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settembre 2002

Studî e commenti

GIUSEPPE RODDI

La risoluzione del contratto di concessione di credito nella multiproprietà
a seguito di recesso dell’acquirente dal contratto di vendita

 

§. 1 – Premessa
     L’art. 8 del d.lgs. 9.11.1998 n. 427, che ha recepito la direttiva 94/47/CE sulla «tutela dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili» (pubblicato in G.U. n.291 del 14.12.1998), presenta cospicuo rilievo, non solo nell’ambito della multiproprietà, ove introduce una forte tutela sostanziale a difesa del consumatore che acquista l’immobile secondo questo particolare regime; ma – e, direi, soprattutto – per le conseguenze che potrebbero derivare da una sua eventuale estensione al settore creditizio, in particolare al credito al consumo. Il principio da esso posto della risoluzione del contratto di finanziamento (per il pagamento del bene acquisito) al verificarsi del recesso dal negozio di multiproprietà (il cui prezzo è stato, appunto, oggetto di sovvenzione totale o parziale) potrebbe, infatti, costituire una formidabile innovazione – per certi versi discutibile, ma comunque densa di conseguenze significative – nel contesto della contrattualistica dedicata ai finanziamenti al consumatore e del mondo bancario e finanziario in genere qualora fosse interpretato analogicamente in sede giurisprudenziale, o ripreso dalle parti nel contesto della loro disponibilità negoziale, ovvero ancora, venisse un domani impiegato dal legislatore anche in questo particolare ambito.
     Il dettato di questa norma prevede che «Il contratto di concessione di credito erogato dal venditore o da un terzo in base a un accordo tra questi e il venditore, sottoscritto dall’acquirente per il pagamento del prezzo o di una parte di esso, si risolve di diritto, senza il pagamento di alcuna penale, qualora l’acquirente abbia esercitato il diritto di recesso ai sensi dell’art.5».
     Da una prima lettura del disposto emergono, perlomeno, questi elementi:
     – il pagamento dell’intero, o di parte, del corrispettivo necessario per l’acquisto del bene in multiproprietà può essere finanziato;
     – a concedere il prestito può essere: a) lo stesso venditore, b) un terzo che sia legato al venditore: ad esempio, una banca, un intermediario finanziario, un altro soggetto.

§. 2 – Il diritto di recesso dell’acquirente nella multiproprietà
     Per comprendere la portata dell’art.8, occorre accennare all’art.5, sul diritto di recesso, che riporto per esteso (1):

