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novembre 2002

Studî e commenti

GIULIANO LEMME

La moneta elettronica: verso un nuovo sistema di pagamenti

 

     Con legge 1 marzo 2002, n. 39, è stata recepita in Italia la direttiva 2000/46/CE sulla moneta elettronica. Pur non potendosi certo parlare di una evoluzione epocale nella nostra vita, è certo che la nuova disciplina non mancherà di incidere, quantomeno, sul ripensamento di alcune categorie giuridiche che si davano sino a questo momento per scontate o quasi. Ma facciamo un passo indietro.

1. La dottrina tradizionale circa il valore solutorio della moneta
     È noto come, tradizionalmente, l’espressione “moneta legale” contenuta nell’art. 1277 cod. civ. sia essenzialmente riferita alla moneta fisica (cartacea o metallica). Dunque, nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie, la consegna di una cosa differente dalla moneta fisica non costituisce adempimento.
     Tuttavia, anche la dottrina tradizionale non poteva non fare i conti con la circostanza, di evidenza pratica, del crescente abbandono della moneta fisica nell’adempimento delle obbligazioni, e della sua sostituzione con differenti fattispecie (pagamento in assegni, con bonifico, con carta di credito). Tali fattispecie vengono complessivamente ricomprese nella categoria generale della moneta scritturale, ossia della moneta creata (dalle banche, o mercè l’interposizione di queste) tramite annotazioni e scritture.
     Tuttavia, il prendere atto della esistenza della moneta scritturale non ha comportato, almeno fino a tempi recenti, il riconoscimento del valore solutorio di questa. E così, per dar conto del fatto che, comunque, assegni e bonifici venivano comunemente accettati per i pagamenti, si sono proposte diverse soluzioni.
     Quanto agli assegni, si è parlato di prestazione in logo di adempimento o di datio pro solvendo (1). Di conseguenza, la dazione di assegno non potrebbe mai configurare adempimento in senso proprio della obbligazione pecuniaria, restando quindi facoltà del creditore di rifiutare l’adempimento con tale mezzo. Il problema, come è evidente, viene posto dal rilievo che, specie per obbligazioni di importo rilevante, il pagamento con moneta fisica costituisce una eccezione, e non certo la regola (2); di talchè, appare singolare affermare che ciò che sul piano pratico è regola, sul piano giuridico divenga una eccezione.
     Simile è il discorso a farsi per il pagamento a mezzo bonifico bancario: anche in questo caso, a fronte di una resistenza – specie giurisprudenziale – a connettere effetto liberatorio al pagamento eseguito con tale mezzo (3), rimane il fatto che esso costituisce mezzo diffusissimo e comunemente accettato per i pagamenti. Infine, per quanto riguarda il pagamento eseguito per il mezzo di carta di credito, il discorso è più semplice, in quanto l’effetto liberatorio è conseguenza naturale dell’indicazione della carta di credito tra i mezzi di pagamento accettati dal rivenditore.
     Ora, se la circostanza che il pagamento con mezzi diversi dalla moneta fisica è ormai diffuso (e destinato, sembra, a sostituire quasi integralmente quest’ultima) non si può, riteniamo, accettare l’idea che esso costituisca tuttora, dal punto di vista giuridico, una anomalia o, peggio, un vero e proprio inadempimento. La dottrina più sensibile ha già percepito questa profonda discrasia tra categorie giuridiche tradizionali dei mezzi di pagamento e realtà fattuale, ed è pertanto arrivata alla conclusione di porre l’accento sulla buona fede quale criterio di discrimine tra i casi in cui il pagamento scritturale debba essere accettato, e quelli in cui possa essere rifiutato (4). In altri termini, si è affermato che il pagamento scritturale può essere rifiutato, quando esso non sia conforme al principio generale di buona fede nell’adempimento delle obbligazioni (art. 1175 cod. civ.); e di converso, esso deve essere accettato quando il rifiuto non sarebbe conforme a buona fede.
     La tesi ora illustrata consente, senza dubbio, una ricostruzione più coerente del sistema dell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie. A parere di chi scrive, tuttavia, può essere compiuto un passo ulteriore. Infatti, sino a questo momento nessuno ha messo in dubbio la centralità della moneta fisica quale mezzo di adempimento delle obbligazioni pecuniarie, riportandosi alla considerazione che l’espressione “moneta legale”, di cui all’art. 1277 cod. civ., non può che essere riferita alle monete metalliche ed alle banconote.
     Ora, se ciò era senza dubbio vero all’epoca di redazione del codice civile, non necessariamente lo è oggi, ossia in un’epoca nella quale la moneta scritturale, come abbiamo accennato, ha assunto una funzione ed una valenza primaria.
     A questo punto, dunque, possiamo ricostruire il fenomeno giuridico monetario in termini unitari, partendo dalla considerazione che l’espressione moneta legale non indichi tanto una fattispecie “fisica”, ma l’insieme di norme che regolano l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie, ossia un a priori del sistema. Da tale punto di vista, la moneta scritturale, allo stesso modo di quella fisica, non costituisce altro che un mezzo di trasmissione di moneta. Ne discende, che banconote e moneta scritturale esplicano, con identica dignità, la medesima funzione di adempimento, ed entrambe possono essere rifiutate solo qualora tale rifiuto corrisponda a correttezza e buona fede: si consideri il caso, solo apparentemente paradossale, dell’obbligazione di pagare 10 milioni di euro adempiuta (beninteso, tramite intermediario abilitato) in contanti. Chi si veda recapitare la “valigetta” contenente (in ipotesi) 100.000 biglietti da cento euro, riteniamo, ben potrebbe rifiutare la consegna, sostenendone la mancata rispondenza al criterio di buona fede. Se allora accettiamo che anche il principio – finora ritenuto intangibile – del valore sempre e comunque solutorio della moneta fisica conosca delle eccezioni, e che tali eccezioni si ricolleghino al principio di cui all’art. 1175 cod. civ. – così come avviene per la moneta scritturale – dobbiamo allora riconoscere che la prima ha ormai perso la sua centralità come strumento di adempimento dell’obbligazione pecuniaria.
     Tale perdita di centralità, riteniamo, andrà accentuandosi parallelamente all’affermarsi di nuovi mezzi di pagamento, riconosciuti come tali anche sotto il profilo giuridico, quali la moneta elettronica.

