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settembre 2002

Studî e commenti

GIUSEPPE NICCOLINI

Scioglimento della società conduttrice e recesso dal contratto *


SOMMARIO: 1. Premessa – 2. I gravi motivi di recesso dal contratto di locazione – 3. Lo scioglimento della società conduttrice come grave motivo di recesso – 4. Fallimento della società conduttrice e recesso.

 

     1. Premessa. – È ricorrente – in certo senso “tradizionale” 1 – l’affermazione per cui né il verificarsi di alcuna delle ipotesi dissolutive previste nel 1° comma dell’art. 2448 cod. civ., né il coerente aprirsi della procedura liquidativa, costituiscono vicende capaci di porre termine ad un contratto di locazione del quale la società sia parte conduttrice 2.
     L’affermazione merita consenso, ma al tempo stesso sollecita qualche ulteriore riflessione e puntualizzazione.
     Merita consenso giacché risponde ad un principio d’ordine generale che di regola l’attualizzarsi della vicenda estintiva di una società (diversa da fallimento e liquidazione coatta amministrativa, ipotesi che trovano disciplina specifica, sebbene non del tutto completa 3, all’interno della legge concorsuale) non incide ex se sui rapporti giuridici già costituiti dalla società, la quale può continuare a pretendere dal terzo contraente il rispetto di tali rapporti, così come continua ad essere (non importa se al prezzo della speditezza della liquidazione, la cui durata potrebbe risultarne anche fortemente prolungata) al loro rispetto vincolata 4.
     Sollecita al tempo stesso qualche ulteriore riflessione, occorrendo interrogarsi su ciò, se nondimeno il verificarsi di una causa di scioglimento e la sequenziale procedura di liquidazione consentano alla società conduttrice di recedere dal rapporto in forza dell’art. 27, 8° comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392 (c.d. legge dell’equo canone).

     2. I gravi motivi di recesso dal contratto di locazione. – Giova ricordare che la disciplina organica delle locazioni degli immobili siti nei centri urbani emanata nel 1978, dopo aver fissato per le locazioni di immobili adibiti all’esercizio di attività industriali, commerciali e artigianali una durata minima di sei anni (aumentata a nove per le attività alberghiere, e riducibile a minor durata qualora l’attività da svolgere nell’immobile abbia, per sua natura, carattere transitorio) (art. 27, commi 1°, 3° e 4°), e dopo aver dettato la regola per la quale alla scadenza di tale periodo il conduttore ha facoltà di recedere dal contratto impedendo che lo stesso si rinnovi automaticamente per altro eguale periodo (art. 28), ha lasciato liberi i contraenti di attribuire al conduttore il diritto di recedere dal contratto (art. 27, 7° comma: «è in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione») 5 ed ha poi dettato un’ulteriore regola, per cui «indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore 6, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata» (art. 27, 8° comma) 7. Disciplina – è utile evidenziare – esattamente parallela a quella dalla stessa legge dettata con riguardo alle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso abitativo (artt. 1, 3 e 4), e, con riguardo al recesso per gravi motivi, ripresa alla lettera dall’art. 3, 6° comma, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 («Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo») 8.
     La giurisprudenza 9 ha evidenziato che i «gravi motivi» in presenza dei quali gli artt. 4, 2° comma, e 27, 8° comma, della legge 392 del 1978 consentono, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, al conduttore di porre ante tempus fine al contratto di locazione 10, devono: a) collegarsi a fatti indipendenti dalla volontà del locatario; b) sopravvenire alla costituzione del rapporto locativo; c) essere all’epoca della formazione del contratto imprevedibili (imprevedibilità da intendersi in senso non astratto ed assoluto, ma concreto e relativo, nel senso cioè di ragionevole affidamento sul prodursi o meno di determinate vicende), nonché d) tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la persistenza del rapporto locativo.
     Sulla scorta di tale lettura, gli interpreti togati hanno ritenuto legittimo il recesso determinato non solo da eventi esterni alla sfera giuridico-economica del conduttore (ad esempio: il trasferimento in altra città per motivi di lavoro 11; la mancata realizzazione di un piano di sviluppo edilizio della zona con effetti negativi sulle prospettive commerciali nelle quali il conduttore aveva fatto affidamento nel momento della stipulazione del contratto di locazione dell’immobile da destinare a farmacia 12; la sopravvenuta revoca del contratto di agenzia a tempo indeterminato, da parte dell’unica impresa mandante della società conduttrice 13; lo scioglimento a livello nazionale della formazione politica a sede della federazione provinciale della quale era adibito l’immobile locato 14), ma anche da vicende interne a detta sfera purché non esclusivamente riferibili alla volontà del conduttore medesimo (quali l’oggettiva espansione dell’attività del conduttore tale da rendergli insufficienti i locali o antieconomica la prosecuzione della locazione 15, la necessità di cogliere un’opportunità di lavoro comportante il trasferimento della sede dell’imprenditore locatario 16, la riorganizzazione degli uffici del conduttore in conseguenza della quale venga meno l’esigenza di disporre dell’immobile locato 17).
     Casistica giurisprudenziale che ha tenuto séguito, trovandovi riscontri e consensi, alle indicazioni della dottrina. La giurisprudenza teorica si è anzi mostrata propensa ad estendere il raggio di azione della norma in questione ben oltre i limiti indicati dai giudici, ipotizzandone l’applicabilità non soltanto in presenza di vicende che toccano la persona del conduttore o dei suoi familiari (gli esempi proposti sono quelli dell’insorgere di una malattia del locatario o di un suo familiare che lo obblighi a trasferire la sua abitazione, a tempo indeterminato, in una casa di cura o in altra località 18 o gli imponga di cessare l’attività professionale 19 o commerciale 20 fino ad allora esercitata nell’immobile locato; del trasferimento in altra città, per motivi di lavoro 21 o di studio 22; dell’ampliamento del nucleo familiare del conduttore 23; della rottura del fidanzamento da parte dei nubendi che avevano sottoscritto il contratto di locazione per la futura casa coniugale 24) o in relazione a sue condizioni economiche (si è fatto il caso delle sue precarie condizioni economiche che non gli consentano di adempiere all’obbligo di pagamento del canone 25, e quello della chiusura di uno o più stabilimenti disposta dal conduttore-società in relazione ad imprevedibili eventi 26) o al presentarsi di fatti che ineriscono oggettivamente all’immobile locato (sono stati indicati i casi dello scadimento delle condizioni dell’immobile locato, non riconducibile a vizi o difetti di manutenzione, o del quartiere in cui esso è posto; della minaccia di espropriazione per pubblica utilità che rende meno stabile la situazione abitativa del conduttore; delle immissioni notevoli e fastidiose ancorché non intollerabili 27; del perimento parziale o del danneggiamento tale da rendere inutilizzabile l’immobile 28), ma anche – sebbene, come a me sembra, non convincentemente 29 – con riferimento a situazioni del locatore (come il fallimento 30) od a suoi comportamenti 31 (in alternativa alla risoluzione del contratto di locazione o all’attivazione della procedura di cui all’art. 41 della legge 23 maggio 1950, n. 253, il conduttore potrebbe recedere dal contratto quando il locatore, violando gli obblighi degli artt. 1575 e 1576 cod. civ., non mantenga l’immobile «in buono stato locativo» omettendo di provvedere a quelle riparazioni necessarie a conservarlo «in stato da servire all’uso convenuto» 32) od ancora in relazione alle condizioni dell’immobile (in alternativa ad un’azione di risoluzione del contratto o ad una richiesta di riduzione del corrispettivo convenuto ex art. 1578 cod. civ., il conduttore di un immobile affetto da vizi non riconosciuti né facilmente riconoscibili al momento della conclusione del contratto, potrebbe recedere dal contratto stesso 33).

     3. Lo scioglimento della società conduttrice come grave motivo di recesso. – È sulla base di tali indicazioni della giurisprudenza pratica e teorica, che si può accedere ad una soluzione del problema posto.
     Non tutte le cause di scioglimento della società hanno, dal punto di vista della loro origine, eguale natura: se alla (sola) determinazione della società, e dunque ad un fatto del tutto libero e volontario, debbono ricondursi il decorso del termine di durata (art. 2272, n. 1, ed art. 2448, 1° comma, n. 1, cod. civ.) e la deliberazione di anticipato scioglimento assunta dai soci ovvero dall’assemblea (art. 2272, n. 3, ed art. 2448, 1° comma, n. 5, cod. civ.), non altrettanto è a dirsi per le altre ipotesi dissolutive, che, quand’anche conseguenti alla mancata adozione di un provvedimento “salvifico” da parte dei soci (come nel caso della perdita del capitale minimo, che genera bensì scioglimento ma in quanto non rimossa direttamente attraverso una ricapitalizzazione o indirettamente con una trasformazione della società; ed ancora come nei casi della sopraggiunta mancanza di pluralità di soci o di categorie di soci, che producono lo scioglimento delle società semplice e in nome collettivo e della società in accomandita semplice se a tale situazione non si pone rimedio entro sei mesi), tuttavia trovano sempre origine in eventi esterni all’autonomia di scelta dei soci stessi 34.
     Solo la liquidazione – o per essere più esatti il ridimensionamento dell’attività sociale che è funzionale alla prospettiva estintiva – conseguente a questa seconda categoria di ipotesi dissolutive, può integrare la fattispecie dei «gravi motivi» richiesta dalla disposizione in esame.
     a) Il semplice fatto che l’attività produttiva del conduttore-società si sia ridotta, o vada a ridimensionarsi e finanche a cessare del tutto, in conseguenza di autonome scelte e determinazioni in tal senso compiute durante il rapporto locativo, tradottesi in una deliberazione di anticipato scioglimento, non costituisce in linea di principio un evento o una situazione indipendente dalla volontà del locatario, la cui sopravvenienza dia titolo per recedere dal contratto di locazione in precedenza concluso.
     Benvero, ci si potrebbe domandare se questa conclusione non abbia a modificarsi quando l’opzione dissolutiva del conduttore-società si coordini, trovandovi giustificazione, ad una valutazione di antieconomicità della prosecuzione dell’attività 35, per lo meno quante volte tale antieconomicità sia determinata dall’andamento congiunturale del settore in cui opera la società 36, se non anche quando le sue cause siano da rinvenire all’interno della società.
     Ma per offrire a questa domanda una risposta di segno affermativo, occorrerebbe ammettere che il favor conductoris, cui pur certamente si ispira la disciplina legale delle locazioni di immobili urbani, sia in grado di esprimersi anche sul terreno della durata del rapporto locativo, nel senso di riconoscere all’imprenditore locatario, individuale o collettivo che sia, la possibilità di liberarsi ante tempus dal contratto e di sottrarsi agli assunti obblighi di conduttore invocando (se non – come non mi pare che potrebbe invocare – il mancato inverarsi delle attese di successo o di sviluppo o anche semplicemente di continuità, quanto meno) l’insuccesso della sua iniziativa economica.
     Il che sembra non facile a sostenere. Da un lato, il sistema disciplinare istituito dalla legge n. 392 del 1978 impone una durata minima della locazione non soltanto al locatore ma anche al conduttore 37, come attestato dal fatto che neppure di fronte alla davvero notevole estensione della durata della locazione non abitativa la legge ha ritenuto di dover riconoscere al locatario il diritto di recedere ad nutum 38. In tale sistema, il diritto di recesso di cui all’art. 27 della legge n. 392 si configura come norma d’ordine eccezionale: il che impone all’interprete una rigorosa cautela nel valutare la «gravità» del motivo invocato dal conduttore a giustificazione del proprio recesso, e gli preclude la possibilità di apprezzare come tale un giudizio di convenienza del locatario, giudizio che, in quanto necessariamente soggettivo, finirebbe col sottrarsi ad ogni controllo di meritevolezza e col risultare insindacabile dal locatore 39.
     Dall’altro, accogliere la soluzione ipotizzata significherebbe ammettere che il rischio d’impresa venga ad essere, anziché sopportato dall’imprenditore, da costui trasferito sul proprio contraente.
     È vero che alcuni giudici si sono – nell’ipotesi speculare a quella che occupa, dello sviluppo dell’attività imprenditoriale – orientati diversamente quando si sono pronunciati nel senso di ammettere l’impresa conduttrice a recedere dal contratto in presenza di un’«oggettiva» espansione della sua attività tale da renderle insufficienti i locali o antieconomica la prosecuzione della locazione 40: l’itinerario argomentativo percorso da queste decisioni ha talora dato peso a considerazioni che potrebbero riproporsi con riguardo al ridimensionamento ed alla dismissione dell’attività d’impresa. Sulla premessa di doversi riconoscere dignità di «grave motivo» di recesso a «tutte quelle situazioni sopravvenute alla conclusione del contratto nelle quali il proseguimento della locazione diventerebbe fonte di grave danno o comunque di serio disagio e intralcio al conduttore», si è infatti precisato che dette situazioni «possono anche trarre origine da un suo [scilicet: del locatario] atto di volontà, dipeso da scelte dettate da esigenze imprenditoriali che tendano ad ottimizzare la gestione dell’azienda, scelte che l’imprenditore non può disattendere se non a rischio di perdere competitività» 41.
     Tuttavia, questa impostazione – dalla quale, come dicevo, potrebbero trarsi elementi in favore di un’interpretazione diversa da quella poc’anzi proposta, e che potrebbe indurre ad estendere detta diversa interpretazione ad ogni caso di anticipato scioglimento della società e più in genere ad ogni ipotesi di ridimensionamento, se non anche di riorganizzazione strutturale 42, dell’attività di impresa 43 nonché, a fortiori, di cessazione dell’impresa 44 – s’imbatte nella difficoltà di poter considerare il contratto di locazione, e dunque la posizione contrattuale del locatore, ancillare e funzionalmente subordinata all’attività dell’imprenditore locatario, per modo che l’istanza, ovvero l’esigenza, locativa di quest’ultimo, e dunque anche il suo venir meno nel corso del contratto, prevalga sull’interesse del locatore alla conservazione del contratto stesso e giustifichi il sacrificio del programma economico originariamente perseguito con il contratto. Ciò, anche in un ordinamento qual è il nostro che fonda sul principio di solidarietà economica e sociale e che a detto valore si richiama tanto con riguardo all’iniziativa economica quanto in relazione al diritto di proprietà (artt. 2, 41, 2° comma, e 42, 2° comma, Cost.), sembra difficile a sostenersi: che la locazione di un immobile utilizzabile per l’esercizio d’una attività commerciale sia un contratto col quale il conduttore intende assicurarsi la disponibilità di un bene strumentale alla sua attività imprenditoriale, non mi pare significhi che detta attività sia, con ogni sua esigenza, in grado di riflettersi sempre e comunque sul contratto nel senso di condizionarne l’esistenza e la vincolatività; né mi sembra che la libertà d’impresa, che necessariamente si esprime così sul terreno del quando e dell’an come in termini di quomodo, abbia modo di affermarsi, prevalendo, sui contratti di durata conclusi nel corso dell’attività d’impresa e per l’attività d’impresa quante volte almeno (e sarebbe più difficile affermarlo nei contratti a durata minima fissata dalla legge) il rapporto istituito da detti contratti non trovi presupposto nell’esercizio, o in una dimensione di esercizio o in un utile esercizio, dell’impresa 45.
     Benvero, si potrebbe ribattere che per riconoscere al conduttore il diritto di recedere dalla locazione ogni qual volta lo scioglimento del contratto sia richiesto dalla sua attività d’impresa, non è indispensabile argomentare oltre il richiamo all’art. 27, 7° comma, della legge n. 392 del 1978; e sul piano della valutazione dei contrapposti interessi si potrebbe di rincalzo sottolineare che il sacrificio al quale resta così esposto il locatore troverebbe pur sempre giustificazione (tanto più adeguata quando si tratti di immobile la cui destinazione ad uso d’impresa non sia imposta dai caratteri intrinseci del bene ma consegua esclusivamente ad una determinazione del locatore 46) nella precedente sua scelta di concedere in locazione “commerciale” l’immobile e dunque di avvantaggiarsi delle regole, per molti versi meno vincolate di quelle che disciplinano la locazione abitativa, proprie di questo tipo di locazione 47. Necessaria, ma altresì sufficiente, a giustificare il recesso sarebbe allora – purché genuina e purché sopravvenuta alla conclusione del contratto – qualunque esigenza del locatario, e fra queste potrebbe iscriversi la deliberazione di anticipato scioglimento della società conduttrice, alle radici della quale dovrebbe tuttavia risalirsi per accertarne i motivi determinanti, ovvero per verificare che essa risponda ad un vero bisogno 48, e non risulti inquinata da finzioni o slealtà 49.
     Ma sarebbe da chiedersi se una simile apertura non si risolva in un’operazione di tipo nominalistico, e sia dunque da ricusare sul piano concettuale, non dovendosi in realtà iscrivere all’albo dei volontari abbandoni dell’attività d’impresa (o del precedente assetto organizzativo dell’attività d’impresa) quelli che sono imposti da ragioni obiettive. Al tempo stesso – e comunque – non potrebbe non avvertirsi quanto connotate da margini di estesa discrezionalità sarebbero le valutazioni postulate da detta lettura, e come tali discrezionalità potrebbero rivelarsi di per sé sole capaci vuoi di introdurre disparità di giudizio vuoi di aprire indiscriminatamente la strada a proposizioni ove ogni esigenza d’impresa (anche d’ordine relativo, quale l’esigenza di economicità ovvero di ottimizzazione dell’azione imprenditoriale 50) assuma rilievo 51.
     b) Nessun dubbio, invece, che lo scioglimento della società non dia titolo ad un recesso dal contratto di locazione quando l’arresto dell’attività produttiva fosse già programmato al momento dell’instaurazione del rapporto locativo, la scadenza di questo essendo stata convenuta per una data posteriore a quella di durata della stessa società.
     Mi sembra infatti indiscutibile che la società non possa deludere l’affidamento riposto dal locatore sulla durata della locazione invocando il maturare della propria durata e la conseguente propria condizione liquidativa, se in occasione della conclusione del contratto di locazione non si prese cura né di convenire una durata del rapporto locativo più breve di quella legale (come ben si sarebbe potuto pattuire: proprio alla luce del fatto che il termine di durata della società sarebbe sopraggiunto in data anteriore a quella di scadenza del contratto di locazione, l’attività della società, e dunque la sua esigenza locativa, sarebbe stata da considerare «transitoria» ai sensi dell’art. 27, 5° comma, della legge n. 392 del 1978 52) né di riservarsi ex art. 27, 7° comma, della stessa legge il diritto di recedere dalla locazione in conseguenza della sua liquidazione, o se (ed anzi tanto meno se) una tale riduzione della durata della locazione o una tale ipotesi di recesso convenzionale, pur proposte dalla società, non furono accettate dal locatore e nondimeno la società si determinò a concludere il contratto.
     c) Non mi sembra infine sussistano difficoltà ad ammettere che in tutti gli altri casi di scioglimento della società conduttrice, del tutto indipendenti dalla volontà della locataria, questa possa invocare la propria condizione liquidativa e la conseguente interruzione dell’attività produttiva, come giusto motivo di recesso dal contratto di locazione.