     «1. Entro 10 gg. dalla conclusione del contratto (ovviamente di multiproprietà) l’acquirente può recedere dallo stesso senza indicare le ragioni del recesso. In tale caso l’acquirente non è tenuto a pagare alcuna penalità e deve rimborsare al venditore solo le spese sostenute e documentate per la conclusione del contratto e di cui è fatta menzione nello stesso, purché si tratti di spese relative ad atti da espletare tassativamente prima dello scadere del periodo di recesso.
     2. Se il contratto non contiene uno degli elementi di cui all’art.2 c.1 lett. a) (ossia: «il diritto oggetto del contratto, con specificazione della natura e delle condizioni di esercizio di tale diritto nello Stato in cui è situato l’immobile, se tali ultime condizioni sono soddisfatte o, in caso contrario, quali occorre soddisfare»), b) («l’identità e il domicilio del venditore, con specificazione della sua qualità giuridica, l’identità e il domicilio del proprietario», c) («se l’immobile è determinato: 1) la descrizione dell’immobile e la sua ubicazione; 2) gli estremi della concessione edilizia e delle leggi regionali che regolano l’uso dell’immobile con destinazione turistico-ricettiva e, per gli immobili situati all’estero, gli estremi degli atti che garantiscono la loro conformità alle prescrizioni vigenti in materia») d) n.1 («se l’immobile è in costruzione: 1 gli estremi della concessione edilizia e delle leggi regionali che regolano l’uso dell’immobile con destinazione turistico-ricettiva e, per gli immobili situati all’estero, gli estremi degli atti che garantiscono la loro conformità alle prescrizioni vigenti in materia, nonché lo stato di avanzamento dei lavori di costruzione dell’immobile e la data entro la quale è prevedibile il completamento degli stessi»), h) («il prezzo che l’acquirente dovrà versare per l’esercizio del diritto oggetto del contratto; la stima dell’importo delle spese, a carico dell’acquirente, per l’utilizzazione dei servizi e delle strutture comuni e la base di calcolo dell’importo degli oneri connessi all’occupazione dell’immobile da parte dell’acquirente, delle tasse e imposte, delle spese amministrative accessorie per la gestione, la manutenzione e la riparazione, nonché le eventuali spese di trascrizione del contratto»), i) («informazioni circa il diritto di recesso dal contratto con l’indicazione degli elementi identificativi della persona alla quale deve essere comunicato il recesso stesso, precisando le modalità della comunicazione e l’importo delle spese che l’acquirente in caso di recesso è tenuto a rimborsare; informazioni circa le modalità per risolvere il contratto di concessione di credito connesso al contratto, in caso di recesso») e all’art.3 c.2 lett. b) («il periodo di tempo durante il quale può essere esercitato il diritto oggetto del contratto e la data a partire dalla quale l’acquirente può esercitare tale diritto»)e d) («la possibilità o meno di partecipare a un sistema di scambio ovvero di vendita del diritto oggetto del contratto, nonché i costi eventuali qualora il sistema di scambio ovvero di vendita sia organizzato dal venditore o da un terzo da questi designato nel contratto»), e non contiene la data di cui all’art.3 c.2 lett. e) («la data e il luogo in cui il contratto è firmato da ciascuna delle parti»), l’acquirente può recedere dallo stesso entro tre mesi dalla conclusione. In tale caso l’acquirente non è tenuto ad alcuna penalità né ad alcun rimborso.
