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dicembre 2002

Giurisprudenza

 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE , 12 novembre 2002, proc. C-206/01 – Rodríguez Iglesias Presidente – Timmermans Estensore – Arsenal Football Club plc c. Reed
     Qualora un terzo faccia uso, nel commercio, di un segno identico a un marchio d’impresa validamente registrato su prodotti identici a quelli per i quali è stato registrato, il titolare del marchio può opporsi a tale uso, ancorché il detto segno, nel contesto di tale uso, venga percepito come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio.

 

     1.
     Con ordinanza 4 maggio 2001, pervenuta in cancelleria il 18 maggio successivo, la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha sottoposto alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, due questioni pregiudiziali relative all’interpretazionedell’art. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la “direttiva”).

     2.
     Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia tra l’Arsenal Football Club plc (in prosieguo: l’“Arsenal FC”) e il sig. Reed in merito alla vendita e all’offerta in vendita da parte di quest’ultimo di sciarpe sulle quali figurava a grandi lettere il termine “Arsenal”, segno registrato come marchio dall’Arsenal FC in particolare per prodotti del genere.

Contesto normativo
Normativa comunitaria

     3.
     Nel primo “considerando” della direttiva si afferma che le legislazioni nazionali sui marchi d’impresa presentano disparità che possono ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, nonché falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune. Ai sensi di tale “considerando”, ne deriva che, nella prospettiva dell’instaurazione e del funzionamento del mercato interno, è necessario ravvicinare le legislazioni degli Stati membri. Il terzo “considerando” della direttiva precisa che non è attualmente necessario procedere ad un ravvicinamento completo delle legislazioni degli Stati membri in tema di marchi d’impresa.

     4.
     Ai sensi del decimo “considerando” della direttiva:
     «(…) la tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a garantire la funzione d’origine del marchio di impresa, è assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi (…)».

     5.
     L’art. 5, n. 1, della direttiva dispone:
     «Il marchio d’impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare, nel commercio:a) un segno identico al marchio d’impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato; b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio d’impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio d’impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio d’impresa».

     6.
     L’art. 5, n. 3, lett. a) e b), della direttiva prevede:
     «Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento; b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini (…)». 7.
     Ai sensi dell’art. 5, n. 5, della direttiva:
     «I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela contro l’uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi, quando l’uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o della notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».

     8.
     L’art. 6, n. 1, della direttiva è così formulato:
     «Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:a) del loro nome e indirizzo; b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio; c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio, purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».

Normativa nazionale

     9.
Nel Regno Unito il diritto dei marchi è disciplinato dal Trade Marks Act 1994 (legge sui marchi del 1994) che, al fine di recepire la direttiva, ha sostituito il Trade Marks Act 1938 (legge sui marchi del 1938).

     10.
     L’art. 10, n. 1, del Trade Marks Act 1994 recita:
     «È responsabile di contraffazione di un marchio d’impresa chi fa uso nel commercio di un segno identico al marchio per beni o servizi identici a quelli per cui il marchio è registrato».

     11.
     Ai sensi dell’art. 10, n. 2, lett. b), del Trade Marks Act 1994:
     «È responsabile di contraffazione di un marchio d’impresa chi fa uso nel commercio di un segno distintivo per il quale, a motivo (…) (b) della sua somiglianza con il marchio e del suo impiego per designare beni o servizi identici o simili a quelli per cui il marchio è registrato, esiste un rischio di confusione da parte del pubblico, comprendente la probabilità dell’associazione con il marchio».

Controversia nella causa principale e questioni pregiudiziali

12.
     L’Arsenal FC è una nota società calcistica che gareggia nella prima divisione del campionato inglese. Soprannominata anche “the Gunners”, essa è stata associata per lunghissimo tempo a due emblemi, ossia quello dello scudo (“the crest device”) e quello del cannone (“the canon device”).