2. La nozione di moneta elettronica
     La moneta elettronica, come fattispecie, comprende in verità più ipotesi tra loro concettualmente distinte.
Nell’accezione più ampia, possono ricomprendersi nella definizione tutte le fattispecie di trasmissione di moneta nelle quali entri in qualche modo in gioco non una semplice annotazione, bensì il passaggio per impulsi elettronici. Sotto questo profilo, sarebbe riconducibile alla moneta elettronica anche il bancomat, nel quale l’elettronica assume rilevanza solo per agevolare l’identificazione dell’avente diritto alla prestazione di moneta. Sarebbero altresì riconducibili alla nozione di moneta elettronica anche il POS ed i trasferimenti elettronici di fondi, nei quali la funzione dell’elettronica è quella di agevolare la trasmissione di moneta; sarebbero altresì ricomprendibili nella nozione le smart cards, caratterizzate dall’essere accettate solo da chi le emette, ed aventi la funzione di consentire l’espressione di un valore monetario in forma riconoscibile da un terminale elettronico.
     Tuttavia, è evidente come le fattispecie ora descritte non si attaglino alla nozione di moneta elettronica, che si caratterizza non solo per la funzione svolta dagli impulsi elettronici, ma anche nella essenza monetaria, che si concreta, in primo luogo, nella spendibilità generalizzata (5). Senza quest’ultima, ossia senza che lo strumento sia utilizzabile in un sistema aperto (con tale espressione intendendosi non limitato all’emittente) siamo evidentemente al di fuori del fenomeno monetario, e non vi è dunque moneta elettronica.
     Possiamo dunque definire quest’ultima in base alla contemporanea presenza di due caratteristiche:
     – espressione di un valore monetario su di un dispositivo elettronico;
     – spendibilità generalizzata del mezzo
     Così inquadrato l’ambito definitorio della fattispecie, va dato atto che la moneta elettronica ha conosciuto, specie a causa dello sviluppo del commercio on line, una crescente popolarità, soprattutto nell’ambito dei paesi anglosassoni, ma non solo di questi.
     Uno degli sviluppi più noti di questa forma di trasmissione monetaria è infatti Proton (6), nato e diffusosi in Belgio, ed annoverabile tra i sistemi basati su smart card: la moneta elettronica, in questo caso, è memorizzata su una carta ricaricabile contenente un chip, analoga, nell’uso, ad una carta di debito.
     Nell’ambito dei sistemi di moneta elettronica nati in ambito statunitense, va ricordato CyberCash (recentemente acquisito da VeriSign), che, analogamente a molti altri strumenti nati per l’uso specifico in ambito di commercio elettronico, utilizza una software e-money: in altri termini, la moneta elettronica è gestibile tramite un programma per computer che memorizza il valore disponibile, che viene utilizzato per effettuare pagamenti su siti convenzionati (7).
     Si propone dunque, per la moneta elettronica, un dualismo tra quella basata su software, e quella basata su smart card. Questo dualismo, come vedremo, è stato risolto dalla normativa europea, che ha ricondotto i due fenomeni ad un’unica fattispecie giuridica.

