dircomm.it

settembre 2002

Giurisprudenza

CORTE GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE, 25 giugno 2002, causa C-66/00 – Rodríguez Iglesias Presidente – Edward Estensore – Consorzio Formaggio Parmigiano Reggiano c. Bigi
     Il regime derogatorio istituito dal regolamento CEE 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, non vale per i prodotti originari dello Stato membro che ha ottenuto la registrazione della denominazione di origine protetta, con conseguente illegittimità della immissione in commercio di prodotti non conformi ai relativi disciplinari.

 


Sentenza

     1.
     Con ordinanza 21 febbraio 2000, pervenuta alla Corte il successivo 28 febbraio, il Tribunale di Parma ha proposto, ai sensi dell’art. 234 CE, sette questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione dell’art. 13 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 marzo 1997, n. 535 (in prosieguo: il «regolamento n. 2081/92»).

     2.
     Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di un procedimento penale promosso a carico del sig. Bigi, su denuncia del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano (in prosieguo: il «Consorzio»), per violazione della normativa italiana concernente la frode nell’esercizio del commercio, la vendita di prodotti con marchi o segni mendaci nonché l’uso di denominazioni d’origine protetta (in prosieguo: le «DOP»).

Contesto normativo

     3.
     Il regolamento n. 2081/92 istituisce una protezione comunitaria delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli ed alimentari.

     4.
     Ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento n. 2081/92:
     «Le denominazioni divenute generiche non possono essere registrate.
     Ai fini del presente regolamento, si intende per denominazione divenuta generica il nome di un prodotto agricolo o alimentare che, pur collegato col nome del luogo o della regione in cui il prodotto agricolo o alimentare è stato inizialmente ottenuto o commercializzato, è divenuto, nel linguaggio corrente, il nome comune di un prodotto agricolo o alimentare».

     5.
     L’art. 4, n. 1, di questo stesso regolamento prevede che, «[p]er beneficiare di una denominazione d’origine protetta (DOP) o di un’indicazione geografica protetta (IGP), i prodotti devono essere conformi ad un disciplinare». Il n. 2 del medesimo articolo elenca gli elementi che il disciplinare deve imprescindibilmente contenere.

     6.
     All’art. 13, nn. 1 e 2, il regolamento n. 2081/92 così dispone:
     «1. Le denominazioni registrate sono tutelate contro:
     a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l’uso di tale denominazione consenta di sfruttare indebitamente la reputazione della denominazione protetta;
     b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali genere, tipo, metodo, alla maniera, imitazione o simili;
     c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati nonché l’impiego, per la confezione, di recipienti che possono indurre in errore sull’origine;
     d) qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico sulla vera origine dei prodotti.
Se una denominazione registrata contiene la denominazione di un prodotto agricolo o alimentare che è considerata generica, l’uso di questa denominazione generica per il prodotto agricolo o alimentare appropriato non è contrario al primo comma, lettera a) o b).
     2. In deroga al paragrafo 1 lettere a) e b), gli Stati membri possono lasciare in vigore i sistemi nazionali che consentono l’impiego delle denominazioni registrate in virtù dell’articolo 17 per un periodo massimo di cinque anni a decorrere dalla data di pubblicazione della registrazione, sempreché:
     – i prodotti siano stati legalmente immessi in commercio con tali denominazioni da almeno cinque anni prima della data di pubblicazione del presente regolamento,
     – le imprese abbiano legalmente immesso in commercio i prodotti in questione utilizzando in modo continuativo le denominazioni durante il periodo di cui al primo trattino,
     – dalle etichette risulti chiaramente la vera origine dei prodotti.
     Questa deroga non può tuttavia condurre alla libera immissione in commercio dei prodotti nel territorio di uno Stato membro per il quale tali denominazioni erano vietate».