     3. Se entro 3 mesi dalla conclusione del contratto sono comunicati gli elementi di cui al c.2, l’acquirente può esercitare il diritto di recesso alle condizioni di cui al c.1, tuttavia il termine di 10 gg. decorre dalla data di ricezione della comunicazione degli elementi stessi.
     4. Se l’acquirente non esercita il diritto di recesso di cui al c.2 e il venditore non effettua la comunicazione di cui al c.3, l’acquirente può esercitare il diritto di recesso alle condizioni di cui al c.1, tuttavia il termine di 10 gg. decorre dal giorno successivo alla scadenza dei tre mesi dalla conclusione del contratto.
5. Il diritto di recesso si esercita dandone comunicazione alla persona indicata nel contratto e in mancanza, al venditore. La comunicazione deve essere sottoscritta dall’acquirente e deve essere inviata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro il termine previsto. Essa può essere inviata, entro lo stesso termine, anche mediante telegramma, telex o fac-simile, a condizione che sia confermata con lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le 48 ore successive».

     Si delinea un iter, che può essere così sintetizzato:
     – conclusione del contratto di multiproprietà (non essendo prevista un’apposita disciplina, parrebbe che si seguano le disposizioni di diritto comune, ex artt.1326 ss. c.c.)
     – periodo di riflessione accordato ex lege all’acquirente, irrinunciabile, di giorni 10, con alcune eccezioni in caso di inadempimento da parte del venditore
     – finché dura il periodo di riflessione vige il disposto dell’art.6 circa il divieto di acconti, ecc.. Ciò opera anche in presenza dell’eventuale finanziamento
     – pendente questo periodo, l’acquirente è libero di esercitare o meno il diritto di recesso.
     Si hanno, pertanto, due eventualità:
     – a) esercita il diritto di recesso
     – b) non esercita il diritto di recesso.
    Dato che il secondo caso non interessa ai nostri fini, mi soffermo sul primo, ovviamente supponendo che si sia fatto ricorso al finanziamento per pagare il corrispettivo dovuto e sia stato osservato l’art. 5 c.5 sulle modalità di esercizio del diritto in questione. Si applica, naturalmente, l’art.8. Ne discende che:
     – il contratto di multiproprietà viene meno
     – l’acquirente non deve pagare alcuna penalità, è semmai tenuto a rimborsare al venditore solo le spese sostenute e documentate per la conclusione del contratto e di cui è fatta menzione in questo, purché si riferiscano ad atti da espletare tassativamente prima dello scadere del periodo di riflessione (evito di richiamare le altre situazioni individuate in caso di irregolarità del venditore)
     – il contratto di finanziamento si risolve ope legis.
     È pacifico come, nel disegno del legislatore, i due contratti – di multiproprietà e di finanziamento – siano collegati fra loro. Venuto meno il primo a seguito dell’esercizio del diritto potestativo di recedere accordato dalla legge, cade anche il secondo per risoluzione di diritto, dovuta alla mancanza funzionale della causa. Eventuali acconti richiesti – illegittimamente – all’acquirente andrebbero resi dal venditore, che si esporrebbe pure alla sanzione pecuniaria amministrativa. Se poi, una banca, un intermediario finanziario o altri avesse anticipato in tutto o in parte il corrispettivo, avrebbe pagato male (in base ai principi generali, vi sarebbe, comunque, titolo per la restituzione dell’indebito).

