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settembre 2002

Giurisprudenza

CASSAZIONE PENALE, 21 maggio 2002, n. 6921 – Foscarini Presidente – Providenti Estensore – Fabbri ric.
     Dal raffronto tra le norme contenute negli artt. 2621, 2622, 2623 e 2624 cod. civ., prima e dopo la riforma entrata in vigore col decreto 61/2002, emerge che le differenze non sono strutturali, ma riguardano modalità parzialmente diverse di difesa dello stesso interesse tutelato, riflettendo politiche criminali diverse, con la conseguenza che c’è continuità fra le due fattispecie.


     Svolgimento del processo.
– Con sentenza del 24 aprile 2001 la Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Genova, assolveva Fabbri A. o dall’imputazione per il reato di cui all’art. 4 della legge n. 516/82, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e disponeva l’eliminazione della relativa pena fissata in mesi due inflitti per continuazione; confermava la condanna di Fabbri E. per aver emesso, quale amministratore della Ge.Sa. s.r.l., la fattura n. 434 del 31 dicembre 1993, al fine di consentire all’AGE autoveicoli Genova di evadere l’IVA, per l’imponibile di 375.000.000 relativa ad operazioni inesistenti. Confermava la condanna di Fabbri A. e Fabbri E. per il reato di falso in bilancio, per aver, annotando la falsa fattura, indicato nel bilancio 31 dicembre 1993, una perdita di lire 161.000.000, inferiore a quella effettiva di lire 375.000.000.
     Proponevano ricorso i due imputati, censurando la sentenza impugnata, per omessa e contraddittoria motivazione sull’esistenza dei presupposti dei reati contestati ed in particolare di quello di falso in bilancio. Nei due ricorsi al primo motivo sono state riproposte le censure in fatto già definite dalla Corte d’appello. Hanno contestato, i ricorrenti, la decisione di merito in ordine alla natura della fattura, ed alla sua annotazione, sostenendo che si trattava di acconto per una prestazione futura.
     La Corte d’appello sul punto ha deciso, dando conto, con ampia motivazione della disamina delle prove acquisite, della loro validità ed efficacia in ordine ad un giudizio nel merito logico, coerente e preclusivo di altre interpretazioni.
     Le argomentazioni proposte dal ricorrente, esulano dal giudizio di legittimità perché comportano un inammissibile riesame di merito delle risultanze processuali, nel caso totalmente precluso per aver la Corte di secondo grado correttamente motivato. Ne deriva la conferma della responsabilità di Fabbri E. in ordine al reato di cui al capo a), dato che il D.Lgs. emesso il 3 febbraio 2000, all’art. 8 ha mantenuto il reato per emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. È di tutta evidenza, infatti, che l’emissione della fattura è stata effettuata al duplice fine di consentire l’evasione dell’IVA alla società AGE e di prospettare nel bilancio della GE.SA. una situazione debitoria meno grave di quella reale. L’AGE ha realizzato un risparmio nel pagamento IVA del dicembre 1993 di 71.000.000, e la Ge.Sa. ha esposto una perdita di lire 161.000.000, inferiore a quella reale ammontante a lire 375.000.000.
     I dubbi sul dolo proposti dal ricorrente, appaiono del tutto infondati dato che i due Fabbri disponevano totalmente delle due società, e quindi avevano piena coscienza dell’importanza dell’atto doppiamente favorevole, emesso da Fabbri E.
     Il ricorso di Fabbri E. in ordine al capo a) della rubrica va pertanto rigettato.
     Passando all’esame dei ricorsi relativi al capo b) deve osservarsi che con D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, all’art. 1 è stata modificata la disciplina prevista dall’art. 2621 cod. civ. La nuova disciplina si articola in varie fattispecie previste nella nuova formulazione degli artt. 2621, 2622, 2623 e 2624 cod. civ.
