto in capo al curatore, sostenendo la tesi che il concedente potrebbe riottenere la disponibilità del bene solo nel caso di mancato pagamento dei canoni da parte dell’utilizzatore (determinandosi, altrimenti, un ingiusto profitto al fallimento ove gli si attribuisse, oltre all’intero ammontare dei canoni, che corrispondono al rimborso integrale del finanziamento nei modi e nei tempi convenuti, anche il valore e, quindi, l’eventuale plusvalore del bene oggetto del contratto di leasing) (11), oppure che, in caso di fallimento del concedente, la curatela subentrerebbe ex lege nel rapporto giuridico posto in essere dalla società poi fallita, con conseguente opponibilità del patto di opzione (ciò in quanto il bene oggetto del leasing, sin dal suo ingresso nella sfera giuridica del concedente, sarebbe gravato da una sorta di vincolo, derivante dall’obbligo unilaterale di consentire l’acquisto assunto dal concedente, che lo differenzia rispetto agli altri beni patrimoniali appartenenti alla società poi fallita) (12).
L’applicabilità in via analogica delle norme che disciplinano la vendita a rate ad una fattispecie qualificabile in termini di leasing traslativo non comporta, pertanto, secondo la Cassazione, l’automatica applicabilità dell’art. 73, co. 2, legge fall., norma specifica ed eccezionale (e, dunque, di stretta interpretazione) dettata in relazione ad esigenze di una migliore tutela nei confronti dell’acquirente nel caso in cui il trasferimento della proprietà non si sia ancora verificato.
La Corte sottolinea, inoltre, che in una vendita a rate il trasferimento della proprietà è già stato contestualmente deciso dalle parti ed avviene in via automatica con il pagamento dell’ultima rata di prezzo, senza che debba intervenire alcun ulteriore accordo o manifestazione di volontà; nella locazione finanziaria, invece, l’effetto traslativo della proprietà è lasciato al verificarsi di un evento futuro ed eventuale, conseguente ad una manifestazione di volontà unilaterale dell’utilizzatore.
Tale circostanza comporta rilevanti conseguenze in ambito fallimentare: in caso di vendita con riserva di proprietà è sicuro che il bene, alla scadenza del contratto, non farà parte della massa attiva, mentre in caso di leasing traslativo non è dato sapere con certezza se il bene resterà acquisito alla massa, poiché il trasferimento scaturisce dall’esercizio del diritto di opzione da parte dell’utilizzatore (13).
In altri termini, al momento della stipulazione di una locazione finanziaria l’utilizzatore non ha interesse a compiere definitive scelte di acquisto; l’esercizio del diritto di opzione si fonda su una valutazione discrezionale di opportunità e di convenienza economica, connessa a fattori di gestione imprenditoriale e di mercato.
La giurisprudenza di merito aveva già sottolineato, del resto, che nella vendita con riserva di proprietà l’effetto traslativo è ricollegabile alla originaria volontà di entrambe le parti di trasferire la proprietà del bene, anche se il perfezionamento del negozio viene posticipato al momento del pagamento integrale; nel leasing, invece, viene escluso ogni automatismo del trasferimento, che non appare riconducibile alle originarie previsioni delle parti, ma necessita di una espressa dichiarazione dell’utilizzatore di volersi avvalere del diritto di opzione (diritto potestativo non presumibile per implicito) (14).
Trattasi di affermazione che, a ben guardare, potrebbe presentare profili di opinabilità in relazione a singoli casi concreti. Sono configurabili delle fattispecie di locazione finanziaria (ad esempio, quando il prezzo di opzione è nettamente più basso rispetto al valore residuo del bene) in cui l’esercizio dell’opzione non appare dubbio, sulla base di una interpretazione della volontà delle parti: infatti, se la concessione in godimento del bene svolge una funzione strumentale rispetto alla vendita e la conservazione della proprietà in capo al finanziatore fino alla scadenza assume solo uno scopo di garanzia, risulta difficile individuare una diversità causale e di effetti tra un contratto così articolato e la vendita con riserva di proprietà (15).
In altri termini, nei casi in cui non sussista una coincidenza temporale tra il periodo di consumazione tecnica ed economica del bene e quello di durata del contratto, l’acquisto del bene da parte dell’utilizzatore potrebbe costituire, di fatto, una situazione necessitata, avuto riguardo alla sproporzione tra il valore residuo del bene e il prezzo di opzione. Il verificarsi dell’effetto traslativo finirebbe per non rappresentare una eventualità e non sarebbe sempre riscontrabile in capo all’utilizzatore una piena ed effettiva libertà di decisione.
La soluzione prospettata dalla Corte appare evidentemente improntata alla massima considerazione delle esigenze della procedura fallimentare e alla volontà di evitare effetti negativi sulla liquidazione e sulla durata della stessa. La ratio delle norme della legge fall. che presiedono alla disciplina dei rapporti giuridici preesistenti viene individuata proprio nei fondamentali principi della rapidità nella definizione dei rapporti contrattuali e dell’attribuzione al curatore, come regola generale, del potere di scelta fra esecuzione e scioglimento del contratto, nell’interesse della massa dei creditori (16).4. I riflessi sulle operazioni di cartolarizzazione dei crediti.