§. 3 – Il problema
     Se questa è, in breve, la configurazione astratta del fenomeno, quale si delinea nella multiproprietà, alcuni spunti nascono per il settore dei finanziamenti al consumatore che – almeno in via di principio – sembra escluso da questo particolare istituto di cui ci stiamo occupando. Attesa la cospicua portata innovatrice della normativa fin qui richiamata, mi propongo di focalizzare se e come possa acquistare rilievo per il diritto delle banche e degli intermediari finanziari il recesso (o, comunque, il venir meno) del contratto di vendita del bene sovvenzionato. Cioè, in altre parole, se – anche nel comparto dei finanziamenti ai consumatori considerato nel suo complesso – una disposizione quale l’art.8 della normativa sulla multiproprietà possa valere, di modo che il cadere (in questo caso, per recesso del consumatore) del contratto di vendita della cosa sovvenzionata determini ipso iure il venir meno anche del rapporto finanziario. Ciò, oggi, come noto, non è previsto da nessuna disposizione legislativa in ambito bancario – finanziario, sebbene in tal senso si sia pronunciata talora la giurisprudenza di merito ed in una qualche limitata occasione anche quella di legittimità, apparentemente ispirate più dalla ricerca di un apprezzabile principio di giustizia, che non dall’esigenza di far osservare norme giuridiche determinate che, come appena detto, non esistono.
     Nell’accostarci a questa problematica, che assume rilevanza scientifica e pratica, è opportuno accennare ai rapporti che entrano in gioco, ossia:
     – venditore-consumatore. È la vendita, nel regime della multiproprietà, dell’immobile; nel credito al consumo, di beni mobili, talvolta registrati, di valore non particolarmente elevato; disciplinata da apposite regole, ora codicistiche, ora speciali.
     – finanziatore-consumatore. Si tratta dell’intesa – eventuale – fra il consumatore, da una parte, e l’acquirente stesso o un terzo finanziatore, dall’altra, tesa ad ottenere la sovvenzione di tutto o parte del corrispettivo dovuto per comprare il bene. Appare naturale che si tenda a proteggere il consumatore, evitandogli inique conseguenze quali il pagamento di importi, che in realtà non sono serviti per ottenere il bene oggetto del precedente rapporto o, addirittura, non sono stati neppure versati. Si tratta del punto nevralgico, sebbene non sia altro che una derivazione di quello.
     – finanziatore-venditore. A parte il fenomeno del finanziamento concesso dallo stesso venditore, che ovviamente è altra cosa (sebbene la disciplina dell’art.8 lo concerna), non sempre si rinvengono appositi patti fra questi soggetti in ambito immobiliare. Nel credito al consumo questi sono, invece, comuni (si parla, al riguardo, di convenzione o di rapporto di convenzionamento, contratto di collaborazione che lega, sia pure blandamente, il venditore che si impegna a canalizzare, a certe condizioni, al finanziatore propria clientela interessata al finanziamento, ed il finanziatore stesso). Emerge la responsabilità del venditore ex contractu; disciplinata dalle parti con regole ad hoc, rientrante negli ordinari canoni civilistici.
     L’art.8 contempla un istituto interessante, di notevole tutela per il consumatore, che, se vogliamo, si presenta assai temibile ove lo si consideri dalla visuale del finanziatore. Esso esce dallo schema ritagliato per il credito al consumo dall’art.125 c.4 d.lgs. 1.9.1993 n.385, Testo unico delle leggi bancarie (T.U.), in caso di inadempimento del fornitore di beni e servizi in presenza di un accordo che attribuisce al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore, e disegna una nuova situazione, ben diversa da quell’altra, direi più progredita e cautelativa.
     Verso simile meta si erano – nel credito al consumo – già indirizzate alcune sentenze di merito (App. Milano del 22.11.1991 e n.1974 del 19.10.1993, App. Torino n.521 del 7.5.1998) e taluna di legittimità (Cass. n.474/1994, 5966/01), che si erano occupate di casi di mancata consegna del bene sovvenzionato. Esse avevano, perlopiù, statuito che «venuta meno la compravendita il mutuo non ha più ragione d’essere» (così Cass. 474/1994). In altre parole, terminato per recesso o risoluzione il contratto di vendita della cosa, pure il negozio finanziario decadeva, con obbligo per il finanziatore di non rivolgersi per il soddisfacimento dei suoi interessi al cliente, bensì al venditore convenzionato (che, quasi sempre in concreto, era stato dichiarato fallito). Il principio apparve – fin da subito – privo di un qualsiasi supporto normativo (in qualche situazione, la pronuncia cadde in epoca anteriore all’emanazione della l.142/1992 sul credito al consumo o del T.U., che peraltro, come detto, si occupano di una peculiarità ben determinata e, in pratica, molto rara, in quanto venditore e finanziatore tendono a rifuggire dal rapporto di esclusiva). Se ciò poteva sembrare coerente in vista di un’esigenza di giustizia sostanziale, nell’intento di impedire approfittamenti nei riguardi del consumatore, non si può, tuttavia, condividere una statuizione che si fonda unicamente sulla ricerca di un criterio di “giustizia”, in assenza di qualsiasi regola in tale direzione posta dal vigente ordinamento. La situazione è, ora, evidentemente diversa, per quanto concerne l’istituto della multiproprietà.

