il diritto commerciale d’oggi
    N° 2.1 – gennaio 2003

GIURISPRUDENZA

 

TAR LAZIO, I Sez., sentenza 26 novembre 2002, n. 10709 – Mele Presidente – Gaviano Estensore – The Liverpool Limited Partnership c. Consob
     È annullabile la decisione con cui la Consob ha escluso l’obbligo – a carico di un azionista di una società quotata – di procedere, ai sensi dell’art. 106 e 109 del TUF, ad offerta pubblica di acquisto totalitaria, senza vagliare adeguatamente se investitori coinvolti nell’acquisto di tali azioni abbiano agito per conto del predetto azionista o sulla base di intese con il medesimo.

 

FATTO E DIRITTO
     Con ricorso notificato il 21 maggio 2002 alla CONSOB (Commissione nazionale per le Società e la Borsa), alla Società Assicuratrice Industriale s.p.a. (“SAI”) e a Mediobanca s.p.a. (“Mediobanca”), e depositato il giorno successivo, The Liverpool Limited Partnership (“Liverpool”) ha impugnato la determinazione della CONSOB di cui al comunicato stampa del 17 maggio 2002 relativo alla vicenda SAI/FONDIARIA, avanzando contestualmente la pretesa al risarcimento del danno cagionato dalla condizione di grave incertezza che si sarebbe venuta a creare, anche a causa dell’apparente inerzia dell’organo di vigilanza, successivamente alla conclusione tra Montedison e SAI il 1° luglio 2001 dell’accordo avente ad oggetto la cessione di 111,5 milioni di azioni ordinarie della Fondiaria Assicurazioni s.p.a.
     La ricorrente, azionista di minoranza di Fondiaria, esponeva in sintesi quanto segue:
     – il 29 giugno 2001 la stampa nazionale aveva dato notizia di un probabile interessamento del gruppo FIAT per la Montedison spa: il successivo 1° luglio (proprio alla vigilia dell’offerta pubblica di acquisto promossa sulla totalità del capitale sociale di Montedison da Italenergia s.p.a., partecipata dalla FIAT), la SAI raggiungeva un accordo con Montedison per l’acquisto da parte della prima di 111,5 milioni di azioni ordinarie (pari a circa il 29% del capitale ordinario) di La Fondiaria Assicurazioni per un corrispettivo di 9,50 € per azione (a fronte di un valore di mercato dell’epoca di circa 5,80 €); l’operazione prevedeva l’immediato trasferimento in capo a SAI di circa il 7% del capitale votante di Fondiaria (26 mln di azioni), mentre il trasferimento del restante 22% del capitale (85,5 mln di azioni) era «condizionato unicamente al rilascio delle prescritte autorizzazioni Isvap e Antitrust»; SAI, inoltre, si impegnava, per il caso non fossero ottenute le dette autorizzazioni, a procurare un acquirente alle medesime condizioni e a versare a Montedison, a fronte di detto impegno, l’importo di 500 miliardi di lire a titolo di caparra;
     – la CONSOB, con comunicato stampa del 10 agosto 2001, rilevava che le modalità con le quali era avvenuta la transazione facevano desumere l’esistenza di un patto parasociale tra SAI e Mediobanca (all’epoca dei fatti azionista di maggioranza di Montedison, nonché titolare di una partecipazione pari al 14% di Fondiaria), finalizzato ad attribuire ad entrambe, congiuntamente, una posizione di controllo nella Fondiaria; sulla base di queste considerazioni la Consob affermava che se e quando fossero state rilasciate le predette autorizzazioni in capo a Mediobanca e a SAI sarebbe sorto un obbligo solidale di offerta pubblica di acquisto (O.P.A.) ai sensi degli artt. 106 e 109 del T.U.F.;
     – in data 31 dicembre 2001 l’Isvap negava l’autorizzazione alla quale era subordinato il trasferimento del residuo 22% del capitale di Fondiaria;
     – in ragione di ciò Montedison in un primo momento manifestava l’intento di recedere dal contratto concluso con SAI incamerando il suddetto importo di caparra, e sottoscriveva un accordo con Toro Assicurazioni s.p.a. per il trasferimento a quest’ultima della partecipazione in questione; in quella sede, peraltro, Montedison si riservava comunque il diritto di sciogliersi da quest’ultima stipula se entro 30 giorni la SAI avesse procurato altro acquirente della quota azionaria oggetto del contratto del 1° luglio 2001;
     – alla scadenza di tale termine SAI comunicava a Montedison di aver raggiunto accordi con terzi possibili acquirenti – J.P. Morgan Securities Limited, Interbanca s.p.a. ed il dott. Francesco Micheli, i quali per il suo tramite formulavano un’offerta irrevocabile di acquisto del 22% di Fondiaria, suscettibile di accettazione da parte di Montedison entro la data del 13 febbraio 2002, e subordinata alla restituzione della caparra a suo tempo versata da SAI;
     – il successivo 13 febbraio Mondedison accettava le proposte di acquisto dei tre investitori;
     – nei giorni immediatamente successivi SAI raggiungeva accordi con Mittel Generale Investimenti s.p.a. e Commerzbank A.G. aventi ad oggetto la vendita della propria partecipazione residua in Fondiaria (7%), anche in questo caso al prezzo di 9,50 euro.
     Ora, poiché la conclusione della vicenda, e soprattutto i tempi e le modalità con cui vi si era giunti, potevano ingenerare il dubbio che J.P. Morgan Securities Limited, Interbanca s.p.a., il dott. Francesco Micheli, Mittel Generale Investimenti s.p.a. e Commerzbank A.G. (di seguito, “gli Investitori”) avessero acquistato le azioni di Fondiaria in nome proprio ma per conto di SAI, da più parti (ed anche dall’attuale ricorrente) era stato invocato l’intervento chiarificatore della CONSOB.
     Con comunicato stampa del 17 maggio 2002 la Consob riteneva di portare a conoscenza del mercato i seguenti elementi e valutazioni:
     «Dalle informazioni e dalla documentazione acquisite risulta che, anche nell’ipotesi in cui si volesse ritenere che i cinque investitori abbiano acquistato il 29,9% circa delle azioni Fondiaria in nome proprio ma per conto della SAI non vi sarebbero comunque i presupposti per l’obbligo di OPA, in quanto dall’istruttoria condotta sono emersi elementi di fatto che inducono a ritenere non più vigente il citato patto parasociale tra Sai e Mediobanca, né altri patti rilevanti ai sensi dell’art. 122 TUF».
     «In particolare, nell’ambito di un contesto significativamente modificato rispetto al luglio 2001, in cui Mediobanca, secondo l’opinione della Consob allora espressa, ha utilizzato la possibilità di concordare con Sai l’acquisto da parte di quest’ultima della partecipazione di controllo in Fondiaria, in quanto era ancora l’azionista di riferimento di Montedison, si è constatato che il ruolo di Mediobanca nella vicenda in esame si è modificato. Più precisamente, non sono emersi elementi per far ritenere che con riguardo al trasferimento delle azioni Fondiaria ai predetti investitori, Mediobanca abbia continuato ad agire in concerto con SAI. Il successivo comportamento di Mediobanca riscontrato nella vicenda sembra, invece, coerente con il suo ruolo di azionista di maggioranza relativa di Fondiaria».
     Così ricostruite le vicissitudini pregresse, a sostegno del proprio gravame contro la determinazione della CONSOB del 17 maggio del 2002 la Liverpool ha dedotto una serie di doglianze rubricate come segue: 1) Eccesso di potere – Contraddittorietà – Difetto di adeguata motivazione – Violazione dei principi di affidamento e dello stesso procedimento; 2) Errore di presupposto – Difetto di istruttoria adeguata – Carenza di motivazione – Contraddittorietà ed eccesso di potere per altro profilo; 3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 T.U.F. – Errore di presupposto – Difetto di istruttoria – Eccesso di potere; 4) Eccesso di potere in relazione al mancato pronunciamento circa il carattere interpositorio degli accordi conclusi con gli Investitori – Sviamento.
     Con decreto presidenziale del 23 maggio 2002 è stata respinta la richiesta di misura cautelare urgente e provvisoria avanzata da Liverpool, ed impartito alla CONSOB il contestuale ordine di produrre in giudizio il provvedimento impugnato e gli atti e documenti che ne erano alla base.
     Alla Camera di consiglio del 5 giugno 2002 il gravame è stato rinviato al merito. Il 10 giugno 2002 – anche in relazione ad istanze della ricorrente dei precedenti giorni 5 e 7 – sono stati imposti alla CONSOB ulteriori incombenti istruttori. (Omissis)
     Con sentenza interlocutoria n. 7442 del 27 agosto del 2002 il Tribunale ha disposto l’acquisizione agli atti di causa del verbale della seduta della Commissione del 3 aprile 2002 con criteri allegati, nonché delle pagg. da 21 a 36 della relazione 28 marzo 2002 contrassegnata da “omissis” per «ragioni di riserva a fronte di attività istruttorie in corso», con la precisazione che avrebbero dovuto essere omesse solo notizie e le informazioni da riferirsi riservate nell’interesse di terzi.
     Dopo l’acquisizione anche in questo caso della documentazione richiesta, tutte le parti costituite hanno approfondito ulteriormente le rispettive argomentazioni con una nuova serie di memorie. Alla pubblica udienza del 23102002 la causa è stata definitivamente trattenuta in decisione.
     Esigenze di chiarezza espositiva suggeriscono di anticipare che il Tribunale ritiene che il ricorso nella sua parte impugnatoria vada per quanto di ragione accolto, con la conseguenza che la CONSOB dovrà riesaminare la vicenda con specifico riguardo all’ipotizzato carattere interpositorio degli acquisti degli Interpositori; la domanda risarcitoria avanzata dalla ricorrente deve essere, invece, respinta.
     Tanto premesso, si deve procedere con ordine logico all’esame delle tematiche che attengono all’ammissibilità del ricorso.

In rito
     Le parti resistenti hanno contestato sotto più profili l’ammissibilità del presente ricorso.
     Con riferimento alla componente impugnatoria che lo caratterizza, dal cui esame si muoverà, va subito detto che le eccezioni dedotte sono infondate.
     1. La principale eccezione opposta alla ricorrente verte sulla deduzione della non impugnabilità del pronunciamento della CONSOB in epigrafe, per il fatto che tale atto sarebbe sprovvisto di natura provvedimentale.
     1. a1. Questo, si dice, costituirebbe una mera informativa che la CONSOB ha ritenuto opportuno dare al mercato in merito ad un orientamento da essa assunto; in quanto tale, esso non sarebbe qualificabile come un formale e tipico provvedimento amministrativo: e lo stesso varrebbe per i sottostanti verbali della Commissione nn. 3383 e 3384 del maggio 2002, il cui contenuto è stato esternato con l’informativa, i quali pure mancherebbero di concreto contenuto provvedimentale.
