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dicembre 2002

Studî e commenti

RANIERI RAZZANTE

Ruolo del collegio sindacale e funzione di controllo contabile nella riforma del diritto societario

 

    Così come lungo è stato il parto della riforma del diritto delle società non quotate, altrettanto lunga si profila, mentre scriviamo, la vacatio legis del testo già approvato dal Consiglio dei Ministri.
    Una sorta di " periodo transitorio", così come quello (anche se più corto, in questo caso) che venne previsto in occasione dell’introduzione dell’Euro; quello che è strano, è che la motivazione sembrerebbe similare, cioè la concessione di un tempo di "adattamento" delle società, del mercato, degli azionisti, dei risparmiatori, e di tutti gli stakeholders: il che, ad onor del vero, preoccupa non poco, poiché l’effetto annuncio della riforma de qua è stato già notevole.
    Inoltre, vogliamo augurarci che la proroga venga attuata in modo tale da consentire gli opportuni adattamenti sia con il diritto delle società quotate, sia con i vari codici di autodisciplina che, nell’ottica della sempre più spinta self-regulation che i mercati vanno imponendo alle strutture sia degli intermediari che degli emittenti, sono diventati punti di riferimento affatto trascurabili in materia.
    Proprio in materia di controlli, non si può dimenticare come i Codici di autodisciplina della Borsa Italiana, le disposizioni Consob e Banca d’Italia, le linee guida dei Dottori Commercialisti e dei Revisori si siano affastellati, conducendo a quello che potremmo definire un vero e proprio corpus iuris di principi e regole afferenti la "funzione" di controllo che gli organi a ciò preposti (collegio sindacale, internal auditing, revisori, etc.) devono a vario titolo assolvere.
    Il testo della cosiddetta “Commissione Vietti” sembra in parte recepire qualcuna delle suddette indicazioni, e ci piace ribadire in questa sede che l’eccessivo ricorso all’autonomia statutaria e alla deregulation della vita societaria, quanto meno rispetto al vecchio testo civilistico, non ci convince abbastanza, specie se ci dovessimo attardare in una comparazione con dottrina e giurisprudenza formatesi dal 1942 ad oggi sul tema che qui trattiamo.
    Sentivano l’obbligo di tale premessa, perché le conclusioni cui giungeremo in questa sede non contraddicono quanto già abbiamo avuto modo di esprimere in altre circostanze, e cioè, in una parola, stiamo assistendo contemporaneamente (a nostro sommesso avviso) ad una "snaturazione" ed "esautorazione" del collegio sindacale (1).
    Speriamo di avere occasione, attendendo doverosamente gli sviluppi parlamentari e attuativi della riforma, di esprimere un giudizio più meditato, soprattutto alla luce della più autorevole dottrina, che nel frattempo avrà occasione di illuminarci in argomento, e della giurisprudenza.
    Crediamo poco, invece, alla moral suasion delle associazioni di categoria, anche perché, in questo caso, poco potranno fare, se già poco (ci si perdoni la ripetizione) hanno fatto quelle più note in relazione all’adozione dei Codici di autodisciplina in materia di società quotate (2).