§. 4 – Il collegamento negoziale. Si applica al credito al consumo?
     Nel disegno del legislatore della multiproprietà i due contratti di vendita e di finanziamento sono collegati fra loro. Il legame è tale che, se viene meno per recesso da parte dell’acquirente (e solo di questi) il primo, si risolve pure il secondo (quest’ultimo può intercorrere fra le due stesse parti ovvero essere stato stipulato dall’acquirente con un terzo, banca o intermediario finanziario o altro soggetto). Si può, in breve, sintetizzare questa situazione con il principio “simul stabunt, simul cadent”.
     Cerchiamo di cogliere come ciò possa (eventualmente) influire sul mondo dei contratti di finanziamento. Dalla lettura della norma si evince che:
     – non siamo nel contesto del credito al consumo; ne desumiamo – a contrario – che il principio in discussione non si possa ritenere applicabile ipso iure al credito al consumo;
     – tuttavia, potrebbe esserlo per analogia, magari in sede di pronuncia giudiziale (pur con tutte le riserve che simile atteggiamento comporta), ovvero per volontà delle parti;
     – è, comunque, un’eccezione.
     Alla luce di questi elementi, non mi pare sterile esercizio teorico cercare di approfondire se, ed eventualmente come, simile principio possa interessare direttamente (poiché indirettamente già lo lambisce, almeno sotto il profilo emozionale e quale riferimento per spunti analogici; inoltre, nessuno vieta che le parti possano prevederlo in sede negoziale, magari a ulteriore cautela reciproca) il credito al consumo (2). Non possiamo, ovviamente, dimenticarci della multiproprietà, che oltre a stare sullo sfondo fa luce sull’intera questione.
     Un primo problema è se la multiproprietà ricada nella disciplina specifica (e speciale) del credito al consumo, di cui agli artt. 121-128 del T.U.. L’art.121 c.4 T.U. prevede che: «Le norme contenute nel presente capo (il II, sul Credito al consumo) non si applicano: … e) ai finanziamenti destinati all’acquisto o alla conservazione di un diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o da edificare, ovvero all’esecuzione di opere di restauro o di miglioramento».
     Ne discende che:
     – la multiproprietà non è sottoposta alla normativa sul credito al consumo;
     – vi può, tuttavia, ricadere se a) l’assoggettamento sia stato convenuto fra le parti, b) si accolga un’interpretazione estensiva in sede giudiziale (a mio avviso molto forzata) sul presupposto, ad esempio, di voler meglio tutelare il consumatore, c) quando ricorra la figura del prestito personale con fine la sovvenzione di una quota di multiproprietà, come dirò subito dopo.
     Se si esclude la nuova legge sulla multiproprietà, si può dire che manchi ancora una disciplina per il «consumatore di immobili» e, in particolare, per il fruitore di finanziamenti volti all’acquisto di immobili.
     Sebbene, almeno in apparenza, sembri porsi al di fuori del tema in esame, nulla vieta che si ricorra ad un c.d. prestito personale (cioè, privo di finalizzazione, bensì accordato alla persona senza che se ne indichi la finalità) . Ma in questo caso, atteso che il prestito personale è – ovviamente – una figura del credito al consumo (e, pertanto, assoggettato alla relativa disciplina), vale la regola dell’art.8 della multiproprietà? In altri termini, i due contratti sono ancora collegati, di modo che, caduto l’uno a seguito del recesso dell’acquirente, debba necessariamente venir meno anche l’altro?
     Avrei dei dubbi in merito. Sebbene il prestito personale possa avere quale sbocco l’acquisto di un bene in multiproprietà, non è pacifico che ciò assuma una rilevanza determinante. Elemento caratterizzante questa forma creditizia è, infatti, l’essere avulso da un fine determinato e dichiarato. L’indagine se l’eventuale indicazione dello scopo acquisti qualche peso attiene al motivo del negozio. E neppure si può sostenere in modo certo che affiori con evidenza il legame, che, invece, si delinea ben chiaro nel caso descritto dall’art.8.
     Se è, a mio avviso, ovvio che non siamo in presenza di credito al consumo (a meno che, ripeto, i contraenti desiderino richiamarvisi in modo esplicito, sottoponendo il loro rapporto negoziale a tale normativa), è naturale che la disciplina applicabile al finanziamento individuato dall’art.8 sia comunque la trasparenza, cioè gli artt. 115 ss. del T.U..