La decisione in esame appare astrattamente idonea a sollevare questioni interpretative che assumono rilevanza in tema di securitization, con particolare riferimento ad operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto un flusso finanziario di crediti derivanti da rapporti qualificabili in termini di leasing traslativo.
Non è questa la sede per una trattazione puntuale e completa della cartolarizzazione dei crediti, tecnica finanziaria già diffusa in altri ordinamenti e recentemente disciplinata in Italia dalla legge 30 aprile 1999, n. 130 (17): è opportuno, tuttavia, esaminare almeno le caratteristiche fondamentali dell’istituto ed accennare ai numerosi vantaggi connessi all’adozione dello stesso.
Lo schema base consiste in una cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, esistenti o futuri (individuabili in blocco se si tratta di una pluralità di crediti), dal soggetto titolare (cd. originator, che può essere un ente pubblico o privato) ad una società di cartolarizzazione (special purpose vehicle-SPV), la quale paga il corrispettivo della cessione, finanziandosi mediante l’emissione di appositi titoli (18).
Viene realizzata una trasformazione di attività non negoziabili (i crediti ceduti in blocco) in titoli negoziabili, garantiti dalle stesse attività: la società veicolo è titolare di un vero e proprio patrimonio separato, costituito dal portafoglio di crediti ceduti, sul quale non possono rivalersi soggetti diversi dai sottoscrittori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti stessi (art. 1, co. 1, lett. b) (19).
Il modello base può essere, poi, arricchito dall’intervento di diversi soggetti e dall’instaurarsi di ulteriori rapporti, al fine di adeguare l’operazione alle circostanze del caso concreto e alle esigenze delle parti coinvolte. Pertanto, potranno ricorrere nell’operazione: un’agenzia di rating che fornisce la valutazione di merito per i crediti ceduti (20); un soggetto incaricato della emissione dei titoli, pur non essendo cessionario dei crediti (issuer); un soggetto che riscuote i crediti ceduti sulla base di un mandato della società di cartolarizzazione e che può essere anche lo stesso cedente (servicer); un istituto di credito o intermediario finanziario incaricato di pagare i sottoscrittori dei titoli sulla base di un mandato della società di cartolarizzazione; un intermediario incaricato del collocamento dei titoli sul mercato dei capitali; un operatore che presta garanzie supplementari ai sottoscrittori al fine di rendere meno rischioso l’investimento e conseguire un aumento del rating attribuito al portafoglio dei crediti ceduti (credit enhancer).
Elemento essenziale dell’operazione è la costituzione di un patrimonio separato, caratterizzato dalla segregazione del portafoglio dei crediti ceduti a garanzia dei portatori dei titoli emessi (art. 3 co. 2), che si colloca a pieno titolo nella recente evoluzione legislativa caratterizzata dal riconoscimento di forme di separazione patrimoniale a favore di varie categorie di soggetti (21). Al fine di realizzare una piena separazione patrimoniale, è indispensabile porre il portafoglio di crediti al riparo da fattori esterni che possano compromettere l’esigibilità dei crediti da parte dello special purpose vehicle. Per tale motivo la legge n. 130/1999 prevede una disciplina di favore per quanto concerne l’opponibilità della cessione ai debitori ceduti, ai terzi creditori ed aventi causa dell’originator (art. 4, co. 1 e 2).
In particolare, la data di pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione ha rilevanza ai fini dell’opponibilità della stessa nei confronti dei creditori e degli altri aventi causa del cedente, a prescindere dalla notifica ai singoli debitori ceduti e dalla effettiva conoscenza che dell’operazione abbiano avuto i soggetti interessati i quali, da quel momento, non avranno più azione sui crediti trasferiti (a meno che non abbiano pignorato il credito o non abbiano reso efficace il titolo di acquisto in data anteriore alla pubblicazione della cessione). Dalla data di adempimento delle formalità pubblicitarie, pertanto, sono ammesse azioni sui crediti soltanto a tutela dei diritti di cui all’art. 1, co. 1 lett. b): quelli, in sostanza, di cui sono titolari i sottoscrittori dei titoli e coloro che risultano essere creditori della società veicolo in relazione ai costi dell’operazione.
I vantaggi connessi all’adozione della tecnica finanziaria in esame sono evidenti. Le imprese possono attingere ad un nuovo canale di finanziamento (spesso più redditizio di quelli convenzionali), liberare risorse finanziarie ed eventualmente investirle in nuovi impieghi, nonché liberarsi di crediti di difficile realizzazione, che comportano elevati costi di gestione. L’incremento del numero complessivo delle operazioni dovrebbe favorire la smobilizzazione di crediti, un aumento della liquidità delle imprese e un ampliamento del mercato mobiliare.
Momento centrale dell’operazione di cartolarizzazione è rappresentato dalla cessione dei crediti, che può avvenire, in mancanza di espressa previsione legislativa, sia pro soluto che pro solvendo. Si applica, pertanto, la presunzione di mancanza della garanzia per la solvenza di cui all’art. 1267 cod. civ., per cui il cedente sarà tenuto a garantire l’esistenza del credito, ma non risponde della solvenza del debitore (22).