     Gli effetti ricollegabili a tali atti non sarebbero diversi da quelli che discendono dalla diffusione di una semplice opinione, per quanto autorevole. CONSOB, insomma, non avrebbe leso alcun interesse tutelabile attraverso un’impugnativa al Giudice Amministrativo: avrebbe compiuto solo un atto di trasparenza verso il mercato, da parte sua del resto nemmeno obbligatorio (così come neppure sarebbe stata tenuta all’accertamento richiestole dalla ricorrente sul tema dell’interposizione), e da essa compiuto solo perché ritenuto utile.
     1. a2. A seguito delle produzioni documentali eseguite dalla CONSOB, rileva il Tribunale che le contestazioni basate sulla pretesa natura di “mera informativa” al mercato dell’atto oggetto di giudizio risultano superate. I verbali del 16-17 maggio 2002 in atti racchiudono una vera e propria determinazione assunta da parte della Commissione, la quale, sebbene sia stata impugnata con il presente ricorso unitamente al comunicato-stampa, costituisce il reale oggetto del presente gravame.
     1. a3. Si tratta, dunque, di mettere a fuoco la natura giuridica di questa determinazione.
In proposito, l’impostazione che ha ispirato le eccezioni delle resistenti è viziata da un fraintendimento circa la collocazione e la funzione istituzionale della CONSOB, che nella visuale prospettata viene presentata alla stregua di una istituzione privata che, quando lo gradisca, può compiacersi di esprimere delle libere opinioni sulle vicende finanziarie.
     Di contro, va sin d’ora detto che il provvedimento impugnato non è una mera esternazione di opinione, ma è stato emesso dalla CONSOB nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza. Più precisamente, come si vedrà, esso deve essere considerato come un atto di accertamento della sussistenza – o, più precisamente, della mancanza – di determinati presupposti, adottato nell’esercizio dei suddetti poteri e reso noto in adempimento di un dovere di informazione dei mercati; di qui la sua impugnabilità.
     Con la recente sentenza n. 3070 del 2002 il Tribunale ha posto in evidenza la valenza centrale – che va qui opportunamente ribadita – che la risorsa dell’informazione riveste ai fini della fisiologia delle dinamiche del mercato mobiliare. Il funzionamento di questo, difatti, presuppone e ruota intorno alla diffusione di informazioni complete ed attendibili, essendo proprio sulle informazioni disponibili che gli investitori orientano i propri comportamenti e basano le proprie decisioni. La trasparenza, e cioè l’uguaglianza nell’accesso alle informazioni, costituisce perciò un presupposto fondamentale del mercato, il quale rappresenta un modello organizzativo di operazioni economiche basato sulla parità delle armi, vale a dire sulla pari possibilità di contendere data ai soggetti che vi si confrontano in regime di concorrenza, e postula che gli investitori siano messi in condizione di pervenire a giudizi adeguati sulle situazioni patrimoniali, economiche e finanziarie e sull’evoluzione dell’attività degli emittenti (oltre che sui prodotti finanziari da loro offerti).
     Ora, garante dell’effettività di questo quadro di condizioni è, naturalmente, proprio la CONSOB, la quale a questo scopo si vede attribuiti dalla legge dei veri e propri poteri.
     In funzione della salvaguardia dei suddetti valori l’art. 91 del T.U.F., rubricato proprio “Poteri della CONSOB”, stabilisce, difatti, che questa «esercita i poteri previsti dalla presente parte (n.d.r.: la Parte IV del T.U., concernente la “Disciplina degli emittenti”) avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali».
     Sul fondamento della previsione dell’art. 47 della Carta («la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme»), e con specifico riguardo alla materia degli emittenti, alla CONSOB sono stati assegnati, dunque, dei poteri in vista delle finalità che la norma del T.U.F. appena trascritta individua nella tutela degli investitori e nell’efficienza e trasparenza dei mercati finanziari.
     All’esistenza di tali poteri, prima che ad ogni altra cosa, ha avuto riguardo il legislatore della legge n. 205 del 2000 quando ha assegnato alla giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, … ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza … sul mercato mobiliare» (art. 33 d.lgs. n. 801998, come modificato dalla legge n. 205). Questo Tribunale, infatti, nel segnalare la significatività (sentenza n. 30702002) della modifica apportata – in aderenza al parere dell’Adunanza generale del Consiglio di Stato del 1231998 – all’art. 33 dell’attuale d.lgs. n. 801998, attraverso la sostituzione dell’espressione inizialmente prevista di «controversie … afferenti al credito, … e al mercato mobiliare» con l’altra di «controversie afferenti alla vigilanza sul credito … e sul mercato mobiliare», ha avuto occasione di sottolineare come con ciò, sulla scia della precisa indicazione contenuta nel suddetto parere, la giurisdizione amministrativa sia stata collegata all’esercizio di un potere.
     In coerenza con questo dato si può notare che anche la più autorevole giurisprudenza civile è orientata a qualificare le attribuzioni di vigilanza della CONSOB in termini di “funzione” (nella sentenza della Cassazione I civ. n. 31322001 si parla infatti sistematicamente, pur con riferimento al quadro normativo antecedente al T.U.F., di “funzione” di vigilanza).
     E se è vero che il testo vigente dell’art. 33 del d.lgs. n. 801998 accosta apparentemente la vigilanza sul mercato mobiliare, invece, ad un “servizio”, questa circostanza, se conferma l’esistenza di (notori) margini di incertezza ed ambiguità intorno alle categorie concettuali della “funzione” e del “servizio” pubblico (e comunque non costituisce un dato da sopravvalutare, essendo noto che le opinioni dogmatiche del legislatore non vincolano l’interprete), non permette in ogni caso di dubitare del fatto che il legislatore abbia devoluto al Giudice Amministrativo tutto il contenzioso inerente alla vigilanza sul mercato mobiliare. A valorizzare, invero, la dizione di “servizio” e svolgerne tutte le implicazioni, si dovrebbe semplicemente concludere che anche quando la vigilanza non presenti una facies autoritativa – ma si atteggi, appunto, solo come un “servizio” – essa ricada nella giurisdizione amministrativa, che non a caso si atteggia nella materia come una giurisdizione di tipo esclusivo.
     1. a4. Si è accennato all’esistenza, nella materia della vigilanza sul mercato mobiliare, di poteri giuridici di diritto pubblico. Ai fini della loro compiuta individuazione ulteriori notazioni sono, però, necessarie.
     L’informazione in condizioni di trasparenza che deve essere somministrata ai mercati non concerne solo grezzi ed informi dati di fatto, ma anche, nei congrui casi, le conferenti valutazioni giuridiche cui la CONSOB possa pervenire. È stato messo in evidenza, infatti, nella sentenza n. 3070 già citata, che la qualificazione da parte della CONSOB, nell’esercizio delle sue prerogative di vigilanza, di determinati rapporti, fatti e comportamenti degli emittenti in relazione alla disciplina del mercato e dei rapporti societari ha una fondamentale funzione di orientamento del mercato, la quale, oltretutto, trascende il singolo procedimento nell’ambito del quale viene enunciata e si proietta nel futuro.
     Si deve ora notare che l’organo di vigilanza, con il conferire ad una fattispecie una data qualificazione o con il negargliela (e salva beninteso, nell’uno e nell’altro caso, la possibilità e la prevalenza dell’eventuale diverso opinamento del Giudice), innova oggettivamente la situazione preesistente, in quanto ha l’effetto di orientare il mercato, modificando lo scenario di aspettative e di previsioni che guida gli operatori. Se sono indubbiamente innumerevoli, infatti, le cause che possono materialmente influire sul detto scenario, non va sottovalutato il fatto che su una sola tipologia di cause il legislatore esige che il mercato possa riporre uno speciale affidamento: e si tratta, appunto, delle decisioni della CONSOB.
     Non ogni flatus vocis (o risposta di mera cortesia) della Commissione, naturalmente, può essere valutato in termini provvedimentali (e così associato alla possibilità di adire la giurisdizione), occorrendo stabilire se la singola ipotesi integri o meno l’esercizio di un potere di vigilanza.
     Ebbene, al di là delle vicende nelle quali può affermarsi già prima facie con tutta sicurezza che la CONSOB sia titolare di poteri di natura amministrativa (è quanto avviene, in particolare, nel settore dei prospetti informativi, del quale si è occupata la citata sentenza n. 30702002), e con specifico riguardo alla materia del contendere, va detto che ogni qual volta il T.U.F. preveda in capo alla CONSOB una possibilità di impugnativa (come fanno, ai fini di specie, gli artt. 110, 120 c. 5°, e 122 c. 4°) o di proposta di sanzione, le attribuisce con ciò un corrispondente dovere di accertamento, e quindi un “potere” ai sensi e per gli effetti dell’art. 91 cit. (e cioè un potere-dovere, e non una situazione di insindacabile e pura libertà) nell’ambito della funzione di vigilanza sul mercato mobiliare, il quale è soggetto per regola generale dettata rationae materiae alla giurisdizione amministrativa (il che vale anche quando l’esercizio di tale potere sia stato in concreto eccitato mediante la presentazione di un esposto, un quesito o simili ; per l’affermazione, benché resa in sede solo cautelare, che la previsione sanzionatoria dell’art. 192 del T.U.F. vale a munire di effettività un potere amministrativo riconoscibile in capo alla Consob si veda CDS, VI, 29101999 n. 1924).
     Quando, quindi, tale potere non si estrinsechi in un atto, come è una proposta di sanzione, solo prodromico e preparatorio di altri provvedimenti, nel qual caso la sua eventuale portata lesiva sarebbe solo preliminare e del tutto effimera, ma sia esso stesso conclusivo del procedimento di cui fa parte, non vi sarebbe ragione per negare la sua impugnabilità.
     Atti del genere considerato, invero, pur non integrando la figura tradizionale del provvedimento amministrativo, costituiscono pur sempre pronunciamenti idonei ad incidere sulla sfera degli interessi di soggetti dell’ordinamento, rappresentando espressione di una funzione che non è riconducibile in alcun modo all’autonomia (o comunque ad una posizione di autorità) fondata sul diritto privato, ma risale pur sempre ad una posizione di supremazia pubblicistica.
     Si tratta, difatti, di manifestazioni di giudizio, racchiudenti per lo più valutazioni di discrezionalità tecnica, che pur non avendo, di solito, una forza giuridica tale da abilitarle a conformare in modo cogente la sfera degli operatori, hanno comunque, in ragione del loro contenuto di accertamento, una propria peculiare capacità di incidenza sui rapporti economici. Assistite da una presunzione di legittimità di particolare spessore, in ragione della competenza tecnica dell’organo da cui promanano, esse esprimono un punto di vista qualificato ed imparziale che esplica proprio la funzione prevista dalla legge (art. 91 del T.U.F.) di tutelare l’investitore, orientandolo: creano, quindi, una certezza giuridica di tipo notiziale che però, nel peculiare contesto in cui è destinata a circolare, il quale deve rendere possibili transazioni e decisioni con la necessaria rapidità e continuità, presenta la caratteristica di essere giuridicamente affidante (nel senso che gli operatori e gli investitori sono autorizzati a riporvi affidamento), alla stessa stregua di quanto accade nella comune vita sociale per le certezze legali assistite da fede privilegiata (che sono annoverate dalla dottrina, non a caso, tra le manifestazioni dell’autoritatività, per quanto suscettibili anch’esse di dissolversi in caso di un difforme accertamento giurisdizionale).