     4. Fallimento della società conduttrice e recesso. – A quanto fin qui detto merita faccia séguito una postilla, con riguardo all’ipotesi del fallimento del conduttore (anche il fallimento è evento che determina lo scioglimento della società: ma, come in appresso si dirà, tale circostanza si rivela, ai fini del nostro tema, neutrale) 53.
     La legge fallimentare, com’è noto, contempla l’ipotesi, stabilendo che «in caso di fallimento del conduttore, il curatore può in qualunque tempo recedere dal contratto, corrispondendo al locatore un giusto compenso, che nel dissenso fra le parti è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati» (art. 80, 2° comma).
     La norma 54 si iscrive nel trattamento dei contratti pendenti e, per quanto può qui più direttamente interessare, è ispirata al criterio di contemperare l’esigenza della procedura concorsuale a conservare la disponibilità del bene locato fino a quando ciò presenti utilità per il fallimento con l’interesse del terzo contraente all’esecuzione del contratto di locazione: stabilito il criterio per cui il fallimento non provoca l’automatica risoluzione della locazione 55, il legislatore fallimentare ha nondimeno riconosciuto al curatore 56 la possibilità di sciogliersi in qualunque tempo 57 ad nutum e senza preavviso dal contratto e riequilibrato la posizione del locatore riconoscendogli in tal caso il diritto ad un indennizzo 58, che, in quanto inteso (secondo la condivisa lettura di dottrina 59 e giurisprudenza 60) a compensare la lesione delle aspettative costituite con il rapporto locativo, in funzione della prevista durata (residua) del rapporto medesimo e della misura del canone, dev’essere determinato tenendo conto di tali elementi ed avendo riguardo alle difficoltà che il locatore incontrerà nel reperire sul mercato altro conduttore.
     La presenza di siffatta disciplina fa sorgere un problema – che forse fino a qualche anno fa, in una situazione di mercato tale da veder prevalere nel locatore di un immobile urbano l’interesse a riacquisire la disponibilità dell’immobile stesso su quello all’entità della contropartita economica che il conduttore avrebbe dovuto riconoscergli in caso di recesso, poteva censirsi fra quelli capaci di suscitare interesse solo teorico, ma che neppure allora poteva dirsi privo di rilievo applicativo 61 – di coordinamento fra legge fallimentare e legge dell’equo canone 62, sul quale è opportuno soffermare, sia pur brevemente, l’attenzione.
     Si tratta infatti di stabilire se le due normative, quella concorsuale e quella della locazione, coesistano e siano ambedue applicabili ovvero, nel caso contrario, quale di esse regoli il caso 63. Di assodare cioè se al curatore fallimentare del conduttore, una volta subentrato ex lege nel rapporto, sia dato, nell’àmbito della residua durata della locazione, scegliere fra recedere – senza onere di preavviso 64 e senza altro obbligo che quello di corrispondere al locatore il «giusto compenso» – dal contratto a norma dell’art. 80, 2° comma, legge fallim., e recedere – con l’onere del preavviso di sei mesi e con impegno al rispetto, medio tempore, di tutti gli obblighi del locatario – dal contratto a norma dell’art. 27, 8° comma, della legge n. 392 del 1978, adducendo come grave motivo legittimante il recesso stesso proprio la pendenza della procedura concorsuale; o se, per la prevalenza di una delle due normative, quella fallimentare o quella della locazione, una soltanto delle anzidette possibilità gli sia concessa.
     Delle tre possibili soluzioni, mi pare che sia da preferire la prima.
     Mi sembra sia da scartare la soluzione della prevalenza della disciplina del contratto di locazione su quella del fallimento: più attendibile, semmai, la soluzione opposta, in favore della quale si potrebbe osservare che la legge dell’insolvenza commerciale è specificamente volta ad approntare un particolare strumento di tutela della procedura concorsuale quando questa succeda al fallito nella posizione di conduttore, strumento la cui utilizzazione non è condizionata dalle norme di legge (che, anzi, logicamente presuppone) che regolano il contratto di locazione.
     Tuttavia, come ho detto, più plausibile mi sembrerebbe congetturare che entrambe le regole conservino valenza disciplinare. Da un lato, se il fallimento del locatario fallito succede a questo nel contratto di locazione, non può – salve le sole limitazioni espressamente individuate dalla legge 65 – non succedergli in toto, e dunque conservando tutti i diritti che all’originario conduttore competevano in ragione del contratto così come restando impegnato a tutti i correlativi obblighi che su di esso gravavano; d’altro lato, il diritto di recesso attribuito dalla legge fallimentare al curatore è posto non nell’interesse del conduttore bensì dei suoi creditori 66, e come tale, in un contesto normativo (diverso da quello che vigeva al momento della emanazione della legge fallimentare) che riserva al conduttore il diritto di recedere dal contratto per gravi motivi con un preavviso di sei mesi, si affianca, ma non si sostituisce, alla disciplina del contratto 67.
     Le regole del fallimento dettate nel 1942, in un’ottica di prevalenza delle esigenze della procedura concorsuale su quelle del contraente del fallito, attribuivano al fallimento subentrato nella posizione di conduttore una possibilità – quella di recedere successivamente ed in ogni tempo dal contratto – che la coeva normativa sul contratto di locazione non riconosceva al locatario. Il successivo arricchimento dello “statuto del conduttore” ad opera della legge n. 392 del 1978, e segnatamente l’attribuzione in suo favore di un diritto di sciogliersi dal contratto in presenza di «gravi motivi» sopraggiunti nel corso del rapporto, non determina una “convivenza intollerabile” fra la disciplina (generale) del contratto e la disciplina (specifica) dell’insolvenza commerciale, ma permette al curatore di utilizzare l’una o l’altra di esse, risolvendosi in un ulteriore arricchimento della posizione del conduttore: senza che il riconoscimento della facoltà di ricorrere a questo piuttosto che a quello degli alternativi schemi di rinunzia al contratto trovi ostacolo nella circostanza che uguale ne sia invece il presupposto, in entrambi i casi costituito dal fallimento del conduttore 68, atteso che tuttavia diverse ne restano le regole e gli effetti.
     L’ufficio fallimentare del conduttore, una volta subentrato nel contratto di locazione stipulato dal fallito, avrà perciò la scelta (che eserciterà secondo criteri di convenienza economica per la procedura concorsuale, e valutate le esigenze del fallimento, tenendo cioè conto del fatto che mentre nel primo caso cesserà sùbito il suo diritto di godere dell’immobile e dovrà quindi procedere all’immediata restituzione di esso, nel secondo il rapporto locativo proseguirà invece per sei mesi almeno, fino al giorno che avrà indicato come quello in cui il recesso dovrà prendere effetto) fra recedere senza preavviso dal contratto invocando la disciplina speciale del concorso (art. 80, 2° comma, legge fallim.), restando per l’effetto obbligato a corrispondere al locatore un «giusto compenso», ovvero recedere da esso, col preavviso minimo di sei mesi, sulla base della disciplina generale del contratto (art. 27, 8° comma, della legge n. 392 del 1978) 69.

     * In corso di pubblicazione sulla Rivista giuridica dell’impresa

       Note
     1 Cfr. già S. SOTGIA, I contratti nella liquidazione della società commerciale, Cedam, Padova, 1933, pag. 61-63, il quale precisava tuttavia che la società, ove avesse stipulato in veste di conduttore un contratto di locazione senza termine, avrebbe potuto, una volta postasi in liquidazione, recedere dal contratto secondo le norme generali in materia (e ciò in quanto non si sarebbe potuto pretendere che essa restasse vincolata al contratto a piacimento del locatore o fino al raggiungimento della durata massima di locazione prevista dalla legge).
     Soggiungeva l’A. che se il contratto di locazione avesse previsto l’obbligo della società conduttrice ad un determinato impiego del bene locato, la sua messa in liquidazione, ove avesse determinato una situazione tale da far temere per la conservazione del bene stesso, avrebbe potuto far sorgere in capo al locatore il diritto di risolvere il contratto ex art. 1584 cod. civ. del 1865; e che altrettanto sarebbe stato a dirsi nel caso in cui la liquidazione della società conduttrice avesse comportato l’eliminazione d’ogni garanzia di pagamento del canone, ex art. 1603 cod. civ. del 1865 (norma poi trasfusa nel codice del 1942, all’art. 1608). Ma si noti: non lo scioglimento della società né la sua messa in liquidazione avrebbe di per sé determinato risoluzione del contratto di locazione, bensì i suoi specifici comportamenti di conduttore, potendo in tal senso la vicenda estintiva influire sulle sorti del contratto, ma non provocarne ipso facto ipsoque jure la risoluzione. Per un’applicazione giurisprudenziale cfr. Trib. Genova, 24 aprile 1912, Smith c. Soc. Galliano e Brignolio, in Riv. dir. comm., 1912, II, pag. 939, con nota adesiva di C.A. COBIANCHI, Questioni sulla locazione d’immobili destinati all’esercizio di un commercio.