Appare evidente che la natura dei crediti ceduti sarà diversa a seconda del tipo di attività esercitata dall’originator. In assenza di limitazioni soggettive specifiche poste dal legislatore, i soggetti deputati a dar vita ad operazioni di securitization saranno soprattutto istituti di credito, titolari di crediti idonei a generare flussi di cassa costanti, ma anche imprese assicurative, società finanziarie, istituti di previdenza, nonché società di leasing.
È opportuno individuare in questa sede le possibili interferenze tra procedure concorsuali e cartolarizzazione di crediti, con particolare attenzione agli eventuali risvolti dei principi affermati dalla Suprema Corte nella decisione poc’anzi esaminata (23). Di recente, infatti, sono state espresse perplessità e preoccupazioni da parte degli operatori economici e della stampa specializzata proprio in relazione alle ricadute che la dichiarazione di fallimento di una società concedente e la conseguente applicabilità delle norme in tema di effetti sui rapporti giuridici pendenti potrebbero comportare nei confronti di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto contratti di leasing traslativo (24).
Nel corso di una operazione di cartolarizzazione potrebbe verificarsi il fallimento di uno dei soggetti principali coinvolti nell’operazione: i debitori ceduti, il cedente o il cessionario. Si tratta di un evento di particolare gravità, che rischia di precludere la separazione patrimoniale e l’isolamento del rischio del portafoglio ceduto e, dunque, di vanificare le garanzie apprestate dalla legge a tutela dei portatori dei titoli.
Tralasciando la questione del fallimento della società veicolo, che esula dall’ambito della presente trattazione (25), va segnalato che la dottrina più attenta si è cimentata nell’analisi degli effetti derivanti dal fallimento di uno o più debitori ceduti, alla luce del dato normativo. Mentre i primi due commi dell’art. 4 individuano, come si è poc’anzi rilevato, particolari forme pubblicitarie che derogano al regime codicistico in materia di cessione dei crediti, i commi 3 e 4 contengono norme di favore in relazione al rischio derivante dall’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare.
In particolare, l’art. 4, co. 3 dispone che ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti alla società cessionaria non si applica l’art. 67 legge fall. La disposizione in esame sacrifica gli interessi dei creditori concorsuali a beneficio dei sottoscrittori dei titoli emessi nell’ambito di una operazione di cartolarizzazione, sottraendoli al rischio di veder diminuita la consistenza del patrimonio separato per effetto del fallimento di uno o più debitori ceduti e dell’esperimento, da parte del curatore, delle azioni revocatorie volte a recuperare alla massa attiva i pagamenti eseguiti in favore della cessionaria.
L’art. 4 co. 4, inoltre, stabilisce che per le operazioni di cartolarizzazione disciplinate dalla legge n. 130/1999 i termini per l’esercizio dell’azione revocatoria (rispettivamente, di due anni e di un anno), sono ridotti a sei e a tre mesi. Detta previsione (applicabile, in virtù del tenore letterale, non solo in caso di fallimento del debitore ceduto, ma anche in quello di fallimento del cedente, sul quale cfr. infra, par. 5), restringe l’ambito temporale della revocatoria in modo da rendere di fatto impossibile l’esercizio della stessa, in considerazione della usuale maggior durata della istruttoria prefallimentare (26).
Se è vero, pertanto, che dette previsioni hanno scalfito l’applicabilità dell’istituto della revocatoria fallimentare, riducendo sensibilmente l’area delle azioni di recupero dell’attivo, la sostanziale esenzione dall’azione risulta ispirata alle finalità generali della tecnica finanziaria in esame, in modo da garantire la piena separazione ed autonomia dei crediti ceduti e la tutela dei portatori dei titoli (27).5. In particolare: il fallimento dell’impresa cedente
È di notevole interesse, in relazione alla concreta vicenda, il fallimento dell’impresa cedente-originator. Fondamentale importanza rivestono, anzitutto, le modalità che consentono alla società veicolo di opporre il negozio di cessione dei crediti ai creditori concorsuali (cfr. supra, par. 4). L’art. 4 co. 2, in particolare, dichiara opponibile la cessione dalla data di pubblicazione della notizia sulla Gazzetta Ufficiale agli aventi causa del cedente che non abbiano reso efficace il proprio titolo di acquisto in data anteriore (lett. a), nonché ai creditori che non abbiano pignorato il credito prima della pubblicazione (lett. b). In caso di fallimento del cedente, pertanto, la cessione sarà opponibile ai creditori concorsuali qualora le formalità pubblicitarie siano state adempiute anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento.
Quanto alla limitata esperibilità dell’azione revocatoria nella fattispecie in esame (art. 4, co. 4), si rinvia alle considerazioni espresse nel precedente paragrafo circa la finalità di tutelare il patrimonio separato in seguito all’azione della curatela, sia pure limitatamente ai rapporti giuridici posti in essere nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione.