     Nella creazione di informazione e conoscenza rivestita di un certo grado di sicurezza in funzione dell’affidamento e dell’orientamento degli operatori sta, quindi, la efficacia giuridicamente rilevante di simili atti.
     1. a5. Alla regola generale della giurisdizione del G.A. in materia si deroga allorché la CONSOB si sia avvalsa della propria funzione di vigilanza attivando la cognizione di un giudice diverso, e segnatamente determinandosi nel senso di promuovere, nei casi consentiti dalla legge, un’impugnazione dinanzi al giudice civile. È chiaro che in questi casi l’unica forma possibile di vaglio giurisdizionale è quella rappresentata dalla delibazione della domanda giudiziale da parte del giudice al quale è stata rivolta (il Giudice Amministrativo è il giudice degli atti della CONSOB, ma non anche delle domande giudiziali dalla stessa promosse).
     Quando, però, questa specifica evenienza non ricorra, e quindi, in particolare, laddove la valutazione della fattispecie concreta conduca la CONSOB, all’opposto, a non fare uso del proprio potere di azione, questa sua determinazione, in quanto giudizio espresso nell’ambito della sua missione di vigilanza, costituisce pur sempre un atto amministrativo (e non una mera “opinio”), suscettibile di sindacato quantomeno nei modi della tradizionale verifica di legittimità tipica della giurisdizione amministrativa.
Alla luce di tanto si può rettamente inquadrare l’osservazione, proveniente dalle resistenti difese, che, poiché il sistema positivo garantirebbe un diverso tipo di tutela alle pretese della Liverpool, vuoi prima dell’assemblea (tramite azioni innanzi al giudice civile sul modello di quelle già esperite dalla medesima, anche se con esito negativo), vuoi anche dopo di questa, con un’impugnativa ai sensi dell’art. 2378 cod. civ., da ciò si dovrebbe inferire che il ricorso al Giudice Amministrativo costituirebbe un’iniziativa inammissibile, poiché la tutela giurisdizionale sarebbe già assicurata da autonomi ed autosufficienti strumenti di tutela giusprivatistica.
     In base alle considerazioni già fatte, il sindacato che la legge devolve al Giudice Amministrativo sulle controversie in tema di vigilanza sul mercato mobiliare non concretizza certo una duplicazione di giudizi (oggetto dell’intervento del G.A. è sempre il dictum della CONSOB, e non in via diretta il rapporto societario, che resta sullo sfondo, e del quale può invece essere direttamente investito il G.O.), ma comporta, semmai, un rafforzamento delle garanzie di trasparenza e vigilanza sul mercato, consentendo un controllo di legittimità (che l’art. 113 della Costituzione esige per tutti gli atti amministrativi) anche sull’organismo che a tali garanzie è preposto. Né potrebbe stupire il fatto che per questa via il Giudice Amministrativo possa indirettamente finire per occuparsi anche di questioni controverse di indole privatistica, il che costituisce un inevitabile riflesso della previsione di una giurisdizione amministrativa esclusiva proprio sulla materia della vigilanza sul mercato mobiliare.
     1. a6. Si è visto che l’efficacia giuridicamente rilevante degli atti della CONSOB che rilevano ai fini di causa risiede nella creazione di informazione e conoscenza rivestita di un certo grado di sicurezza in funzione dell’affidamento dei consociati.
     Si deve puntualizzare, ora, che questa efficacia si produce identicamente a prescindere dalla polarità delle conclusioni cui addivenga il singolo accertamento. Essa deve essere reputata indubbiamente presente quando la CONSOB si pronunci nel senso dell’esistenza di un obbligo di OPA (sulla impugnabilità degli atti con cui la CONSOB “imponga” un’OPA il Giudice Amministrativo si è già espresso affermativamente, sia pure solo in sede cautelare, ancor prima della legge n. 2052000: cfr. le ordinanze TAR Lazio, I, n. 2705 del 13121995, e CDS, VI, n. 1418 del 22121995, sulla vicenda del Gruppo Ferruzzi; nel presente giudizio, analogamente, la stessa difesa della SAI sembra disposta a riconoscere valore provvedimentale alla prima determinazione della CONSOB, quella dell’agosto 2001, in quanto connessa ad un formale atto di contestazione ai sensi dell’art. 195 del T.U.F. circa una pretesa violazione dell’art. 121 dello stesso T.U.). Con aderenza alla specifica materia del contendere, però, l’efficacia indicata si ha parimenti quando l’esame della Commissione pervenga ad un esito opposto, come qui è avvenuto: la natura della disamina compiuta è, nell’uno e nell’altro caso, la stessa, ed identici sono gli effetti di qualificato affidamento generati nel mercato. E questo senza nulla togliere al fatto che il Tribunale convenga con le resistenti difese – ed in particolare con quella erariale – quando le stesse ricordano che l’obbligo di espletamento di un OPA non scaturisce da una determinazione della Commissione, ma sorge direttamente dalla legge (art. 106 T.U.F.), senza che alla CONSOB faccia capo un potere di assoggettare un operatore all’applicazione della relativa procedura o di disporre l’OPA in luogo del soggetto recalcitrante; e quando le stesse difese rammentano, inoltre, che è la legge a sanzionare in via diretta la violazione di tale obbligo (art. 110 T.U.F.) con il congelamento del diritto di voto per l’intera partecipazione, e con l’obbligo – penalmente sanzionato – della vendita entro dodici mesi delle azioni eccedenti; e che, infine, qualora il diritto di voto venga indebitamente esercitato, la delibera così assunta può essere impugnata, oltre che dalla CONSOB ai sensi dello stesso art. 110, anche da tutti gli altri soggetti di cui all’art. 2377 cod. civ. (sicché gli eventuali interessati dispongono a loro volta di mezzi di tutela che non passano attraverso l’azione della Commissione).
     Come la Liverpool ha ben puntualizzato, invero, il suo ricorso non è volto ad ottenere provvedimenti sostitutivi o coercitivi dell’obbligo di OPA, bensì a censurare i vizi in cui la CONSOB sarebbe incorsa nell’esercizio del proprio potere di vigilanza (oltre che al ristoro per i danni conseguentemente sofferti). Sicché l’insistenza avversaria sulla carenza di poteri coercitivi in capo alla CONSOB risulta effettivamente fuorviante, costituendo il provvedimento impugnato in ogni caso espressione, per le ragioni già viste, della funzione di vigilanza dello stesso organismo.
     1. a7. Nella fattispecie, in conclusione, le determinazioni emesse dalla CONSOB il 10 agosto 2001 ed il 17 maggio 2002, e soprattutto, per quel che interessa ai fini di causa, la seconda, costituiscono espressione di un potere (rientrante nell’ambito delle funzioni istituzionali della CONSOB), e quindi atti impugnabili innanzi al Giudice Amministrativo.
     2. La difesa di Mediobanca fa osservare, a sostegno della deduzione di un ulteriore profilo di supposta inammissibilità del ricorso, che la CONSOB con l’atto impugnato non avrebbe assunto la determinazione di provvedere in un determinato senso, ma, al contrario, avrebbe ritenuto insussistenti i presupposti per provvedere, e di conseguenza non lo avrebbe fatto; sostiene analogamente l’Avvocatura Generale dello Stato che le conclusioni di CONSOB rappresentano solo un “non accertamento” di violazioni, e pertanto la decisione meramente negativa di non attivare determinati strumenti di reazione previsti dall’ordinamento. Con il ricorso non ci si dorrebbe, quindi, di un provvedimento, ma del semplice fatto che l’Amministrazione non abbia provveduto, venendo così domandato al Tribunale un inammissibile accertamento autonomo «sulla legittimità o meno del non provvedere» , vale a dire una pronuncia di accertamento sulla sussistenza dei presupposti di legge per l’emanazione di uno specifico provvedimento. E, d’altra parte, la ricorrente non contesta – né, comunque, sarebbe oggettivamente configurabile – neppure un silenzio o un’inerzia dell’Amministrazione, nei confronti della quale non sarebbe stata rivolta, del resto, una specifica richiesta di parte di emanare un determinato provvedimento, nè seguito l’iter formativo proprio del silenzio-rifiuto.
     Neppure queste eccezioni meritano adesione.
     Con la determinazione formante oggetto di ricorso la CONSOB, nell’esercizio delle proprie funzioni di vigilanza, ha escluso la sussistenza di un obbligo di OPA sulle azioni di Fondiaria a carico di SAI e Mediobanca.
     La ricorrente, quindi, avversando tale determinazione non insorge contro uno stato di fatto, né contro una constatazione in via preliminare circa l’insussistenza dei presupposti per fare luogo all’esercizio di qualsivoglia potere. Essa contesta, invece, una determinazione che contiene una valutazione di merito, assunta all’esito di un procedimento aperto in funzione di vigilanza, la quale dispiega sul mercato un qualificato effetto di accertamento.
     Non si tratta, dunque, di un “non accertamento”, come sbrigativamente viene eccepito, bensì di un accertamento a contenuto negativo, il cui valore giuridico (provvedimentale) non può che essere identico a quello del simmetrico provvedimento positivo che sarebbe stato emesso, all’esito dello stesso tipo di procedimento e nell’esercizio della medesima funzione, al cospetto di una fattispecie ritenuta meritevole di opposta qualificazione.
     L’impugnativa proposta è perciò diretta, proprio come normalmente avviene nell’ambito della giurisdizione impugnatoria, a far valere i possibili vizi di legittimità dell’atto oggetto di contestazione.
     3. L’Avvocatura Generale dello Stato si è richiamata, inoltre, all’indirizzo secondo il quale è la società, e non i suoi azionisti, ad essere legittimata all’impugnativa giurisdizionale, alla quale i secondi possono essere abilitati solo quando abbiano patito una lesione diretta (nella fattispecie, quindi, l’azionista potrebbe ricoprire unicamente un ruolo di stimolo nei confronti dell’Autorità amministrativa affinché essa assuma determinazioni di pubblico interesse).
     Questo indirizzo, anche di recente ribadito dal T.A.R. (II, sentenza n. 13002001), non è stato, però, pertinentemente richiamato. Quello in esame non è il ricorso proposto da un socio, in contrasto con il principio di personalità dell’interesse legittimo, a tutela di interessi della società e quindi alieni, bensì è l’impugnativa di un investitore professionale a difesa di interessi patrimoniali suoi propri, afferenti in ultima analisi alla volontà di fruire del c.d. premio di maggioranza.
     4. L’impugnativa sarebbe inammissibile anche per un’altra ragione: la ricorrente sarebbe sprovvista di legittimazione, che non potrebbe avere conseguito mediante la propria sollecitazione alla CONSOB ad intervenire sul caso di specie. Secondo una giurisprudenza consolidata, infatti, il soggetto denunciante, e così, in particolare, coloro che presentano denunzie, esposti o comunque sollecitano l’intervento di un’Autorità amministrativa indipendente, non sono legittimati ad impugnare le determinazioni con cui l’Amministrazione adita si pronunci in modo difforme dalla sollecitazione ricevuta.