     2 Il principio riecheggia, seppure in via del tutto implicita, nella decisione di Cass. civ., 27 maggio 1995, n. 5922, Fosci c. Soc. Aquila, in Foro it., Rep. 1995, voce “Locazione”, n. 128 («lo scioglimento di una società di fatto conduttrice di un immobile adibito ad attività commerciale, con prosecuzione della detta attività da parte di uno dei soci nell’immobile medesimo, non incide sulla persistenza dell’originario rapporto locativo, il quale continua con il socio che abbia proseguito da solo nell’attività già esercitata in forma societaria»), ed è ribadito, sebbene nella prospettiva inversa, in Cass. civ., 14 maggio 1991, n. 5384, Moncada c. Buscema, in Corriere giur., 1991, pag. 1017, con nota di A. CAPPABIANCA, Il non uso dell’immobile locato con destinazione commerciale nella giurisprudenza della Cassazione («in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso dell’abitazione, la cessazione da parte del conduttore dell’attività alla quale l’immobile era stato convenzionalmente destinato non costituisce idoneo presupposto né per l’esercizio da parte del locatore della facoltà di recesso prevista dagli artt. 73 e 29 della legge n. 392 del 1978, né per la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 80 stessa legge, né infine per la risoluzione del contratto in base alle ordinarie norme degli artt. 1453 e segg. cod. civ.»).

     3 Sul punto si veda la monografia di R. VIGO, I contratti pendenti non disciplinati nella legge fallimentare, Giuffrè, Milano, 1989.

     4 Sia consentito rinviare a G. NICCOLINI, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Trattato delle s.p.a. diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 7, tomo III, Utet, Torino, 1997, pag. 441 ss.

     5 Si potrebbe dubitare che le previsioni dell’art. 27, 7° comma, della legge n. 392 del 1978 abbiano carattere indisponibile, ed in particolare ritenere che, qualora derogate nel senso di consentire al locatario di recedere con un preavviso meno esteso dei sei mesi, o di attribuirgli la possibilità di comunicare al locatore il proprio recesso con una forma meno rigorosa della raccomandata, agevolerebbero la posizione del conduttore sì da non incorrere nel divieto, sanzionato da nullità, dell’art. 79 della stessa legge n. 392. Così orientati G. BERNARDI, S. COEN e G. DEL GROSSO, nel Commentario a cura di C.M. Bianca, N. Irti, N. Lipari, A Proto Pisani, in Nuove leggi civ. comm., 1978, sub art. 4, pag. 943, i quali ritengono legittimo non solo un accorciamento, ma anche un allungamento del termine di sei mesi. Conformemente in giurisprudenza Pret. Pordenone, 5 febbraio 1989, Bell c. Redolfi De Zan, in Arch. locazioni, 1989, pag. 169; Pret. Pordenone, 28 marzo 1988, Sonego c. Piscopo, in Arch. locazioni, 1989, pag. 161 (che ha statuito che l’accordo col quale le parti riducono il termine semestrale può anche essere concluso tacitamente, e trovare prova nell’avere il locatore stipulato con altro conduttore un contratto di locazione decorrente dalla data del preventivato rilascio comunicatogli dal primo conduttore); Pret. Penne, 14 novembre 1985, Morricone c. De Falviis, in Arch. locazioni, 1986, pag. 336.
     In questa stessa direzione muovono quanti hanno denunziato un’intima contraddizione logica fra l’ammettere le parti del contratto locativo a convenire in favore del conduttore un diritto di recesso anticipato e la fissazione ope legis di un termine minimo per l’esercizio di siffatto diritto: G. POTENZA, C. CHIRICO, M. ANNUNZIATA, L’equo canone. Commento sistematico della legge 27 luglio 1978 n. 392 sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani, Giuffrè, Milano, 1978, pag. 303 e pag. 53 (con riguardo, rispettivamente, agli artt. 27, 7° comma, e 4, 1° comma, della legge n. 392 del 1978).
     Soluzioni e critiche sulle quali mi pare si possa tornare a riflettere.
     Invero, la soluzione del problema sembra prescindere dall’art. 79 della legge n. 392 del 1978 e dalla circostanza che un patto come quello ipotizzato amplierebbe convenzionalmente la tutela contrattuale del conduttore: come si è osservato [M. TAMPONI, nel citato Commentario a cura di C.M. Bianca ed altri, sub art. 79, pag. 1317 ss., spec. pag. 1323] le previsioni dell’art. 79 (che per il profilo che interessa verrebbe chiamato in giuoco nella parte in cui dichiara nulla ogni pattuizione diretta ad attribuire al locatore un «vantaggio», oltreché in ordine alla durata del rapporto o alla misura del canone, «in contrasto con le disposizioni della presente legge») non esauriscono le ipotesi di invalidità delle clausole convenzionali difformi dalla legge, sicché non solo il «vantaggio» attribuito al locatore produce nullità della relativa clausola, bensì anche il contrasto di essa con altre norme imperative, siano dette norme contenute nella legge n. 392 del 1978 o altrove, attribuisca quella clausola un «vantaggio» al locatore ovvero al conduttore.
     Si dovrebbe allora (forse non condividere sul piano della scelta politica, e della sua coerenza alla ratio della legge sulle locazioni di immobili urbani del 1978, l’opzione esercitata dal legislatore, e purtuttavia) prendere atto di ciò, che la legge dell’equo canone ha bensì consentito l’introduzione convenzionale di un recesso ad nutum (ipotesi da ricondurre, secondo G. GABRIELLI, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Giuffrè, Milano, 1985, pag. 65 ss., spec. pag. 107 ss., all’alveo del jus se poenitendi), ma al tempo stesso ha voluto porre, con l’avverbio «almeno», dei limiti minimi di tempo a tale libertà contrattuale. Se si condividesse questa linea di pensiero, si dovrebbe concludere nel senso dell’ammissibilità di un allungamento convenzionale del termine, ma non anche – e benché questo si traduca in un «vantaggio» per il conduttore [contra, invece, ed appunto valorizzando in questa prospettiva l’art. 79 della legge n. 392 del 1978, G. GALLI, Locazione di fondi urbani, in Comm. del cod. civ. Scialoja-Branca a cura di F. Galgano, Zanichelli-Foro Italiano, Bologna-Roma, 1996, pag. 209; F. TRIFONE, La locazione: disposizioni generali e locazioni di fondi urbani, nel Tratt. di dir. privato diretto da P. Rescigno, vol. 11, Utet, Torino, rist. 1989, pag. 547; Trib. Genova, 7 aprile 1987, Alpi c. Bini, in Arch. locazioni, 1987, pag. 523] – di un suo accorciamento. Meno certo [e cfr. al riguardo le considerazioni di A. CAPPABIANCA, La disdetta nei contratti di locazione di immobili urbani, in Foro it., 1990, I, col. 1589 ss., spec. col. 1596-1605] che si possa concludere per la legittimità di una clausola che imponga, per la comunicazione del recesso, e ne faccia dipendere la validità, una forma più rigorosa della raccomandata di cui parla la legge (ad esempio la notifica a mezzo di ufficiale giudiziario; ovvero la stessa raccomandata con avviso di ricevimento, non richiesta dal legislatore del 1978).
In giurisprudenza, si è ritenuto che «i termini e le forme previsti dall’art. 4 della legge n. 392 del 1978 per il recesso dal contratto di locazione non costituiscono condizioni di validità dell’atto, bensì condizioni perché il negozio unilaterale di recesso abbia effetto nei confronti dell’altro contraente: non può pertanto la parte recedente eccepire l’irritualità o l’intempestività della propria disdetta per resistere alla pretesa della parte destinataria che, accettando il recesso, la faccia valere»: così Pret. Legnano, 10 agosto 1982, Di Crescenzo c. Ottavi, in Arch. locazioni, 1982, pag. 497.
     Va poi osservato che il recesso convenzionale degli artt. 4, 1° comma, e 27, 7° comma, della legge n. 392 del 1978 non è necessariamente un recesso ad nutum. Posto che la legge impone, al riguardo, solo che il recesso convenzionale sia esercitatile «in qualunque momento» e con un preavviso di «almeno» sei mesi, la clausola che attribuisse al conduttore il diritto di recedere soltanto al verificarsi di determinati eventi dovrebbe considerarsi legittima se prevedesse, come ipotesi legittimanti il recesso del locatario, eventi che non costituirebbero giusto motivo di recesso a norma dell’art. 4, 2° comma, e 27, 8° comma (diversamente, quando cioè prevedesse ipotesi di recesso che già costituirebbero giusto motivo dell’ineliminabile recesso legale a norma delle testé citate disposizioni, si tratterebbe di una clausola “neutra”: e vedasi qui M. CONFORTINI, Problemi generali del contratto attraverso la locazione, Cedam, Padova, 1988, pag. 236 ss.): una simile pattuizione, infatti, arricchirebbe la posizione del locatario implementandone i «vantaggi». Benvero, una soluzione di diverso segno si accrediterebbe se si ritenesse che le parole «in qualunque momento» usate dalla legge abbiano portata più ampia che quella di segnare il tempo di esercitabilità del recesso all’interno della durata del rapporto locativo, e cioè impongano all’autonomia contrattuale di riconoscere un’assoluta libertà per il conduttore di recedere. Ma una simile opzione interpretativa mi sembrerebbe poco persuasiva: invero, vi sarebbe una forte contraddittorietà fra l’ammettere le parti a convenire, all’interno di un sistema ispirato ad una forte rigidità disciplinare, un recesso convenzionale ed al tempo stesso vincolarle, oltre quanto espressamente fa la legge (tempo del recesso e preavviso; forse forma dell’atto di recesso) ad un determinato contenuto del recesso stesso.

     6 Il dubbio, da più parti sollevato [Pret. Bologna, 6 dicembre 1969, Battistoni c. Schirò, in Archivio locaz., 1980, pag. 193, in Giur. costit., 1980, II pag. 952 ed in Rass. equo canone, 1980, pag. 135; Pret. Cantù, 11 febbraio 1981, Gobba c. Caldera, in Arch. locazioni, 1981, pag. 357, in Giur. costit., 1981, II, pag. 1240 ed in Rass. equo canone, 1981, pag. 181; Giud. Conc. Castellammare di Stabia, 12 ottobre 1981, Rocco c. Rocco, in Arch. locazioni, 1982, pag. 25, in Giur. costit., 1982, II, pag. 1078 ed in Rass. equo canone, 1982, pag. 33; Trib. Roma, 27 novembre 1981, Sacco c. Ronzini, in Arch. locazioni, 1982, pag. 393, in Giur. costit., 1982, II, pag. 1078 ed in Rass. equo canone, 1982, pag. 217], che l’art. 4, 2° comma, della legge n. 392 del 1978 nella parte in cui non riconosce al locatore la facoltà di anticipato recesso riconosciuta invece al conduttore peccasse di incoerenza rispetto al principio di eguaglianza fissato nella carta fondamentale, è stato dissipato da Corte cost., 28 luglio 1983, n. 251, Battistoni c. Schirò, in Foro it., 1983, I, col. 2634, in Giur. it., 1984, I, 1, col. 889, con nota di M.N. COMENALE PINTO, La rilevanza del bisogno abitativo nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giust. civ., 1983, I, pag. 2519, in Cons. Stato, 1983, II, pag. 785, in Rass. equo canone, 1983, pag. 108, in Arch. locazioni, 1983, pag. 441 ed in Ammin. it., 1983, pag. 1649. Vedasi anche sul punto A. DI MAJO, Aspetti costituzionali della legislazione sulle locazioni, nel volume Equo canone: esperienze e tecniche legislative europee a confronto, Milano, Giuffrè, 1984, pag. 147, e F. TRIMARCHI BANFI, Casa e costituzione: la giurisprudenza della Corte, nell’opera collettanea La casa di abitazione fra normativa vigente e prospettive, vol. I, Aspetti costituzionali e amministrativi, Giuffrè, Milano, 1986, pag. 49 ss.

     7 Applicabile altresì ai contratti in corso al momento dell’entrata in vigore della legge n. 392 del 1978 (Cass. civ., 14 giugno 1988, n. 4030, Mireck c. Cardinali, in Arch. locazioni, 1989, pag. 88 ed in Rass. equo canone, 1998, pag. 246; contra Trib. Piacenza, 26 settembre 1985, Buono c. Nossardi, in Arch. locazioni, 1985, pag. 725), nonché ai contratti di locazione stipulati come conduttori da enti locali (Cass. civ., 22 novembre 2000, n. 15082, Arcieri c. Com. Salerno, in Foro it., 2001, I, col. 1203, in Giust. civ., 2001, I, pag. 1291, in Rass. locazioni, 2001, pag. 202, con nota di G. SPAGNUOLO, L’ente pubblico è un soggetto particolare nel raporto di locazione? ed in Arch. locazioni, 2001, pag. 677, che fa séguito a Pret. Salerno, 18 gennaio 1996, Com. Salerno c. Arcieri, in Rass. locazioni, 1996, pag. 30) e dallo Stato (Cons. Stato, sez. III, 14 febbraio 1980, n. 62, in Cons. Stato, 1982, I, pag. 1061).

     8 Sul quale vedasi A. COSENTINO, Disdetta del contratto da parte del locatore, nel volume curato da V. Cuffaro, Le nuove locazioni abitative, Ipsoa, Milano, 2000, pag. 109-111 e C.M. VERARDI, Il diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza e il recesso del conduttore, nel volume collettaneo curato da V. Cuffaro, Le locazioni ad uso di abitazione, Giappichelli, Torino, 2000, pag. 254-255. Per un primo sguardo d’insieme alla legge n. 431 del 1998 cfr. V. CUFFARO e S. GIOVE, La riforma delle locazioni abitative, Ipsoa, Milano, 1999.