§. 5 – La ratio diversa
     Per una miglior comprensione, ritengo doveroso cercare di cogliere quella che, per me, è la differenza sostanziale tra la multiproprietà, o più precisamente il finanziamento collegato all’acquisto secondo tale istituto, ed il credito al consumo.
     Le due figure concernono, rispettivamente, beni immobili e beni mobili. La tutela del consumatore, in entrambe, è decisamente spiccata, vista l’accuratezza con cui il legislatore se ne è fatto (giustamente) carico. Sembra, tuttavia, particolarmente forte nella prima, soprattutto per via dell’art.8, che lega i due contratti di multiproprietà e di sovvenzione prezzo. Tuttavia, la ratio sottesa – rispettivamente, alla multiproprietà ed al credito al consumo – muta.
     Nel primo caso, il riferimento è un immobile, cosa ben individuabile, di valore generalmente elevato (sebbene, qui, si considerino frazioni temporali di disponibilità della cosa). L’esperienza ha palesato come, spesso, l’acquirente sia vittima di facili raggiri o di pressioni di vario tipo da parte del venditore, che cerca di convincerlo con strumenti di ogni tipo (promesse di viaggi in località mirabolanti, incontri in luoghi apprestati per inondare l’ascoltatore di messaggi volti a convincerlo, pubblicità massiccia, studiata opera di pressione psicologica, ecc.). Si immagina, inoltre, che in genere il bene in gioco necessiti di un’attenzione superiore. Diverso è per il bene mobile, dalla multiforme espressione concreta (auto, moto, hi-fi, vestiti, cibo, mobilia, ecc.): qui la circolazione risulta di gran lunga molto più rapida. La cosa è destinata a veloce obsolescenza. Il valore è, quasi sempre, minore, talora irrisorio. La fungibilità prevale. Si è, così, ritenuto di proteggere prioritariamente chi compra in multiproprietà, rispetto all’ordinario consumatore di un supermercato, di una concessionaria o di un qualsiasi negozio di generi di consumo, durevoli o meno.
     Utilizzare nel credito al consumo il disposto dell’art.8 ovvero ricorrere ai suoi principi potrebbe comportare riflessi altamente negativi e, nella maggior parte dei casi, spropozionati. E significherebbe trattare in modo uguale situazioni diverse.
     Nella multiproprietà è superiore l’esigenza di tutela. Il bene in questione vale in genere molto di più, il rischio di raggiro prevale e pure elevati sono gli eventuali danni successivi. Il mercato immobiliare è, in paragone a quello mobiliare, estremamente statico. Nel credito al consumo i prodotti sono quelli di largo utilizzo. Il ricorso al credito, in quest’ambito, è sempre più crescente e, così, le relative vendite. La loro circolazione è continua, i destinatari sono moltissimi. Ci troviamo, in breve, di fronte ad una situazione polverizzata.
     D’altra parte, la tutela approntata dal legislatore – non solo quella del T.U. – non è meramente formale. Imporre o anche solo consentire, nel credito al consumo, il ricorso ad un principio quale quello dell’art.8 appare francamente eccessivo e, forse, perfino superfluo. Se in certi frangenti ove il bene ha un valore significativo (l’auto, ad esempio o alcuni beni pregiati) potrebbe anche essere plausibile (con l’accorgimento di non addossare unicamente al terzo finanziatore le responsabilità del venditore, magari fallito nel frattempo), nel restante ambito del credito al consumo, del prestito finalizzato in particolare, ciò potrebbe trasformarsi in un ostacolo, se non addirittura in casi estremi, in un danno difficilmente quantificabile (e tollerabile) all’espansione del mercato.
     Né si dimentichi che, alla base della norma in esame, agisce un presupposto assimilabile, se non analogo, a quello sotteso al d.lgs. 50/1992, ove il venditore si muove al di fuori dell’esercizio commerciale, si propone al cliente andando direttamente a casa sua, inviandogli missive pubblicitarie, che spesso sono vere proposte di contratto, mandandogli a domicilio i beni che intende alienare, ecc.. Lo strumento per difendere il destinatario di tutto ciò è il diritto di ripensamento, che gli consente di recedere a certe condizioni dal contratto di vendita. Ora, questo istituto – pur astrattamente applicabile anche nel credito al consumo, ove le parti lo concordino ovvero il finanziatore lo contempli nella sua modulistica – non esiste per questo specifico istituto, mentre nella multiproprietà è esplicitamente previsto in via ordinaria.
     Non si può, infine, non constatare la specialità che contraddistingue il credito al consumo e della quale si è ben reso conto, a suo tempo, il legislatore del T.U. (e, prima ancora, della l. 142/1992), collocandolo, in seno al titolo sesto sulla trasparenza delle condizioni contrattuali, in un capo (il II) distinto da quello (il I) dedicato alle operazioni ed ai servizi bancari e finanziari in genere. Altro discorso vale per la multiproprietà, pur potendosi rinvenire nel suo ambito alcune forme di finanziamento.