     Nemmeno questa eccezione può incontrare successo.
     Se è indubbiamente vero che non è sufficiente a far acquisire un titolo di legittimazione impugnatoria il mero fatto dell’avvenuta presentazione di una denuncia (o similia) all’autorità amministrativa, non è meno vero, tuttavia, che un soggetto al quale in ragione della propria posizione sostanziale una legittimazione siffatta debba essere riconosciuta non la potrebbe certamente perdere attraverso la presentazione all’Autorità di atti del genere indicato.
     Detto questo, con riferimento allo specifico settore delle determinazioni in materia di OPA va ritenuto che la relativa legittimazione a ricorrere debba essere riconosciuta, oltre che in capo ai soggetti direttamente colpiti dalla singola determinazione affermativa di obbligo, anche a favore degli azionisti che intendano contestare una determinazione della CONSOB di tenore opposto, quanto meno le quante volte sia pacifico che essi abbiano assunto la loro decisione di investimento proprio riponendo affidamento su precedenti difformi determinazioni della medesima Autorità. Gli stessi soggetti potenzialmente abilitati a promuovere una domanda risarcitoria verso la CONSOB secondo i principi già enunciati dalla giurisprudenza civile (cfr. la sentenza della Cassazione, I civ., n. 31322001) devono, difatti, ritenersi abilitati ad agire in sede impugnatoria allorché siano in condizione di prospettare, oltre alla titolarità di una posizione di socio connotata nei termini indicati, e perciò una veste già in fatto differenziata rispetto a quella di un quivis de populo, l’elemento giuridico dell’immanente attualità di una lesione patrimoniale in proprio danno.
     5. Alcune delle resistenti difese assumono, infine, che, secondo un orientamento consolidato, all’obbligo di OPA previsto dagli artt. 106 e segg. del T.U.F. non corrisponderebbe un diritto soggettivo degli azionisti della società emittente le azioni ma solo un interesse dell’ordinamento al buon funzionamento del mercato. Questa obiezione, tuttavia, se può avere rilievo ai fini della qualificazione della natura della possibile responsabilità discendente dalla violazione dell’obbligo anzidetto (responsabilità che comunque la più recente giurisprudenza civile è propensa ad ammettere, come anche la difesa erariale riconosce: cfr. Tribunale di Milano, 20 marzo 2000, Dalle Carbonare e altro), non vale affatto ad escludere che possa essere rinvenuta – nei termini già visti – in capo agli stessi azionisti una posizione di interesse legittimo suscettibile di fondare una impugnativa verso la CONSOB.
     6. Nel merito
     Una volta disattese le eccezioni di inammissibilità opposte alla ricorrente, si deve senz’altro vagliare la sostanza della sua impugnativa.
     7. Ai fini della delibazione del merito della controversia occorre preliminarmente prendere posizione sul tema della unitarietà o meno, da un punto di vista squisitamente giuridico, delle operazioni contrattuali ricordate nella narrativa iniziale.
     7a. In proposito conviene partire dall’illustrazione delle tesi esposte dalla ricorrente nel primo e nel terzo motivo di ricorso, così come integrati mediante i successivi motivi aggiunti.
Il convincimento di fondo qui avanzato, che il Tribunale non potrà condividere, è che, una volta che la Commissione aveva ravvisato l’esistenza di un patto parasociale tra SAI e Mediobanca in relazione al contratto del luglio del 2001, in virtù del quale tali due società erano state ritenute soggette all’obbligo solidale di OPA totalitaria nel momento in cui lo stesso contratto avesse ricevuto esecuzione con il definitivo trasferimento delle azioni Fondiaria, sarebbe stata ultronea ogni verifica circa la permanenza del patto in epoca successiva.
     A seguito dell’avvenuto acquisto da parte degli Investitori del 22% di Fondiaria, secondo la ricorrente, la Commissione avrebbe dovuto limitarsi ad accertare se tale acquisto fosse stato effettuato (sia pure in nome degli Investitori medesimi) “per conto” di SAI, giacché ciò comportava una sorta di avveramento “per equivalente” della condizione cui la Commissione stessa, con la sua prima determinazione, aveva ancorato l’attualizzazione dell’obbligo di OPA. La CONSOB avrebbe, invece, illegittimamente spostato l’oggetto del nuovo esame da compiere dalla verifica del carattere interpositorio dell’acquisto degli Investitori, a quella circa la permanenza o meno del patto parasociale tra Mediobanca e SAI già accertato con riferimento al contratto del luglio del 2001.
     7b. Più analiticamente, il pensiero della ricorrente sul punto può essere esposto come segue.
La CONSOB il 10 agosto del 2001 aveva accertato che SAI e Mediobanca avevano concluso un patto parasociale rilevante ai sensi dell’articolo 122 del T.U.F. concertando l’acquisto del 29% del capitale sociale di Fondiaria, partecipazione che, sommata alle azioni già detenute da Mediobanca, avrebbe comportato il superamento della soglia del 30% e la conseguente insorgenza dell’obbligo di OPA. Sennonché, come si è visto, mentre il trasferimento di azioni pari a circa il 7% del capitale sociale avveniva con efficacia immediata, il trasferimento delle restanti azioni era condizionato al rilascio delle prescritte autorizzazioni dell’ISVAP e dell’Antitrust. La Commissione, pertanto, informava il mercato che se e quando dette autorizzazioni fossero state rilasciate sarebbe sorto in capo a SAI e Mediobanca l’obbligo solidale di OPA.
     L’insorgere dell’obbligo di OPA ad avviso della ricorrente era subordinato, quindi, a quel punto, al verificarsi di un fatto non più dipendente dalla volontà delle parti, le quali avevano già posto in essere ormai tutti gli elementi costitutivi dell’acquisto di concerto: una volta conseguita le suddette autorizzazioni esse sarebbero state tenute ad effettuare l’OPA a prescindere dalla sopravvivenza del patto parasociale, in quanto CONSOB, in definitiva, aveva inteso far coincidere l’insorgenza dell’obbligo di OPA con il momento dell’effettivo trasferimento delle azioni Fondiaria.
     All’apparizione sulla scena degli Investitori, la Commissione si sarebbe dovuta limitare a verificare la sussistenza o meno di un rapporto interpositorio. Al contrario, invece, era avvenuto che essa, sull’assunto che il patto parasociale tra SAI e Mediobanca fosse venuto meno, aveva ritenuto non più esistente l’obbligo di OPA, con il che si sarebbe sottratta al compito di accertare se in concreto si fosse verificato o meno quell’effetto traslativo al quale, in precedenza, aveva collegato l’automatica nascita dell’obbligo di OPA.
     Sempre secondo la ricorrente, perciò, la Commissione, omettendo di valutare il ruolo svolto dagli Investitori, avrebbe applicato l’articolo 109 del T.U.F. in modo erroneo. Anziché tenere fermi gli elementi costitutivi del concerto avendo riguardo all’epoca in cui la condotta “sanzionata” era stata posta in essere (luglio 2001), l’organo di vigilanza avrebbe arbitrariamente spostato la propria attenzione al successivo momento in cui (se fosse confermato che gli Investitori avevano agito per conto di SAI) si era realizzato l’effettivo trasferimento delle azioni.
     Il vizio che inficia il ragionamento della Commissione sarebbe evidente: sia che si consideri l’accordo Montedison sottoposto a condizione sospensiva (il conseguimento delle autorizzazioni necessarie), sia che lo si consideri un contratto per persona da nominare (in caso di diniego di autorizzazione), col verificarsi, rispettivamente, della condizione sospensiva o della designazione del terzo gli effetti connaturati all’accordo principale si sarebbero prodotti definitivamente retroagendo alla data di perfezionamento dell’accordo (nella specie, al 1° luglio del 2001).
     Di qui la conclusione che la determinazione impugnata contraddirebbe sia l’articolo 109 del T.U.F., sia i più comuni principi di diritto. La Commissione, con il provvedimento impugnato, avrebbe introdotto un nuovo ed ulteriore requisito al quale avrebbe subordinato il realizzarsi della fattispecie di cui all’articolo 109: quello della necessità che il patto non solo sussista allorché i soggetti decidano di procedere all’acquisto di concerto, ma permanga fino al momento dell’effettivo trasferimento (qualora, come nella specie, questo si verifichi un momento successivo).
     Di questo ulteriore requisito non vi era, però, traccia nel comunicato della CONSOB del 10 agosto del 2001, sicché con la sua introduzione postuma la Commissione aveva revocato implicitamente, sul punto, la propria precedente decisione senza la motivazione prescritta dall’art. 3 della legge n. 2411990 e senza fondamento normativo.
     7c. Questa impostazione, come si è premesso, non può essere condivisa.
     Il Tribunale non può aderire alla tesi secondo la quale con l’acquisto da parte degli Investitori si sarebbe concretato ipso facto – sol che l’acquisto fosse apparso interpositorio – il presupposto previsto dalla determinazione della CONSOB del 10 agosto 2001 ai fini dell’insorgenza dell’obbligo dell’ OPA.
     Questo obbligo sarebbe scattato se SAI, in forza del contratto del 1° luglio del 2001, avesse acquistato, venendone debitamente autorizzata, le azioni Fondiaria. È invece accaduto che tale condizione è mancata, e le azioni sono state alienate dalla Montedison a soggetti diversi, almeno formalmente, e per un quantitativo in se stesso inferiore alla decisiva soglia del 30% di capitale.
     Di conseguenza, l’obbligo di OPA così come prefigurato dalla determinazione dell’agosto del 2001 è venuto meno nel momento stesso in cui SAI, in dipendenza del diniego di autorizzazione dell’ISVAP, ha dovuto rinunciare all’acquisto diretto previsto dal contratto del luglio del 2001, il che ha posto le premesse per l’apertura di una vicenda contrattuale potenzialmente del tutto nuova.
     La ricorrente sostiene, in particolare, che i contratti degli Investitori con la Montedison sarebbero stati stipulati in via di mera esecuzione dell’accordo del 1° luglio 2001. Questo assunto, però, non è esatto. Quest’ultimo contratto non recava, invero, come viene detto, un contratto per persona da nominare, in quanto non contemplava una riserva di nomina, ma prevedeva solo un’obbligazione della SAI di procurare, per l’eventualità del non verificarsi degli eventi dedotti in condizione, un altro acquirente.