     9 Ex multis: Cass. civ., 22 novembre 2000, n. 15082, Arcieri c. Com. Salerno, cit.; Cass. civ., 11 agosto 1997, n. 7460, Mantovani c. Droghetti, in Arch. locazioni, 1997, pag. 994; Cass. civ., 11 aprile 1997, n. 3168, Soc. Publiemme c. Fondo Pensioni Banca Nazionale Lavoro, in Rass. locazioni, 1998, pag. 339, con nota di A. CARRATO, Osservazioni essenziali sull’interpretazione dei gravi motivi giustificativi del recesso anticipato del conduttore; Cass. civ., 10 dicembre 1996, n. 10980, Salsa c. Soc. Fineco, in Foro it., 1997, I, col. 816 ed in Arch. locazioni, 1997, pag. 50; Cass. civ., 3 febbraio 1994, n. 1098, Ina c. Pelosi, in Foro it., Rep. 1994, voce “Locazione”, n. 349; App. Lecce-Taranto, 4 dicembre 1996, Colucci c. Gallo, in Arch. locazioni, 1998, pag. 83; Trib. Milano, 9 settembre 1993, Soc. Cea c. Soc. Gaia, in Arch. locazioni, 1994, pag. 121; Trib. Piacenza, 26 settembre 1985, Buono c. Nossardi, cit.

     10 In giurisprudenza si registra qualche incertezza circa la necessità che i «gravi motivi» siano esplicitati nella comunicazione di recesso: se, infatti, per la soluzione affermativa si è pronunciato, con alcuni giudici di merito [tra i quali si vedano Trib. Vicenza, 26 febbraio 1990, Soc. Fosser c. Frigo, in Arch. locazioni, 1990, pag. 300 e Pret. Pordenone, 10 novembre 1988, Brusutti c. Soc. Sam, in Arch. locazioni, 1989, pag. 380], il giudice di legittimità [Cass. civ., 14 maggio 1997, n. 4238, D’Amario c. Di Cesare, in Giur. it., 1998, pag. 1584, con nota critica di E. DEL PRATO, «Formalismo» e leggi speciali: il recesso del conduttore e la comunicazione dei «gravi motivi»; in Giust. civ., 1998, I, pag. 511, con nota critica di G. GRISI, Il recesso anticipato del conduttore nella locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo, in Vita not., 1997, pag. 1474, in Arch. locazioni, 1998, pag. 225 ed in Rass. locazioni, 1998, pag. 339, con nota di A. CARRATO, Osservazioni, cit.; Cass. civ., 10 dicembre 1996, n. 10980, Salsa c. Soc. Fineco, cit.; implicitamente Cass. civ., 5 febbraio 1996, n. 954, Soc. Fama Jersey c. Soc. Penelope, in Foro it., 1996, I, col. 2833, ed in Rass. locazioni, 1996, pag. 475, con nota di M. DE TILLA, Come si individuano i gravi motivi del recesso del conduttore; conf. A. CARRATO, Spunti generali in tema di recesso anticipato del conduttore in materia di locazione di immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione, in Rass. locazioni, 2000, pag. 44, e L. RAZZA, Il recesso nei contratti di locazione degli immobili urbani, in Arch. locazioni, 1981, pag. 323-324], anche dopo l’intervento regolatore della S.C. l’opposta soluzione ha trovato credito presso qualche giudice territoriale [App. Roma, 24 dicembre 1998, Scozzafava c. Giorgi, in Giust. civ., 1999, I, pag. 2499, con nota adesiva di E. GABRIELLI, Sulla necessità di specificare i gravi motivi nel recesso del conduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello abitativo; Trib. Bologna, 24 giugno 1997, Cuccoli c. Mazzoni, in Arch. locazioni, 2000, pag. 626, peraltro riformata da App. Bologna, 7 febbraio 2000, Cuccoli c. Mazzoni, in Arch. locazioni, 2001, pag. 109].

     11 Con riferimento a questo caso si è pronunciata Cass. civ., 3 febbraio 1994, n. 1098, Ina c. Pelosi, cit.

     12 È la fattispecie scrutinata da Cass. civ., 20 ottobre 1992, n. 11466, Soc. Abbigliamento Merceria Platti c. Penazzi, in Foro it., 1993, I, col. 3118 ed in Giust. civ., 1993, I, pag. 1551, con nota di M. DE TILLA Sul recesso del conduttore.
      Non ricorrono invece i presupposti del recesso nel caso in cui esso si fondi sul diniego dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio nell’immobile locato di una determinata attività (nella specie: casa-albergo), se già al momento della stipula del contratto di locazione non sussistevano i presupposti di fatto e di diritto per ottenere detta autorizzazione: Cass. civ., 12 gennaio 1991, n. 260, Soc. Piec c. Ponturo, in Rass. equo canone, 1992, pag. 46.

     13 Trib. Milano, 29 aprile 1999, Soc. Anelli & Milani c. Soc. Ars Sutoria, in Arch. locazioni, 2000, pag. 624: i giudici hanno ritenuto che da un lato «la redditività» della società locataria «risultava per certo compromessa in conseguenza del venir meno del rapporto con l’unico preponente, e, dall’altro, che la cessazione dell’attività di agente, la messa in liquidazione della società ed il precedente recesso dal contratto di locazione non erano scelte ancorate alla sfera della soggettiva ed unilaterale valutazione del conduttore di continuare a svolgere l’attività di agente nell’immobile locato».

     14 È la fattispecie oggetto della decisione di Trib. Trento, 5 maggio 1998, Piffer c. Soc. Sofit, in Arch. locazioni, 1998, pag. 729.

     15 Si veda oltre, paragrafo 3, lett. a.

     16 Trib. Firenze, 16 dicembre 1991, Soc. Metodi e Vendite c. Fondo pensioni pers. Banca Naz. Lavoro, in Arch. locazioni, 1992, pag. 630, con riferimento ad un caso nel quale la società locataria si era vista porre come condizione essenziale per il conferimento di un importante incarico che essa trasferisse i suoi uffici presso quelli del committente: i giudici hanno reputato che in tal caso il recesso dalla locazione costituiva «un atto necessitato al fine di consentire» alla conduttrice «di cogliere a tempo debito e senza ritardi un’opportunità di lavoro che il mercato le offriva temporaneamente ed alla sola condizione di operare un trasferimento da un ufficio ad un altro e consentirle, quindi, di reperire una fonte solida e cospicua di lavoro, pari alla quasi totalità della sua attività», cioè «non solo e non tanto di conseguire una espansione commerciale, ma, soprattutto, di continuare ad operare nel settore produttivo in cui aveva intrapreso l’attività».

     17Pret. Salerno, 18 gennaio 1996, Com. Salerno c. Arcieri, cit., e Cass. civ., 22 novembre 2000, n. 15082, Arcieri c. Com. Salerno, cit.: un Comune aveva preso in locazione un immobile, limitrofo agli uffici della polizia urbana, per utilizzarlo come sede dell’autoparco della stessa; successivamente, dovendo reperire una sede per gli uffici del Giudice di pace, il Comune – con una decisione che costituiva «non il frutto di una determinazione libera, ma il risultato di una ponderata valutazione di più interessi» – aveva deciso di collocarli nell’immobile già sede della polizia municipale, trasferendo altrove gli uffici di quest’ultima, e ciò aveva comportato la necessità di trasferire anche la sede dell’autoparco.
     Si veda anche Cass. civ., 29 agosto 1995, n. 9110, Inadel c. Enasarco, in Foro it., Rep. 1995, voce “Sanità pubblica”, n. 289-290: il trasferimento alle u.s.l. (legge 8 agosto 1980, n. 441) dei servizi sanitari già prestati dagli enti e gestioni soppressi, con conseguente perdita delle relative funzioni da parte di questi enti, non implica la cessazione dei contratti di locazione degli immobili che, non essendo destinati alle attività di assistenza sanitaria (come non era quello di specie, adibito dall’Inadel a sede degli uffici della propria direzione generale), non sono stati ope legis trasferiti ai Comuni, perché non priva di causa l’utilizzazione di detti immobili, né costituisce grave motivo di anticipato recesso del conduttore ai sensi dell’art. 27 della legge n. 392 del 1978. Più di recente, cfr. App. Venezia, 18 gennaio 2001, Soc. Terna c. Usl 12 Veneziana, in Foro pad., 2001, I, col. 112: legittima il recesso la rirganizzazione dei servizi sanitari e amministrativi collegata alla riduzione del numero delle u.s.l. e quindi all’accorpamento di amministrazioni prima diverse per finalità di concentrazione delle strutture sul territorio.

     18 G. BERNARDI, S. COEN e G. DEL GROSSO, nel Commentario, cit., pag. 944; A. BUCCI, E. MALPICA e R. REDIVO, Manuale delle locazioni, Cedam, Padova, 1989, pag. 352; C. FABRICATORE, Il recesso del conduttore tra legislazione speciale e regole del codice, in Dir. e giur., 1987, pag. 715; M. FANTACCHIOTTI, La durata della locazione abitativa, Cedam, Padova, 1989, pag. 100.

     19F. LAZZARO, R. PREDEN e M. VARRONE, L’«equo canone», Giuffrè, 1978, pag. 112.

     20 F. LAZZARO e R. PREDEN, Le locazioni per uso non abitativo. La normativa vigente nell’elaborazione giurisprudenziale, 4ª ediz., tomo I, Giuffrè, 1998, pag. 171.

     21 Discusso è se il motivo del trasferimento assuma rilevanza (così come ne assume nell’art. 1613 cod. civ. per il recesso del conduttore-pubblico dipendente, che può recedere dal contratto di locazione solo se il suo trasferimento non è disposto su sua domanda).
     Secondo alcuni il recesso non è consentito quando il trasferimento fa séguito ad una domanda del conduttore-lavoratore dipendente [G. BOZZI (M. CONFORTINI, G. DEL GROSSO e A. ZIMATORE), Locazione di immobili urbani, voce del Novissimo dig. it. Appendice, vol. IV, Utet, Torino, 1983, pag. 1022; vedasi anche Trib. Piacenza, 26 settembre 1985, Buono c. Nossardi, cit.].
     Secondo altri, invece, la circostanza suddetta costituisce una variabile indipendente [F. TRIFONE, La locazione, cit., pag. 548], quante volte almeno – occorrendo fare «riferimento ad ogni grave esigenza di carattere economico o personale, non dolosamente preordinata né capricciosamente voluta, che appaia, sulla base di un’equa valutazione, meritevole di protezione secondo la comune esperienza ed il normale svolgersi dei rapporti familiari, umani e giuridici»; e dovendosi tener conto del fatto che trasferire la propria residenza costituisce diritto primario ed assoluto, costituzionalmente protetto – «non si tratti di domanda del tutto capricciosa» [così M. FANTACCHIOTTI, La durata, cit., pag. 99].
     Impostazioni, quelle testé riferite, che dovrebbero per quanto di ragione riproporsi con riguardo al conduttore-società che deliberi di trasferire la sua sede.

     22 F. TRIFONE, La locazione, cit., pag. 548. Vedasi altresì F. TAMBURRINO, Le locazioni abitative, 22ª ediz., Il Sole-24 Ore, Milano, 2001, pag. 218, il quale – sulla premessa che la legge, in punto di «giusto motivo», debba essere interpretata a favore del conduttore – propone come ipotesi che legittimano il recesso del locatario anche i casi, in cui si modifica l’esigenza abitativa, del suo prepensionamento, dell’insorta esigenza di studio di un suo figliolo, del decesso di un suo familiare.

     23 Quanto all’ipotesi opposta, della riduzione del nucleo familiare del conduttore, che potrebbe essere per qualche verso accostata a quella qui in esame, vi fa indiretto cenno F. TRIFONE, La locazione, cit., pag. 548, riferendosi al caso in cui l’immobile locato sia divenuto sproporzionato rispetto a più ridotte necessità abitative.
     Sull’abrogazione, ad opera della legge n. 392 del 1978, dell’art. 1614 cod. civ. (recesso degli eredi del conduttore defunto), si veda, anche per richiami giurisprudenziali, G. GALLI, Locazione, cit., pag. 231.

     24 L’esempio è prospettato nella motivazione di Trib. Genova, 23 marzo 1987, Soc. Goal c. Negrino, in Arch. locazioni, 1987, pag. 524, ivi a pag. 525, ove, sempre in termini esemplificativi, è altresì proposto il caso della «decisione di scioglimento di una società, per la cui attività sociale era stato stipulato un contratto di locazione di un determinato immobile».

     25 G. GRASSELLI, Il recesso del conduttore nella disciplina dell’art. 27 comma ult. della legge n. 392 del 1978, in Giust. civ., 1987, I, pag. 434 (con la precisazione che «il peggioramento delle condizioni economiche del conduttore non può essere assunto come grave motivo di recesso indipendentemente dall’indagine sulla causa che lo ha determinato, ed è quest’ultima che, configurandosi come dato estrinseco, sopravvenuto ed imprevedibile, determinerà l’effetto dell’impossibilità di proseguire nel rapporto» che legittima il recesso); F. TRIFONE, La locazione, cit., pag. 548 (il quale fa anche cenno al fallimento del conduttore come giusto motivo di suo recesso dalla locazione di immobile ad uso abitativo, questione sulla quale cfr. ALF. ALIBRANDI, Locazione di immobile ad uso di abitazione e fallimento del conduttore, in Arch. locazioni, 1979, pag. 353). Contra, con riferimento al generico peggioramento delle condizioni economiche del locatario, in quanto si tratterebbe di circostanza o situazione in varia misura imputabile ad un comportamento del conduttore, G. BOZZI (M. CONFORTINI, G. DEL GROSSO e A. ZIMATORE), Locazione, cit., pag. 1022. Si vedano anche G. BERNARDI, S. COEN e G. DEL GROSSO, nel Commentario, cit., pag. 944, e più avanti il paragrafo 3, lett. a.

     26 Così F. LAZZARO e R. PREDEN, Le locazioni, cit., pag. 171.

     27 Propongono queste esemplificazioni M. FANTACCHIOTTI, La durata, cit., pag. 101 e F. TRIFONE, La locazione, cit., pag. 548.

     28 G. POTENZA, C. CHIRICO, M. ANNUNZIATA, L’equo canone, cit., pag. 55.

     29 Mi sembra di dover obiettare che il recesso che la legge n. 392 del 1978 consente al conduttore non è ordinato a tutelare il conduttore stesso da inadempimenti del locatore (e mi pare lo confermi il fatto che il locatario è titolato a recedere con un preavviso di sei mesi), secondo la struttura dei recessi cc. dd. risolutivi, ma a conservare al locatario, impegnato al rispetto di un contratto di estesa durata, la possibilità di liberarsi dal vincolo (e vedasi qui, ex novis, F. PADOVINI, Il recesso, ne I contratti in generale a cura di E. Gabrielli, Utet, Torino, 1999, vol. II, pag. 1243) se si modificano le sue esigenze locative, cioè se si verificano nella sua sfera economico-giuridica eventi che incidono sul suo interesse alla prosecuzione del rapporto.