     Il nuovo art. 2621 cod. civ. prevede il reato per le false comunicazioni sociali poste in essere dagli amministratori, dai direttori generali, sindaci e liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico ed al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale, o finanziaria della società o del gruppo a cui essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari della predetta situazione. Il reato consiste in una contravvenzione punita con l’arresto fino ad un anno e sei mesi. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardano beni posseduti od amministrati dalla società per conto di terzi. La punibilità è invece esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene.
     La punibilità è comunque esclusa se la falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1%.
     Il reato previsto dall’art. 2621 cod. civ., così delineato si distingue per esclusione da quello di cui all’art. 2622 cod. civ. relativo alle false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori. Nel primo infatti sono punite le false comunicazioni dirette ai soci o al pubblico, nel secondo quelle che creano un danno ai soci o ai creditori. L’art. 2621 cod. civ. prevede quindi un reato “di pericolo”, che tutela le regolarità dei bilanci e delle altre comunicazioni sociali, come interesse della generalità; l’art. 2622 cod. civ. un reato di “danno” a tutela degli interessi dei soci e dei creditori. I nuovi reati previsti dagli artt. 2623 e 2624 cod. civ., sono anche loro “di pericolo”, anche se per entrambi il verificarsi del “danno” costituisce una ipotesi aggravata, ma si riferiscono, rispettivamente alle società quotate in borsa ed alle società di revisione.
     Così precisata la nuova disciplina dell’art. 2621 cod. civ., va verificato se essa può essere applicata al reato contestato in questo procedimento sotto la vigenza della precedente formulazione dell’art. 2621 cod. civ.
     Secondo quanto chiarito da questa Corte di legittimità (v. Cass. Sez. U. 20 giugno 1990, n. 10893), deve verificarsi se gli elementi costitutivi del reato descritto nel nuovo articolo siano stati contenuti in forma esplicita ed implicita pure nelle norme abrogate e siano anche stati indicati chiaramente nell’imputazione contestata. Dall’esito dell’indicata indagine può dedursi se la modifica legislativa non abbia comportato l’abolizione generalizzata delle anteriori fattispecie criminose, ma soltanto la successione di una nuova norma incriminatrice che ha escluso la rilevanza penale di alcune ipotesi già punite come reato, conservato tale rilevanza rispetto ad altre ed anche ampliato sotto qualche aspetto le precedenti previsioni incriminatrici.
     Nel caso in esame la nuova legge ha determinato non già la soppressione del reato bensì una rilevante modifica dello stesso. Infatti la norma preesistente e quella sopravvenuta, tutelano l’identico interesse alla veridicità delle scritture sociali ed in particolare dei bilanci, come bene essenziale per la correttezza dei rapporti all’interno della società e di essa nei confronti dei terzi. Entrambe le formulazioni dell’art. 2621 cod. civ., la precedente e l’attuale, indicano nella veridicità delle comunicazioni sociali un bene tutelato, e condannano la prima la «fraudolenta esposizione non veritiera» e la seconda, l’esposizione non veritiera fatta con «l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico». Salva la lieve distinzione, in ordine all’elemento soggettivo del reato, entrambe le formulazioni affermano la tutela generalizzata dell’interesse alla veridicità delle comunicazioni sociali. Quindi il primo elemento di comparazione, relativo all’interesse tutelato, consente di ritenere le modifiche non estranee, anzi coerenti con la precedente formulazione.
     Il secondo elemento di comparazione riguarda i soggetti agenti, praticamente identici in entrambe le fattispecie, con la sola esclusione nella nuova formulazione dei soci promotori. Le parti offese, non sono indicate nella vecchia norma, ma sono facilmente riconoscibili nella generalità dei cittadini, trattandosi di un reato di pericolo; indicate invece nella nuova norma nei soci e nel pubblico. Le due indicazioni sono praticamente conformi.