     Nel contratto per persona da nominare entrambi i contraenti sono vincolati: se la dichiarazione di nomina non viene fatta il contratto produce i suoi effetti fra i contraenti originari (articolo 1405 cod. civ.); rispetto alla electio amici, inoltre, la controparte del titolare della facoltà di nomina è in condizione di piena soggezione, avendo preventivamente autorizzato l’altro contraente a mutare retroattivamente la titolarità del rapporto contrattuale. La clausola contrattuale del luglio 2001, invece, non consentiva a SAI di nominare direttamente uno o più acquirenti delle azioni, rimaste nella titolarità di Montedison, ma faceva solo sorgere a carico della prima una obbligazione “da commissionario”; non solo: la clausola non vincolava neppure in modo univoco Montedison, lasciando quindi – a quanto sembra – addirittura alla sua libera scelta di convenienza la decisione sul contrarre o meno con i terzi eventualmente indicati.
     Di qui la conclusione obbligata che i contratti conclusi con gli Investitori, ancorché procurati a Montedison dalla SAI in adempimento della clausola della quale si è detto, costituivano dal punto di vista giuridico-formale dei contratti del tutto nuovi (cui Montedison era libera di addivenire o meno), dei quali infondatamente viene dunque sostenuta dalla ricorrente la retroattività ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di OPA.
     Donde la conseguenza che, poiché i nuovi contratti non potevano essere reputati a priori coperti dalla valutazione precedentemente resa, la CONSOB non poteva esimersi dal sottoporli ad una nuova e completa valutazione, la quale almeno in astratto avrebbe ben potuto essere diversa dalla precedente.
     La CONSOB, pertanto, non poteva sottrarsi al compito di verificare ex novo la permanenza del patto precedentemente accertato, ancorché sul punto la sua prima esternazione nulla avesse espressamente detto: sicché questi primi rilievi di parte ricorrente non possono trovare accoglimento.
     È intuitivo, tuttavia, che in questa nuova valutazione la CONSOB avrebbe dovuto procedere nel pieno rispetto del vincolo di coerenza rispetto alle proprie precedenti valutazioni e alla luce delle risultanze già emerse: ed è da questa angolazione che, come si vedrà, la sua azione si rivela manchevole. Ma di ciò si dirà nel paragrafo 11.
     8. È il momento di rammentare, a questo punto, le considerazioni che nell’agosto del 2001 avevano indotto la CONSOB a determinarsi nel senso dell’esistenza di un patto parasociale tra Mediobanca e SAI rilevante ai sensi dell’art. 122, comma 5, lett. c) e d), del d.lgs. n. 58 del 1998 (cfr., a tal fine, oltre ai verbali delle sedute della Commissione del 9-10 agosto del 2001, la contestazione mossa dalla CONSOB in questa seconda data).
     La Commissione, in proposito, aveva sostanzialmente condiviso le conclusioni raggiunte dalla propria divisione “Emittenti” nella sua nota integrativa del 9 agosto del 2001 (ché, anzi, mentre questa aveva ravvisato nella vicenda «per lo meno un patto rilevante ai sensi dell’art. 122, comma 5, lettera c) del Testo Unico», vale a dire inerente all’acquisto della partecipazione in Fondiaria, la Commissione aveva ritenuto senz’altro il concorso anche dell’ipotesi della lettera d) dello stesso comma, nel senso della rilevanza del patto anche ai fini della gestione della partecipata sotto il segno di un esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su di essa).
     La Commissione aveva ritenuto che l’acquisto da parte della SAI della partecipazione in Fondiaria, in un contesto di dubbia (e, quel che più conta, putativamente esclusa) possibilità di esercitare i diritti di voto inerenti alle azioni acquistate a causa della disciplina dell’articolo 121 del T.U.F. sulle partecipazioni reciproche, si manifestava convenuto ad un prezzo notevolmente elevato: si è parlato, precisamente, di una «oggettiva insensatezza per SAI dell’operazione di acquisto di una partecipazione pari al 29% del capitale di Fondiaria ad un prezzo superiore del 50% al prezzo di mercato, nella consapevolezza che la partecipazione acquisita fosse priva del diritto di voto …». Non senza dire, al di là del particolarmente elevato prezzo convenuto, che anche altre caratteristiche del contratto apparivano inusuali per operazioni di quella dimensione: la mancata previsione di forme di verifica della consistenza patrimoniale della società acquisita ai fini di una eventuale rettifica del prezzo; l’impegno della SAI, per l’eventualità di un diniego delle autorizzazioni di competenza ISVAP-Antitrust, a fornire a Montedison un altro acquirente al medesimo prezzo, con la corresponsione di una caparra pari a 500 miliardi di lire (con il che, in pratica, SAI si faceva carico di garantire comunque a Montedison il conseguimento del plusvalore economico correlato al controllo di Fondiaria, anche laddove non fosse riuscita a reperire un acquirente unitario della relativa partecipazione).
     Essendo un’operazione così congegnata non solo oltremodo onerosa per la SAI, ma anche squilibrata da un’imputazione dei rischi del tutto asimmetrica, essa si appalesava priva di una ragionevole motivazione intrinseca per la stessa acquirente: e da tutto ciò la Commissione aveva desunto che le sue ragioni effettive non potessero essere ricercate che nel contesto in cui la stessa era maturata.
     Si è considerato, quindi, che, poiché proprio in quei giorni stava maturando l’acquisizione di Montedison da parte di Italenergia (gruppo Fiat), in assenza dell’iniziativa di SAI il controllo di Fondiaria sarebbe passato da Montedison – in cui Mediobanca rappresentava, con il suo 14,53 %, l’azionista di maggioranza relativa – indirettamente, agli azionisti di Italenergia, i quali oltre al controllo su Fondiaria avrebbero acquisito anche la partecipazione da questa detenuta in Mediobanca.
     Ebbene, l’iniziativa di SAI aveva avuto l’effetto, appunto, di impedire queste evoluzioni.
     È stato ricordato, altresì, che Mediobanca risultava essere il creditore pressoché esclusivo di Premafin, a sua volta controllante della SAI, per un importo di 175 milioni di euro al 31122000 su un indebitamento complessivo di 204 milioni, a fronte di un patrimonio netto della stessa Premafin di circa 170 milioni di Euro.
     In assenza, dunque, di una motivazione intrinseca che potesse giustificare i termini del contratto SAI, ed avuto riguardo al contesto di tale operazione, CONSOB ha ritenuto che questa rivelasse l’esistenza di un patto parasociale – eventualmente privo di forma scritta – tra Mediobanca e SAI, attraverso il quale veniva perseguito l’obiettivo comune immediato di sottrarre ai nuovi azionisti di riferimento della Montedison il controllo della Fondiaria per trasferirlo alla SAI, con cui Mediobanca avrebbe potuto stabilire (grazie ai propri rapporti finanziari con Premafin, nonché alla prevista sterilizzazione del voto SAI) un influenza dominante sulla stessa Fondiaria. Patto, questo, che, nella valutazione fattane dalla CONSOB, se permetteva a SAI di coronare il proprio obiettivo “storico” di acquisire Fondiaria, corrispondeva, peraltro, principalmente all’interesse di Mediobanca di sottrarre ad Italenergia l’importante partecipazione detenuta da Montedison in Fondiaria, a sua volta titolare di una preziosa partecipazione nella stessa Mediobanca e aderente al patto parasociale avente ad oggetto le azioni di quest’ultima.
     9. Richiamate queste valutazioni, va dato conto del fatto che nel presente giudizio le intimate SAI e Mediobanca si sono adoperate con energia, nelle loro memorie di resistenza al gravame, al fine di escludere che il patto parasociale di cui si è detto sia mai esistito.
     A questo tentativo non si può non opporre la considerazione preliminare che, avendo la CONSOB già esercitato a tempo debito – come si è appena visto – il proprio potere di valutazione sul punto in senso contrario, la materia forma specifico oggetto dei ricorsi pendenti che le due società hanno proposto avverso le determinazioni che le hanno colpite.
     Ai fini propri della presente vertenza va soggiunto, inoltre, che le osservazioni proposte in questa sede dalle resistenti società non sono idonee a mettere in luce la presenza di difetti nel solido apparato logico-deduttivo sorreggente la pregressa valutazione della CONSOB.
     Gli elementi sui quali si insiste, vale a dire la risalenza del progetto SAI di integrarsi con Fondiaria, il suo carattere strategico, ed infine l’indifferibilità di un’iniziativa della prima società in direzione della seconda prima che questa entrasse nell’orbita del gruppo rivale della Toro, dati tutti ben evidenti innanzi tutto alla CONSOB, se potevano concorrere a spiegare, in qualche modo, la estrema rapidità della negoziazione intercorsa fra i contraenti, ed altresì, ma solo entro certi limiti, l’elevatezza del prezzo che SAI avrebbe potuto essere disposta a pagare, non riescono tuttavia neppure a scalfire le basi logiche del pronunciamento della CONSOB, in quanto non valgono a mutare alcunché nel quadro della valutazione di sostanziale insensatezza per la SAI dell’operazione di acquisto dalla Montedison negli specifici termini che figurano essere stati pattuiti tra le parti, termini che, conviene ribadirlo, ponevano a carico di SAI condizioni economiche estremamente onerose a fronte di una possibilità del tutto incerta di acquisire effettivamente per sé l’ambito potere di controllo, o di riuscire a reperire un terzo interessato ad entrare nell’operazione alle stesse condizioni.
     10. Si è detto della precedente valutazione della CONSOB. Vanno ora esaminate le ragioni che l’hanno indotta, successivamente, a ritenere venuto meno il suddetto patto parasociale, e che stanno a fondamento del pronunciamento impugnato.
     La decisione in proposito consacrata al verbale della seduta della Commissione del 17 maggio 2002 è del seguente tenore.
     «La Commissione ritiene che, anche nell’ipotesi in cui si volesse ritenere che i cinque investitori abbiano superato il 29,9% circa delle azioni Fondiaria in nome proprio ma per conto della SAI, non vi sarebbero comunque i presupposti per un obbligo di offerta pubblica di acquisto sulle azioni Fondiaria.
     «Tale obbligo potrebbe anzitutto manifestarsi ove si ritenesse ancora vigente il patto fra Mediobanca e SAI, accertato dalla Commissione con determinazione di cui è stata data notizia con il comunicato del 10 agosto 2001, ovvero qualora si ritenesse che lo stesso si estenda oggi ai cinque acquirenti delle azioni Fondiaria. I nuovi eventi che si sono verificati successivamente alla suddetta pronunzia, nonché le informazioni e la documentazione acquisita nel corso dell’istruttoria, inducono la Commissione a ritenere che ciò non si sia verificato. Infatti:
     – le azioni Fondiaria sono state cedute ai tre investitori da Montedison, successivamente all’offerta pubblica di acquisto promossa da Italenergia su Montedison, quando Mediobanca non era più di Montedison. Quest’ultima quindi non aveva particolari interessi, a parità di prezzo, a preferire i tre investitori ad altri;
     – tutti i cinque investitori nonché l’advisor di SAI hanno dichiarato di non aver avuto alcun contatto con Mediobanca;
     – come risulta dai verbali del consiglio di amministrazione di Fondiaria in cui si è trattato del progetto di integrazione con SAI, i due consiglieri designati da Mediobanca, in consiglio o successivamente, hanno approvato e condiviso le decisioni prese da Fondiaria.