     13.
     Nel 1989 l’Arsenal FC ha ottenuto che fossero registrati come marchi, in particolare, i termini “Arsenal” e “Arsenal Gunners” nonché gli emblemi del cannone e dello scudo, per una categoria di prodotti che includeva indumenti, articoli di abbigliamento sportivo e calzature. L’Arsenal FC crea e fornisce i propri prodotti o li fa fabbricare e fornire attraverso l’intermediario della sua rete di rivenditori autorizzati.

     14.
     Dato che le sue attività commerciali e promozionali nell’ambito della vendita, sotto i detti marchi, di souvenir e di prodotti derivati hanno conosciuto in questi ultimi anni un notevolissimo sviluppo e gli hanno procurato ingenti profitti, l’Arsenal FC ha cercato di fare in modo che i prodotti “ufficiali” – ossia i prodotti fabbricati per l’Arsenal FC o con la sua autorizzazione – potessero essere identificati in modo chiaro e ha cercato di convincere i propri sostenitori ad acquistare solo tali prodotti. Inoltre, esso ha promosso azioni giudiziarie, in sede sia civile sia penale, contro commercianti che vendevano prodotti non ufficiali.

     15.
     Dal 1970 il sig. Reed vende souvenir ed altri prodotti aventi origine dal calcio, quasi tutti riportanti segni facenti riferimento all’Arsenal FC, in vari chioschi situati all’esterno della cinta dello stadio dell’Arsenal FC. Egli è riuscito a ottenere dalla società KT Sports, incaricata dalla società calcistica di cui trattasi di commercializzare i suoi prodotti ai rivenditori situati intorno al suddetto stadio, solo quantità molto esigue di tali prodotti ufficiali. Nel 1991 e nel 1995 l’Arsenal FC ha fatto confiscare articoli non ufficiali detenuti dal sig. Reed.

     16.
     Il giudice a quo osserva che nella fattispecie in esame nella causa principale non è contestato il fatto che, in uno dei suoi chioschi, il sig. Reed abbia venduto e proposto in vendita sciarpe riportanti segni che facevano riferimento all’Arsenal FC con iscrizioni a grandi lettere e che si trattasse nella fattispecie di prodotti non ufficiali.

     17.
     Detto giudice precisa inoltre che nel suddetto chiosco figurava un grande cartello recante il seguente testo:
     «Il termine o il (i) logotipo(i) contenuti negli articoli in vendita sono utilizzati unicamente allo scopo di decorare il prodotto e non implicano né esprimono appartenenza o alcun altro rapporto con il fabbricante o i distributori di qualsiasi altro prodotto. Sono prodotti ufficiali dell’Arsenal soltanto quei prodotti provvisti dell’apposita etichetta che contrassegna i prodotti ufficiali dell’Arsenal».

     18.
     Per di più, il giudice a quo osserva che, quando ha potuto, eccezionalmente, procurarsi articoli ufficiali, il sig. Reed, nei contatti con i propri clienti, ha distinto in modo chiaro i prodotti ufficiali da quelli non ufficiali, in particolare con l’apposizione di un’etichetta recante la dicitura “ufficiale”. D’altro canto, i prodotti ufficiali venivano venduti a prezzi superiori.

     19.
     Considerando che, vendendo le sciarpe non ufficiali controverse, il sig. Reed, da un lato, era incorso nella responsabilità extracontrattuale in base ad un “passing off” – vale a dire, secondo il giudice del rinvio, il comportamento di un terzo atto a indurre in errore in modo tale che un gran numero di persone creda o sia portato a credere che gli oggetti venduti da questo terzo siano articoli dell’attore o siano venduti con la sua autorizzazione o presentino un collegamento di tipo commerciale con lo stesso – e, dall’altro, si era reso colpevole di contraffazione di marchio, l’Arsenal FC ha intentato un’azione contro il suddetto commerciante dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division.