Le novità sul collegio sindacale
    Riguardo alla composizione del collegio, essa resta intatta, mentre obbligatoria diviene, ai sensi del rinnovato art. 2397 (co.2), la scelta nel registro dei revisori contabili di «almeno un membro effettivo ed uno supplente». Non più tutti, quindi, revisori, poiché i membri restanti potranno anche essere professori universitari di ruolo (in materie economico-giuridiche) ovvero iscritti in albi professionali.
    Un passo indietro? Su questo, un giudizio pare pressoché impossibile a formularsi, dato che siamo convinti che le risultanze dei controlli, in termini di efficacia ed efficienza, non si misurino certo con i titoli di chi li pone in essere (3). Certo, sembrerebbe, così "sconfessata" una precedente riforma, quella introdotta dal D.Lgs. n. 88/1992, che tanto fece discutere circa l’opportunità della creazione del registro dei revisori presso il Ministero della Giustizia.
    Altra importante novità rinveniamo nell’art. 2399, laddove vengono maggiormente precisate le cause d’ineleggibilità e di decadenza, aggiungendo (secondo noi opportunamente) i legami di “consulenza” ovvero “di natura finanziaria o personale”, oltre agli altri eventualmente stabiliti dallo statuto, ivi compresi quelli sul “cumulo degli incarichi”.
    Su quest’ultimo, in particolare, si è da sempre discusso, e quanto mai auspicabile risulterebbe l’adozione di un tetto in ogni statuto delle “nuove società”, mentre ci lascia perplessi l’apprestamento (rectius: le modalità dello stesso) di sistemi e metodi di verifica delle altre nuove cause di ineleggibilità o decadenza (segnatamente, i rapporti di natura finanziaria o personale).
    Un discorso a parte merita, in quanto a modifiche, l’art. 2403, riguardante i doveri del collegio sindacale. Si è voluto anche qui ripetere quanto aveva fatto, secondo noi con scarsa consapevolezza prospettica della funzione di controllo, il testo unico della finanza (4). Continuiamo infatti a non spiegarci il perché dell’utilizzo di formule, se possibile, ancor più vaghe – come, ad esempio, «corretta amministrazione» e «adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento» – rispetto a quelle, non certo brillanti per chiarezza, del precedente co. 1 dell’articolo in commento.
    Al di là del fatto che ribadiamo la nostra convinzione circa l’opportunità della conservazione, sia di diritto che di fatto, del controllo contabile ed amministrativo, in senso stretto, in capo ai sindaci, riteniamo che le formule sopracitate confermino tale teoria, e al contempo ingenerino disorientamento in chi deve assumere la delicata funzione. In particolare, limitare il controllo contabile al solo caso previsto dall’art. 2409-bis (v. infra), è quanto meno limitativo, mentre corre l’obbligo di ricordare che non è possibile, sia da un punto di vista squisitamente aziendalistico che, a maggior ragione, da quello legale, attestare il corretto funzionamento di una società senza essere depositari di attribuzioni di tipo “ragioneristico”!
    Quanto mai opportuna riteniamo sia, al contrario, l’abolizione (e sostituzione) dell’art. 2403-bis, laddove prevedeva la figura, mai sufficientemente utilizzata e chiarita nella sua configurazione logico-formale, dei collaboratori del sindaco (5).
    Viene invece inserito, con la stessa numerazione, un articolo che mutua dal TUF i poteri del collegio sindacale, i quali, alla luce di quanto abbiamo appena affermato, ci sembrano anche esorbitanti, mentre non lo sarebbero laddove fossero loro affidate funzioni più pregnanti.
    Non siamo in grado di capire, lo confessiamo, la ragione della sostituzione della parola “trimestre” con le parole "novanta giorni" al primo comma del nuovo art. 2404, dedicato alle riunioni e deliberazioni del collegio.
    Nel medesimo articolo, buona invece la precisazione, al co. 4, della maggioranza «dei presenti» per l’adozione delle deliberazioni dell’organo de quo.
    Allo stesso modo, è efficace secondo noi la precisazione, al co. 2 dell’art. 2405, della partecipazione a due adunanze «consecutive» del cda così come, in aggiunta, del «comitato esecutivo», in difetto della quale scatta la decadenza dall’ufficio di sindaco.
    Alle omissioni degli amministratori cui il collegio sindacale può porre rimedio, l’art. 2406 – nella nuova formulazione – aggiunge «l’ingiustificato ritardo» nella convocazione dell’assemblea e qualsiasi «fatto censurabile di rilevante gravità»: ciò farà da pungolo alla diligenza degli amministratori, ed offre strumenti in più all’organo di controllo.
    Più ampio spazio meriterebbero le considerazioni, che possiamo solo abbozzare, sul mutamento (ammesso che vi sia) della natura della responsabilità dei sindaci che, secondo il novellato art. 2407, da quella tipica del «mandatario» diviene quella richiesta dalla «natura dell’incarico», svolto con «professionalità e diligenza»; non ci spieghiamo, anche qui, come non si sia pensato alla ridondanza della formula utilizzata, poiché è notorio che i criteri citati si riferiscono alla diligenza specifica e qualificata - richiesta in casi come questo - di cui all’art. 1176, co. 2, c.c.
    Cosa cambia, allora? Forse si è voluto evitare il riferimento automatico alla diligenza ex art. 1710 cod. civ., relativa – come noto – a quella del «buon padre di famiglia», non applicabile a situazioni della specie di quella di amministrare o vigilare su un’azienda? Non sarebbe, invero, una grande scoperta, perché nessuno si sognerebbe mai di invocare per un sindaco l’applicazione della diligenza “media” e non di quella “professionale”!
    Al 2408 scompare l’opzione di convocazione dell’assemblea in caso di urgenza, e viene aggiunta la possibilità di denunzia al collegio da parte di tanti soci che rappresentino «un cinquantesimo [del capitale sociale] nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio». Un adeguamento ai nuovi modelli societari previsti dalla Commissione Vietti, per i quali rinviamo a quanto, tra l’altro, è già stato oggetto di commento in questa Rivista.
    Nel nuovo art. 2409, circa la denunzia al tribunale, è singolare che essa venga ritenuta esperibile solo se – a mente del comma 1 rivisitato – le violazioni degli amministratori siano idonee ad «arrecare danno alla società»; è inevitabile che si affievolisca, a nostro avviso, la tutela originariamente apprestata da questa norma.
    E poi, chi valuterà la suddetta idoneità? Il tribunale, contro il cui provvedimento viene peraltro ammesso, oggi, reclamo.
    Si aggiunge poi che l’ispezione ordinata dal tribunale medesimo diventa “evitabile” se l’assemblea provvede a sostituire gli amministratori e sindaci «con soggetti di adeguata professionalità», che tenteranno di eliminare le criticità (una sorta di “salvataggio” della società, una misura di risanamento, che forse andrebbe coordinata con il diritto fallimentare).
    Sulla scorta di quanto previsto per le società quotate, anche al collegio sindacale viene concessa, in questa sede riformatrice, la possibilità di denunzia al tribunale dei fatti di cui sopra.