3. La normativa europea sulla moneta elettronica ed il suo recepimento in Italia
     È chiaro che un fenomeno di potenziale impatto economico quale quello della moneta elettronica, seppur ignorato a livello normativo dai singoli stati europei, non poteva passare inosservato al legislatore europeo. Ed è significativo, in proposito, che la prima attenzione alla materia sia stata dedicata dall’IME, ossia dal nucleo di quella che diventerà poi la BCE, che nel 1994 ha pubblicato un rapporto sulle carte prepagate (8).
     Tale rapporto è stato poi seguito, a distanza di tre anni, dall’emanazione della Raccomandazione 97/489/CE della Commissione del 30 luglio 1997, relativa alle operazioni mediante strumenti di pagamento elettronici, con particolare riferimento alle relazioni tra gli emittenti ed i titolari di tali strumenti; la scelta dello strumento della raccomandazione, come noto non vincolante, era dettato dall’esigenza di non mortificare una fattispecie tecnicamente ancora giovane ed in evoluzione, quale quella della moneta elettronica, nelle pastoie di norme giuridiche uniformi e vincolanti.
     La crescente diffusione, specie in alcuni stati europei, dei pagamenti elettronici, ha peraltro comportato ben presto l’emergere della necessità di una più profonda regolamentazione della fattispecie. Ancora una volta, è stata la BCE ad intervenire per prima, con il suo “Rapporto sulla moneta elettronica” dell’agosto 1998. Finalmente, preceduta da un rapporto della BCE (9), è stata emanata la direttiva 2000/46/CE, che è l’oggetto più immediato del presente intervento.
     La direttiva è stata oggetto di recepimento diretto (ossia, senza passare per una legge delega ed un successivo decreto legislativo) dalla legge 1 marzo 2002 n. 39, che ha però demandato alla Banca d’Italia gran parte della normativa di dettaglio. Dunque, nel commentare brevemente la nuova legge, si farà piuttosto riferimento alla direttiva.
     L’art. 1 della direttiva, come caratteristico della tecnica di legislazione comunitaria, detta le definizioni delle fattispecie contemplate dalla nuova normativa. Di interesse, nell’ambito di tali definizioni, è quella sugli IME (Istituti di Moneta Elettronica), ossia gli enti, diversi dalle banche, che emettono mezzi di pagamento sotto forma di moneta elettronica (10). L’evidente intento della definizione è quello di distinguere l’attività degli IME da quella propria delle banche; tuttavia, paradossalmente il risultato è stato raggiunto mettendo mano alla definizione di ente creditizio, e creando in particolare una bipartizione, all’interno di tale nozione, tra banche ed IME (11).
     Sembra difficile, peraltro, ipotizzare che possa ormai dirsi mutata, in virtù della nuova norma, la nozione di attività bancaria: infatti, come si evince chiaramente dal complesso delle disposizioni sugli IME, questi non possono in alcun modo concedere credito, ma, a ben vedere, non possono neppure raccogliere il risparmio, atteso che l’erogazione della moneta deve essere contestuale alla ricezione dei fondi (art. 114-bis, 1° co., TULB).
     Quanto alla definizione di moneta elettronica (art. 1, co. 2, lett. h ter del TULB) il testo normativo parla di «valore monetario rappresentato da un saldo a credito nei confronti dell’emittente, che sia memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso previa ricezione di fondi di valore non inferiore al valore monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall’emittente».
     In questa definizione si concentrano vari tipi di problematiche. Anzitutto, ci si può interrogare sul significato del termine “valore monetario”. La direttiva, in proposito, specificava che la moneta elettronica era rappresentata da un “saldo a credito” (ottavo considerando) e che era da considerarsi un “surrogato di monete metalliche e banconote” (terzo considerando). Il riferimento al saldo va a nostro avviso letto in rapporto al valore monetario (in quanto, nella moneta scritturale, tale valore è rappresentativo di un saldo), mentre particolarmente significativo, anche per suffragare l’ipotesi che sopra abbiamo esposto, ci sembra il riferimento contenuto nel terzo considerando. Si badi bene: il legislatore europeo ha affermato che la moneta elettronica è un surrogato di monete metalliche e banconote, e non della moneta legale, con il che implicitamente confermando che le prime non coincidono necessariamente con la seconda.
