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settembre 2002

Giurisprudenza

APPELLO Roma, 4 maggio 2002 – Bernardi Presidente  – Cofano Estensore – Sfit s.p.a c. Sitav s.p.a
    È annullabile la delibera del Consiglio di Amministrazione di una società per azioni, con la quale venga aumentato il capitale sociale in misura superiore a quanto deliberato dall’assemblea straordinaria della società, a nulla rilevando che la stessa assemblea avesse delegato il Consiglio a successivi aumenti, senza però modificare esplicitamente l’atto costitutivo, determinando così una illegittima deliberazione implicita dell’assemblea.
     La delibera consiliare di aumento di capitale, pur connessa con la delibera assembleare da cui promana, costituisce atto autonomo, come tale impugnabile.


     Svolgimento del processo –
Con atto di citazione notificato il 10.7.1997 la S.p.A. Sfit conveniva in giudizio la S.p.A. Sitav – della quale era socia con una partecipazione pari al 28,1892% del capitale – dinnanzi al Tribunale di Roma, territorialmente competente a seguito del trasferimento della sede sociale deliberato il 16.5.1996, chiedendo che fosse dichiarata inesistente, nulla o inefficace o comunque venisse annullata, la delibera adottata in data 7.4.1997 – ed iscritta nel registro delle imprese il successivo 14 maggio – dal CdA della società partecipata che aveva aumentato il capitale sociale a £. 99.000.000.000 rispetto all’importo di £. 49.5000.000.000 al qual era stato dapprima portato con la delibera adottata dall’assemblea straordinaria tenutasi il 20.1.1996, che aveva altresì delegato l’organo amministrativo alla successiva operazione di aumento, nel termine di cinque anni decorrenti dall’1.9.1996. L’attrice, che segnalava di avere già impugnato il deliberato assembleare dinanzi al Tribunale di Aosta, all’epoca competente per territorio, assumeva in primo luogo che l’operazione era sta compiuta dagli amministratori in difetto di poteri loro legittimamente accordati, essendo stata violata nella specie la disposizione di cui all’art. 2443 II comma cod. civ., che subordina l’attribuzione della delega all’avvenuta, espressa modificazione dell’atto costitutivo, nella specie non intervenuta.
     Sotto altro profilo la delibera veniva impugnata in quanto l’aumento del capitale sarebbe stato effettuato dal CdA non in considerazione dell’interesse della società, ma al fine di perseguire l’interesse del socio di maggioranza – individuato nel “gruppo Lefebvre” – con pregiudizio di essa attrice, quale socia di minoranza.
     La convenuta si costituiva nel giudizio resistendo alla domanda
     Con sentenza in data 18 ottobre – 4 novembre 1999 il Tribunale respingeva la domanda, condannando la società attrice a rifondere, in favore della convenuta, le spese di lite.
In particolare il Giudice di primo grado, ravvisata la propria competenza e la diversità, quanto a petitum e causa pretendi, del giudizio in questione rispetto a quello pendente dinanzi al Tribunale di Aosta, riconosceva l’astratta legittimazione della S.p.A. Sfit ad impugnare la delibera consiliare in quanto lesiva, in thesi, di un diritto soggettivo del socio. Distingueva quindi tra il profilo concernente la dedotta violazione dell’art. 2443 cod. civ. e quello con il quale era stato dedotto il vizio di eccesso di potere o abuso di diritto, ritenendo tuttavia insussistenti tutti i vizi denunciati. Quanto alla dedotta violazione del socio in ultimo richiamata, il Collegiio rilevava il difetto di legittimazione del socio in quanto, trattandosi nella specie di un trasferimento all’organo amministrativo, da parte dell’assemblea, di una competenza propria di quest’ultima, il rimedio offerto dall’ordinamento era solo quello dell’impugnativa della decisione assembleare, costituente la prima fase del procedimento affetto dal vizio dedotto dall’attrice.
     Comunque nella specie la delibera adottata nel gennaio 1996 avrebbe configurato un “emendamento statutario immanente che integrava il contenuto di quanto deliberato”, piuttosto che costituire una implicita modifica dell’atto costitutivo e dello statuto della società.
     I vizi di eccesso di potere e di abuso del diritto non venivano invece ravvisati in quanto non vi erano elementi per ritenere che il programma di sviluppo predisposto dalla Sitav in data 19.12.1995 – in funzione del quale si era proceduto all’aumento di capitale – fosse di “mera facciata”, risultando al contrario che la società si era concretamente adoperata per la realizzazione di un cospicuo piano imprenditoriale.
     Avverso tale sentenza, notificata l’1.3.2000, la S.p.A. Sfit ha proposto appello con citazione notificata il 29.3.2000. L’appellata si è costituita chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
     All’udienza collegiale del 6.2.2002 le parti hanno precisato le rispettive conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione, previa concessione dei termini di cui agli artt. 190 e 352 cod. proc. civ. per il deposito delle memorie conclusionali e di quelle di replica.