     «Considerati tali elementi di fatto, la Commissione ritiene che Mediobanca svolga nell’operazione di cui trattasi un ruolo di azionista di riferimento di Fondiaria e non più come soggetto che agisce di concerto con SAI o con altri azionisti di Fondiaria.»
     Con la valutazione appena riportata è stata recepita l’ipotesi che era stata sottoposta alla Commissione nella relazione della divisione “Emittenti” del 14 maggio 2002, il cui più saliente contenuto argomentativo era il seguente:
     «… si potrebbe ritenere che Mediobanca oggi svolga un diverso ruolo nella vicenda in esame. In particolare, mentre a luglio Mediobanca aveva l’esigenza di mettere “al sicuro” l’importante partecipazione in Fondiaria, sottraendola ad Italenergia, e nello stesso tempo aveva la possibilità di concordare con SAI l’acquisto da parte di quest’ultima di tale partecipazione di controllo, in quanto era ancora l’azionista di riferimento di Montedison, dopo gli eventi verificatisi da agosto in poi (oltre alle pronunce della CONSOB e dell’Isvap, l’intervento degli Investitori, e soprattutto la netta opposizione di Fondiaria alle condizioni dettate da SAI), si potrebbe ritenere che Mediobanca svolga un ruolo nella operazione di cui trattasi in qualità di azionista di riferimento della stessa Fondiaria e non più come soggetto che agisce di concerto con SAI.
     «In tale ottica, quindi, la presenza del dottor Maranghi alla riunione del 13 dicembre del 2001 … potrebbe essere vista come la partecipazione interessata all’operazione d’integrazione in questione da parte di un azionista che possiede la maggioranza relativa della Fondiaria.»
     «… Tale ricostruzione, più che su considerazioni di carattere giuridico, si basa su una rilevazione di fatti e sulla valutazione degli stessi, valutazione che potrebbe risultare comunque opinabile. Tuttavia, quello che è certo è che le predette dichiarazioni delle parti in causa nonché il voto espresso dagli amministratori designati da Mediobanca non possono non essere tenute in considerazione – anche perché sono gli unici elementi nuovi di cui si dispone – e che, conseguentemente, rispetto al luglio 2001 non sono stati riscontrati quegli indizi gravi, precisi e concordanti dai quali poter desumere che al momento in cui SAI ha acquistato direttamente, tramite le interposte persone, la partecipazione del 29,9% in Fondiaria, fosse ancora vigente il patto parasociale rilevato il 10 agosto da questa Commissione ovvero vi fosse un nuovo patto tra SAI e Mediobanca rilevante ai sensi dell’articolo 122 del T.U.F.
     «In altri termini, non può escludersi che l’interesse attuale di Mediobanca possa essere diverso rispetto a quello perseguito a luglio; allora, l’obiettivo era quello di sottrarre la partecipazione in Fondiaria ad Italenergia per posizionarla in mani amiche, adesso Mediobanca potrebbe operare, una volta raggiunto il predetto risultato, per definire il progetto di integrazione SAI-Fondiaria a condizioni che soddisfino il più possibile sia l’investimento effettuato nel capitale di Fondiaria sia le strategie di preminenza nel settore assicurativo.
     «Potrebbe, quindi, esservi una discontinuità nel comportamento di Mediobanca derivante dal diverso interesse perseguito nell’ultimo periodo; se ciò fosse, sarebbe difficile sostenere che il patto occulto SAI-Mediobanca abbia esplicato i propri effetti fino al 18 febbraio u.s. (data in cui le azioni sono state trasferite agli Investitori).
     «Ciò posto, qualora si condividesse tale ultima possibile ricostruzione, si dovrebbe ritenere che le azioni di SAI e Mediobanca non possano essere sommate ai sensi dell’articolo 109 del T.U.F. e che, pertanto, a decorrere dal 18 febbraio u.s. non sia sorto un obbligo di Opa solidale.»
     11. L’iter logico esposto viene fondatamente censurato dalla Liverpool con i suoi primi due mezzi d’impugnativa ed i motivi aggiunti.
     11a. Con l’atto introduttivo del giudizio è stato lamentato, a ragione, che la nuova valutazione della CONSOB è stata condotta focalizzando l’attenzione in modo pressoché esclusivo sugli ultimi sviluppi raggiunti – a quel tempo – dalla vicenda, senza tenere nel dovuto conto le determinazioni poco prima adottate a proposito del contratto del 1° luglio del 2001; che la motivazione ora esternata si presenta insufficiente e contraddittoria rispetto a quella a suo tempo addotta a sostegno della conclusione dell’esistenza del patto parasociale, la quale si basava su elementi ancora attuali; che non risultavano venuti meno, in particolare, i già sottolineati rapporti finanziari tra Mediobanca e Premafin, i quali di per se stessi già facevano ritenere poco plausibile qualsiasi ipotesi di disinteressamento di Mediobanca rispetto alle sorti del controllo su Fondiaria; che, infine, non vi erano elementi che inducessero a ritenere nel frattempo mutato il ruolo di Mediobanca.
     Con il secondo motivo integrativo ed aggiuntivo e con la memoria principale della stessa Liverpool è stato ulteriormente osservato quanto segue.
     Una giustificazione razionale del nuovo provvedimento della CONSOB sarebbe dovuta passare attraverso la confutazione degli elementi che poco prima erano stati ritenuti decisivi nel senso dell’esistenza di un patto parasociale tra SAI e Mediobanca. In atti, tuttavia, non vi era traccia di una valutazione del genere: la resistente si era ispirata, invece, ad argomenti nuovi privi di pregio, ed in ogni caso insufficienti a superare e vanificare le conclusioni precedenti.
     A proposito della prima delle nuove considerazioni svolte dalla CONSOB, concernente il fatto che la vendita delle azioni Fondiaria ai primi tre Investitori era stata compiuta da Montedison quando Mediobanca non era ormai più sua socia di riferimento, la ricorrente oppone l’irrilevanza di tale circostanza: essenziale, invece, sarebbe il fatto che Mediobanca aveva tale posizione allorché era stato concluso il contratto del 1° luglio 2001 che aveva reso possibile, poi, ai tre Investitori di acquistare le azioni Fondiaria con preferenza rispetto ai terzi. E andrebbe soggiunto, comunque, che la evidenziata estrema convenienza per la Montedison delle condizioni economiche pattuite per la stessa vendita renderebbe ardua la ricerca, alla base della motivazione del suo consenso contrattuale, di ragioni ulteriori rispetto alla convenienza medesima.
     Quanto alla dichiarazione degli Investitori e dell’advisor di non avere avuto contatto alcuno con Mediobanca, è stato esattamente obiettato che la mancanza di un patto parasociale tra Investitori e Mediobanca non potrebbe che lasciare impregiudicata la questione dell’accertamento dell’esistenza – recte, permanenza – del patto SAI-Mediobanca: e, in ogni caso, non sarebbe riconoscibile alcun serio valore probatorio, nel senso di escludere l’esistenza di un patto parasociale, alle dichiarazioni negative – che potrebbero evidentemente essere interessate – rese da alcune delle parti tra le quali lo stesso sarebbe stato in ipotesi concluso.
     Con riferimento, infine, all’ultimo motivo, imperniato sull’operato dei consiglieri di amministrazione Fondiaria designati da Mediobanca, la ricorrente sottolinea che sono stati gli stessi uffici della CONSOB a ricordare che gli amministratori non hanno un vincolo di mandato verso gli azionisti che li hanno designati, ma debbono agire avendo di mira l’interesse sociale (potendo altrimenti essere investiti da un’azione di responsabilità); si fa notare, inoltre, che, poiché nelle situazioni esaminate una eventuale espressione di voto difforme non avrebbe potuto comunque influire sulla volontà dell’organo (che aveva deliberato sempre all’unanimità), il contegno degli amministratori avrebbe potuto essere semmai interpretato come frutto di una loro consapevolezza dell’inutilità di un’aperta opposizione a decisioni sulle quali non avrebbero potuto comunque influire, oltre che dell’inopportunità di compromettere l’azionista (cui CONSOB aveva appena contestato un concerto con SAI); soggiunto, poi, che in nessun caso le decisioni così assunte erano state preclusive della prosecuzione delle trattative con SAI si è dedotto, infine, che la CONSOB aveva omesso di valutare, sempre dai verbali dell’organo amministrativo di Fondiaria, quegli elementi che viceversa suggerivano un evidente interessamento di Mediobanca alle sorti della trattativa in atto.
     Si può dunque convenire con la ricorrente che un corretto approccio alla materia del contendere era stato seguito dalla divisione “Emittenti” della CONSOB, piuttosto, nella sua relazione del 28 marzo del 2002, dove erano state fatte le osservazioni di seguito riportate:
     « … non vi sono elementi per ritenere modificato il contesto ricostruito dalla CONSOB circa il rapporto tra Mediobanca e SAI, con particolare riguardo ai sottesi interessi economici: l’interesse di SAI di acquistare il controllo della Fondiaria sottraendola ai concorrenti, al fine di pervenire ad un’integrazione con la compagnia fiorentina e realizzare così il secondo gruppo assicurativo in Italia, e l’interesse di Mediobanca di sottrarre a MontedisonItalenergia la preziosa partecipazione nella Fondiaria, azionista e aderente al patto parasociale di controllo della stessa Mediobanca, facendola acquisire da “mani amiche” con le quali concordare una gestione in comune.
     «Pertanto, si può ritenere che i recenti atti negoziali non siano indice di una mutata strategia da parte di SAI rispetto agli intendimenti originari, bensì costituiscano soltanto forme alternative di realizzazione dello stesso progetto, il quale, quindi, potrebbe aver subito modifiche soltanto riguardo alle modalità e ai tempi di esecuzione a causa degli ostacoli emersi nel frattempo. In ogni caso, i rapporti contrattuali da ultimo definitisi … non si pongono in alcun modo in contrasto con il progetto SAI-Mediobanca.
     «In conclusione, la circostanza che la SAI non possa più acquisire la partecipazione del 29,9% direttamente dalla Montedison, ma possa invece acquisire dei predetti Investitori con l’esercizio delle opzioni, nonché la circostanza che l’acquisto di SAI sia stato posticipato e subordinato all’esercizio delle medesime opzioni, non risultano sufficienti, a parere della scrivente, a far ritenere che gli accordi tra SAI e Mediobanca, così come individuati dalla Commissione in data 10 agosto, siano ad oggi venuti meno. Si ritiene, piuttosto, come detto, che tali elementi costituiscano solo delle modalità alternative per l’attuazione del disegno unitario oggetto dei predetti patti parasociali. … Si rammenta, peraltro, che la possibilità che la partecipazione del 22,2 % circa posseduta da Montedison fosse acquisita da un terzo soggetto indicato da SAI, nell’ipotesi di diniego delle autorizzazioni necessarie, era oggetto di un impegno, garantito dalla caparra di L. 500 miliardi, della stessa SAI nel contratto del 1° luglio 2001. Conseguentemente, si può sostenere che gli accordi con cui SAI ha concertato con Mediobanca l’acquisto del 29,9% di Fondiaria, come individuati dalla CONSOB in data 10 agosto u.s., prevedessero tale possibilità.