     7.
     Oltre alla normale procedura di registrazione di cui ai suoi artt. 5-7, il regolamento n. 2081/92 prevede pure una procedura transitoria semplificata, illustrata dall’art. 17, che permette di registrare le denominazioni d’origine già protette dal diritto nazionale.

     8.
     L’art. 17 del regolamento n. 2081/92 così dispone:
    «1. Entro un termine di sei mesi a decorrere dalla data dell’entrata in vigore del presente regolamento, gli Stati membri comunicano alla Commissione quali denominazioni, tra quelle giuridicamente protette o, negli Stati membri in cui non vige un sistema di protezione, sancite dall’uso, essi desiderano far registrare a norma del presente regolamento (...).
     2. La Commissione registra, secondo la procedura prevista all’articolo 15, le denominazioni di cui al paragrafo 1 conformi agli articoli 2 e 4. L’articolo 7 non si applica. Tuttavia non vengono registrate le denominazioni generiche.
     3. Gli Stati membri possono mantenere la protezione nazionale delle denominazioni comunicate in conformità del paragrafo 1 sino alla data in cui viene presa una decisione in merito alla registrazione».

     9.
     Nel contesto di questa procedura semplificata la Repubblica italiana ha comunicato alla Commissione di voler far registrare, fra le altre, la denominazione «Parmigiano Reggiano». La Commissione ha proceduto a tale registrazione includendo detta denominazione tra le DOP di cui all’allegato del regolamento (CE) della Commissione 12 giugno 1996, n. 1107, relativo alla registrazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine nel quadro della procedura di cui all’articolo 17 del regolamento n. 2081/92.

Causa principale

     10.
     L’impresa Nuova Castelli SpA (in prosieguo: la «Castelli»), di cui il sig. Bigi è il rappresentante legale, produce in Italia parecchi tipi di formaggio. Oltre ad un formaggio che rispetta il disciplinare della DOP «Parmigiano Reggiano», essa produce, già da molto tempo, un formaggio grattugiato, essiccato, pastorizzato e in polvere, preparato con una miscela di vari tipi di formaggi di diversa provenienza, che non rispetta il detto disciplinare e la cui vendita è perciò vietata in Italia. Questo secondo tipo di formaggio, venduto con un’etichetta che mette in evidenzail nome «parmesan», è commercializzato esclusivamente al di fuori dell’Italia, in particolare in Francia.

     11.
     L’11 novembre 1999 un quantitativo di questo secondo tipo di formaggio prodotto dalla Castelli, confezionato con la detta etichetta recante il nome «parmesan» e destinato all’esportazione in altri Stati membri, veniva sequestrato presso uno spedizioniere con sede in Parma. Il sequestro avveniva in seguito a denuncia del Consorzio, ente che raggruppa i produttori del formaggio recante la DOP «Parmigiano Reggiano», il quale si è costituito parte civile nel procedimento penale promosso a carico del sig. Bigi dinanzi al Tribunale di Parma.

     12.
     Al sig. Bigi vengono contestati i reati di frode nell’esercizio del commercio e di vendita di prodotti industriali con segni atti a indurre in inganno gli acquirenti, in quanto egli ha prodotto e commercializzato con tali modalità il detto formaggio. Al sig. Bigi viene contestato pure d’aver contravvenuto al divieto di usare denominazioni d’origine o tipiche riconosciute, alterandole oppure parzialmente modificandole con aggiunte, anche indirettamente, di termini rettificativi come «tipo», «uso», «gusto» o simili.

     13.
In sua difesa il sig. Bigi invoca il disposto dell’art. 13, n. 2, del regolamento n. 2081/92 e sostiene che la Repubblica italiana non ha il diritto di vietare ai produttori aventi sede in Italia la fabbricazione di un formaggio non conforme alla DOP «Parmigiano Reggiano», qualora tale formaggio sia destinato ad essere esportato e commercializzato in altri Stati membri.