     Altrettanto significativo, oltre alla previsione che i fondi ricevuti non possano essere inferiori al valore emesso (12), è l’affermazione della necessità che la moneta elettronica, per essere tale, debba essere accettata da imprese diverse dall’emittente. Si vuole dunque sottolineare che l’emissione di single purpose smart cards non costituisce attività riservata (altrimenti, ad esempio, le SIM ricaricabili dei telefoni cellulari potrebbero essere emesse solo da banche o da IME!). Tuttavia – e, sul punto, non è mancata una critica da parte del Comitato Economico e Sociale dell’UE (13) – la direttiva ha accomunato due fenomeni tra di essi profondamente differenti, ossia la software e-money e le smart cards.
     Se la radicale differenza di attività costituisce un discrimine tra banche ed IME, una ulteriore frattura è costituita dalle attività esercitabili; al riguardo, le previsioni della direttiva (art. 1, 5° co.) sono parzialmente diverse da quelle della legge di recepimento (art. 114-bis, 1° co., TULB). La prima, infatti, indicava analiticamente le attività esercitabili, affermando inoltre che gli IME possono esercitare i servizi “strettamente correlati”; la seconda, viceversa, si limita a far riferimento alle sole attività connesse e strumentali (con evidente richiamo all’art. 10, 3° co. del TULB), demandando alla Banca d’Italia di stabilirne i limiti. Limiti che, riteniamo, non potranno discostarsi dall’elencazione contenuta nella direttiva.
     Infine, l’ultimo co. dell’art. 1 vieta agli IME di assumere partecipazioni in altre imprese, salvo quelle che svolgano attività operative ed accessorie all’emissione di moneta elettronica. La norma non è stata ribadita nella legge di recepimento ma, riteniamo, la Banca d’Italia non potrà prescinderne, all’atto dell’emanazione delle istruzioni di vigilanza.
     L’interesse dell’art. 2 della direttiva non è tanto nel suo contenuto, quanto nella sua formulazione: infatti, su questo punto si è creata una discrasia tra l’impostazione suggerita dalla BCE, che voleva un solo richiamo in negativo delle direttive bancarie non applicabili agli IME, e quella recepita dal legislatore comunitario (e, di conseguenza, da quello italiano) che ha viceversa richiamato in positivo le sole norme applicabili. Questa scelta, sul piano ermeneutico, ha avuto l’effetto di accentuare la separazione tra l’attività delle banche e quella degli IME, in quanto si è voluto implicitamente sottolineare che la regola, salvo eccezioni, è che ad esse non si applica la disciplina bancaria (la formulazione propugnata dalla BCE, viceversa, avrebbe reso eccezionali i casi di non applicazione di tale disciplina).
     Da’altro canto, a sottolineare ancora una volta la netta differenziazione tra le due discipline è l’obbligo di conversione immediata dei fondi ricevuti in moneta elettronica, contenuto nella legge di recepimento mediante il semplice uso dell’avverbio “immediatamente” (art. 114-bis, 1° co. del TULB), ma ben più evidenziato nella direttiva, la quale ha anche specificato che, ove vi sia uno iato temporale (di qualsiasi misura) tra il momento in cui vengono dati i fondi e quello in cui viene erogata la moneta elettronica, si rientra nell’ambito della raccolta di fondi tra il pubblico, e quindi nell’ambito di attività preclusa agli IME.
     Nell’art. 3 della direttiva si è preso in esame il problema, di non poco momento, della rimborsabilità dei fondi. Il problema, in questo caso, è dato ancora una volta dal contrasto tra i desiderata della BCE, che avrebbe auspicato una disciplina stringente ed articolata, e l’atteggiamento del legislatore, che ha preferito un approccio più generico. Approccio generico che non consente, ad esempio, di dirimere la questione delle modalità concrete del rimborso. Infatti, l’art. 114 bis, 3° co. del TULB, inserito dalla legge di recepimento sulla scorta della direttiva, ha indicato due possibili modalità di rimborso (in moneta legale ovvero mediante accredito su conto corrente) ma senza specificare, come avrebbe voluto la BCE, se l’ipotesi di accredito su conto fosse subordinata al consenso del cliente.