     20.
     Alla luce delle circostanze della fattispecie di cui alla causa principale, il giudice a quo ha respinto la domanda dell’Arsenal FC nella sua azione per responsabilità extracontrattuale (per “passing off”) in quanto, in sostanza, la suddetta società calcistica non era stata in grado di dimostrare l’esistenza di una reale confusione da parte del pubblico interessato e, più in particolare, non aveva potuto provare che tutti i prodotti a carattere non ufficiale smerciati dal sig. Reed venissero considerati dal pubblico come provenienti dall’Arsenal FC o da quest’ultimo autorizzati. A tale proposito, il giudice del rinvio ha segnatamente rilevato che a suo parere i segni che richiamavano l’Arsenal FC, apposti sugli oggetti venduti dal sig. Reed, non comprendevano alcuna indicazione relativa all’origine di questi ultimi.

     21.
     Quanto alla doglianza dell’Arsenal FC relativa alla contraffazione dei suoi marchi e fondata sull’art. 10, nn. 1 e 2, lett. b), del Trade Marks Act 1994, il giudice a quo ha respinto l’argomento dell’Arsenal FC secondo cui l’uso fatto dal sig. Reed dei segni registrati come marchi veniva percepito da coloro cui essi erano destinati come indicante la provenienza dei prodotti (“badge of origin”) e quindi costituiva un uso di tali segni «in quanto marchi d’impresa» (“trademark use”).

     22.
     Infatti, secondo tale giudice, i segni apposti sui prodotti del sig. Reed venivano percepiti dal pubblico come dimostrazioni di sostegno, fedeltà o appartenenza («badge of support, loyalty or affiliation»).

     23.
     Alla luce di tali elementi, il giudice a quo ha ritenuto che l’azione per contraffazione dell’Arsenal FC avrebbe potuto avere esito positivo solo se la tutela conferita al titolare del marchio dall’art. 10 del Trade Marks Act 1994 e dalla direttiva attuata dalla detta legge vietasse a un terzo un uso diverso dall’uso in quanto marchio d’impresa, il che presupporrebbe un’interpretazione estensiva di tali norme.

     24.
     A tale riguardo, il giudice del rinvio afferma che la tesi secondo cui è vietato a terzi un uso diverso da un uso in quanto marchio d’impresa presenta talune incongruenze. Tuttavia, la tesi inversa, ossia quella secondo cui è disciplinato solo l’uso in quanto marchio d’impresa, si scontrerebbe con una difficoltà connessa alla formulazione letterale della direttiva e del Trade Marks Act 1994, che definiscono la contraffazione come l’uso di un “segno” e non come l’uso di un “marchio d’impresa”.

     25.
Il giudice a quo osserva che è segnatamente alla luce di tale formulazione letterale che la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito) ha dichiarato, nella sentenza Philips Electronics Ltd/Remington Consumer Products ([1999] RPC 809), che l’uso di un segno – registrato come marchio d’impresa – diverso da un uso in quanto marchio d’impresa poteva rappresentare una violazione del diritto di marchio. La High Court osserva che lo stato del diritto in merito a tale questione permane tuttavia incerto.

     26.
     Peraltro, il giudice del rinvio ha respinto l’argomento del sig. Reed relativo alla asserita invalidità dei marchi dell’Arsenal FC.

     27.
     Di conseguenza, la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
     «1) Qualora un marchio sia validamente registrato e a) un terzo utilizzi nel commercio un segno identico al detto marchio per designare prodotti identici a quelli per i quali il marchio è registrato e b) il terzo non possa far valere a sua difesa il disposto dell’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio (…), 89/104/CEE (…), se tale terzo possa far valere limitazioni agli effetti del marchio in quanto l’uso contestatogli non comporta alcuna indicazione di origine (ossia non indica un collegamento nel commercio tra i prodotti ed il titolare del marchio).
     2) In caso di soluzione affermativa, se sia sufficiente a costituire tale collegamento la circostanza che l’uso di cui trattasi venga percepito come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio».