     Motivi della decisione – L’appellante ha articolato due motivi di impugnazione.
     Con il primo ha dedotto che il procedimento finalizzato ad attribuire all’organo amministrativo la facoltà di aumentare il capitale sociale configura una fattispecie a formazione progressiva, inderogabile dalle parti, che trae la propria legittimità dal presupposto di una facoltà in proposito prevista nell’atto costitutivo o mediante un’espressa modificazione in tal senso dell’atto, seguito dal conferimento del relativo potere mediante una delibera assembleare, e, quindi, dall’esercizio di tale facoltà da parte dell’organo gestorio. In tale contesto, ed essendo pacifica nella specie la mancata modifica, da parte della assemblea straordinaria, dell’atto costitutivo, che tale potere non prevedeva, il Tribunale aveva errato in primo luogo nel negare la legittimazione del socio ad impugnare l’operazione sul capitale decisa dal CdA nell’aprile 1997, ritenendo che oggetto di impugnazione avrebbe potuto essere solo la delibera dell’assemblea che tali poteri aveva conferito. La decisione consiliare, secondo l’appellante, non solo aveva violato un diritto soggettivo del socio, come in linea generale era stato riconosciuto nella stessa pronunzia, ma doveva ritenersi invalida in quanto contraria sia alla legge (art. 2443 cod. civ.) che sia allo statuto, che tale facoltà non prevedeva nel testo originario e che non era stato espressamente modificato nel corso della assemblea tenutasi il 20.1.1996.
Altrettanto infondata doveva peraltro ritenersi anche la seconda argomentazione addotta dal primo Giudice a sostegno del pronunziato rigetto della domanda, consistente nella avvenuta attribuzione alla delibera assembleare di un effetto di “emendamento statutario immanente”, ritenuto diverso da una delibera implicita. In realtà la formula utilizzata dal Tribunale, di difficile comprensione, non riusciva ad eliminare l’unica considerazione possibile, vale a dire che in realtà si era trattato di una delibera implicita, unanimemente riconosciuta invalida da dottrina e giurisprudenza.
Sul punto l’appellata ha rilevato che, indipendentemente dalla legittimità di quanto deciso nel corso della assemblea straordinaria tenutasi il 20.1.1996, la legittimazione del socio impugnante doveva essere esclusa in quanto la Sfit S.p.A. aveva in quella sede manifestato, insieme con gli altri soci, la volontà di non modificare l’art. 2 dello Statuto in conseguenza della ritenuta superfluità di procedere a tale modificazione, sicché le era preclusa, a termini dell’art. 2378 cod. civ., l’impugnazione di una delibera consiliare che, come quella oggetto del la presente controversia, era meramente attuativa della volontà assembleare.
     La S.p.A. Sitav ha inoltre dedotto l’errore nel quale sarebbe incorso l’appellante nell’affermare la necessità che l’assemblea avesse provveduto ad approvare il “nuovo statuto” – che attribuiva agli amministratori il potere di procedere all’aumento di capitale – posto che l’art. 2436 cod. civ. prevede solo l’obbligo degli amministratori di procedere al deposito ed alla iscrizione del nuovo testo statuario, incombenti ai quali l’organo amministrativo aveva regolarmente adempiuto.
     Il motivo di gravame è fondato.
     Preliminarmente rileva la Corte come non possano essere condivisi i due argomenti sviluppati dalla parte appellata e dei quali si è fatto cenno.
     Da un lato infatti l’unico dato oggettivo che deve essere tenuto 0presente è che l’assemblea non aveva proceduto a modificare, il 20 gennaio 1996, l’atto costitutivo e lo statuto in punto di poteri degli amministratori, essendo del tutto irrilevante il motivo che aveva indotto anche il socio di minoranza Sfit S.p.A. ad adottare una tale decisione. Non può quindi ritenersi preclusa l’impugnazione di una delibera che si assume invalida proprio perché tale modifica non era stata introdotta nelle forme legislativamente previste.
     Dall’altro il richiamo all’art. 2436 cod. civ. non risulta conferente, posto che nella specie il difetto del potere degli amministratori non è stato dedotto in virtù della mancata approvazione, da parte dell’assemblea, del testo integrale dell’atto costitutivo e dello Statuto recanti le modifiche, ma in conseguenza dell’inesistenza di queste ultime.