Il problema, apparentemente accademico, ha in realtà una notevole rilevanza pratica: poichè è immaginabile che molti IME operino prevalentemente su internet, e dunque senza avere sportelli ove corrispondere moneta fisica, prevedere che i clienti possano pretendere il rimborso in biglietti di banca avrebbe comportato enormi difficoltà organizzative, favorendo di fatto le banche. Riteniamo dunque corretto l’approccio del legislatore, che, riteniamo, lascia di fatto alle condizioni contrattuali stabilire le modalità di rimborso.
     Gli articoli della direttiva dedicati alla vigilanza sugli IME non sono stati recepiti se non in minima parte, lasciando dunque alla Banca d’Italia il compito di dettare la normativa regolamentare di dettaglio.
     L’impostazione generale della direttiva (che sarà presumibilmente seguita nel dettaglio dall’Autorità di vigilanza) è quella di prevedere un regime sostanzialmente no risk per i nascenti IME, sia in tema di composizione del capitale, che di investimenti.
     Piuttosto, dove si verifica una notevole discrasia tra quanto previsto dalla direttiva e quanto recepito dal legislatore italiano è in tema di vigilanza ispettiva. Infatti, la direttiva, nel disciplinare (art. 6) i poteri della Vigilanza sugli IME, conteneva un inciso (sulla scorta di dati forniti dagli istituti di moneta elettronica) che faceva supporre che le ispezioni non potessero essere dirette, ma basate esclusivamente su di un flusso informativo fornito dagli stessi IME. A conferma della nostra impressione che questa disposizione prefigurasse un regime di vigilanza ispettiva diverso da quello vigente per le banche, vi era l’insistenza della BCE nel chiedere di espungere dal testo della direttiva l’inciso in questione. Peraltro, il legislatore italiano (v. art. 114-quater del TULB) si è limitato a richiamare sic et simpliciter le norme in tema di vigilanza, risolvendo il problema sulla sostanziale scorta dell’impostazione propugnata dalla BCE.
     In generale, dunque, si configura una notevole discrasia tra l’impostazione data dal legislatore europeo, che ha configurato per gli IME un regime di vigilanza nettamente separato da quello delle banche, e di struttura più agile ma anche più rigida (poche regole, estremamente dettagliate, e notevole autonomia per il resto, come si evince anche dalla disposizione dell’art. 7, 2° co. della direttiva sui controlli interni) ed il regime voluto dalla BCE, e sostanzialmente recepito dal legislatore italiano, nel quale IME e banche sono sottoposti a regole di vigilanza sostanzialmente analoghe; ed in questa prospettiva rischia di svuotarsi di significato la stessa possibilità per la Banca d’Italia di emanare disposizioni volte a favorire lo sviluppo della moneta elettronica (art. 114 quater, 3° co., TULB). Anche se, ed è bene evidenziarlo, l’art. 114 quater richiama la norma sulla gestione dei sistemi di pagamento (art. 146) ma nel contempo ne estende la portata, se non altro ove prevede che, oltre ad assicurare la stabilità della moneta elettronica, l’Autorità di vigilanza debba favorirne lo sviluppo (14).
     Infine, l’art. 8 della direttiva, che riguarda le deroghe all’applicazione della normativa di vigilanza per l’emissione di moneta elettronica in ambiti particolarmente limitati, è stato puntualmente recepito nell’art. 115 quinquies del TULB. Di notevole vi è il fatto dell’esclusione dalla normativa della moneta elettronica accettata da un numero limitato di imprese (limited purpose smart cards), a conferma del fatto che interesse del legislatore è quello di regolamentare i soli mezzi di pagamento a spendibilità veramente generalizzata. Rimane da vedere se la Vigilanza deciderà di specificare con puntuale riferimento numerico cosa debba intendersi per “numero limitato di imprese”.
     In conclusione, occorrerà verificare se la nuova forma di pagamento, concepita nel momento massimo di euforia della new economy, potrà affermarsi nel presente momento, nel quale il commercio elettronico, su cui tante speranze di sviluppo si erano appuntate, vive una fase di profondo travaglio (15).