Sulle questioni pregiudiziali

     28.
     Occorre esaminare in modo congiunto le due questioni pregiudiziali.

Osservazioni sottoposte alla Corte

     29.
     L’Arsenal FC osserva che l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva consente al titolare del marchio di vietare l’uso di un segno identico al marchio d’impresa e non assoggetta affatto l’esercizio di tale diritto di veto alla condizione che il segno sia usato in quanto marchio d’impresa. La tutela conferita da tale disposizione si estende pertanto all’uso del segno da parte di terzi anche quando tale uso non accrediti l’esistenza di un collegamento tra il prodotto e il titolare del marchio d’impresa. Tale interpretazione sarebbe avvalorata dall’art. 6, n. 1, della direttiva poiché le particolari limitazioni all’esercizio dei diritti derivanti dal marchio previste da tale articolo dimostrerebbero che un siffatto uso, in linea di principio, ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva e che esso è consentito solo nei casi tassativamente previsti dall’art. 6, n. 1, della direttiva.

     30.
     In subordine, l’Arsenal FC osserva che, nel caso di specie, l’uso fatto dal sig. Reed del segno identico al marchio Arsenal deve essere comunque qualificato come uso del marchio in quanto marchio d’impresa poiché tale uso fornisce un’indicazione in merito alla provenienza dei prodotti e non rileva che sia il titolare del marchio d’impresa ad essere così designato.

     31.
     Il sig. Reed sostiene che le attività commerciali controverse nella causa principale non ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, della direttiva, poiché l’Arsenal FC non avrebbe provato che il segno fosse utilizzato in quanto marchio d’impresa, ossia per indicare la provenienza dei prodotti, come sarebbe richiesto dalla direttiva, e, più in particolare, dall’art. 5 di quest’ultima. Se il pubblico non percepisse il segno come un’indicazione di origine, l’uso non costituirebbe un uso del segno in quanto marchio d’impresa. Per quanto riguarda l’art. 6 della direttiva, da tale disposizione non emergono elementi da cui risulti che essa contiene un elenco tassativo delle attività che non costituiscono contraffazione.

     32.
La Commissione sostiene che il diritto ricavato, da parte del titolare di un marchio, dall’art. 5, n. 1, della direttiva è indipendente dal fatto che il terzo non utilizzi il segno in quanto marchio d’impresa e, in particolare, dal fatto che detto terzo non lo utilizzi come indicazione d’origine ma renda noto al pubblico mediante altri mezzi che i prodotti non provengono dal titolare del marchio d’impresa, o addirittura che l’uso del segno non è stato autorizzato da quest’ultimo. La finalità specifica del marchio d’impresa sarebbe infatti quella di garantire che solo il titolare possa fornire al prodotto la sua identità di origine grazie all’apposizione del marchio stesso. La Commissionesostiene inoltre che dal decimo “considerando” della direttiva consegue che la tutela prevista all’art. 5, n. 1, lett. a), di quest’ultima è assoluta.

     33.
     All’udienza la Commissione ha aggiunto che la nozione di uso del marchio d’impresa in quanto marchio d’impresa, se ritenuta rilevante, si riferisce ad un uso idoneo a distinguere prodotti anziché ad indicare la loro origine. Tale nozione includerebbe anche usi da parte dei terzi che pregiudichino gli interessi del titolare del marchio d’impresa, come quello relativo alla reputazione dei prodotti. Comunque, la percezione da parte del pubblico del termine “Arsenal”, identico a un marchio denominativo, come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio non escluderebbe che i prodotti interessati siano percepiti anche per questa ragione come provenienti dal titolare del marchio d’impresa. Al contrario invece, una tale percezione confermerebbe il carattere distintivo del marchio e aumenterebbe il rischio che i prodotti siano percepiti come provenienti dal titolare del marchio stesso. Di conseguenza, anche se l’uso del marchio d’impresa in quanto marchio d’impresa fosse un criterio rilevante, il suddetto titolare dovrebbe poter legittimamente vietare l’attività commerciale controversa nella causa principale.