Questioni pregiudiziali

     14.
     Nutrendo dubbi circa la corretta interpretazione del diritto comunitario applicabile in materia, il Tribunale di Parma ha deciso di sospendere il procedimento e di proporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
     «1) Se l’art. 13 par. 2 del regolamento [CEE] n. 2081/92 (come modificato dall’art. 1 del regolamento [CE] n. 535/97) debba essere interpretato nel senso che non occorre alcun provvedimento ufficiale, di carattere normativo od amministrativo, da parte dello Stato membro interessato, per consentire l’impiego sul suo territorio di denominazioni confondibili con quelle registrate ai sensi dell’art. 17 del regolamento [CEE] n. 2081/92.
     2) Se, pertanto, per consentire l’impiego delle denominazioni di cui sopra nel territorio dello Stato membro considerato sia sufficiente l’assenza di opposizione a tale impiego da parte dello Stato membro medesimo.
     3) Se l’assenza di opposizione da parte dello Stato membro nel cui territorio si verifica l’impiego della denominazione confondibile con quella registrata ai sensi dell’art. 17 del regolamento [CEE] n. 2081/92 legittimi l’utilizzo della predetta denominazione da parte di una impresa che abbia sede nelterritorio del Paese membro in cui la registrazione è avvenuta, qualora essa provveda ad utilizzare la denominazione confondibile unicamente per prodotti destinati ad essere venduti al di fuori del Paese di registrazione e soltanto all’interno del territorio dello Stato membro che non si è opposto all’impiego della denominazione medesima.
     4) Se il termine di cinque anni di cui all’art. 13 par. 2 del regolamento [CEE] n. 2081/92, per l’impiego riferito ad un prodotto la cui denominazione sia stata registrata il 12.06.1996 (cfr. regolamento [CE] n. 1107/96, citato), scada il 12.06.2001.
     5) Se, pertanto, un’impresa con sede in un Paese membro su richiesta del quale sia stata registrata una denominazione di origine protetta (DOP) in base all’art. 17 del regolamento [CEE] n. 2081/92, che abbia utilizzato una denominazione confondibile con quella registrata senza interruzione nei cinque anni precedenti l’entrata in vigore del predetto regolamento [CEE] n. 2081/92 (24 luglio 1993), abbia diritto di utilizzare la medesima denominazione per contraddistinguere prodotti unicamente destinati ad essere venduti al di fuori dello Stato membro di registrazione, e soltanto nel territorio di uno Stato membro che non abbia fatto opposizione all’impiego di tale denominazione nel predetto territorio.
     6) In caso di risposta affermativa al quesito di cui sopra al punto 5, se l’impresa con sede nello Stato membro di registrazione della DOP possa legittimamente contraddistinguere i suoi prodotti utilizzando la denominazione confondibile con quella registrata fino alla scadenza del quinto anno successivo alla data di registrazione della denominazione protetta (12.06.1996) vale a dire, quindi, fino al 12.06.2001.
     7) Se alla scadenza della data sopra indicata al punto 6) (12.06.2001) debba considerarsi vietato l’impiego di ogni denominazione confondibile con quella registrata in tutti gli Stati membri, da parte di qualsiasi operatore che non sia espressamente legittimato all’utilizzo della denominazione registrata ai sensi del regolamento [CEE] n. 2081/92 più volte citato».

Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

     15.
     Il governo tedesco sostiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile, poiché la risposta alle questioni proposte non sarebbe necessaria ai fini della decisione della causa principale. La denominazione «parmesan» utilizzata dal sig. Bigi costituirebbe, infatti, una denominazione generica e non una DOP ai sensi del regolamento n. 2081/92.

     16.
     La denominazione «parmesan» sarebbe generica in quanto divenuta ormai, in generale, una denominazione designante da sola formaggio grattugiato o dagrattugiare. «Parmesan» sarebbe così «divenuto (...) il nome comune di un prodotto (...) alimentare» ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento n. 2081/92. Il governo tedesco si riferisce in particolare al paragrafo 35 delle conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nella causa C-317/95, Canadane Cheese Trading e Kouri (ordinanza 8 agosto 1997), concernente il carattere generico della denominazione «formaggio parmigiano».