Con specifico riferimento ad una cartolarizzazione avente ad oggetto un flusso di crediti derivanti da contratti qualificabili in termini di leasing traslativo, i problemi che si pongono a seguito della dichiarazione di fallimento dell’impresa cedente vanno collocati su due livelli diversi, benché strettamente connessi: da un lato, le conseguenze che tale declaratoria provoca sui singoli contratti di locazione finanziaria in corso stipulati tra società concedente ed utilizzatori-debitori ceduti; dall’altro, i possibili riflessi che essa determina sul negozio di cessione di crediti dall’originator alla società veicolo.
Quanto al primo profilo, si possono richiamare le considerazioni precedentemente svolte in tema di fallimento della società concedente e di leasing traslativo (cfr. supra, par. 3): ne consegue che, alla luce di un orientamento giurisprudenziale consolidato (cui la decisione annotata mostra di conformarsi pienamente), nei casi in cui non si sia ancora verificato l’effetto traslativo derivante dall’esercizio del diritto di opzione da parte dell’utilizzatore, l’esecuzione del contratto rimarrà sospesa fino a quando la curatela, con l’autorizzazione del giudice delegato, dichiari (eventualmente sollecitata dal contraente in bonis mediante il ricorso alla messa in mora di cui all’art. 72, co. 3 legge fall.) di subentrare nel contratto in luogo del fallito o di sciogliersi dallo stesso.
Viene esclusa, pertanto, l’applicabilità alla fattispecie de qua dell’art. 73, co. 2, legge fall. in tema di vendita a rate con riserva della proprietà (e, dunque, la prosecuzione automatica del rapporto contrattuale pendente): sarà il curatore a valutare, nell’interesse della massa dei creditori, l’opportunità di una esecuzione oppure di uno scioglimento del contratto, con conseguente recupero del bene nella massa attiva, alla luce di quanto disposto nell’art. 72, co. 4, legge fall..
Dallo scioglimento del contratto di leasing traslativo possono derivare, tuttavia, evidenti conseguenze non solo con riferimento al singolo rapporto negoziale, ma in relazione alla complessiva operazione di cartolarizzazione dei crediti. Nel caso in cui l’opzione della curatela nel senso dello scioglimento non riguardi un numero esiguo ed insignificante di contratti, ma ne travolga, in ipotesi, una parte considerevole, con conseguente interruzione del pagamento dei canoni dovuti dagli utilizzatori-debitori ceduti, allora sussisterebbe il rischio, sia pure astrattamente configurabile, del venir meno del flusso finanziario alla base dell’operazione di cartolarizzazione.
In caso di insolvenza di una società concedente di grandi dimensioni, se la curatela optasse per lo scioglimento dei contratti di leasing in via generalizzata, il flusso dei pagamenti che costituiscono il portafoglio di crediti oggetto della cartolarizzazione sarebbe profondamente alterato. Gli utilizzatori sarebbero tenuti a restituire il bene (e potrebbero insinuarsi al passivo del fallimento per i canoni già corrisposti, senza alcun diritto al risarcimento del danno), ma non dovrebbero più corrispondere i canoni residui. Verrebbe meno, in sostanza, la causa del credito, il cui acquisto viene finanziato dalla società di leasing mediante l’emissione dei titoli.
È opportuno ricordare che la decisione della Suprema Corte riguarda un caso particolare, del tutto estraneo al fenomeno della cartolarizzazione, in cui è coinvolta una società di leasing di piccole dimensioni, non soggetta a vigilanza. Essa è stata, tuttavia, oggetto di un vivace dibattito, tuttora in corso, alla luce della importanza sul piano economico e finanziario delle operazioni di securitization già avviate o imminenti nel nostro ordinamento, anche nel settore pubblico, nonché della rilevanza e delle esigenze di tutela degli interessi coinvolti (28).
Si segnala, in particolare, la dichiarazione di una importante agenzia di rating che ha manifestato la sua intenzione di non modificare, almeno per il momento, la valutazione dei titoli relativi ad operazioni di cartolarizzazione su leasing in attesa di un preannunciato ed imminente intervento normativo sulla questione: valutazione che era stata effettuata, peraltro, sulla base di un contesto giuridico di riferimento in cui veniva negata, in caso di fallimento del concedente, la possibilità di scioglimento dei contratti di leasing da parte della curatela (29).
Con specifico riferimento alle conseguenze della dichiarazione di fallimento sul negozio di cessione dei crediti, che rappresenta, come si è sottolineato, il momento fondamentale di una operazione di cartolarizzazione, potrebbe essere di qualche utilità distinguere tra crediti già sorti e crediti non ancora venuti ad esistenza alla data della dichiarazione di fallimento del cedente.
Quanto ai crediti sorti in epoca anteriore all’apertura della procedura, si può argomentare che si tratta di diritti per i quali il trasferimento (e la relativa separazione patrimoniale) appaiono incontrovertibili, con conseguente applicabilità in via analogica dell’art. 72, co. 4, legge fall. (il contratto non si scioglie, se la cosa è già passata in proprietà del compratore). Ne deriva che il negozio di cessione continuerà ad essere vincolante per la procedura, la quale avrà tuttavia il diritto di ricevere dalla società cessionaria la parte del corrispettivo non ancora pagata (30).