     34.
     L’Autorità di vigilanza AELS sostiene che, perché l’art. 5, n. 1, della direttiva possa essere invocato dal titolare del marchio d’impresa, i terzi devono far uso del segno al fine di distinguere – dato che si tratta della funzione principale e tradizionale del marchio – prodotti o servizi, ossia utilizzare il marchio d’impresa in quanto marchio d’impresa. Se tale condizione non ricorresse, il titolare potrebbe invocare solo le disposizioni del diritto nazionale previste all’art. 5, n. 5, della direttiva.

     35.
     Tuttavia, la condizione dell’uso del marchio d’impresa in quanto marchio d’impresa ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva, che dovrebbe essere intesa come una condizione di uso di un segno identico al marchio al fine di contraddistinguere prodotti o servizi, sarebbe una nozione di diritto comunitario cui si dovrebbe attribuire un significato ampio, tale da includere, in particolare, l’uso come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio.

     36.
     Secondo l’Autorità di vigilanza AELS il fatto che il terzo che appone il marchio d’impresa su determinati prodotti indichi che questi ultimi non provengono dal titolare del marchio non escluderebbe un rischio di confusione per una cerchia più ampia di consumatori. Se il titolare non avesse il diritto di opporsi a che terzi agiscano in questo modo, potrebbe derivarne un uso generalizzato del segno che, in fin dei conti, priverebbe il marchio del suo carattere distintivo, ponendone così a repentaglio la principale e tradizionale funzione.

Soluzione della Corte

37.
     Occorre rammentare, in limine, che l’art. 5 della direttiva definisce i «[d]iritti conferiti dal marchio di impresa» e che l’art. 6 contiene norme relative alla «[l]imitazione degli effetti del marchio di impresa».

     38.
     Ai sensi dell’art. 5, n. 1, prima frase, della direttiva, il marchio d’impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Ai sensi dello stesso paragrafo, lett. a), tale diritto esclusivo legittima il titolare a vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare, nel commercio, un segno identico al marchio d’impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato. L’art. 5, n. 3, della direttiva elenca in modo non tassativo i tipi di uso che il titolare può vietare ai sensi del n. 1 di tale articolo. Altre disposizioni della direttiva, come l’art. 6, definiscono talune limitazioni degli effetti del marchio d’impresa.

     39.
     Per quanto riguarda la situazione controversa nella causa principale, occorre osservare che, come emerge in particolare dal punto 19 e dall’allegato V dell’ordinanza di rinvio, il termine “Arsenal” figura a grandi lettere sulle sciarpe messe in vendita dal sig. Reed ed è accompagnato da altre menzioni notevolmente meno visibili, in particolare “the Gunners”, che si riferiscono tutte al titolare del marchio, vale a dire l’Arsenal FC. Tali sciarpe sono destinate, tra l’altro, ai sostenitori dell’Arsenal FC, che le indossano in particolare durante le gare cui partecipa la detta società.

     40.
     Pertanto, come ha osservato il giudice a quo, l’uso del segno identico al marchio avviene effettivamente nel commercio, dal momento che si colloca nel contesto di un’attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico e non nell’ambito privato. Si tratta inoltre dell’ipotesi di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva, vale a dire quella di un segno identico al marchio d’impresa per prodotti identici a quelli per cui esso è stato registrato.

     41.
     A tale proposito, occorre constatare in particolare che l’uso controverso nella causa principale è fatto “per prodotti” ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva perché riguarda l’apposizione del segno identico al marchio d’impresa su prodotti nonché l’offerta, l’immissione in commercio o la detenzione a tali fini di prodotti, ai sensi dell’art. 5, n. 3, lett. a) e b), della direttiva.

     42.
     Al fine di risolvere le questioni pregiudiziali, è necessario determinare se l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva autorizzi il titolare del marchio d’impresa a vietare qualsiasi uso nel commercio, da parte di un terzo, di un segno identico al marchio d’impresa per prodotti identici a quelli per cui quest’ultimo è stato registrato o se tale diritto di veto presupponga la sussistenza di un interesse specifico del titolare in quanto titolare del marchio, nei limiti in cui l’uso del segno di cui trattasi da parte di un terzo debba pregiudicare o poter pregiudicare una delle funzioni del marchio.