     17.
     Ora, detto governo osserva che, poiché è stata registrata unicamente la denominazione «Parmigiano Reggiano», la protezione comunitaria si limita ad essa e concerne soltanto l’esatta formulazione della denominazione registrata. Il governo tedesco aggiunge che, ai sensi della giurisprudenza della Corte, la protezione di una denominazione composta si estende anche ad ogni elemento di questa solo purché non si tratti di un nome generico o comune (sentenza 9 giugno 1998, cause riunite C-129/97 e C-130/97, Chiciak e Fol, punto 37).

     18.
     Si deve ricordare al riguardo che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della collaborazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’art. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che propone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull’interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v., in particolare, sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, punto 59).

     19.
     Tuttavia, la Corte ha anche affermato che, in ipotesi eccezionali, le spetta esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza. La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale oppure qualora il problema sia di natura ipotetica oppure anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenza 22 gennaio 2002, causa C-390/99, Canal Satélite Digital, punto 19).

     20.
     Nel caso di specie, però, è tutt’altro che evidente che la denominazione «parmesan» sia divenuta generica. Infatti, tranne il governo tedesco e, in certo qualmodo, quello austriaco, tutti i governi che hanno presentato osservazioni nel presente procedimento nonché la Commissione hanno fatto valere che la denominazione francese «parmesan» costituisce la traduzione fedele della DOP «Parmigiano Reggiano».

     21.
     Alla luce di ciò, non può sostenersi che risulti manifestamente che le questioni sottoposte dal giudice del rinvio integrano una delle ipotesi considerate dallagiurisprudenza citata al precedente punto 19. Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Sulle questioni pregiudiziali

     22.
     Le questioni pregiudiziali vertono su taluni aspetti del regime derogatorio istituito dall’art. 13, n. 2, del regolamento n. 2081/92.

     23.
     Siccome i prodotti di cui è questione nella causa principale provengono dallo Stato membro che ha ottenuto la registrazione della DOP (in prosieguo: lo «Stato della DOP») – DOP alla quale essi non sono conformi e la cui protezione ai sensi dell’art. 13, n. 1, primo comma, lett. a) e b), del regolamento n. 2081/92 è oggetto del contendere –, occorre per prima cosa esaminare se detto regime derogatorio possa trovare applicazione con riferimento ai suddetti prodotti.

     24.
     Si deve determinare, dunque, l’ambito di applicazione di questo regime derogatorio. A tal fine occorre tener conto non solo della lettera dell’art. 13, n. 2, del regolamento n. 2081/92, ma pure del suo scopo nel contesto generale del detto regolamento.

     25.
     Secondo la sua formulazione letterale, l’art. 13, n. 2, del regolamento n. 2081/92 prevede un regime derogatorio la cui attuazione dipende dalla volontà dello Stato membro interessato di mantenere, sul proprio territorio e per un periodo di tempo circoscritto, il suo precedente sistema nazionale, e postula il soddisfacimento di alcune condizioni, e cioè – in sostanza – che l’impresa che desideri avvalersi del detto regime derogatorio abbia legalmente immesso in commercio i prodotti in questione utilizzando per un dato periodo di tempo la denominazione intanto registrata e che dalle etichette di tali prodotti risulti chiaramente la loro vera origine.

     26.
     L’art. 13, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 2081/92 dispone, inoltre, che questa deroga non può condurre alla libera commercializzazione di tali prodotti nel territorio di uno Stato membro per il quale detta denominazione era vietata.