     30 La tesi è stata proposta da A. POZZI, Il recesso del conduttore nella disciplina della legge n. 392 del 1978, in Giur. it., 1982, IV, col. 173-174, ed ha trovato consenso in F. TRIFONE, La locazione, cit., pag. 548 (contra, invece, G. BERNARDI, S. COEN e G. DEL GROSSO, nel Commentario, cit., pag. 945). Il fatto – si è scritto – che l’art. 80, 1° comma, legge fallim. escluda espressamente che il fallimento del locatore sciolga il contratto di locazione, «non significa che lo stesso evento non incida nella sfera giuridica del conduttore in relazione al rapporto di godimento che egli ha con l’immobile ed agli interessi correlati (minore affidabilità che la persona del curatore può indurre per il sollecito adempimento degli obblighi contrattuali; liquidazione del bene locato con la conseguente inopponibilità all’aggiudicatario di pattuizioni favorevoli al conduttore, stipulate bonariamente e senza formalità con l’originario locatore: artt. 2918, 2923, 2924 cod. civ.; art. 45 legge fallim.)»: laddove – si è soggiunto – la legge del concorso, che si limita a disciplinare le ipotesi di scioglimento ex lege del contratto, non contrasta con la soluzione proposta, di un possibile scioglimento della locazione per volontà unilaterale del contraente in bonis.
     A parte quanto detto nella nota che precede, a me sembra che questa tesi non meriterebbe comunque adesione incondizionata.
     Mi sembra – anzitutto – che in nessun caso la «minore affidabilità» del locatore o il semplice timore di un suo futuro inadempimento al contratto, possa legittimare il conduttore a recedere dal contratto stesso: mentre, se inadempimento c’è, sarà semmai in questo, nella sua obiettiva gravità, e non già nel dissesto del locatore (aggravato o non che sia da una sentenza di fallimento), il giusto titolo del recesso del locatario.
     A parte ciò, non il fallimento in specie, ma l’esecuzione forzata in genere, sarebbe da prendere in considerazione; e comunque diverse sono le situazioni che possono presentarsi, giacché (per limitare il discorso ai casi degli artt. 2918 e 2924 cod. civ.): a) le cessioni e le liberazioni di canoni non ancora scaduti di durata infratriennale che siano state trascritte anteriormente al pignoramento, e quelle di durata ultratriennale non trascritte sebbene aventi data certa anteriore al pignoramento, hanno effetto – sia nei confronti dei creditori pignoranti e intervenuti e del fallimento, sia nei confronti dell’acquirente dall’esecuzione forzata o dal fallimento – non oltre il termine di un anno dal pignoramento: sicché la situazione del conduttore non si modifica in nulla se la cessione o la liberazione non eccedeva il periodo di un anno dal pignoramento e, in caso contrario, si modifica solo dopo il medesimo anno (con la conseguenza che nel primo caso non vi sarebbe motivo di recesso; nel secondo caso, invece, il motivo del recesso vi sarebbe, ma solo una volta che sia decorso l’anno); b) le cessioni e le liberazioni di canoni non ancora scaduti di durata ultratriennale non trascritte e non aventi data certa anteriore al pignoramento, non hanno effetto né nei confronti dei creditori pignoranti e intervenuti o del fallimento, né nei confronti dell’acquirente dall’esecuzione forzata o dal fallimento: la situazione del conduttore cambia e (forse, a condizione che la mancata trascrizione non sia imputabile al locatario) si determinerebbe un giusto motivo di recesso del conduttore; c) le cessioni o le liberazioni di canoni già scaduti non hanno effetto verso i creditori del locatore o verso il suo fallimento nei limiti della revocatoria: tuttavia la situazione del conduttore non si modifica se della revocatoria ricorrono i presupposti, giacché in questi casi egli è comunque debitore dei canoni relativi al periodo di locazione già trascorso, senza che il recesso dal contratto riduca l’area delle sue responsabilità.

     31 Al comportamento del locatore è riconducibile l’ipotesi prospettata nella motivazione di Trib. Piacenza, 26 settembre 1985, Buono c. Nossardi, cit.: in un mercato immobiliare in cui l’offerta di locazioni abitative è particolarmente scarsa, sarebbe legittimo il recesso esercitato dal conduttore che, informato dal locatore di una propria imminente esigenza di disporre dell’immobile locato, ancor prima dell’attualizzarsi di detta esigenza reperisse altro alloggio e lo prendesse in locazione.

     32 Cfr. ancora G. BERNARDI, S. COEN e G. DEL GROSSO, nel Commentario, cit., pag. 944-945.

     33 Così di nuovo G. BERNARDI, S. COEN e G. DEL GROSSO, nel Commentario, cit., pag. 945.

     34 Potrebbe dubitarsi che sia iscrivibile in questa categoria la decisione di scioglimento assunta ai sensi dell’art. 2284 cod. civ. e quella adottata a norma dell’art. 2270, 2° comma, cod. civ. Per la soluzione affermativa potrebbe invocarsi il fatto che in entrambi questi casi, ovvero quanto meno in quello di cui all’art. 2284 cod. civ., la volontà dissolutiva dei soci non è retta dalla loro mera scelta, ma si coordina ad un evento sopraggiunto e verificatosi all’interno della compagine sociale.

     35 Cfr. – con riguardo al ridimensionamento dell’attività della società, non al suo scioglimento – Cass. civ., 11 agosto 1997, n. 7460, Mantovani c. Droghetti, cit. («poiché i gravi motivi che consentono al conduttore di un immobile adibito ad uso commerciale, di recedere anticipatamente dal rapporto di locazione devono essere sopravvenuti alla stipula del relativo contratto ed imprevedibili a tale momento – e quindi la fattispecie non si sovrappone a quella che consente la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1567 cod. civ.), in cui è necessario altresì che l’evento sopravvenuto sia eccezionale ed incida sulla sinallagmaticità delle prestazioni – se i costi della produzione – in cui rientra il canone da pagare – dell’impresa esercitata dal conduttore sono divenuti onerosi prevalentemente a causa dei mancati pagamenti da parte della clientela, il recesso è ingiustificato, non trattandosi di un rischio imprevedibile»); Trib. Forlì, sez. Cesena, 15 novembre 2000, Soc. Immobiliare Emiliano Romagnola c. Soc. Future Touring, in Arch. locazioni, 2001, pag. 116 (non si è considerato sorretto da «giusto motivo» il recesso esercitato dalla società conduttrice per riduzione dell’attività aziendale determinata dall’infausto esito di un’operazione imprenditoriale, evento che «non può considerarsi una sopravvenuta sfavorevole congiuntura economica, ma un’evidente scelta poco ponderata, e comunque rientrante nella normale alea e rischio d’impresa»: così in motivaz., pag. 119); Trib. Rovigo, 7 febbraio 1998, Soc. MCZ c. Soc. Tectum, in Arch. locazioni, 1998, pag. 231 («gli eventi rientranti nell’ordinario rischio d’impresa non costituiscono i gravi motivi in presenza dei quali l’art. 27 della legge n. 392 del 1978 consente il recesso del conduttore»: nella specie il conduttore aveva deciso di orientare la propria attività verso la produzione di determinati manufatti, depotenziando quella di altri prodotti, fabbricati nell’immobile assunto in locazione, locazione dalla quale intendeva pertanto recedere); Trib. Padova, 29 maggio 1986, Soc. Siderpali c. Capitelli, in Arch. locazioni, 1987, pag. 358, ed in Giust. civ., 1987, I, pag. 431, con nota adesiva di G. GRASSELLI, Il recesso, cit. («l’antieconomicità della prosecuzione dell’attività produttiva del conduttore non realizza le condizioni della sussistenza dei gravi motivi che abilitano ex art. 27, ultimo comma, della legge n. 392 del 1978 a recedere dal contratto»). Si vedano anche le note che seguono.

     36 In senso negativo Trib. Napoli, 20 dicembre 1986, Soc. Costruzioni Pedato c. Soc. Alfa Romeo Auto, in Dir. e giur., 1987, pag. 708, con nota, sul punto adesiva, di C. FABRICATORE, Il recesso, cit.: la nota casa automobilistica del biscione aveva invocato come giusto motivo di recesso dalla locazione di un immobile industriale, lo stato di crisi del settore accertato dal CIPE (al verdetto dei giudici partenopei non è rimasta estranea la considerazione del fatto che la situazione di crisi del settore automobilistico, sebbene stigmatizzata dal CIPE, preesisteva alla locazione). Di contrario avviso, in identica fattispecie, Trib. Napoli, 15 novembre 1986, Soc. Alfa Romeo Auto c. Soc. Icma, ibidem (ove si è assegnato risalto al progressivo accentuarsi, testimoniato dal costante accrescersi delle perdite registrate nei vari esercizi sociali, delle difficoltà della società locataria). Il “caso Alfa Romeo” ha dato origine anche ad un contenzioso dinanzi al Tribunale ed alla Corte d’Appello di Milano, conclusosi in senso favorevole alla società locataria, definito dalla sentenza di Cass. civ., 18 aprile 1995, n. 4332, Inpgi c. Soc. Fiat Auto (non massimata e perciò non censita nei repertori di giurisprudenza, e che può tuttavia leggersi in Guida al Diritto, n. 24 del 1995, pag. 43, e che è in parte riportata da M. DE TILLA, Il diritto immobiliare, Le locazioni, tomo I, Durata e patti in deroga. Successione. Sublocazione, 5ª ediz., Giuffrè, Milano, 1999, pag. 491-492).
     Va sottolineato che in questi casi, così come in quelli segnalati più oltre, in nota, era stata invocata come giusta causa di recesso non la cessazione dell’attività imprenditoriale, ma il suo ridimensionamento.

     37 Sul carattere vincolante, anche per il conduttore, del termine di durata della locazione, vedasi Cass. civ., 24 maggio 1993, n. 5827, Lapomarda c. Perchiazzi, in Foro it., Rep. 1993, voce “Locazione”, n. 182.

     38 È ben vero che, in termini relativi, l’estensione del periodo di preavviso che il conduttore deve rispettare per recedere dal contratto di locazione commerciale (6 mesi sui 72 di durata minima della locazione, rapporto che ulteriormente si riduce a 6 mesi su 108 nella locazione alberghiera) risulta ben più contenuto di quello richiesto al locatario per recedere dalla locazione abitativa (6 mesi su 42). Tuttavia, quand’anche il non aver proporzionato l’estensione del periodo di preavviso di recesso alla durata della locazione fosse da considerare frutto di consapevole scelta legislativa, e questa potesse ritenersi presieduta dall’intenzione di agevolare il disimpegno dal contratto del conduttore commerciale rispetto al conduttore abitativo, rimarrebbe comunque da considerare che nemmeno nelle locazioni commerciali la legge si rimette all’arbitrio del locatario, ma richiede sempre l’esistenza di un «giusto motivo» di recesso.

     39 Trib. Genova, 23 marzo 1987, Soc. Goal c. Negrino, cit., che ha negato fosse sufficiente al conduttore «il semplice richiamo della sua decisione “di chiudere definitivamente l’ufficio di Genova, essendo cambiati, nel frattempo, gli obiettivi iniziali che avevano determinato l’apertura dello stesso”, senza offrire alcuna dimostrazione delle ragioni che potevano sorreggere» tale determinazione.

     40 Si vedano Trib. Milano, 22 settembre 1988, Soc. Ferdomia c. Soc. Soprim, in Arch. locazioni, 1989, pag. 738; Trib. Milano, 25 febbraio 1993, Soc. Pai c. Zolezzi, in Arch. locazioni, 1994, pag. 365 (il diritto di recesso, esercitato per una data di sei mesi antecedente la naturale scadenza del contratto, fu tuttavia negato perché sin dall’inizio del rapporto l’immobile si era rivelato inadeguato alle esigenze del conduttore); Trib. Milano, 9 settembre 1993, Soc. Cea c. Soc. Gaia, cit. (il diritto di recesso fu peraltro negato: il conduttore aveva preso in locazione l’immobile in comune con altri, e «non poteva non prevedere che tale situazione sarebbe divenuta presto del tutto inadeguata, a motivo della naturale espansione della sua attività»); Trib. Milano, 18 novembre 1996, Soc. Pellegrini c. Bianchini, in Arch. locazioni, 1997, pag. 457 (che ha però negato al conduttore il recesso «motivato da esigenze di maggiore spazio conseguenti alla normale espansione della sua attività imprenditoriale, che costituisce un fatto fisiologico e, quindi, certamente prevedibile, oltre che auspicato, dal conduttore fin dall’inizio del rapporto di locazione»: nella fattispecie la locazione era iniziata merno di due anni prima della comunicazione di recesso e, avendo l’immobile locato una superficie assai ridotta, «il conduttore non poteva non prevedere che esso sarebbe divenuto insufficiente non appena la sua attività si fosse sviluppata quel tanto da rendere necessaria l’assunzione di qualche dipendente»: la decisione è stata confermata da Cass. civ., 8 marzo 1999, n, 1954, Soc. Pellegrini c. Bianchini, in Rass. locazioni, 2001, pag. 83).
     Diversamente orientato sembra Trib. Bologna, 17 novembre 1998, Soc. Esse Enne c. Tonelli Borri, in Arch. locazioni, 1999, pag. 114: l’incremento dell’attività imprenditoriale del conduttore, con conseguente inadeguatezza dei locali (la cui limitata estensione «ben poteva far prevedere che nel giro di pochi anni, ed in presenza di corrette scelte imprenditoriali, l’immobile sarebbe divenuto insufficiente rendendo necessario il trasferimento dell’azienda»), «non può integrare valido motivo di recesso atteso che tale evento deve ritenersi voluto e perseguito dal conduttore stesso» (nel precedente grado di giudizio, la domanda del conduttore era stata rigettata per difetto di prova «della insufficienza e inadeguatezza dell’immobile locato a séguito dell’asserita espansione economica» del conduttore stesso: cfr. Pret. Bologna, 4 novembre 1994, Tonelli Borri c. Soc. Esse Enne, in Arch. locazioni, 1996, pag. 101).

