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settembre 2002

Giurisprudenza

CASSAZIONE PENALE, 3 giugno 2002, n. 21535 – Calabrese Presidente – Cicchetti Estensore – Kunz ric.
     Il reato di bancarotta fraudolenta può essere imputato a chi eserciti di fatto le funzioni di amministratore, pur non essendone formalmente investito, senza che occorra imputargli tale reato a titolo di concorso con l’amministratore di diritto.
    Per il reato di bancarotta documentale impropria non c’è una continuità normativa dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61.


     Svolgimento del processo.
– L’impugnata sentenza della corte d’appello di Firenze 22 marzo 2001 riduceva ad anni 3 e mesi 2 la pena inflitta all’imputato Kunz per i reati di fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione, documentale e preferenziale nonché‚ di bancarotta impropria (223, 219, secondo comma, n. 1, l. fall. in relazione all’art. 2621 cod. civ.).
     L’imputato, in qualità prima di amministratore unico e successivamente “di fatto” della società … s.r.l., dichiarata fallita il 10 giugno 1986, aveva dissimulato beni sociali, facendone apparire la vendita, e tenuto scritture contabili in modo da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari; aveva poi effettuato rimborsi a riduzione di crediti vantati da soci ed esposto nel bilancio approvato il 29 giugno 1984 – quando era amministratore unico – fatti non rispondenti al vero, mediante notevole riduzione del passivo.
     Il ricorrente allegava i seguenti motivi: 1) violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla bancarotta per distrazione, in relazione alla ritenuta “cogestione” tra amministratore di diritto e di fatto, senza inquadrare la fattispecie nell’ambito del concorso in reato proprio; 2) quanto alla bancarotta preferenziale allegava i medesimi vizi, sotto il profilo della valenza probatoria di un verbale di assemblea e, comunque, la prescrizione; 3) erronea applicazione di legge sostanziale, nella misura in cui il bilancio non era stato valutato facendo ricorso ai principi fissati dall’art. 2423 cod. civ. ma sulla base di un raffronto con una scrittura privata avente scopi del tutto diversi; mancava, inoltre, l’idoneità “ingannatoria” e l’elemento soggettivo del reato non era stato correlato alla conoscenza dello stato di insolvenza; 4) violazione art. 62 bis cod. pen. e correlativo vizio di motivazione, in rapporto al diniego delle generiche per una presunta recidiva. Chiedeva l’annullamento dell’impugnata sentenza.
     Il primo motivo di ricorso deve essere rigettato siccome infondato.
     Invero quando l’art. 223 l. fall. indica i soggetti che possono commettere bancarotta fraudolenta, in caso di fallimento di società di capitali, si riferisce non all’aspetto formale di investitura alla “qualifica” di amministratore (o direttore generale, sindaco ecc.) bensì alle mansioni concrete inerenti a tale qualifica, poiché‚ la ratio della legge deriva dall’obbligo di lealtà e correttezza nell’espletamento di quelle mansioni, sicché‚ sarebbe irrazionale – in relazione all’interesse tutelato – escludere da quell’obbligo chi eserciti di fatto le funzioni di amministratore, nella piena connivenza degli organi societari, pur senza esserne formalmente investito.
     Ne consegue che non necessariamente si pone un problema di concorso in reato proprio.
     Nella specie la sentenza – con una motivazione congrua che sfugge al controllo di legittimità – deduce la responsabilità dell’accertamento fattuale di una “cogestione” dell’imputato, indipendentemente dalla permanenza nel tempo dell’investitura quale amministratore legale.
     Il reato di bancarotta preferenziale è prescritto, in relazione alla misura della pena ed alla data della dichiarazione di fallimento, cui occorre riferirsi per la fissazione della consumazione, risalente al 10 giugno 1986.
     Non è applicabile l’art. 129, secondo comma cod. proc. pen. poiché‚ non risulta evidente – senza un approfondimento di merito precluso in questa sede – che dal verbale di assemblea non possa dedursi l’avvenuto pagamento a favore dei soci.
     Quanto alla bancarotta documentale impropria (art. 223, secondo comma, n. 1 l. fall.), l’entrata in vigore – il 16 aprile 2002 – del D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61 pone la questione in ordine all’attuale configurabilità del reato.
     L’art. 4 di tale decreto legislativo, nel riformulare le norme sui reati fallimentari che richiamano quelli societari, introduce una fondamentale novità nella previsione del nesso causale tra commissione dei «fatti previsti dagli articoli 2621, 2622 …del codice civile» e dissesto della società, modificando il n. 1 del secondo comma, art. 223 l. fall.