     L’appellante ha d’altro canto giustamente censurato la distinzione ravvisata dal Tribunale tra “l’emendamento statutario immanente”, al quale l’assemblea sarebbe ricorsa delegando agli amministratori il futuro aumento di capitale, e la delibera implicita che, secondo la Sfit S.p.A., caratterizzerebbe invece la fattispecie. È infatti di tutta evidenza che, al di là della diversa terminologia che può essere più o meno correttamente utilizzata, l’elemento che contraddistingue la presente fattispecie è costituito dalla circostanza secondo la quale l’assemblea, alla quale compete in esclusiva, secondo i principi generali, il potere di procedere all’aumento del capitale sociale, aveva concesso la delega senza prima provvedere ad una esplicita modificazione dell’atto costitutivo. Sulla base di tali, incontroversi, dati di fatto, il thema decidendum sottoposto alla valutazione di questa Corte di merito è quindi l’esame: a) dell’esistenza della dedotta violazione dell’art. 2443 cod. civ.; b) delle conseguenze che dall’eventuale violazione derivano in ordine alla validità della delibera consiliare che nell’aprile 1997 aveva proceduto ad aumentare a £. 99.000.000.000 il capitale della S.p.A. Sitav.
     Le valutazioni addotte su tali questioni dal Tribunale, sotto entrambi i profili contrarie alla tesi dell’odierna appellante, sono state infatti oggetto di specifica censura da parte della Sfit S.p.A. sulla base di argomentazioni che il Collegio ritiene di condividere.
     L’art. 2443 cod. civ., come è noto, dopo aver previsto, nella prima parte, che “l’atto costitutivo può attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare in una o più volte il capitale sino ad un ammontare determinato”, prevede, nel comma successivo, che, in difetto di una originaria clausola di questo tenore contenuta nei patti originari, “tale facoltà può essere attribuita ... mediante modificazione dell’atto costitutivo”. La necessità che tale modifica venga introdotta attraverso una esplicita delibera, che emerge in modo in equivoco dal testo della norma, è stata d’altra parte affermata dalla giurisprudenza di merito in sede contenziosa (cfr. sent. Tribunale Verona 22.7.1993 in Le Società, 1994, pag. 350) e di volontaria giurisdizione (cfr. Appello Milano 23.7.1988 in Giurisprudenza Italiana 1998, I, 2, col. 617; Tribunale Vicenza 27.10.1989 in Le Società, 1990, pag. 508). Tale conclusione risulta peraltro condivisa dalla più autorevole dottrina, che non ha mancato di segnalare come nell’ipotesi di delega conferita in un momento successivo alla approvazione dell’atto costitutivo sia indispensabile il ricorso a due distinte delibere di modifica, aventi un contenuto diverso, in quanto la prima (assembleare) ha per oggetto l’introduzione del potere concesso agli amministratori in punto di aumento del capitale, e la seconda (consiliare) ha invece quale contenuto l’effettivo aumento del capitale, diverso e maggiore dall’importo sino a quel momento indicato nell’atto costitutivo.
In tale prospettiva, peraltro, non può essere condivisa neanche l’affermazione del Giudice di primo grado secondo la quale il socio sarebbe legittimamente ad impugnare solo la prima e non la seconda delibera, avente natura meramente attuativa della precedente.
     Da un lato infatti i due atti, sia pure tra loro connessi, risultano caratterizzati da un’evidente autonomia; dall’altro è palese che, in seguito all’effettivo aumento del capitale da parte degli amministratori, era sorto uno specifico interesse del socio all’impugnazione della relativa decisione consiliare, destinata a svolgere i propri effetti sulla misura della propria partecipazione al capitale sociale, non interessata dalla precedente delibera assembleare.
     Deve quindi ritenersi che l’aumento deliberato dagli amministratori della Sitav S.p.A. il 7.4.1999, ed iscritto il 14 maggio di quello stesso anno, sia stato adottato in assenza del relativo potere, non conferito all’organo gestorio nell’originario atto costitutivo e non attribuito agli amministratori, successivamente, con le forme previste dall’art. 2443 cod. civ. In questi termini la delibera va annullata ai sensi dell’art. 2377 cod. civ., in quanto assunta in violazione della normativa in materia di aumento del capitale.
     In seguito all’accoglimento del primo motivo di impugnazione risulta assorbito il secondo, con il quale l’appellante ha, nel merito, ribadito l’esistenza dei vizi di eccesso di potere ed abuso del diritto dei soci di maggioranza. (Omissis)

  

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