 

 

NOTE

     (1) Cass. 3 aprile 1998, n. 3427; Cass.24 giugno 97 n. 5638; Cass. 1 agosto 1990 n. 7688; Trib. Milano, 5 ottobre 1989, in Giust. Civ., 1990, I, 496; Trib. Catania, 30 luglio 1987, in Banca, Borsa e Tit. Cred., 1989, II, p. 193; Cass. 3 luglio 1980, n. 4205.

     (2) Regola, è bene notare, che in alcuni casi costituisce un vero e proprio obbligo: v. art. 1 della legge 5 luglio 1991, n. 197.

     (3) Cass. SS.UU. 28 dicembre 1990, n. 12210, la quale ha affermato che il pagamento a mezzo bonifico dei canoni di locazione è dovuto a mera tolleranza del creditore.

     (4) Cfr. in particolare FARENGA, La moneta bancaria, Milano, 1997, e SCIARRONE ALIBRANDI, L’interposizione della banca nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, Milano, 1997.

     (5) Non è inutile ricordare, in proposito, che il 5° co. dell’art. 11 del TULB (nella formulazione inserita dal d. lgs. 23 luglio 1996, n. 415) fa rientrare tra le attività riservate «l’emissione o la gestione di mezzi di pagamento a spendibilità generalizzata».

     (6) Vedi il sito: www.proton.be/BKScomwt/fr/index.htm.

     (7) Ci sono molti altri sistemi di moneta elettronica, ognuno con una propria caratteristica specifica: ad esempio, eGold (www.egold.com), che esprime il credito in oro. Basti pensare che sulla directory di “Yahoo!” dedicata alla moneta elettronica (dir.yahoo.com/Business_and_Economy/Business_to_Business/Financial_Services/Transaction_Clearing/Digital_Money/) vi sono, al momento in cui si scrive, 31 siti elencati.

     (8) Rapporto al Consiglio dell’Istituto Monetario Europeo sulle carte prepagate, elaborato dal Gruppo di lavoro sui sistemi di pagamento nella UE nel Maggio 1994.

     (9) Disponibile all’URL http://www.ecb.int/pub/legal/op9856en.htm.

     (10) cfr. Art. 1, co.2, lett. h-bis del TULB.

     (11) Infatti, la direttiva 2000/28/CE ha ridefinito nel senso indicato l’ente creditizio, già definito dalla direttiva 2000/12/CE.

     (12) Altrimenti, evidentemente, l’emissione di moneta elettronica potrebbe configurarsi come erogazione di credito.

     (13) In GUCE n. C 101 del 12 aprile 1999.

     (14) Non è inutile ricordare, a questo proposito, che l’art. 146 del TULB è essenzialmente volto ad assicurare stabilità ed efficienza dei mezzi di pagamento: cfr. MANCINI, Vigilanza sui sistemi di pagamento, in AA.VV., La nuova legge bancaria, Milano, 1996, pag. 2156; cfr. anche PADOA SCHIOPPA, La moneta e il sistema dei pagamenti, Bologna, 1992, pag. 45.

     (15) Sulla direttiva v. l’ampio commento di V. TROIANO, Gli istituti di moneta elettronica, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, n. 53, Luglio 2001.

 

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