     Alla precedente formulazione («1. Hanno commesso alcuni dei fatti preveduti dagli artt. 2621, 2622, 2623, 2628, 2630 comma 1 cod. civ.») sostituisce, infatti, la nuova («1. Hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto delle società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633, 2634 del cod. civ.»).
     Limitandoci a considerare il reato oggetto del presente procedimento (senza occuparci della sostanziale previsione di nuove ipotesi di bancarotta impropria e, viceversa, l’esclusione di quelle attinenti alla violazione degli artt. 2623 e 2630 cod. civ.), appare evidente che non può bastare la commissione di un falso in bilancio (o di altri reati societari) in connessione semplicemente temporale con una sentenza dichiarativa del «fallimento della società», ma il reato societario viene assunto come condotta volta a provocare «il dissesto della società» come evento sostanziale.
     Sotto altro profilo, la stessa riformulazione dei reati di «false comunicazioni sociali» in genere (art. 2621 cod. civ.) e di «false comunicazioni sociali in danno dei soci e dei creditori» (art. 2622 cod. civ.), si risolvono indirettamente in differenze anche nell’ambito della «bancarotta impropria».
     Le due ipotesi di reato contengono altri elementi qualificanti il fatto materiale non rispondente al vero.
     Non solo viene aggiunta l’omissione di informazioni la cui comunicazione è specificamente imposta dalla legge, ma – in linea generale – viene esplicitata l’idoneità della falsità o dell’omissione «ad indurre in errore i destinatari» circa la situazione economica della società o del gruppo.
     La differenza essenziale tra le due nuove ipotesi criminose è costituita dal fatto che l’art. 2621 cod. civ. prevede una contravvenzione (arresto fino ad 1 anno e 6 mesi) di pura condotta, mentre l’art. 2622 cod. civ. assurge a delitto di evento, per il danno patrimoniale che la condotta deve cagionare a soci o creditori, ma diviene punibile a querela della persona offesa (salvo il caso in cui sia commesso ai danni di Stato, enti pubblici o Comunità europea).
     Per entrambi i reati sono previste, tuttavia, cause di non punibilità.
    Anche l’elemento psicologico subisce una precisazione sotto il profilo dell’intenzionalità dell’inganno e del fine di conseguire l’ingiusto profitto, sì da atteggiarsi chiaramente a dolo specifico, anche nell’ipotesi contravvenzionale.
     Ora, considerando i riflessi della nuova normativa sul fatto contestato al capo c) con riferimento all’art. 223, secondo comma, n. 1 l. fall., la “fraudolenza” prevista nel reato societario ex art. 2621 cod. civ. vecchia formulazione stava ad indicare condotta diretta ad ingannare gli altri sicché‚ il dolo doveva comprendere – secondo la giurisprudenza più rigorosa – non solo la volontà di determinare un errore dei soci e dei terzi in ordine all’effettiva situazione patrimoniale della società, ma anche il proposito di procurare un ingiusto profitto a sé‚ o ad altri.
     Ne consegue che la continuità ed omogeneità, in linea di massima, tra vecchia e nuova normativa sul reato di false comunicazioni sociali (art. 2621 cod. civ. anche nella nuova formulazione) consente di ritenere la successione di leggi penali piuttosto che l’abrogazione di legge.
     Con riferimento alla fattispecie di bancarotta impropria, invece, deve escludersi che il fatto contestato al ricorrente sia sussumibile sotto l’attuale ipotesi criminosa prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 1 l. fall. modificato con l’esplicita previsione del nesso causale tra false comunicazioni e stato di decozione.
     Nell’imputazione sub c), infatti, manca ogni accenno ad un simile rapporto, poiché‚ il fallimento viene riguardato solo come elemento di concomitanza temporale.
     Il fatto contestato oggi non è previsto dalla legge come reato di bancarotta impropria.
     Del resto una derubricazione nella contravvenzione ex attuale art. 2621 cod. civ. sarebbe impossibile, per la eccessiva genericità dell’imputazione sub C), ed inutile per l’evidente superamento dei limiti temporali della prescrizione per ipotesi contravvenzionale consumata nel 1984.
     Dichiarata la prescrizione del reato di bancarotta preferenziale ed eliminato, perché‚ non previsto come reato il fatto di bancarotta impropria contestato, occorre eliminare l’aumento di pena per la continuazione (mesi due di reclusione).
     L’ultimo motivo, attinente alle generiche, costituisce censura di merito perché‚ da un canto procede ad erronea lettura della motivazione (con riferimento al “precedente specifico”, da non intendersi necessariamente come recidiva) e dall’altro canto indica nuovi elementi fattuali ritenuti rilevanti, ma implicitamente superati in sentenza nella motivata valutazione globale della personalità dell’imputato.
(Omissis)

  

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