Il controllo contabile.
    Vengono inseriti nel codice, a questo punto, gli articoli dal 2409-bis al 2409-septies, in apposito capo 4, intitolato al “controllo contabile” (6).
    Qui intendiamo affermare, o meglio ribadire, in via sintetica, che il potere de quo, “usurpato” al collegio sindacale, viene affidato ad un singolo “revisore”, per le società di diritto comune, o ad una società di revisione, per quelle che fanno ricorso al mercato dei capitali.
    Al collegio sindacale viene lasciato il controllo dei conti in società che non fanno ricorso al suddetto mercato e che non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato, ma se lo statuto lo prevede (cfr. co. 3 dell’art. 2409-bis). Francamente, si complica ciò che sarebbe stato molto più semplice, disegnando una architettura dei controlli che proprio non convince (7).
    In conclusione, il voler a tutti i costi esportare in sede di diritto comune ciò che è stato pensato per società di diritto speciale (pensiamo al TUF), appare a chi scrive un’eccessiva semplificazione, che finisce per tradursi – al contrario – in pericolose sovrapposizioni normative (8).

 

NOTE

     (1) A tale proposito ci si consenta di rinviare al nostro La nuova disciplina del collegio sindacale, in “Il nuovo diritto societario e dell’intermediazione finanziaria”, a cura di C. Di Noia - R. Razzante, Cedam, Padova, 1999, pag. 511 e ss., ed alla dottrina ivi citata.

    (2) Un interrogativo simile, anche se con risposta più ottimistica, si pone G. Olivieri, Riforma delle società e modelli di governance, in “La riforma del diritto delle società nella prospettiva del risparmio gestito”, Assogestioni, Roma, Quaderno n. 25, pag. 30.

    (3) Anche se in altra sede avevamo rammentato che la finalità delle norme (comunitarie) da cui derivava il decreto citato era quella di «riservare a persone ritenute maggiormente qualificate un compito così importante come quello dell’accertamento della legalità»: così R. Razzante, Commento sub art. 2397, in “Commentario al Codice Civile”, diretto da P. Cendon, Utet, Torino, 2002, vol. III.

    (4) Qui rinviamo al nostro scritto in materia, già citato.

    (5) Del collaboratore del sindaco resta comunque traccia in un comma, il IV, del nuovo 2403-bis, anche se viene dato potere all’organo amministrativo di rifiutare a tali soggetti, così come d’altronde ai sindaci, l’accesso "a informazioni riservate"(comma 5).

    (6) Seguono altre norme di nuovo inserimento (sui sistemi di gestione), il cui commento però non è oggetto di questo scritto.

    (7) Non sembra a chi scrive che le richieste della Consob (cfr. intervento del Direttore Generale al Convegno ABI dell’11 ottobre 2002) siano state ascoltate.

    (8) Ci sembra emblematico il titolo di un articolo apparso su “Il Sole 24 Ore” del 18 ottobre 2002 (a firma congiunta Azzini-Cavalluzzo), intitolato “Il collegio sindacale perde in chiarezza”, alle cui argomentazioni ci sentiamo di aderire.

 

 

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