Rispetto ai crediti non ancora maturati alla data della dichiarazione di fallimento, la soluzione appare diversa a seconda che, in tema di crediti futuri (31), si accolga l’una o l’altra delle teorie elaborate in dottrina, in assenza di specifici elementi testuali offerti dalla legge n. 130/99 (32). Solo in caso di accoglimento della teoria cd. dell’acquisto immediato dei crediti futuri, infatti, la titolarità dei crediti ceduti sarebbe ricondotta direttamente alla società cessionaria, sulla base di una fattispecie traslativa a formazione successiva che si svolge in via esclusiva all’interno del patrimonio della società veicolo e non viene coinvolta dall’insolvenza del cedente.
Alla luce di tale interpretazione il riconoscimento della titolarità dei crediti futuri in capo alla società cessionaria sin dal momento della venuta ad esistenza escluderebbe, pertanto, che in caso di fallimento del cedente la curatela possa scegliere se recedere o meno dal contratto. I crediti futuri sorgerebbero direttamente nel patrimonio della società cessionaria, senza transitare per la massa attiva e senza essere interessati dagli avvenimenti inerenti alla sfera del cedente e la società veicolo sarebbe tenuta solo a versare alla curatela il corrispettivo, con conseguente stabilità del rapporto ed esclusione della possibilità di scioglimento da parte del curatore.
Il riconoscimento in capo al cessionario di una situazione giuridica attiva prodromica all’insorgenza dei crediti ceduti appare sicuramente in linea con l’esigenza di tutelare la stabilità e le esigenze sottese alla disciplina della cartolarizzazione di crediti: trattasi però di soluzione non pienamente soddisfacente, né esente da margini di incertezza ed opinabilità, alla luce della realtà sottostante al fenomeno e all’assetto di interessi nel caso concreto.
L’art. 72, co. 4, legge fall. prevede, ai fini della normativa fallimentare, che fino al momento in cui il cessionario non acquista la titolarità del diritto perfetto indicato dalle parti come oggetto del trasferimento, il contratto non esaurisce completamente i suoi effetti ed è ancora in corso: con la conseguenza che il curatore, sulla base di una valutazione di convenienza ed opportunità in relazione agli interessi della massa dei creditori, potrà sempre optare per lo scioglimento dal negozio di cessione.
Non sembra sufficiente il ricorso all’interpretazione in tema di crediti futuri ricavabile dal Decreto del Ministro del Tesoro 4 aprile 2001 (in G. U. n. 99 del 18.4.2001), che consente di reputare cedibili i flussi di cassa futuri non ancora esistenti, ma generabili nel normale esercizio dell’attività del cedente (art. 2, n. 2, lett. h) (33). Né appare praticabile, almeno ad una analisi preliminare e sommaria, la soluzione di ritenere applicabili ai beni restituiti alla società concedente (o meglio a quel particolare tipo di credito rappresentato dal prezzo ricavato dalla cessione sul mercato del bene) le argomentazioni svolte dalla dottrina in tema di crediti futuri, che sembrano riferirsi ad un momento genetico e “fisiologico” del credito.
In conclusione, l’esistenza di una disciplina dichiaratamente ispirata al favor nei confronti della diffusione di operazioni di cartolarizzazione e della tutela degli interessi degli investitori non appare pienamente in grado di evitare il rischio di anomalie e di effetti indesiderati o imprevisti, come conseguenza di diverse impostazioni adottate dagli interpreti e della tendenza ad adottare ad interpretare fenomeni nuovi ricorrendo a schemi giuridici preesistenti. Il rischio derivante da scarsità di indicazioni ed incertezze, anche sul piano regolamentare ed operativo, era già stato paventato, del resto, dalla dottrina più attenta alla vigilia della emanazione della L. n. 130/1999 (34).
In relazione alla considerevole entità e alla rilevanza degli interessi coinvolti, potrebbe essere utile, pertanto, un intervento interpretativo che faccia chiarezza sul punto, nonché una dichiarazione dell’autorità preposta alla vigilanza del settore. La certezza dei rapporti giuridici rappresenta, infatti, uno dei valori fondamentali nel nostro ordinamento, ampiamente riconosciuto nei vari ambiti del diritto.
NOTE
(1) In verità l’art. 17 della L. 2.5.1976, n. 183 definisce in termini di locazione finanziaria le operazioni di locazione di beni mobili o immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta e indicazione del conduttore che ne assume tutti i rischi, e con facoltà per quest’ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito. La L. 14.7.1993, n. 259 ha ratificato, inoltre, la Convenzione UNIDROIT che disciplina il leasing finanziario internazionale, concluso tra soggetti con sedi di affari in Stati contraenti diversi.