     «Ciò posto, a meno che non intervengano ulteriori eventi che possano far desumere il venir meno dei predetti patti tra SAI e Mediobanca, si ritiene che nell’ipotesi in cui la SAI dovesse acquisire la partecipazione del 29,9% tramite l’esercizio delle predette opzioni, tale partecipazione, ai sensi dell’articolo 109 del Testo Unico, dovrebbe essere considerata unitariamente alla partecipazione posseduta da Mediobanca, con il conseguente obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto totalitaria in capo le stesse SAI e Mediobanca.»
     11b. Ad avviso del Tribunale, come si è già fatto comprendere, le critiche di parte ricorrente ora in corso di scrutinio colgono sostanzialmente nel segno.
     Le circostanze costituite dalla determinazione della CONSOB dell’agosto del 2001 e dalla mancata autorizzazione da parte dell’Isvap, se avevano impedito al contratto del 1° luglio di quell’anno di realizzare nell’immediato le sue previsioni principali, non solo ne avevano lasciato in piedi le previsioni subordinate, ma, soprattutto, non avevano inciso in modo decisivo sulle finalità perseguite dalle parti del patto parasociale che era stato accertato dalla Commissione.
     A parte, infatti, la scontata permanenza delle esigenze strategiche, e quindi delle mire, della SAI, va soprattutto messo in evidenza come fosse del tutto logico ritenere ancora attuali quegli interessi di Mediobanca che erano stati posti al centro delle valutazioni espresse dalla CONSOB nel 2001, le quali per regola di coerenza (a meno di non riconoscerne, melius re perpensa, la fallacia anche per il passato) dovevano allora opportunamente essere assunte, ancor più che come semplice punto di partenza delle analisi sugli eventi successivi, come criterio di interpretazione – sia pure da verificare – degli stessi eventi.
     La logica, segnatamente, voleva che venisse ritenuto ancora attuale l’interesse di Mediobanca a sottrarre a Montedison ItalenergiaFiat la “preziosa partecipazione” in Fondiaria. Posto, infatti, che nulla suggeriva che tale obiettivo fosse stato rinunciato, si deve dire che, benchè lo scenario paventato fosse stato scongiurato, ciò era avvenuto soltanto momentaneamente, senza che il risultato potesse affatto dirsi acquisito. Mediobanca aveva, infatti, l’onere di vegliare sul buon fine dell’operazione programmata, il quale sarebbe stato messo evidentemente in forse da una SAI che fosse stata libera di individuare quale terzo acquirente chiunque, e quindi anche un terzo a sua volta libero di disporre della partecipazione in questione. Solo una permanente operatività degli accordi con SAI, quindi, avrebbe potuto assicurare a Mediobanca che la partecipazione Fondiaria non sarebbe finita direttamente o indirettamente in mani non gradite.
     L’implausibilità, appena emersa, dell’ipotesi di un venir meno del patto quando gli scopi che – secondo la precedente analisi – lo avevano giustificato avevano soltanto iniziato a realizzarsi vale a maggior ragione a proposito dell’ulteriore interesse di Mediobanca (pure posto a base della pronuncia CONSOB dell’agosto 2001) di far acquisire Fondiaria da “mani amiche” con le quali concordare una gestione in comune (interesse connesso al precedente, posto che solo una volta conseguita da “mani amiche” la partecipazione avrebbe potuto essere considerata da Mediobanca al sicuro).
     A proposito, quindi, dell’osservazione centrale degli uffici secondo la quale «… non può escludersi che l’interesse attuale di Mediobanca possa essere diverso rispetto a quello perseguito a luglio; allora, l’obiettivo era quello di sottrarre la partecipazione in Fondiaria ad Italenergia per posizionarla in mani amiche, adesso Mediobanca potrebbe operare, una volta raggiunto il predetto risultato, per definire il progetto di integrazione SAI-Fondiaria a condizioni che soddisfino il più possibile sia l’investimento effettuato nel capitale di Fondiaria sia le strategie di preminenza nel settore assicurativo», si impongono due obiezioni, ciascuna delle quali si presenta già da sola decisiva. La prima è che, come si è appena detto, si deve escludere che attraverso la mera stipula del contratto del 1° luglio 2001 Mediobanca avesse realmente “raggiunto” il risultato che si prefiggeva. La seconda obiezione è che, a voler seguire, per ipotesi, l’impostazione adoperata dalla CONSOB, la qualificazione della fattispecie – e di ogni altro caso simile – sarebbe pregiudicata a priori, giacché non si potrebbe certo «pretendere, o elevare a requisito, la permanenza di un interesse a realizzare un determinato evento in un momento successivo alla relativa realizzazione»: sicché risulterebbe acquisita, in definitiva, l’eludibilità delle norme del T.U.F. della cui applicazione si tratta attraverso combinazioni di più negozi, attraverso l’astensione dell’organo di vigilanza dal farne analisi unitarie.
     Occorre, inoltre, tenere nel debito conto il fatto che la possibilità che la partecipazione di Montedison fosse acquisita da un terzo soggetto indicato da SAI, nell’ipotesi di un diniego delle autorizzazioni necessarie, formava già oggetto di una specifica previsione nel contratto del 1° luglio 2001. Ebbene, la SAI, attraverso il meccanismo delle opzioni pattuite con gli Investitori, ben lungi dal dare segno di avere accantonato le proprie prospettive di conseguimento di una posizione di leadership in Fondiaria, ed operando anzi su di un piano di piena continuità di fini, tempi e strategie, si era conservata la possibilità di realizzarle (come è poi puntualmente avvenuto) mediante un impegno finanziario di condizioni non distanti da quelle poco prima definite per l’eventualità di un acquisto diretto da Montedison. Appare, quindi, del tutto logico sotto ogni profilo ritenere che gli accordi con cui SAI ha concertato con Mediobanca l’acquisto del 29,9% di Fondiaria, come come individuati dalla CONSOB in data 10 agosto u.s., prevedessero, almeno nelle loro grandi linee, anche la possibilità di vicende quali quelle poi verificatesi, le quali oltre ad essere del tutto compatibili con il precedente accordo ne costituiscono il logico sviluppo (fungendo da «modalità alternativa per l’attuazione del disegno unitario oggetto dei predetti patti parasociali», secondo la relazione degli uffici Consob del 28.3.2003).
     Posto, dunque, che risulta pacifico che Mediobanca abbia continuato ad interessarsi delle vicende della partecipazione già Montedison in Fondiaria, e sempre da posizione favorevole all’integrazione con SAI, appare assai più logica e realistica l’interpretazione che riconduce questo interessamento ad una permanenza di intese di Mediobanca con SAI rispetto alla ben meno verosimile ipotesi del venire meno di ogni patto tra loro.
     Né questa conclusione può essere scalfita dalle ragioni addotte dalla CONSOB a base del proprio nuovo pronunciamento, oggetto di contestazione, poiché ad avviso del Tribunale gli argomenti critici già esposti appaiono sufficienti ad evidenziarne l’assai scarsa significatività.
     Per tutte le ragioni esposte il provvedimento impugnato, rivelandosi illegittimo, per questa parte deve essere annullato.
     12. La CONSOB ha preso in considerazione con il proprio provvedimento anche l’ipotesi che l’obbligo di OPA del quale si discute potesse scaturire dalla circostanza che Milano Assicurazioni, società controllata da Fondiaria, possedeva azioni della stessa controllante (per il 2,486 % del suo capitale), posto che tale partecipazione, se sommata alle azioni acquistate dagli Investitori, avrebbe fatto superare la decisiva soglia del 30%.
     La decisione soprassessoria assunta sul punto dall’organo di vigilanza è investita dal quarto – nonché, in parte, dal quinto – motivo aggiunto di ricorso.
     La ricorrente afferma che questo aspetto del provvedimento sarebbe viziato sotto il profilo dello sviamento, dell’illogicità manifesta, nonché dell’eccesso di potere per violazione del principio di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione. Assume la Liverpool che la CONSOB si sarebbe già espressa in casi simili nel senso che anche le azioni proprie, ovvero le azioni detenute da società controllate, dovrebbero essere computate ai fini della verifica del superamento della soglia in discorso (per la ragione che, in sintesi, gli acquisti di azioni proprie possono comportare un rafforzamento della posizione dell’azionista di controllo, limitando la contendibilità della società quotata). Sicché la determinazione di rinviare l’adozione di una specifica regolamentazione ad un momento successivo, e per di più avulso dalla fattispecie concreta, sarebbe immotivata ed incomprensibile. Omettendo di valutare l’incidenza, ai fini del superamento della soglia, delle azioni Fondiaria detenute da Milano Assicurazioni, la CONSOB si sarebbe sottratta ai propri doveri, privando gli azionisti di minoranza di quella particolare tutela che dovrebbe consentire loro di vendere le proprie azioni ad un prezzo equo in caso di mutamento dell’assetto di controllo.
     Il motivo è infondato.
     La problematica di cui si tratta verte sul se, per valutare l’esistenza dell’obbligo di OPA dipendente dal superamento della soglia del 30 % , la partecipazione degli Investitori debba essere rapportata al capitale di Fondiaria considerato al lordo o al netto delle azioni in questa possedute dalla Milano Assicurazioni, società controllata dalla stessa Fondiaria, azioni per tale motivo prive del diritto di voto ai sensi dell’articolo 2359 bis del codice civile (laddove, infatti, tali azioni venissero sottratte al denominatore frazionario del capitale di Fondiaria, la somma delle partecipazioni detenute dai cinque Investitori risulterebbe superiore alla soglia rilevante ai fini dell’obbligo di OPA).
     Ora, la Commissione ha recepito sul tema l’indicazione, ampiamente motivata, ricevuta dagli uffici (cfr. la relazione della divisione “Emittenti” del 1452002), secondo la quale le precedenti comunicazioni interpretative da essa rese riguardavano un’ipotesi diversa da quella in controversia. Tali comunicazioni avevano investito, difatti, la specifica ipotesi in cui una società quotata acquista azioni proprie essendovi già un certo azionista di controllo della stessa società, ed in cui, quindi, si può presumere una volontà di quell’azionista di aumentare il proprio peso attraverso quell’acquisto; altra, tuttavia, è l’ipotesi odierna, in cui un soggetto acquista il controllo di una società la quale già possiede azioni proprie, ed in cui, pertanto, l’acquisto, siccome avvenuto già in precedenza, non potrebbe essere imputato (come invece nei casi già analizzati dalla CONSOB) a quello stesso soggetto.