§. 6– Potenzialità espansiva del principio
     La regola contenuta nell’art.8 rappresenta, in sintesi, il riconoscimento di un ovvio principio di giustizia, specie in un comparto così delicato quale quello immobiliare, ove il consumatore risulta particolarmente esposto. Sorge spontaneo il quesito se simile forma di protezione valga unicamente per questo settore, ove appare proficuo ricorrere ad apposite cautele, vista la delicatezza degli interessi in questione e la scarsa forza dell’acquirente rispetto al venditore. E, soprattutto, per quella situazione peculiare costituita dalla multiproprietà, in cui a ragione si ritiene che la tutela debba essere ancora più penetrante e sostanziale.
     Mi domando se simile principio possa vigere anche per il settore mobiliare e per il credito al consumo in specie. Ciò non è stabilito da nessuna norma, sebbene non si possa escluderlo a priori, compiendo un ragionamento astratto. Ed, anzi, è certo sostenibile che – alla luce del tentativo, oggi più che mai frequente, di venir incontro alle esigenze del consumatore, bisognoso di una tutela effettiva e non di mera facciata – il legislatore possa introdurlo in futuro, in aggiunta alle attuali, non irrilevanti, cautele già approntate. Di per sé– allo stato – un’estensione analogica del principio pare molto poco sostenibile sotto un profilo di stringente logica giuridica, in quanto l’art.8, dedicato alla sola multiproprietà, incarna un’eccezione, un qualcosa di singolare, unico nella realtà finanziaria.
Resta, invero, un istituto isolato nell’ordinamento italiano (le pronunce che sembrerebbero anticiparlo, che si sono occupate di casistica di credito al consumo, a ben considerarle, nulla hanno a che vedere con esso), un interessante modello cui potrebbero ispirarsi le parti nei loro rapporti privati e che, certo, potrà esercitare un qualche fascino sui giudici allorché dovranno decidere questioni anche site al di fuori del circoscritto contesto di cui è posto a presidio.