(2) Non è consentito in questa sede esaminare in modo puntuale le varie questioni e i problemi connessi al contratto di leasing, nelle sue numerose varianti. Tra i numerosi contributi dottrinali si segnalano, senza alcuna pretesa di completezza: Ferrarini, La locazione finanziaria, in Tratt. Dir. Priv. diretto da Rescigno, II, 2 ss.; Buonocore, Leasing, in Noviss. Dig. it, App., 1983, 797 ss., ; Id., Il leasing, in Quaderni Giur. comm., 94; Ruozi -Carretta, Manuale del leasing, 1984; DE NOVA, Il contratto di leasing, 1985; FRIGNANI, Factoring, leasing, franchising, venture capital, concorrenza, 1987; RESCIO, La traslazione del rischio contrattuale nel leasing, 1989; CLARIZIA, I contratti di finanziamento. Leasing e factoring, 1989. Con particolare riferimento ai rapporti tra leasing e procedure concorsuali, si veda APICE, Il contratto di leasing nelle procedure concorsuali, 1991; BONFANTE, I rapporti pendenti nel fallimento e la locazione finanziaria, 1989; BASTIANON, Il leasing nel fallimento, 1999.
(3) Si vedano Cass. 13.12.1989, nn. 5569-5574, in Foro it., 1990, I, 461 e in Giur. comm., 1990, 885; Cass. 5.6.1991, n. 6357, in Dir. fall, 1992, II, 348; Cass. 10.1.1992, n. 199, in Foro it. 1992, I, 1109; Cass. 20.2.1992, n. 2083, in Fall. 1992, 479; Cass. 18.6.1992, n. 7556, in Fall. 1992, 1118; Cass. 11.7.1992, n. 8454, in Fall. 1993, 224; Cass. 24.8.93, n. 8919, in Fall, 1994, 39; Cass. 22.3.1994, n. 2743, in Dir. fall., II, 1995, 260; Cass. 22.2.94, n. 1731, in Foro it., 1995, I, 603, oltre a Cass. SS. UU. 7.1.1993, n. 65, in Foro it., 1994, I, 178, di cui infra, nel testo.
(4) Si veda, in particolare, Cass. 5573/89, cit., secondo cui l’individuazione della volontà delle parti al momento della formazione del consenso e, quindi, del loro intento negoziale nel perseguire l’una o l’altra finalità è, evidentemente, una quaestio voluntatis la cui ricerca è compito specifico del giudice di merito.
(5) Cass n. 65/1993, cit. Si veda anche Cass. 4.7.1997, n. 6034, in Giust. civ., 1998, II, 135.
(6) Sulla pratica difficoltà di distinguere in concreto ed accertare caso per caso la sussistenza di un leasing traslativo o di godimento si veda, tuttavia, APICE, Il contratto di leasing, cit., 210.
(7) Cass. SS. UU. 65/1993 e Cass. 6034/97.
(8) Si noti che la decisione in esame presenta significativi elementi di novità anche con riguardo al soggetto sottoposto a procedura concorsuale. La maggior parte delle sentenze pronunciate negli anni precedenti in tema di rapporti fra contratto di locazione finanziaria e fallimento, infatti, si riferiscono a fattispecie nelle quali il contraente fallito è l’utilizzatore. La ragione è da ricercarsi nel fatto che il leasing veniva inizialmente praticato in via pressoché esclusiva da imprese collegate con il mondo bancario, che offrivano maggiori garanzie di stabilità e solvibilità; in seguito ad una diffusione più capillare del leasing, nuovi soggetti hanno iniziato a svolgere professionalmente la relativa attività e il fallimento del concedente non appare più essere, pertanto, un fenomeno eccezionale.
(9) Come la stessa Corte ha in altra occasione chiaramente precisato (Cass. 5573/1989), infatti, la prevalenza degli interessi della massa dei creditori porta ad escludere che gli stessi «possano essere pregiudicati in conseguenza di atti dell’imprenditore precedenti al fallimento, senza che una preventiva valutazione di convenienza e di opportunità venga esercitata dall’ufficio fallimentare».
(10) Si veda, sul punto, Trib. Roma 27.11.1993, che ha riconosciuto il diritto del fallimento ad un corrispettivo per l’utilizzazione dei beni nel periodo successivo allo scioglimento del contratto.
(11) CHIOMENTI, Il leasing, il Tribunale di Milano e donna Prassede, nota a Trib. Milano 29.5.1978, in Riv. dir. comm., 1980, II, 271; CASELLI, Contratto e impresa, 1985, 213; DE NOVA, Il contratto di leasing, 54; FERRARINI, cit., 21; BUONOCORE, cit., 810.
(12) ALPA, Qualificazione dei contratti di leasing e factoring e suoi effetti nella procedura fallimentare, in Dir. fall., 1988, I, 174.
(13) La Corte, del resto, aveva in precedenza precisato (Cass. 11.12.1990, n. 11792, in Fall., 1991, 457) che, qualunque sia l’impostazione seguita in merito alla natura giuridica del leasing, è certo che «il contratto di per sé non trasferisce immediatamente il diritto di proprietà, costituendo soltanto il meccanismo negoziale che autorizza l’utilizzatore ad acquistare il bene ricevuto in godimento, all’atto del pagamento dell’ultimo canone (patto di opzione)».