     Per quanto riguarda l’elemento soggettivo del reato, l’art. 2621 previgente prevedeva il dolo specifico, consistente nella volontà di trarre in inganno, ossia di determinare un errore nei soci o nei terzi, in ordine all’effettiva situazione patrimoniale della società, accompagnata dal proposito di conseguire attraverso l’inganno un ingiusto profitto per sé o per altri (v. Cass. Sez. 5° 25 febbraio 2000, n. 4128). Nella nuova versione il dolo previsto dal reato di cui all’art. 2621, è intenzionale, cioè rafforzato in ordine al fine di ingannare i soci o il pubblico e di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto. Il primo testo è caratterizzato dall’espressione «fraudolentemente», il secondo dalla «intenzione di ingannare i soci o il pubblico al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto», e cioè una dizione più puntuale e specifica rispetto al vecchio testo.
     Le differenze fra le due fattispecie riguardano soprattutto la sanzione e la punibilità. Il nuovo testo prevede la sanzione dell’arresto classificando così il reato come “contravvenzione”, mentre in precedenza era un “delitto” punito con una severa pena restrittiva. Nel nuovo testo sono previste ai commi due, tre e quattro altrettanti casi di esclusione della punibilità estranei alla vecchia fattispecie.
     In conclusione è evidente una scelta di politica criminale ben precisa che tende a specificare e distinguere in varie ipotesi il contenuto del reato, ritenendo in alcuni casi rilevante penalmente la semplice pericolosità delle false comunicazioni sociali, ed in altri, richiedendo l’esistenza di un danno effettivamente cagionato a soci e creditori, ed escludendo nelle ipotesi di minor rilievo la punibilità. La scelta attiene in parte ad un dato sociologico che riguarda l’evoluzione delle strutture societarie, verso nuove forme di aggregazione anche a carattere sopranazionale tali da rendere più efficiente il controllo effettuato dal mercato rispetto a quello penale. A ciò deve aggiungersi la scelta effettuata dal legislatore di affievolire il controllo penale della correttezza degli amministratori delle società, attenuando le sanzioni ed escludendo la responsabilità nei casi di minore gravità.
     Le differenze fra le due fattispecie (la vecchia e la nuova), non sono strutturali, ma attengono a modalità parzialmente diverse di difesa dello stesso interesse tutelato, che derivano da politiche criminali diverse, ed in parte frutto dell’evoluzione nel tempo degli istituti giuridici. Riguardano infatti, le soglie di punibilità, l’intensità della pena e vari elementi circostanziali del reato.
     Vi è quindi continuità fra le due fattispecie, con la conseguenza che va applicata quella più favorevole al reo, che sicuramente è quella prevista dal nuovo decreto legislativo. Va però verificato se la concreta contestazione in fatto indicata nell’imputazione può integrare la nuova formulazione del reato (v. Cass. Sez. Un. 25 ottobre 2000, n. 27).
     Dalla lettura dell’imputazione si evince che gli imputati hanno intenzionalmente indicato a ricavi di esercizio la fattura emessa per operazioni inesistenti, manifestando così una perdita inferiore a quella reale, che incide in misura notevole, certamente superiore al limite di non punibilità, nel dare ai soci ed al pubblico informazioni false sullo stato economico della società.
     Ne deriva che a Fabbri A. e Fabbri E. va applicata la norma contenuta del primo comma dell’art. 2621 cod. civ. Deve però osservarsi che trattandosi di una contravvenzione ed essendosi verificato il fatto nel 1994, è interamente trascorso il tempo previsto dalla legge per la prescrizione del reato. Pertanto va disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo b), qualificato come violazione dell’art. 2621 comma 1 cod. civ., così come previsto dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, perché estinto il reato per prescrizione.
     L’indicato annullamento rende impossibile allo stato quantificare la pena residua da applicare a Fabbri E. per il reato di cui al capo a), poiché nelle fasi di merito la pena è stata determinata, considerando reato più grave il falso in bilancio ed attribuendo la continuazione per l’altro reato. Deve pertanto disporsi il rinvio alla Corte d’Appello di Genova al solo fine di determinare la pena da applicare a Fabbri E. per il reato di cui al capo a).
(Omissis)

  

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