     41 Così Trib. Milano, 8 giugno 1992, Soc. Assiquattro c. Soc. Orsiplastica, in Arch. locazioni, 1994, pag. 136, in motivaz. a pag. 138. I giudici hanno ritenuto che costituisse giusto motivo di recesso lo sviluppo (attestato dall’aumento degli organici e dall’acquisto di nuovi macchinari) dell’attività imprenditoriale della società locataria, con conseguente comprovata insufficienza dei locali, peraltro – dato che sembra aver avuto il suo peso nel verdetto – assunti in locazione in un tempo assai lontano (venticinque anni prima).

     42 È la fattispecie esaminata da Trib. Venezia, 9 giugno 1998, n. 1588, Lopez c. soc. Banca Fideuram s.p.a., ined. Una banca, dopo avere (nel giugno 1990) preso in locazione un immobile, aveva separato l’attività di intermediazione mobiliare da quella creditizia, fino ad allora congiuntamente esercitate, costituendo (siamo nel maggio 1991) una distinta società, la quale succedeva nel contratto di locazione; qualche tempo dopo (maggio 1994), la conduttrice recedeva dalla locazione, sostenendo di dover procedere – per quanto previsto dalla legge 2 gennaio 1991, n. 1, e dal regolamento Consob n. 5388 del 2 luglio 1991 – ad un riaccorpamento dell’attività di intermediazione mobiliare in quella bancaria (il che sarebbe infatti avvenuto di lì a poco, nel settembre 1994, attraverso l’incorporazione della società esercente l’attività d’intermediazione nella società esercente l’attività bancaria), con una conseguente riorganizzazione aziendale che richiedeva una razionalizzazione ed una unificazione degli uffici, tutti trasferiti in altro immobile. I giudici hanno escluso che tali circostanze costituissero giusto motivo di recesso: «la nuova decisione della società conduttrice di riunificare, a distanza di ben quattro anni dall’entrata in vigore della citata legge [n. 1 del 1991: n.d.r.], il settore sim con il settore bancario, come evidenziato nella lettera di recesso e successivamente attuato anche a livello societario con l’atto di fusione per incorporazione della Fideuram Sim nella Banca Fideuram s.p.a., non può all’evidenza essere collegata ad una necessità dovuta all’emanazione della legge de qua, […] bensì piuttosto a diverse scelte organizzative ed imprenditoriali»: il «successivo nuovo accorpamento dei settori risponde a mere logice imprenditoriali o di mercato, assolutamente insindacabili, ma certo non opponibili alla controparte che chieda il rispetto degli accordi sottoscritti»; è dunque legittimamente rifiutato dal locatore un «recesso dato sulla base di motivi che per le ragioni sopra dette appaiono privi di giustificazione sul piano oggettivo».

     43 Così orientato Trib. Vicenza, 2 gennaio 2001, Soc. Banco di Sicilia c. Bordignon, in Arch. locazioni, 2001, pag. 841, che ha giudicato legittimo il recesso di un istituto di credito dalla locazione di un immobile adibito a dipendenza, ritenendolo giustificato dal fatto che la banca, che attraversava uno stato di grave crisi (testimoniato da ingenti perdite di bilancio, ed ulteriormente attestato da interventi di sostegno e risanamento assunti dal Governo e da provvedimenti legislativi quale il d.l. n. 292 del 1997), aveva intrapreso un vasto programma di riorganizzazione delle proprie strutture, nel cui àmbito si iscriveva una forte riduzione del personale addetto alla dipendenza, a sua volta trasformata in agenzia.
     La decisione dei giudici veneti (che riecheggia quella di Trib. Genova, 23 marzo 1987, Soc. Goal c. Negrino, cit.) annette rilievo decisivo al fatto che la situazione invocata dal conduttore sia dal locatore obiettivamente verificabile nella sua effettiva esistenza. Si legge infatti nella motivazione che è «possibile attribuire rilevanza a fatti che, pur rientrando nella sfera di decisione del conduttore, hanno un riflesso esterno oggettivamente verificabile, così da consentire al locatore una verifica della loro effettiva esistenza. In senso esemplificativo, la decisione di sciogliere una società per la cui attività era stato stipulato il contratto di locazione, se costituisce fatto risalente alla sfera volitiva dei soci che hanno assunto la decisione, riveste una natura oggettiva che riverbera necessariamente oltre la sfera interna del conduttore, per costituire evento oggettivamente verificabile dallo stesso locatore». A me sembra di poter osservare che tale fattore è invece del tutto neutrale, giacché un determinato sopraggiunto evento, una certa sopravvenuta situazione, possono essere o non essere giusto motivo di recesso, ma non diventano tali solo in quanto oggettivamente “veri” e sol perché “verificabili” dal locatore. Proprio l’esempio addotto dalla sentenza, dello scioglimento della società conduttrice, ne offre riprova: lo scioglimento della società per volontà dei soci è fatto vero e verificabile, e quanto occorre assodare è se sia evento che costituisce giusto motivo di recesso.
     Prospettiva, quest’ultima, condotta all’estremo da Trib. Roma, 29 agosto 1996, n. 1259, Soc. Apre c. Fall. Soc. Apre, ined., e da App. Roma, 24 gennaio 2000, n. 207, Soc. Apre c. Fall. Soc. Apre, ined., le quali, sul presupposto che, non avendo il conduttore diritto a recedere dalla locazione in ragione dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, e non essendo perciò sicuro il suo disimpegno dall’obbligo di pagamento dei canoni (nella fattispecie incidenti in misura significativa sui costi di gestione), hanno negato sussistere nella domanda di ammissione a concordato avanzata dalla società locatrice il requisito della c.d. «quasi certezza» di cui all’art. 160 legge fallim.
     Si veda altresì Trib. Milano, 21 gennaio 2002, n. 824, Ros c. Soc. Massironi, in Guida al diritto, n. 7 del 2002, pag. 42 (s.m.), decisione riduttivamente massimata nel senso che giusti motivi di recesso del conduttore «possono ricorrere in presenza dell’oggettiva necessità del conduttore di adeguare la propria struttura aziendale a una mutata situazione economico-finanziaria tale da non consentire la capacità di coprire i costi con i ricavi della gestione»: la sentenza, infatti, ha poi negato che detti motivi ricorressero nel caso di specie, in cui la società conduttrice, che esercitava attività di vendita di autovetture, aveva invocato da un lato la crisi del settore automobilistico e dall’altro una nuova configurazione del traffico della strada sulla quale affacciava l’immobile locato, circostanze che avevano fatto sorgere l’esigenza, dalla locataria posta a base del recesso, di «una urgente riorganizzazione dei servizi e dei punti vendita, con la soppressione di quelli antieconomici». I giudici hanno altresì dato risalto alla circostanza che la locazione sarebbe comunque scaduta pochi mesi dopo la data di efficacia del recesso: il tempo intercorso fra l’inizio della locazione ed il recesso, ovvero quello che intercorrerebbe fra il recesso ed il naturale termine della locazione, costituisce dato di per sé non determinante ai fini dell’applicazione della disciplina, e che tuttavia, in questa come in altre decisioni, viene apprezzato dal magistrato, in una prospettiva equitativa che non resta estranea alla valutazione giudiziale.
     Si vedano inoltre, in quanto anch’esse riferite ad un caso di cattivo andamento gestionale della società conduttrice, le decisioni di Cass. civ., 18 aprile 1995, n. 4332, Inpgi c. Soc. Fiat Auto, cit., e di Trib. Napoli, 15 novembre 1986, Soc. Alfa Romeo Auto c. Soc. Icma, cit.
     In dottrina, nel senso che costituisce giusto motivo di recesso la «riduzione dell’attività commerciale che renda necessaria per il conduttore l’eliminazione di uno o più punti vendita», si sono pronunciati, in uno dei primi commenti della legge n. 392 del 1978, F. LAZZARO, R. PREDEN e M. VARRONE, L’«equo canone», cit., pag. 112.

     44 Si veda, ma in senso contrario, App. Lecce-Taranto, 4 dicembre 1996, Colucci c. Gallo, cit. La conduttrice, che aveva proseguito l’attività commerciale del defunto coniuge subentrando anche nel relativo contratto di locazione, aveva deciso di cessare l’attività – e perciò di recedere dalla locazione – a causa del diffondersi della delinquenza, avendo subìto un attentato ad opera di ignoti (che avevano lanciato una bomba nel locale condotto in locazione provocando ingenti danni). I giudici hanno ritenuto che la decisione di cessare l’attività d’impresa non trovasse ragione nel patito attentato. La circostanza che dopo tale pur grave evento la conduttrice avesse speso una ragguardevole somma per le riparazioni del locale e per la sostituzione delle merci andate distrutte costituiva prova del fatto che essa aveva inteso proseguire l’attività commerciale che esercitava nel locale condotto in locazione: essendo l’attività commerciale cessata circa un anno dopo lo scoppio della bomba – prosegue la sentenza – «inconfutabilmente il disagio economico» invocato dalla locataria a giustificazione del recesso «non si ricollega[va] direttamente all’evento imprevedibile da essa dedotto, bensì alla sua scelta e libera determinazione di continuare l’attività commerciale, affrontandone i costi aumentati dalle spese di riparazione ed assumendo su di sé l’alea di una situazione, certamente non più prevedibile ma se mai suscettibile di erronea previsione economica».

     45 Rinvio a G. NICCOLINI, Scioglimento, cit., pag. 441 ss.

     46 Cfr. P. VITUCCI, Codice civile e leggi speciali: uno sguardo storico-sistematico sulle locazioni, in Giur. it., 1985, IV, col. 474, nonché V. BUONOCORE, I contratti d’impresa, in Casi e materiali di dir. comm., 3, Contratti d’impresa, Giuffrè, 1993, pag. 48.

     47 Senza che peraltro ciò induca a collocare questa regola nello statuto della locazione commerciale, per concorrere a tipizzarla rispetto alla locazione abitativa, posto che – come si è notato nel paragrafo 2 – il recesso del conduttore per gravi motivi costituisce patrimonio comune (art. 4 della legge n. 392 del 1978 ed art. 3, 6° comma, della legge n. 431 del 1998) di entrambe le tipologie locative (ed anzi, per chi ritiene che la locazione abitativa e la locazione commerciale non esauriscano le tipologie locative della legge n. 392, del contratto di locazione disciplinato dalla legge dell’equo canone).

     48 Il che è quanto emerge dall’osservazione dell’esperienza giurisprudenziale in tema di recesso dalla locazione per ridimensionamento dell’attività d’impresa: la soluzione accolta dai giudici, talora favorevole talaltra contraria a riconoscere il diritto di recesso, sembra intensamente condizionata dalla “credibilità” o dalla “serietà” del (programma di) ridimensionamento dell’imprenditore-conduttore (se non addirittura del medesimo stesso imprenditore-conduttore) in relazione ad una situazione di crisi dello stesso.

     49 Così come nei casi di abbandono finto o sleale dell’attività d’impresa in quanto presieduto da finalità antisindacali: cfr. sul punto G. NICCOLINI, Scioglimento, cit., pag. 347 ss.

     50 Il pericolo è ben presente nell’inedita App. Milano, 21 settembre 1993, n. 1678 (non vidi: il passo è riprodotto nella motivazione di Trib. Milano, 21 gennaio 2002, n. 824, Ros c. Soc. Massironi, cit.): «se fosse vero che la possibilità di diminuire i costi aziendali costituisce grave motivo per recedere dal contratto, si giungerebbe all’assurda conclusione che, qualora dopo la stipulazione del contratto di locazione la conduttrice avesse la possibilità di concluderne un altro a condizioni più vantaggiose, potrebbe pretendere di recedere dal primo invocando la necessità di diminuire i costi e migliorare la produttività dell’azienda».

     51 Come si profila nella motivazione di Trib. Milano, 21 gennaio 2002, n. 824, Ros c. Soc. Massironi, cit., ove l’eccessiva gravosità per il conduttore, capace di giustificare il suo recesso dalla locazione, è estesa all’ipotesi in cui sussista il «pericolo che l’azienda conduttrice, a causa del mantenimento del contratto fino alla scadenza, possa perdere la capacità di coprire i costi con i ricavi della gestione»: in tal caso – proseguono i giudici ambrosiani – «non vi è dubbio che debba godere di preminente considerazione l’interesse, riferibile al sistema socio-economico del Paese e recepito dall’ordinamento giuridico attraverso la (invero generica) formulazione della norma in questione (art. 27, ultimo comma, della legge [n. 392 del 1978]), alla salvaguardia delle unità economiche produttive rispetto a quello, pure fondamentale, alla certezza dei rapporti (pacta sunt servanda)».
     Non condivido questa linea di pensiero. Un sistema giuridico in cui le esigenze della produzione (o della produttività) prevalessero sulla regola per cui i contratti vanno rispettati, istituirebbe una situazione di incertezza, e nell’incertezza nessuna attività umana ha modo di svilupparsi: men che meno l’attività di impresa, che per prima esige certezze. L’argomento tratto dall’esigenza di assicurare una «salvaguardia delle unità economiche produttive» si rivela sotto ulteriore profilo assai fragile: se il locatore fosse a sua volta un’impresa (l’ipotesi non è rara a verificarsi), come si giustificherebbe il prevalere dell’esigenza economica del conduttore?

     52 Per quanto la lettera dell’art. 27, 5° comma, della legge n. 392 del 1978 possa far pensare che nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo (a differenza delle locazioni abitative, per le quali a norma dell’art. 1, 2° comma, della legge dell’equo canone assume rilievo la soggettiva esigenza del conduttore) la durata della locazione possa essere inferiore a quella legale solo in ragione del carattere obiettivamente transitorio dell’attività da esercitare nell’immobile, si ritiene che anche l’esigenza temporanea del locatario, e non dell’attività, legittimi la fissazione di una durata del contratto inferiore a quella legale. Cfr. Cass. civ., 20 agosto 1990, n. 8489, Soc. Arredamento Rizza c. Soc. Baby Park, in Foro it., 1991, I, col. 1170; in dottrina si veda G. GABRIELLI e F. PADOVINI, La locazione di immobili urbani, Cedam, Padova, 1994, pag. 228-229.