     43.
     A tal riguardo, occorre anzitutto rammentare che l’art. 5, n. 1, della direttiva realizza un’armonizzazione completa e definisce il diritto esclusivo di cui godono i titolari di marchi all’interno della Comunità (v., in tal senso, sentenza 20 novembre 2001, cause riunite da C-414/99 a C-416/99, Zino Davidoff e Levi Strauss, e giurisprudenza citata).

     44.
     Nel nono “considerando” della direttiva si precisa che quest’ultima mira a garantire al titolare del marchio d’impresa «negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri, la medesima tutela» e si qualifica tale finalità come «fondamentale».

     45.
     Al fine di evitare che la tutela concessa al titolare del marchio vari da uno Stato all’altro, spetta pertanto alla Corte dare un’interpretazione uniforme dell’art. 5, n. 1, della direttiva e, in particolare, della nozione di «uso» ivi contenuta, nozione che forma oggetto delle questioni pregiudiziali nella presente causa (v. in tal senso, citata sentenza Zino Davidoff e Levi Strauss, punti 42 e 43).

     46.
     In secondo luogo, si deve osservare che la direttiva è volta, come emerge dal suo primo “considerando”, ad abolire le disparità tra le legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa che possono ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi nonché falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune.

     47.
     Il diritto di marchio costituisce infatti un elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato mira a stabilire e mantenere. In tale sistema le imprese debbono essere in grado di attirare la clientela con la qualità delle loro merci o dei loro servizi, il che è possibile solo grazie all’esistenza di contrassegni distintivi che consentano di identificarli (v., segnatamente, sentenza 17 ottobre 1990, causa C-10/89, e 4 ottobre 2001, causa C-517/99).

     48.
     In tale prospettiva, la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa. Infatti, per poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato intende istituire e mantenere, il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità (v., in particolare, sentenze 23 maggio 1978, causa 102/77, Hoffmann-La Roche, e 18 giugno 2002, causa C-299/99).

     49.
     Il legislatore comunitario ha consacrato tale funzione essenziale del marchio disponendo, all’art. 2 della direttiva, che i segni che possono essere riprodotti graficamente possono costituire un marchio alla sola condizione che essi siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese (v., in particolare, citata sentenza Merz & Krell).

     50.
     Perché tale garanzia di provenienza, che costituisce l’essenziale funzione del marchio, possa essere garantita, il titolare del marchio deve essere tutelato nei confronti dei concorrenti che volessero abusare della posizione e della reputazione del marchio vendendo prodotti indebitamente contrassegnati con questo (v., segnatamente, citatesentenze Hoffmann-La Roche, e 11 novembre 1997, causa C-349/95, Loendersloot). A tale proposito, nel decimo “considerando” della direttiva si sottolinea il carattere assoluto della tutela accordata al marchio d’impresa in caso di identità tra il marchio d’impresa e il segno e tra i prodotti o servizi controversi e quelli per i quali il marchio è stato registrato. Vi si specifica che tale tutela mira in particolare a garantire la funzione d’origine del marchio d’impresa.

     51.
     Da tali considerazioni discende che il diritto esclusivo previsto all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva è stato concesso al fine di consentire al titolare del marchio d’impresa di tutelare i propri interessi specifici quale titolare di quest’ultimo, ossia garantire che il marchio possa adempiere le sue proprie funzioni. L’esercizio di tale diritto deve essere pertanto riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto.

     52.
     Infatti, la natura esclusiva del diritto conferito dal marchio registrato al titolare di quest’ultimo in forza dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva può essere giustificata solo nei limiti dell’ambito di applicazione di tale disposizione.

     53.
     A tale riguardo occorre rammentare che ai sensi dell’art. 5, n. 5, della direttiva, l’art. 5, nn. 1-4, di quest’ultima non pregiudica le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela contro l’uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi.