     27.
     Così l’art. 13, n. 2, attua uno degli scopi del regolamento n. 2081/92 cui appartiene, cioè quello di non eliminare con effetto immediato la possibilità di utilizzare denominazioni registrate ex art. 17 di tale regolamento per designare prodotti non corrispondenti al disciplinare della DOP di cui trattasi. Come indica, infatti, il terzo ’considerando del regolamento n. 535/97, il legislatore comunitario ha ritenuto necessario prevedere un periodo di adattamento al fine di evitare di arrecare pregiudizio ai produttori che utilizzano tali denominazioni da parecchio tempo.

     28.
     Tuttavia, come precisa proprio questo ’considerando, tale periodo transitorio deve applicarsi esclusivamente alle denominazioni registrate in virtù dell’art. 17 del detto regolamento, vale a dire alle denominazioni registrate, come nel caso oggetto dellacausa principale, secondo la procedura semplificata. Tale procedura presuppone, in particolare, che la denominazione di cui uno Stato membro chiede la registrazione sia giuridicamente protetta in detto Stato oppure sia sancita dall’uso negli Stati membri in cui non vige un sistema di protezione.

     29.
     In altri termini, la procedura semplificata presuppone che, nel momento in cui uno Stato membro richiede la registrazione di una denominazione come DOP, i prodotti non conformi al disciplinare corrispondente a tale denominazione non possano essere legalmente immessi in commercio nel suo territorio.

     30.
     Ciò premesso, occorre interpretare il regolamento n. 2081/92 nel senso che, una volta che una denominazione è stata registrata come DOP, il regime derogatorio che l’art. 13, n. 2, del regolamento n. 2081/92 prevede al fine di permettere, a certe condizioni ed entro certi limiti, di continuare ad utilizzare questa denominazione vale unicamente per i prodotti non originari dello Stato della DOP.

     31.
     Come ha osservato l’avvocato generale ai paragrafi 71-79 delle sue conclusioni, questa interpretazione dell’art. 13, n. 2, del regolamento n. 2081/92 è conforme alle finalità di protezione dei consumatori e di salvaguardia di una concorrenza leale enunciati dal sesto e dal settimo ’considerando del regolamento n. 2081/92.

     32.
     L’art. 13, n. 2, del regolamento n. 2081/92 dev’essere, dunque, interpretato nel senso che il regime derogatorio istituito da questa norma non vale per i prodotti originari dello Stato della DOP, la cui protezione ai sensi dell’art. 13, n. 1, primo comma, lett. a) e b), del regolamento n. 2081/92 è oggetto del contendere e al cui disciplinare tali prodotti non sono conformi.

     33.
     Di conseguenza, siccome il regime derogatorio previsto dall’art. 13, n. 2, del regolamento n. 2081/92 non vale per prodotti come quelli oggetto della causa principale, non occorre rispondere alle questioni proposte dal Tribunale di Parma.

     34.
     Ciò considerato, si deve rispondere al giudice del rinvio dichiarando che l’art. 13, n. 2, del regolamento n. 2081/92 dev’essere interpretato nel senso che il regime derogatorio istituito da questa norma non vale per i prodotti originari dello Stato della DOP, la cui protezione ai sensi dell’art. 13, n. 1, primo comma, lett. a) e b), del regolamento n. 2081/92 è oggetto del contendere e al cui disciplinare tali prodotti non sono conformi.

Sulle spese

     35.
Le spese sostenute dai governi italiano, tedesco, ellenico, francese, austriaco e portoghese, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE

pronunciandosi sulle questioni ad essa sottoposte dal Tribunale di Parma con ordinanza 21 febbraio 2000, dichiara:
     L’art. 13, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 marzo 1997, n. 535, dev’essere interpretato nel senso che il regime derogatorio istituito da questa norma non vale per i prodotti originari dello Stato membro che ha ottenuto la registrazione della denominazione di origine protetta, la cui protezione ai sensi dell’art. 13, n. 1, primo comma, lett. a) e b), del regolamento n. 2081/92, così modificato, è oggetto del contendere e al cui disciplinare tali prodotti non sono conformi.
(Omissis)

 

Top

Home Page