     53 Quanto in appresso si osserverà vale anche con riferimento alla liquidazione coatta amministrativa (che al pari del fallimento costituisce, a norma degli artt. 2308 e 2448, 2° comma, cod. civ., causa di scioglimento della società).
      La problematica sulla quale ci si soffermerà non si ripropone, invece, nel caso dell’ammissione della società conduttrice alle procedure di amministrazione controllata e di concordato preventivo: da un lato in linea di principio il concordato preventivo non produce lo scioglimento della società (cfr. G. NICCOLINI, Scioglimento, cit., pag. 355-359); dall’altro, in caso di concordato preventivo del conduttore vi sarebbe di che dubitare dell’applicabilità dell’art. 80, 2° comma, legge fallim. nella parte in cui questa norma legittima un recesso del locatario (sui limiti di applicabilità dell’art. 80 legge fallim. alle cc.dd. procedure concorsuali minori, ma senza riservare attenzione al profilo del recesso del conduttore, cfr. A. DIMUNDO e A. PATTI, I rapporti giuridici preesistenti nelle procedure concorsuali minori, Giuffrè, Milano, 1999, pag. 271 ss. e spec. pag. 279-282; nonché Trib. Roma 29 agosto 1996, n. 1259, Soc. Apre c. Fall. Soc. Apre, e App. Roma, 24 gennaio 2000, n. 207, Soc. Apre c. Fall. Soc. Apre, citt.).

     54 Che non si applica alla locazione dell’immobile che il fallito abbia adibito ad abitazione sua e della sua famiglia. Il punto, già oggetto di contrastanti prese di posizione [se ne veda l’analisi di L. GUGLIELMUCCI (G. ZANARONE, G. DI CHIO, V. MANGINI e G.U. TEDESCHI), Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, nel Commentario Scialoja-Branca alla legge fall. a cura di F. Bricola, F. Galgano e G. Santini, Zanichelli-Foro italiano, Bologna-Roma, 1979, pagg. 383-387] può considerarsi oramai pacifico, dopo l’intervento regolatore del S.C. (Cass. civ., sez. un., 18 ottobre 1982, n. 5397, Pasquali c. Tschambrin, in Dir. fall., 1983, II, pag. 578, in Giur. it., 1983, I, 1, 38, in Fallimento, 1983, pag. 578 ed in Dir. famiglia, 1983, pag. 21): cfr. Cass. civ., 9 giugno 1993, n. 6424, Di Martino c. Rusciano, in Fallimento, 1993, pag. 1236, nonché Cass. civ., 6 maggio 1992, n. 5355, Cadeo c. Fall. Gatti, in Fallimento, 1992, pag. 1006; ma in senso contrario vedasi tuttora P. PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, 3ª ediz., Giuffrè, Milano, 1986, pag. 432, testo e nota 29.
     Si è altresì ritenuto che la disciplina in parola non si applica alla locazione di immobile che il fallito ha adibito ad attività professionale diversa e distinta da quella imprenditoriale: cfr. Trib. Vicenza, 18 dicembre 1985, Cassa risp. Verona c. Fall. Migliorisi, in Fallimento, 1986, pag. 1122.

     55 Contratto che viceversa prosegue, con la conseguenza che:
     a) il locatore conserva il diritto al pagamento dei canoni della locazione nei termini pattuiti [Cass. civ., 6 aprile 1983, n. 2421, Bruno c. Cutero Recupero, in Foro it., Rep. 1983, voce “Fallimento”, n. 417], ed il curatore fallimentare ha l’obbligo di eseguire la relativa prestazione, che [per i soli canoni maturati dopo la dichiarazione di fallimento: cfr. L. GUGLIELMUCCI (G. ZANARONE, G. DI CHIO, V. MANGINI e G.U. TEDESCHI), Effetti, cit., pag. 371-372; Trib. Torino, 14 marzo 1991, Rubino c. Fall. Soc. Agri, in Fallimento, 1991, pag. 864; perplesso G. NERVI, Il contratto di locazione di immobili, nel vol. II del commentario Diritto fallimentare diretto da I. Greco, Pirola, Milano, 1994, pag. 679] costituisce debito di massa, senza poter addurre a giustificazione di una sua morosità la mancanza di denaro nell’attivo fallimentare [contra Trib. Torino, 4 aprile 1989, Soc. Immob. Liguria c. Fall. Toja, in Fallimento, 1989, pag. 1053; F. PASTORE, Lezioni di diritto fallimentare, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1993, pag. 147-148, nota 15]: né il locatore, per poter conseguire l’adempimento degli obblighi della controparte, ha l’onere di rivolgersi preventivamente al giudice delegato per esservi autorizzato [Cass. civ., 9 febbraio 1981, n. 796, Bruno c. Recupero, in Arch. locazioni, 1981, pag. 39; Cass. civ., 9 febbraio 1981, n. 797, Fall. Scionti c. Cutore, in Foro it., Rep. 1981, voce “Fallimento”, n. 341; Cass. civ., 27 novembre 1990, n. 11397, Fall. Soc. Mondialtur c. Anticoli, in Foro it., Rep. 1990, voce “Fallimento”, n. 445; Trib. Verona, 10 luglio 1989, Antonini c. Accettura, in Fallimento, 1990, pag. 87; contra Trib. Torino, 4 aprile 1989, Soc. Immob. Liguria c. Fall. Toja, cit.; F. PASTORE, Lezioni, cit., pag. 147-148, nota 15];
     b) il giudizio di risoluzione del contratto di locazione non è soggetto alla vis attractiva del foro fallimentare, in quanto è geneticamente indipendente dall’instaurazione della procedura concorsuale [Cass. civ., 28 ottobre 1998, n. 10750, Ciriminna c. Fall. Soc. Lamaca, in Arch. locazioni, 1999, pag. 71 ed in Fallimento, 1999, pag. 659; Cass. civ., 13 febbraio 1991, n. 1500, Ornaghi c. Fall. Vico, in Fallimento, 1991, pag. 605 ed in Rass. equo canone, 1991, pag. 197; Cass. civ., 5 gennaio 1972, n. 4, Pepe c. Cirno, in Foro it., 1972, I, col. 2119, con osservazioni di C.M. BARONE, in Giust. civ., 1972, I, pag. 723 ed in Dir. fall., 1972, II, pag. 45];
     c) la domanda del locatore proposta successivamente al fallimento del conduttore, volta ad ottenere la determinazione del canone dovutogli per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento, dopo che il curatore è subentrato nel contratto, non è di competenza del giudice fallimentare [Cass. civ., 20 dicembre 1990, n. 12082, Soc. Fano c. Fall. Soc. Asraghi, in Foro it., Rep. 1990, voce “Fallimento”, n. 258], il quale è viceversa competente a pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno dipendente dalla risoluzione per inadempimento della curatela rivolta alla curatela stessa [Cass. civ., 28 ottobre 1998, n. 10750, Ciriminna c. Fall. Soc. Lamaca, cit.; Cass. civ., 27 febbraio 1987, n. 2144, Fall. Soc. Vision Wholeseale Tour Operator c. Scarpa, in Foro it., 1989, I, col. 1219 ed in Arch. locazioni, 1989, pag. 302; Cass. civ., 5 settembre 1977, n. 3881, Fall. Tavernese c. Serafini, in Foro it., Rep. 1977, voce “Fallimento”, n. 148; per altre indicazioni cfr. G. CASELLI, Organi del fallimento, nel Commentario Scialoja-Branca alla legge fall. a cura di F. Bricola, F. Galgano e G. Santini, Zanichelli-Foro italiano, Bologna-Roma, 1977, pag. 51, nota 14].
     Su questi profili della disciplina vedasi L. GUGLIELMUCCI (G. ZANARONE, G. DI CHIO, V. MANGINI e G.U. TEDESCHI), Effetti, cit., pag. 373-379.

     56 La cui decisione è ritenuta atto di ordinaria amministrazione, e pertanto non bisognevole della preventiva autorizzazione del giudice delegato: così Cass. civ., 4 agosto 1955, n. 2518, Credito Romagnolo c. Valenza, in Dir. fall., 1955, II, pag. 605; Cass. civ., 15 luglio 1965, n. 1541, Scisi c. Demaldè, in Mon. trib., 1966, pag. 952, con nota di P. PAJARDI, Autorizzazione non necessaria del giudice delegato e conseguenza della richiesta di autorizzazione; Trib. Viareggio, 11 gennaio 1974, Pellegrinetti c. Fall. Del Monte, in Dir. e giur., 1974, pag. 406. Contra P. PAJARDI, in C. CELORIA e P. PAJARDI, Commentario della legge fallimentare, Principato, Milano-Messina, 1960, pag. 515; R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, Giuffrè, Milano, 1974, vol. II, § 487, pag. 1288. Nel senso che è inammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto adottato dal tribunale fallimentare su reclamo contro il provvedimento del giudice delegato di autorizzazione al rilascio al proprietario di un immobile concesso in locazione al fallito (non essendo la locazione conveniente per la sua onerosità), atteso che tale provvedimento riguarda un atto di gestione del fallimento ed è dunque privo di carattere decisorio, cfr. Cass. civ., 10 marzo 1995, n. 2790, Spera c. Tepedino, in Fallimento, 1995, pag. 1119.
     È appena il caso di avvertire che la scelta del curatore, se recedere o non dalla locazione, potrebbe essere condizionata, e finanche vincolata, dalle decisioni assunte in ordine ad un esercizio provvisorio dell’impresa: si vedano a questo riguardo le precisazioni di G.C.M. RIVOLTA, L’esercizio dell’impresa nel fallimento, Giuffrè, Milano, 1969, pag. 384-385.

     57 Si ritiene che tale diritto debba essere esercitato all’interno della residua durata del contratto di locazione, nel senso che una volta che il contratto locativo si rinnovasse per non avere il curatore esercitato il diritto potestativo di recedere ex art. 80, 2° comma, legge fallim., o non avere dato disdetta per la scadenza ex art. 28, 1° comma, della legge 27 luglio 1987, n. 392 o a norma di contratto, il recesso di cui si tratta non sarebbe più esercitabile [cfr. F. PASTORE, Lezioni, cit., pag. 148].
     Benvero, ad una diversa soluzione potrebbe accedersi se si annettesse al diritto di recedere – esercitabile «in qualunque tempo», dice la disposizione concorsuale – dell’art. 80, 2° comma, legge fallim. il valore di regola che si inserisce ex lege nei contratti di locazione pendenti al momento della dichiarazione di fallimento, ovvero se si considerasse non autonomo dall’originario il rapporto locativo che si instaura per «rinnovazione» in séguito alla mancata disdetta di cui all’art. 28 della legge n. 392 del 1978 (soluzione che potrebbe attingere argomento in proprio favore in caso di primo rinnovo del contratto, ove si attribuisse risalto al fatto che in questa ipotesi il locatore può impedire la rinnovazione del contratto solo nei casi elencati nell’art. 29 della legge n. 392).

     58 Sulla natura indennitaria e non risarcitoria del compenso ex art. 80, 2° comma, legge fallim., cfr. G. BOZZA, La natura del credito del locatore al giusto compenso di cui all’art. 80 legge fallimentare, in Fallimento, 1987, pag. 10 ss.; Cass. civ., 30 ottobre 1990, n. 10520, Soc. Kappaelle c. Fall. Soc. Twintex, in Fallimento, 1991, pag. 358 ed in Arch. locazioni, 1991, pag. 297; Cass. civ., 3 giugno 1991, n. 6237, Bertotti c. Fall. Soc. Omniplast, in Foro it., Rep. 1991, voce “Fallimento”, n. 449, la quale ha contestualmente affermato che la competenza – funzionale, e dunque esclusiva – del giudice delegato riguarda qualsiasi controversia relativa al «giusto compenso», sia in ordine al quantum sia in ordine all’an.
     Si è affermato – segnalando l’incongruità fra un recesso del curatore che riposa sulla valutata inutilità della locazione per la procedura fallimentare, ed il far ricadere su quest’ultima l’onere della risoluzione del contratto, e rimarcando il fatto che il credito del locatore nasce da un rapporto preesistente, e sia pure in sede di anticipata risoluzione dello stesso – che il debito per il «giusto compenso» ha natura concorsuale [R. PROVINCIALI, Trattato, cit., vol. II, § 487, pag. 1289; G.G. RUISI (A. JORIO, A. MAFFEI ALBERTI e G.U. TEDESCHI), Il fallimento, in Giur. sist. civ. e comm. diretta da W. Bigiavi, 2ª ediz., Utet, Torino, 1978, vol. II, § 323, pag. 722; M. VASELLI, I debiti della massa nel processo di fallimento, Cedam, Padova, 1951, pag. 45].
     Preferibile appare tuttavia la lettura per cui l’obbligazione in parola è un debito di massa [cfr. V. ANDRIOLI, Fallimento (diritto privato), voce dell’Encicl. del dir., vol. XVI, Giuffrè, Milano, 1967, § 60, pag. 421; G. DE SEMO, Diritto fallimentare, 5ª ediz., Cedam, Padova, 1968, § 370, pag. 381; F. FERRARA e A. BORGIOLI, Il fallimento, 5ª ediz., Giuffrè, Milano, 1995, pag. 392, nota 1; L. GUGLIELMUCCI (G. ZANARONE, G. DI CHIO, V. MANGINI e G.U. TEDESCHI), Effetti, cit., pag. 383; P. PAJARDI, Manuale, cit., pag. 432; G. RAGUSA-MAGGIORE, Diritto fallimentare, Morano, Napoli, 1974, vol. I, pag. 510; S. SATTA, Diritto fallimentare, Cedam, Padova, 1974, § 95, pag. 226; conformemente, con riguardo all’art. 703 del cod. comm. del 1882, G. BONELLI, Del fallimento, Vallardi, Milano, 1923, vol. I, § 338, pag. 644; R. MONTESSORI, Gli effetti del fallimento sui contratti bilaterali non ancora eseguiti, Athenaeum, Roma, 1917, pag. 225]. Essa, infatti, origina da un’attività svolta dal curatore successivamente al subingresso, sebbene ex lege, nel contratto, ed è assunta nell’interesse della massa. Il compenso, inoltre, è destinato a sostituire in qualche modo il canone locatizio il quale è appunto debito di massa.
     Discusso è il ruolo del giudice delegato che, nel dissidio delle parti, decide sull’entità del «giusto compenso». Secondo alcuni si tratterebbe di arbitratore: con la conseguenza che la sua decisione sarebbe impugnabile a norma dell’art. 1349 cod. civ. [F. FERRARA e A. BORGIOLI, Il fallimento, cit., pag. 392, nota 1]. Secondo una più diffusa opinione, il giudice delegato eserciterebbe una funzione giurisdizionale [L. GUGLIELMUCCI (G. ZANARONE, G. DI CHIO, V. MANGINI e G.U. TEDESCHI), Effetti, cit., pag. 382; R. PROVINCIALI, Trattato, cit., vol. II, § 487, pag. 1289]: con la conseguenza che la sua decisione sarebbe impugnabile a norma dell’art. 26 legge fallim. Secondo altri la decisione del giudice delegato si iscriverebbe nei provvedimenti amministrativi ed ordinatori stricto sensu della procedura concorsuale sì che la controversia, e gli inerenti diritti, costituirebbe oggetto solo incidentale della statuizione del giudice delegato [FR. VASSALLI, Diritto fallimentare. I. Presupposti, sentenza dichiarativa, organi, effetti per il debitore e per i creditori, Giappichelli, Torino, 1994, pag. 195-196]: con la conseguenza che la tutela del diritto inciso dal provvedimento dovrebbe spiegarsi attraverso l’esperimento di un’azione di cognizione.