 

Note

    (1) Per chiarezza espositiva, mi sembra proficuo richiamare alcune definizioni desunte dalla normativa sulla multiproprietà, oltre ad alcune disposizioni di questa, in quanto rilevano ai fini di una miglior intelligenza del fenomeno sul quale intendo soffermarmi in modo specifico.
     1. Vediamo le definizioni. Viene, innanzitutto, in considerazione l’“acquirente” (art.1 c.1 lett. c), cioè «la persona fisica, che non agisce nell’ambito della sua attività professionale, in favore della quale si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o di trasferire il diritto oggetto del contratto». Appare ovvio che si tratta del “consumatore”, figura sempre più nota del nostro ordinamento, da anni sensibile alle esigenze di questo soggetto. La dizione del testo di legge ripete un concetto ormai numerose volte iterato in svariate occasioni. Il consumatore, in breve, è una persona fisica, che opera – nel particolare frangente esaminato – al di fuori della propria attività professionale. Si presumono una quasi “costituzionale debolezza” di questi e la relativa “ignoranza tecnica” di ciò che si accinge a compiere o che fa. Come tale, costui “merita” una particolare attenzione e tutela.
     Sul versante opposto, troviamo il “venditore” (art.1 c.1 lett.b), ossia «la persona fisica o giuridica che, nell’ambito della sua attività professionale, costituisce, trasferisce o promette di costituire o di trasferire il diritto oggetto del contratto, nonché promuove la costituzione, il trasferimento o la promessa di trasferimento del diritto oggetto del contratto». Questi, a sua volta, in via di principio detiene un ruolo di maggior forza e preponderanza, in antitesi con il precedente.
     Si intendono, inoltre, rispettivamente, per “contratto” (art.1 c.1 lett.a) «uno o più contratti della durata di almeno tre anni con i quali, verso pagamento di un prezzo globale, si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o trasferire, direttamente o indirettamente, un diritto reale ovvero un altro diritto avente a oggetto il godimento su uno o più beni immobili, per un periodo determinato o determinabile dell’anno non inferiore a una settimana»; e, per “bene immobile” (art.1 c.1 lett.d), “un immobile, o parte di esso, per uso di abitazione anche turistico-ricettivo, su cui verte il diritto oggetto del contratto».
     2. A conferma della volontà di proteggere in misura adeguata il consumatore, sono previste ulteriori cautele, di natura sostanziale e formale. Elenchiamole rapidamente.
     In forza dell’art.6, «È fatto divieto al venditore di esigere o ricevere dall’acquirente il versamento di somme di denaro a titolo di anticipo, di acconto o di caparra, fino alla scadenza dei termini connessi per l’esercizio del diritto di recesso di cui all’art.5». Il principio – sanzionato, come vedremo – vale anche in presenza dell’eventuale finanziamento (totale o parziale) del prezzo. Al venditore non è consentito esigere o ricevere dall’acquirente il versamento di somme di denaro a titolo di anticipo, acconto o caparra fino alla scadenza del periodo di riflessione. Che succede se l’acquirente paga spontaneamente tali importi o, addirittura, tutto? Perlomeno, avrebbe titolo – in caso di recesso – per il rimborso di quanto dato. Appare naturale – e sarebbe, forse, una chiave nuova, utile di lettura anche per altre forme di finanziamento, fra cui il credito al consumo nelle sue molteplici accezioni – che anche il finanziatore eroghi solo dopo tale termine. Se lo facesse prima, lo farebbe a suo rischio e pericolo. Seguendo questo nuovo principio, si eviterebbero, almeno in gran parte, i rischi attualmente esistenti dovuti alla mancata consegna del bene e le conseguenze del recesso dal contratto di vendita non sarebbero poi così gravi. Conseguenze che, ad esempio per la multiproprietà, sono stabilite per legge e si manifestano nella risoluzione del contratto di finanziamento. Nel credito al consumo, qualche pronuncia giudiziale, con una discreta forzatura atteso che nessuna norma lo prevede, ha deciso il venir meno del finanziamento.
     Un’ulteriore cautela viene approntata dall’art.7, secondo cui «Il venditore è obbligato a prestare fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia dell’ultimazione dei lavori di costruzione del bene immobile. Della fideiussione deve farsi menzione nel contratto, a pena di nullità» (c.1). Tale garanzia «non può imporre all’acquirente la preventiva escussione del venditore (c. 2).
     L’art.9 dispone, poi, che «Sono nulli le clausole contrattuali o i patti aggiunti di rinuncia dell’acquirente ai diritti del presente decreto o di limitazione delle responsabilità previste a carico del venditore».
     L’art.10 prevede che «Per le controversie derivanti dall’applicazione del presente decreto la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio dell’acquirente, se ubicati nel territorio dello Stato».
     Secondo l’art.11, «Ove le parti abbiano scelto di applicare al contratto una legislazione diversa da quella italiana, all’acquirente devono comunque essere riconosciute le condizioni di tutela previste dal presente decreto allorquando l’immobile oggetto del contratto sia situato nel territorio dello Stato».
     L’art.12 stabilisce che «Salvo che il fatto costituisca reato, il venditore che contravviene alle norme di cui agli artt. 2 c.1 lett. d) n. 2 e n. 3, e), f), g); 3 c .3; 4; 6 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lit. 1 milione a 6 milioni (c.1). Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione dell’esercizio dell’attività da 15 giorni a 3 mesi al venditore che abbia commesso una ripetuta violazione delle disposizioni di cui al c.1 (c.2). Ai fini dell’accertamento dell’infrazione e dell’applicazione della sanzione si applica l’art.11 c.3 del d.lgs. 15.1.1992 n.50 (c.3)». Per quest’ultimo le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 25.11.1981 n.689. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall’art.13 della predetta legge 1981/689, all’accertamento delle violazioni provvedono, di ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa. Il rapporto previsto dall’art.17 della l.1981/689, è presentato all’ufficio provinciale dell’industria, del commercio e dell’artigianato della provincia in cui vi è la residenza o la sede legale dell’operatore commerciale.

     (2) Definito dall’art.121 c.1 T.U. come «la concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (consumatore)».

     (3) Sulle varie tipologie di credito al consumo, v. G. Roddi, Il credito al consumo. Tipologie contrattuali, soggetti, aspetti tributari, Milano, 1999, pp. 33 ss.

 

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