(14) Trib. Roma 29.10.1990 e Trib. Roma 27.11.1993 (in APICE, Il contratto di leasing, cit., 53); Trib. Napoli 22.1.1992, in Fall., 1992, 1040 e, più recentemente, Trib. Roma 20.3.1997, in Fall., 1997, 1242.
(15) Si veda GAZZONI, Manuale di diritto privato, 1998, 1235.
(16) L’attribuzione al curatore della facoltà di scelta fra subentro e scioglimento del contratto, relativamente ai contratti corrispettivi non eseguiti, può essere considerata espressione di un principio generale (tra gli altri, SATTA, Diritto fallimentare, 285 ss.; FERRARA-BORGIOLI, Il fallimento, 371 ss.).
(17) Nonostante la recente emanazione della normativa, la riflessione dottrinale in tema di cartolarizzazione è già copiosa. Si rinvia, tra gli altri, a: AA. VV., Legge 30 aprile 1999, n. 130, Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti, Commentario a cura di Maffei Alberti, in Le nuove leggi civ. comm., 2000, 997-1158; RUCELLAI, La cartolarizzazione dei crediti in Italia a due anni dall’entrata in vigore della legge 30 aprile 1999, n. 130, in Giur. comm., 2001, 392-409; FAUCEGLIA, La cartolarizzazione dei crediti: commento alla legge n. 130 del 1999, 2002; PROTO, Cartolarizzazione e procedure concorsuali. La nuova legge sulla cartolarizzazione dei crediti, in Fall., 11999, 1173; RORDORF, Cartolarizzazione dei crediti e tutela del risparmio, in Soc., 2000, 1163; MESSINETTI, Il concetto di patrimonio separato e la cd. cartolarizzazione dei crediti, in Riv. dir. civ., 2002, 101; RUMI, Securitisation in Italia. La legge n. 130/1999 sulla cartolarizzazione dei crediti, in Giur. comm., 2000, I, 438.
(18) Gli Asset Backed Securities (ABS, titoli rappresentativi dei crediti cartolarizzati) vengono collocati sul mercato e l’importo ricavato dal collocamento di tali titoli è destinato dallo special purpose vehicle all’acquisizione dei crediti ceduti.
(19) L’art. 1 co. 1 lett. b) prevede, infatti, che le somme corrisposte dai debitori ceduti sono destinate in via esclusiva dalla società cessionaria al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi (dalla stessa o da altra società) per finanziare l’acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell’operazione. I prenditori dei titoli possono fare affidamento sulla capacità del portafoglio di crediti di generare la liquidità necessaria per far fronte agli obblighi assunti dallo SPV (corresponsione degli interessi e rimborso del capitale).
(20) L’art. 2 co. 4 della L. 130/99 prevede che, nel caso in cui i titoli oggetto delle operazioni di cartolarizzazione siano offerti ad investitori non professionali, l’operazione deve essere sottoposta alla valutazione del merito di credito da parte di operatori terzi, dotati dei requisiti di indipendenza e professionalità previsti dalla Consob. Uno dei punti cruciali delle operazioni di cartolarizzazione risiede proprio nella maggiore o minore probabilità di riscossione dei crediti ceduti, da cui si genera il flusso finanziario necessario per la remunerazione dei portatori dei titoli. Il rischio che l’investitore assume nell’operazione è inversamente proporzionale, infatti, alla bontà dei crediti cartolarizzabili. Ne deriva che alla corretta valutazione del merito del credito è affidato un ruolo essenziale per la tutela dell’investitore. Cfr. RORDORF, Cartolarizzazione dei crediti, cit., 1166.
(21) Si pensi, da ultimo, ai patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447 bis ss.), strumenti di ampliamento e di diversificazione dei finanziamenti della società, per i quali la riforma societaria (D. Lgs. n. 6/2003) prevede l’opponibilità ai terzi del vincolo di destinazione e un particolare regime di responsabilità.
Il patrimonio separato può essere considerato come patrimonio di destinazione, in quanto è il fine (di produzione di ricchezza e di separazione di sfere di rischio), piuttosto che la soggettività del titolare, a determinarne l’unitarietà.(22) Nella maggior parte dei casi la cessione sarà pro soluto, al fine di assicurare lo smobilizzo dei crediti e l’esclusione degli stessi dal bilancio. Qualora nell’operazione di cartolarizzazione sia prevista, sia pure in parte, la garanzia del cedente per la solvenza del debitore ceduto, si instaura tra cedente e cessionario un rapporto ulteriore, volto a rendere meno rischioso l’investimento per i sottoscrittori e tale da consentire un rating migliore.
Sul ricorso alla cessione come strumento che consente una utilizzazione diversa del credito e un soddisfacimento di bisogni connessi non all’utilizzazione del bene dovuto, ma ai risultati ricavabili dalla circolazione del credito stesso, si veda DOLMETTA, Cessione dei crediti, Dig. disc. priv., II, 1988, 287.(23) Non è possibile esaminare in questa sede il diverso tema, di particolare rilevanza sul piano economico e di grande interesse sul piano giuridico, dell’utilizzo di operazioni di cartolarizzazione nell’ambito delle procedure concorsuali, come strumento per favorire una rapida e proficua soluzione della crisi, per il quale si veda CABRAS, Cartolarizzazione di crediti e procedure concorsuali, in L’impresa in crisi: tra liquidazione e conservazione, 2002, 75 ss.