     59 Cfr. tra gli altri U. AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2ª ediz., Utet, Torino, 1961, vol. II, pag. 1244 e R. PROVINCIALI, Trattato, cit., vol. II, § 487, pag. 1289 nonché, più recentemente, L. GUGLIELMUCCI, Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, ne Le procedure concorsuali. Il fallimento, vol. II del Trattato diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, Utet, Torino, 1997, pag. 341, e G. NERVI, Il contratto, cit., pag. 681. Ma contra S. GUGLIETTI, Il «giusto compenso»: un compromesso tra disciplina fallimentare e civilistica, in Fallimento, 2000, pag. 1173. Con riferimento alla previgente disciplina (art. 703 cod. comm. del 1882) si vedano G. BONELLI, Del fallimento, cit., vol. I, § 338, pag. 644; E. CUZZERI, Del fallimento, nel Cod. comm. commentato coordinato da L. Bolaffio e C. Vivante, 3ª ediz., Utet, Torino, 1911, § 188, pag. 147; A. RAMELLA, Trattato del fallimento, Soc. Editrice Libraria, Milano, 1903, vol. I, § 262, pag. 370.

     60 Cfr. Cass. civ., 30 ottobre 1990, n. 10520, Soc. Kappaelle c. Fallimento Soc. Twintex, cit. (la quale ne ha dedotto che il compenso in parola non può essere negato per il solo fatto che il locatore abbia ricevuto un preavviso del recesso, occorrendo invece, a tal fine, che per effetto di quel preavviso il locatore non abbia in concreto subito pregiudizio o sia stato in grado di evitarlo, usando la dovuta diligenza, mediante altra ed utile destinazione del bene) e Cass. civ., 11 novembre 1994, n. 9423, Soc. Set c. Fall. Soc. La Dispensa, in Giur. it., 1995, I, 1, col. 1215, in Dir. fallim., 1995, II, pag. 606 ed in Fallimento, 1995, pag. 719.

     61 Si faccia il caso di un contratto di locazione di un immobile avente caratteristiche tanto particolari da non poter essere facilmente riallocato sul mercato, stipulato dal fallito poco tempo prima del fallimento: se si ammettesse il fallimento del conduttore a sciogliersi da tale contratto solo in forza dell’art. 80, 2° comma, legge fallim., la procedura concorsuale potrebbe vedersi tenuta a corrispondere al locatore un compenso di recesso di entità consistente, maggiore delle sei mensilità di canone che sarebbe tenuto a versare se invece potesse recedere in forza dell’art. 27, 8° comma, della legge n. 392.
     Un altro caso: si dia un contratto di locazione concluso il 1° gennaio 1990, del quale non è stata data disdetta per la sua prima scadenza del 31 dicembre 1995, e si ipotizzi che il fallimento del conduttore sia stato dichiarato il 1° settembre 1995: se il problema che ho posto fosse da risolvere nel senso che il fallimento del conduttore può recedere esclusivamente a norma dell’art. 27, 8° comma, della legge n. 392, il recesso del curatore potrebbe (essere esercitato solo all’interno del nuovo contratto di locazione, e dunque) prendere effetto solo dal 1° agosto 1996.

     62 Nel senso della prevalenza della seconda sulla prima si è – correttamente, a mio giudizio – pronunciato Pret. Verona, 2 aprile 1990, Fall. Soc. Cogemar c. Turri, in Arch. locazioni, 1991, pag. 177, decisione che ha esaminato il rapporto fra la legge delle locazioni di immobili urbani del 1978 e la legge concorsuale del 1942 sotto un profilo diverso da quello qui in discorso, quello della resistenza del «patto contrario» alla prosecuzione della locazione (nella fattispecie scrutinata: abitativa) in caso di fallimento del locatore di cui all’art. 80, 1° comma, legge fallim. alla regola della durata legale minima della locazione e della nullità d’ogni contraria convenzione di cui agli artt. 1, 27 e 79 della legge n. 392 del 1978. La riserva di cui all’art. 80, 1° comma, legge fallim. – ha motivato il magistrato – «è stata resa inoperante, quanto alla locazione soggetta alla legge n. 392 del 1978, dal dettato di pari valore normativo sopravvenuto nel 1978».
     Diversamente orientati G. POTENZA, C. CHIRICO, M. ANNUNZIATA, L’equo canone, cit., pag. 55 (ma vedasi anche pag. 57) e – nel senso della validità della clausola che preveda lo scioglimento automatico del contratto di locazione in caso di fallimento del locatore, dedotta dalla previsione della stessa da parte dell’art. 80, 1° comma, legge fallim. – G. CATELANI, Manuale della locazione, 3ª ediz., Giuffrè, Milano, 2001, pag. 322-323.

     63 Un ulteriore problema di coordinamento, o per meglio dire di possibile influenza della legge dell’equo canone sulla legge del concorso, si pone sul piano dell’entità del «giusto compenso» di cui all’art. 80, 2° comma, legge fallim.
Una volta che fosse desunto dalla normativa del 1978 che ex lege il sacrificio sopportato dal locatore per l’anticipato scioglimento del contratto rinviene legittimo bilanciamento nel preavviso di sei mesi, e dunque, in più concreti termini economici, appropriata contropartita nelle relative sei mensilità di canone, si potrebbe essere indotti a pensare che l’ammontare del «giusto compenso» di cui alla legge dell’insolvenza commerciale abbia a trovare un punto di riferimento in quelle stesse sei mensilità di canone (in analoga direzione, prima della legge sull’equo canone, si era orientato U. AZZOLINA, Il fallimento, cit. vol. II, pag. 1244, § 605, osservando che «il compenso non potrà certo raggiungere l’entità del risarcimento dei danni dovuto secondo i princìpi comuni, poiché se ciò avvenisse non si mitigherebbe in alcun modo la condizione del fallimento, che invece la legge ha inteso favorire»: ma si veda la critica di R. PROVINCIALI, Trattato, cit., vol. II, § 487, pag. 1289).
     Una proposta in tal senso è stata recentemente avanzata in giurisprudenza ed in dottrina.
     In giurisprudenza, quando si è osservato che se il contratto di locazione attribuisce al locatario un diritto convenzionale di recesso ex art. 27, 7° comma, della legge n. 392, da esercitare (come nel caso del recesso legale ex art. 27, 8° comma, della medesima legge n. 392) con preavviso di sei mesi, il «giusto compenso» di cui all’art. 80, 2° comma, legge fallim. «non parrebbe comunque potersi determinare in misura superiore all’importo dei canoni dovuti per i sei mesi e cioè per il periodo di preavviso» (così Trib. Torino, 21 settembre 1999, Soc. Immobiliare Gardenia c. Fall. Soc. Boero Angelo & C., in Fallimento, 2000, pag. 1170, in motivaz. a pag. 1171).
     In dottrina [S. GUGLIETTI, Il «giusto compenso», cit., pag. 1173], quando si è scritto che l’entità del giusto compenso dovrebbe essere apprezzabilmente inferiore alle mensilità corrispondenti al preavviso (legale o convenzionale) se il locatore è in grado di reperire in tempi brevi altra utilizzazione dell’immobile, mentre dovrebbe «tendere al suddetto limite negli altri casi», se cioè il bene locato presenta caratteristiche così specifiche da non essere agevolmente riallocato sul mercato; e quando – dopo aver avvertito che se fosse viceversa accolta la tesi per cui il giusto compenso deve essere di entità pari alle mensilità di preavviso, «il vantaggio che il fallimento trarrebbe, rispetto a qualsiasi altro conduttore, dall’assenza di obbligo di preavviso (e quindi dall’assenza dell’onere di pagare i canoni per il corrispondente periodo) sarebbe vanificato» ed anzi al fallimento verrebbe riservato un trattamento meno favorevole posto che il curatore dovrebbe bensì corrispondere un importo pari alle mensilità di preavviso ma senza disporre dell’immobile – si è concluso essere pertanto non condivisibile il dictum di Cass. civ., 26 gennaio 1999, n. 694, Rossi c. Fall. Soc. Europacciai, in Giur. it., 1999, pag. 762 ed in Arch. locazioni, 1999, pag. 422, «che quantifica in modo rigido il giusto compenso in sei mensilità, ex art. 27, ult. comma, della legge n. 392 del 1978».
     Sul punto non è questa la sede più idonea per prendere posizione. Mi limito perciò ad osservare che le sole considerazioni dianzi riferite (che poi si risolvono in un adducere inconveniens) non mi sembrano comunque sufficienti a dare l’ostracismo alla tesi che vuole l’entità del «giusto compenso» del recesso ex art. 80, 2° comma, legge fallim. pari alle sei mensilità del canone dovute in caso di recesso ex art. 27, 8° comma, della legge n. 392 del 1978: ad esse, infatti, ben si potrebbe rimproverare di non tener conto di ciò, che il recesso ex art. 80, 2° comma, legge fallim. titola il curatore a restituire immediatamente l’immobile, sùbito liberandolo perciò non soltanto dall’obbligo di pagare il canone locativo ma anche – ed in certi casi ciò può risultare particolarmente vantaggioso per la curatela fallimentare – dagli altri connessi obblighi (oneri accessori, custodia e riparazioni dell’immobile, etc.). Soggiungo che la sentenza n. 694 del 1999 del S.C. non afferma affatto che il giusto compenso di cui all’art. 80, 2° comma, legge fallim. debba, o possa, essere pari a sei mensilità del canone, ma che esso non può (così come aveva invece stabilito il giudice delegato) coincidere con il canone dovuto per il periodo intercorrente fra la dichiarazione di fallimento e la restituzione dell’immobile al locatore.

     64 Ex multis: L. GUGLIELMUCCI (G. ZANARONE, G. DI CHIO, V. MANGINI e G.U. TEDESCHI), Effetti, cit., pag. 381; G. NERVI, Il contratto, cit., pag. 681; A. TABET, La locazione-conduzione, in Tratt. di dir. civ. e comm. diretto da A. Cicu e F. Messineo, Giuffrè, Milano, 1972, pag. 756-757 (il quale soggiunge che il preavviso, quand’anche dato dal curatore, comunque non sarebbe sostitutivo del giusto compenso: affermazione che ha trovato conferma in Cass. civ., 30 ottobre 1990, n. 10520, Soc. Kappaelle c. Fall. Soc. Twintex, cit.). Contra, nel senso che nonostante la legge non ne parli un preavviso – congruo e motivato – debba essere comunque dato, cfr. A. GUARINO, Locazione, nel Tratt. di dir. civ. diretto da G. Grosso e F. Santoro-Passarelli, Vallardi, Milano, 1965, pag. 38, nota 55.

     65 Quelle – peraltro poco giustificate: cfr. L. GUGLIELMUCCI (G. ZANARONE, G. DI CHIO, V. MANGINI e G.U. TEDESCHI), Effetti, cit., pag. 378-379 – di cui agli artt. 34, 40, 2° comma, e 69 (prelazione del conduttore ed indennità per la perdita di avviamento commerciale in caso di scioglimento del contratto richiesto dal locatore) della legge n. 392 del 1978.

     66 Il che dà ragione del carattere indisponibile della norma, affermabile anche precedentemente alla legge n. 392 del 1978 (che sancisce con la nullità ogni patto inteso ad attribuire al locatore, in danno del conduttore, diritti maggiori di quelli riconosciutigli dalla legge: art. 79). Sul punto cfr. ora A. BONSIGNORI, Il fallimento, nel Tratt. di dir. comm. e di dir. pubbl. dell’ec. diretto da F. Galgano, Cedam, Padova, 1986, pag. 428.

     67 Orientato in questo senso, sebbene con riferimento all’ipotesi di recesso convenzionale ex art. 27, 7° comma, della legge n. 392 del 1978, Trib. Torino, 21 settembre 1999, Soc. Immobiliare Gardenia c. Fall. Soc. Boero Angelo & C., cit.

     68 Che – si noti – nella prospettiva dell’art. 27 della legge n. 392 del 1978 verrebbe invocato in quanto tale, e non in ragione della sua valenza dissolutiva della società conduttrice: sì che propriamente è l’assoggettamento alla procedura concorsuale a costituire il «grave motivo» di recesso del fallimento della locataria, e non il suo scioglimento (che è conseguente alla dichiarazione di fallimento).

     69 Senza che sia a tal fine necessaria (così come non lo è per il recesso ex art. 80, 2° comma, legge fallim.: cfr. supra, nota 56) l’autorizzazione del giudice delegato, trattandosi di atto di ordinaria amministrazione.

 

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