     54.
     Infatti, il titolare non potrebbe vietare l’uso di un segno identico al marchio d’impresa per prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato se tale uso non può pregiudicare i suoi interessi specifici in quanto titolare del marchio d’impresa considerate le funzioni di quest’ultimo. Pertanto, taluni usi a fini puramente descrittivi sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, della direttiva perché non ledono alcuno degli interessi tutelati da tale disposizione e non rientrano quindi nella nozione di uso ai sensi della disposizione stessa (v., per quanto riguarda un uso a fini puramente descrittivi quanto alle caratteristiche del prodotto offerto, sentenza 14 maggio 2002, causa C-2/00, Hölterhoff).

     55.
     Al riguardo, è giocoforza constatare anzitutto che la situazione della fattispecie di cui alla causa principale è fondamentalmente diversa da quella che ha originato la citata sentenza Hölterhoff. Nel caso di specie, l’uso del segno si colloca infatti nell’ambito di vendite a consumatori e non è manifestamente destinato a fini puramente descrittivi.

     56.
     Alla luce della presentazione della parola “Arsenal” sui prodotti controversi nella causa principale nonché delle altre diciture secondarie figuranti su questi ultimi (v. punto 39 della presente sentenza), l’uso di tale segno è tale da rendere credibile l’esistenza di un collegamento materiale nel commercio tra i prodotti interessati e il titolare del marchio.

     57.
     Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’avvertenza, figurante nel chiosco del sig. Reed, secondo cui i prodotti controversi nella causa principale non costituiscono prodotti ufficiali dell’Arsenal FC (v. il punto 17 della presente sentenza). Infatti, anche supponendo che una siffatta avvertenza possa essere fatta valere da un terzo a sua difesa in un procedimento per contraffazione di marchio, è giocoforza constatare che, nella fattispecie di cui alla causa principale, non può essere escluso che taluni consumatori, in particolare se i prodotti sono presentati loro dopo essere stati venduti dal sig. Reed e asportati al chiosco in cui appariva l’avvertenza, interpretino il segno come indicante l’Arsenal FC quale impresa di provenienza dei prodotti.

     58.
     Peraltro, si deve constatare che, nella fattispecie oggetto della causa principale, non è nemmeno garantito, come esige tuttavia la giurisprudenza della Corte ricordata al punto 48 della presente sentenza, che tutti i prodotti contrassegnati dal marchio d’impresa siano stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità.

     59.
     Infatti, i prodotti controversi nella causa principale vengono forniti al di fuori del controllo dell’Arsenal FC quale titolare del marchio d’impresa, in quanto è pacifico che i suddetti prodotti non provengono dall’Arsenal FC né dai suoi rivenditori autorizzati.

     60.
     Pertanto, l’uso di un segno identico al marchio controverso nella causa principale può mettere a repentaglio la garanzia di provenienza che costituisce la funzione essenziale del marchio, come emerge dalla giurisprudenza della Corte menzionata al punto 48 di questa sentenza. Pertanto si tratta di un uso al quale il titolare del marchio può opporsi in conformità all’art. 5, n. 1, della direttiva.

     61.
     Essendo accertato che, nella fattispecie di cui alla causa principale, l’uso da parte di terzi del segno interessato può pregiudicare la garanzia di provenienza del prodotto e che il titolare del marchio deve potervisi opporre, tale conclusione non può essere rimessa in discussione dal fatto che il suddetto marchio venga percepito, nel contesto di tale uso, come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio.

     62.
     Alla luce di quanto precede, le questioni proposte dal giudice a quo devono essere risolte nel senso che, in una situazione non rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 6, n. 1, della direttiva in cui un terzo faccia uso, nel commercio, di un segno identico a un marchio d’impresa validamente registrato su prodotti identici a quelli per i quali è stato registrato, il titolare del marchio, in una fattispecie come quella controversa nella causa principale, può opporsi a tale uso conformemente all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva. Tale conclusione non può essere rimessa in discussione per il fatto che il detto segno, nel contesto di tale uso, venga percepito come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio.
(Omissis)

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