(24) Ci si riferisce, in particolare, a due notizie diffuse dall’agenzia Reuters in data 3 e 11 novembre 2003, poi riprese dai principali quotidiani economici.
(25) Il caso di fallimento della società veicolo, astrattamente configurabile (trattasi di soggetto strumentale alla cartolarizzazione, ma dotato di propria autonomia imprenditoriale e svolgente attività di natura commerciale), è generalmente considerato di remota verificazione, in quanto l’SPV viene spesso costituito ad hoc al fine di realizzare una o più operazioni di securitization. Si veda, sul punto, PROTO, cit., 1179; GUERRIERI, in AA. VV., Legge 30 aprile 1999, n. 130, Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti, cit., 1107; da ultimo, BEI, Società per la cartolarizzazione dei crediti: riflessioni su alcuni aspetti problematici, in Soc., 2003, 1222, che sottolinea come il riconoscimento dei privilegi (segregazione a tutti gli effetti, impermeabilità al regime delle revocatorie fallimentari e bankruptcy remoteness) volti a garantire la stabilità dell’operazione solo al patrimonio separato e l’assoggettabilità a fallimento dello SPV introduca un anello debole della catena.
(26) GUERRIERI, cit., 1088; CABRAS, Cartolarizzazione di crediti, cit., 82.
(27) Per FERRO-LUZZI, Il disegno di legge sulla cartolarizzazione dei crediti: spunti critici, in La cartolarizzazione dei crediti in Italia, 1999, 29, l’esenzione da revocatoria fallimentare nella cartolarizzazione si giustifica con scelte di politica legislativa (sicurezza dell’operazione e della posizione dei portatori dei titoli) che, tuttavia, non sembrano tener conto della diversa posizione assunta dai risparmiatori e dagli investitori istituzionali.
(28) Le fonti di stampa danno per imminente un intervento legislativo sulla questione, in forma di emendamento alla legge finanziaria attualmente all’esame degli organi competenti.
(29) La dichiarazione ufficiale di Standard&Poor’s è reperibile sul sito www.ratingsdirect.com.
(30) GUERRIERI, cit., 1097.
(31) In tema di cessione di crediti futuri vanno segnalate sia le disposizioni di cui agli artt. 1346 e 1348 cod. civ. (determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto e prestazione di cose future), sia la giurisprudenza secondo la quale per il requisito della determinabilità dei crediti occorre, quanto meno, che al momento della cessione esista già il rapporto specifico dal quale gli stessi trarranno origine (Cass. 5.6.1978, n. 2798) e quella secondo la quale è valida la cessione di crediti sperati, purché siano indicati l’ammontare del credito, il debitore ceduto e il tempo in cui presumibilmente il credito verrà ad esistenza (Cass. 8.5.1990, n. 4040, in Foro it., 1991, I, 2489). Si veda in dottrina PERLINGIERI, Cessione di crediti, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja-Branca, 1982, 265; TROIANO, La cessione di crediti futuri, 1999.
Tra le diverse soluzioni prospettate, appare preferibile l’adozione di una posizione intermedia, in base alla quale i crediti generabili sono quelli per cui la venuta ad esistenza non è assolutamente certa, ma realisticamente probabile. Si veda FAUCEGLIA, cit., 54; ALDERIGHI, Vecchie e nuove in materia di cartolarizzazione dei crediti futuri, in Impresa c. i., 2001, 973, secondo cui i crediti verrebbero dedotti in contratto non uti singuli ma come massa, che appare già attuale al momento della stipulazione dell’accordo e rappresenta la futura liquidità che l’operazione complessiva consente di scambiare con quella attuale.(32) Le diverse tesi (teoria dell’acquisto mediato dei crediti futuri, per la quale il diritto ceduto, al momento della sua venuta ad esistenza, sorge nel patrimonio del cedente e si trasferisce poi nel patrimonio del cessionario; teoria dell’acquisto immediato dei crediti futuri, secondo la quale il credito ceduto verrebbe ad esistenza direttamente nel patrimonio del cessionario in virtù di un trasferimento allo stesso della situazione giuridica soggettiva prodromica all’insorgenza del diritto; teoria intermedia, fondata sull’analisi della fattispecie concreta) sono ampiamente riportate in GUERRIERI, cit., 1098, ove ulteriori riferimenti bibliografici.
(33) Si noti che il decreto ministeriale del 4.4.2001 contiene una disciplina più ampia rispetto a quella contenuta nella legge n. 52/1991 (art. 7) in tema di factoring, che pone come limite per la cedibilità dei crediti futuri la circostanza che siano generati da contratti da stipulare, purché conclusi entro 24 mesi dalla cessione.
(34) Si veda FERRO-LUZZI, Il disegno di legge sulla cartolarizzazione dei crediti, cit., 17.