     La Commissione, dopo avere evidenziato il conseguente carattere innovativo della questione sottopostale, carattere che la ricorrente ha tentato qui di contestare ma in maniera meramente apodittica ed assertiva, ha condiviso l’opportunità di esprimere sulla materia un indirizzo chiarificatore. Ha ritenuto, peraltro, che l’approfondimento all’uopo necessario e le relative conclusioni dovessero essere svolti in via preventiva e generale, e non già, per evidenti esigenze di certezza del diritto e di trasparenza, investendo una situazione concreta che si era ormai già realizzata. E se all’apprezzabilità di un siffatto approccio già in chiave astratta si aggiunge, giusta la considerazione della difesa erariale, il fatto che gli approfondimenti immediati pretesi ora dalla ricorrente non sarebbero stati compatibili con le esigenze di sollecito esame di una fattispecie la cui complessità intrinseca aveva già assorbito un notevole lasso di tempo, si comprende come la valutazione impugnata si sottragga ai vizi ipotizzati dalla Liverpool.
     La delicatezza della funzione di orientamento del mercato che la legge assegna alla CONSOB (e che è stata messa in evidenza nei precedenti paragrafi da 1a2 a 1a6) impone, invero, che le problematiche complesse ed opinabili – intendosi come tali quelle che l’organo di vigilanza, nell’esercizio della sua discrezionalità, così apprezzi – che presentino caratteri di novità siano da questa debitamente approfondite: sicché, a maggior ragione quando le esigenze dell’analisi non siano compatibili con quelle della tempestività dell’esame delle singole situazioni concrete, non si può che valutare con favore il fatto che la Commissione privilegi, nell’affrontare le problematiche sottopostele, il momento dell’analisi astratta erga omnes su quello del giudizio casistico retrospettivo su fattispecie opinabili che non abbiano potuto beneficiare dell’ausilio del suo preventivo indirizzo e trarne l’orientamento del caso.
     Non senza dire, infine, che la questione così infondatamente sollevata dalla ricorrente appare evidentemente destinata a perdere di rilievo ove, secondo quanto è stato detto prima, l’accordo parasociale SAI-Mediobanca sia reputato ancora attuale.
     Per quanto si è detto, questo motivo deve essere disatteso.
     13. Emersa l’incongruità della conclusione del venir meno del patto parasociale SAI-Mediobanca, si appalesa in tutta la sua nitidezza l’illegittimità della mancanza di un motivato pronunciamento da parte della CONSOB sul punto del possibile carattere interpositorio degli accordi conclusi dagli Investitori (illegittimità dedotta con il quarto motivo e soprattutto con il terzo motivo aggiunto), punto problematico rilevante non solo ai fini dell’obbligo di OPA, ma anche sotto il profilo dell’esistenza di possibili infrazioni alla disciplina in materia di partecipazioni rilevanti di cui all’art. 120 del T.U.F.
     La Commissione, benchè disponesse di approfondite relazioni da parte dei propri uffici sugli aspetti fattuali e giuridici della questione, pur non essendo rimasta del tutto silente – come è stato dedotto dalla ricorrente prima di acquisire una compiuta cognizione dei documenti – risulta essersi limitata all’affermazione, meramente apodittica ed elusiva, secondo la quale almeno allo stato degli atti non sarebbe stato possibile «maturare il convincimento necessario per l’avvio di un procedimento sanzionatorio per la violazione delle norme riguardanti gli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti».
     Verosimilmente anche per l’influenza sviante indotta dal convincimento che, «anche nell’ipotesi in cui si volesse ritenere che i cinque investitori abbiano acquistato il 29,9% circa delle azioni Fondiaria in nome proprio ma per conto della SAI, non vi sarebbero comunque i presupposti per l’obbligo di OPA», giacché quest’ultimo era l’argomento sul quale erano concentrate le prevalenti attenzioni di CONSOB, la valutazione compiuta da questa sul punto dell’interposizione risulta, pertanto, già ictu oculi sommaria e carente di adeguata motivazione.
     La resistente Autorità, anche alla luce dei fatti e dei comportamenti sopravvenuti – che, del resto, si era già riservata di prendere in considerazione –, dovrà pertanto riesaminare il tema. Ed è appena il caso di osservare che quest’ultimo non potrebbe formare oggetto di una diretta cognizione da parte del Tribunale (che la ricorrente non ha neppure richiesto), posto che la sua giurisdizione ha per oggetto i termini in cui vengono esercitati i poteri di vigilanza sul mercato mobiliare, e non già, in sostituzione della CONSOB, il diretto accertamento degli assetti dei rapporti di diritto societario intercorrenti tra privati (cfr. la sentenza della Sezione n. 30702002).
     14. Resta da dire della pretesa risarcitoria avanzata dalla Liverpool nei confronti dell’Amministrazione.
     14a. La domanda è stata originariamente introdotta per il risarcimento, precisamente, del danno cagionato «dalla condizione di grave incertezza venutasi a creare, anche a causa dell’apparente inerzia dell’organo di vigilanza, successivamente alla conclusione tra Montedison e SAI, in data 1 luglio 2001, dell’accordo avente ad oggetto la cessione di 111,5 milioni di azioni ordinarie di La Fondiaria Assicurazioni spa.» A suo sostegno non è stato svolto nell’atto introduttivo alcuno specifico argomento.
     In sede di motivi aggiunti la domanda è stata riformulata in modo parzialmente innovativo. I danni dei quali viene richiesto il risarcimento sono, ora, identificati come quelli «consequenziali al provvedimento illegittimo impugnato nonché all’incertezza determinatasi in ordine agli effetti del contratto 1° luglio 2001 tra Montedison e SAI».
     A supporto della domanda vengono svolte, nelle memorie di parte, asserzioni che possono essere così sunteggiate. Il lamentato cattivo esercizio della funzione di vigilanza ha indotto la ricorrente dapprima ad acquistare azioni Fondiaria, proprio sulla base dell’affidamento determinato dal provvedimento CONSOB dell’agosto 2001, e indi a venderle, in perdita, a ridosso dell’impugnato provvedimento del maggio 2002 (la Liverpool, allega di dover reagire con diligenza, essendo un fondo di investimento, all’andamento delle quotazioni dei titoli).
     La ricorrente ha quantificato il risarcimento del danno oggetto di domanda tra un massimo «pari alla differenza tra il prezzo presunto dell’O.P.A. ed il valore attuale delle azioni Fondiaria ed un minimo pari al deprezzamento del titolo dal 10 agosto 2001, in quanto imputabile a negligenza di Consob.»
     14b. La domanda risarcitoria è del tutto infondata.
L’Avvocatura Generale dello Stato eccepisce il difetto di legittimazione passiva della CONSOB, per la ragione che non sarebbe la sua assistita il soggetto danneggiante: solo il diretto responsabile della violazione dell’obbligo di OPA potrebbe essere considerato tale, mentre il mancato adempimento dell’obbligo di cui si tratta non sarebbe in alcun modo suscettibile di imputazione alla CONSOB.
     Questa eccezione non appare, peraltro, decisiva, non potendo essere esclusa a priori, almeno in astratto, la configurabilità in questa materia di un concorso causale di un fatto omissivo dell’organo pubblico incaricato della vigilanza (si veda Cass. Civ., I, n.3132/2001, la quale, in una vicenda pur essa contrassegnata da una possibile responsabilità di una società, ha rinviato, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità tra la condotta omissiva della CONSOB e il danno del sottoscrittore, ai principi in tema di concorso di cause statuiti dall’art.41 cod. pen.).
     Ai limitati fini di questa controversia, tuttavia, il punto non richiede particolari approfondimenti. Anche a prescindere dall’eccezione, infatti, la fattispecie evidenzia con nettezza elementi di merito che impedirebbero una favorevole delibazione sostanziale della pretesa.
     È ormai pacifico che l’imputazione di una responsabilità a carico di una Pubblica Amministrazione non è conseguenza automatica e costante dell’annullamento di un atto in sede giurisdizionale, e quindi non può essere mossa sulla base del puro dato oggettivo della riscontrata illegittimità del provvedimento, ma richiede pur sempre, secondo i principi, la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge: presuppone, cioè, che sia autonomamente accertato l’elemento della colpa, oltre, naturalmente, al danno e alla sua riconducibilità causale all’operato della P.A., pacifico essendo, in particolare, che né dolo né colpa siano passibili di configurazione dove all’Amministrazione non possano essere mosse critiche sul piano della diligenza e della perizia (per questi principi cfr. di recente C.d.S., IV, n. 924 del 1522002; V, n. 1562 del 1832002; VI, n. 4007 del 1972002; C.G.A., n. 202 del 2242002).
     Non vi è dubbio, inoltre, sempre secondo le regole generali, che incomba al preteso danneggiato l’onere della prova circa la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito allegato come titolo della domanda risarcitoria.
     La ricorrente, tuttavia, non ha ottemperato a tale onere. Essa non ha dedicato autonomi argomenti all’individuazione del fondamento della propria pretesa, ma ha svolto solo alcuni generici asserti intorno all’individuazione del danno lamentato. A parte, dunque, i vari dubbi che la difesa erariale ha sollevato circa il rapporto di causalità che dovrebbe permettere di ascrivere all’operato della CONSOB i pregiudizi per i quali viene domandato il risarcimento (uno per tutti: non vi è ragionevole certezza sul punto che, qualora la CONSOB avesse sin dall’inizio “imposto” l’OPA totalitaria, l’operazione si sarebbe ugualmente compiuta); e a parte pure la mancanza, allo stato e finché non sarà stato compiutamente delibato il tema dell’interposizione degli Investitori, di certezza giuridica intorno alla sussistenza del requisito dell’ “ingiustizia” del danno, si impone con particolare evidenza la conclusione che alla CONSOB nella fattispecie non è possibile muovere alcun rimprovero in termini di colpa (negligenza o imperizia).
     Ben diversamente da quanto avvenuto nella specie decisa da Cass. Civ. I n. 31322001, infatti, nella presente vicenda la CONSOB non è affatto rimasta inerte. Al contrario, come risulta dagli atti di causa, essa ha svolto una intensa attività istruttoria, dando dimostrazione di voler fattivamente vigilare nell’interesse del mercato: e benché l’esercizio delle sue attribuzioni sia sfociato, come si è detto, in una pronuncia che deve essere considerata illegittima, non è meno vero, tuttavia, che, in una materia che conosce indicazioni normative solo di larga massima e non può contare su esaustive indicazioni giurisprudenziali, ed è quindi sostanzialmente affidata alla prudenza di apprezzamento delle valutazioni presuntive ed indiziarie – per definizione opinabili e controvertibili – dell’organo pubblico, non potrebbe comunque essere disconosciuto all’iter logico seguito dalla CONSOB quel minimum di aderenza alle risultanze raccolte e di dignità logico-argomentativa che impedisce di qualificarlo come meramente arbitrario e, perciò, come negligente o imperito (a maggior ragione in assenza di argomentazioni di parte ricorrente sul punto).
     Il carattere assorbente della notazione appena fatta comporta senz’altro il rigetto della domanda di risarcimento del danno proposta dalla Liverpool.
     15. Per le ragioni esposte, in conclusione, mentre la parte impugnatoria del ricorso deve essere accolta sotto il profilo indicato nei paragrafi 10-11, finendo respinti o assorbiti i rimanenti motivi di gravame, la pretesa risarcitoria contestualmente azionata dalla ricorrente deve essere respinta.
(Omissis)

 

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