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luglio-agosto 2002

Giurisprudenza

Tribunale Napoli, 29 maggio 2002 – Pres. Albano - Rel . D’Alessandro - Ferlaino ed altri imp.
  
     Esiste una continuità normativa tra l’attuale e la precedente normativa relativa al reato di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 cod. civ.), con la conseguenza che, in un processo in corso al momento dell'entra in vigore del D. Lgs. 11 aprile 2001, n. 61, non può essere disposto il proscioglimento degli imputati ex art. 129 cod. proc. pen.

 

     (Omissis) Tutti imputati: del reato previsto e punito dall’art. 2621, n. 1, perché, ciascuno nella propria rispettiva qualità di consigliere di amministrazione, sindaco, amministratore di fatto, redattore esecutivo del bilancio, della SS. Calcio Napoli, nella seduta assembleare del 21 luglio 1994, approvava, nonostante le contrarie indicazioni provenienti dal tribunale civile di Napoli con provvedimento del 10 giugno 1994, il bilancio redatto con situazione al 31 maggio 1994 risultato falso in parte rilevante ed economicamente significativa in quanto esponeva fatti e circostanze di natura finanziaria, economica e giuridica fraudolentemente non rispondente al vero; in particolare:
     a) appostava alla data 31 maggio 1994 plusvalenze derivanti dalla cessione di alcuni giocatori ad altre squadre alternando l’indicazione cronologica dell’avvenuta cessione ed indennità di promozione e preparazione degli stessi e conseguentemente provento – la plusvalenza medesima – al fine di esporre una minore perdita di esercizio per circa 18 miliardi nel patrimonio netto alla stessa data;
     b) manteneva, contrariamente al vero, nell’attivo dello stato patrimoniale valori riferiti alle prestazioni sportive di calciatori di squadre minori, individuandosi tale fittizio attivo nella somma residuale di circa 200 milioni, rappresentativa di 15 giocatori risultati del tutto inesistenti sia come persone fisiche, sia come giocatori tesserati con la società;
     c) considerava, ai fini della determinazione delle quote del periodico ammortamento del valore dei diritti delle prestazioni sportive dei calciatori, i valori cosiddetti di presumibile realizzo – contrariamente alle indicazioni del tribunale – e manteneva nel calcolo dell’ammortamento la quota di presumibile realizzo per ottenere l’abbattimento delle quote predette nel conto economico, per un importo globale di circa 3 miliardi, e ciò facevano anche per diversi giocatori – Arancini, Bia, Bresciani, Policano, Cornacchia – per i quali era nota l’inesistenza di quel presumibile realizzo;
     d) ometteva di indicare, per un corrispettivo di circa 3 miliardi, il premio stabilito come da versarsi ai giocatori per il torneo di coppa UEFA, in quanto debito già individuato come certo nell’anno e nel quantum alla data del 31 maggio 1994, così tacendo l’esistenza di una significativa, maggior passività;
     e) ometteva di inserire nella situazione patrimoniale i debiti relativi ai contratti inerenti i calciatori Grossi (contratto e accordo di compartecipazione), le contropzioni relativa ai calciatori Baglieri, De Rosa e Vezzosi, il premio di valorizzazione del giocatori Carli, per un importo complessivo di circa 8 miliardi, alterando così la misura dell’indebitamento;
     f) iscriveva nella situazione patrimoniale al 31 maggio 1994 la somma di lire 20.261 milioni come debito verso la Gis infruttifero e postergato, contrariamente al vero in quanto tale importo era oggetto di un accordo conclusosi il 21 luglio 1994 in base al quale tale debito sarebbe stato estinto a breve, ciò operando allo scopo di evitare una macroscopica, ma veritiera alterazione in senso pregiudizievole del rapporto ricavi/indebitamente imposto dalla FIGC per l’iscrizione al campionato venturo;
     g) ometteva di inserire nella situazione patrimoniale e nel conto economico al 31 maggio 1994 la somma di lire 2.500 milioni quale corrispettivo del diritto all’immagine spettante alla società Sueldan in relazione al giocatore Fonseca, così determinando una ulteriore minore perdita di bilancio;
     operando nel complesso per ottenere il risultato finale di una esposizione di un minor patrimonio netto negativo al 31 maggio 1994 (PN negativo esposto pari a 1.382.700.000, PN rale circa 30.230 milioni), una minor perdita di esercizio alla stessa data (esposta per 6.896 milioni, reale per 20.187 milioni circa), debiti inferiori a quelli reali per circa 11.320 milioni; tutto ciò al fine di alterare i dati rilevanti per l’iscrizione della SSC Napoli al campionato 1994-95, così come imposti dalla FIGC e consistenti sia in un rapporto tra ricavi e indebitamento non inferiore a tre (così determinandosi l’interesse alla falsità dei dati dell’indebitamento e del patrimonio netto), sia nell’obbligo di dare conto alla federazione predetta, nel caso di perdite di consistenza tale da comportare l’applicazione dell’art. 2447 cod. civ., dell’avvenuto ripianamento (così determinandosi l’interesse alla falsità del dato delle perdite).
     In Napoli, fino al 21 luglio 1994.

Fatto e diritto
     A seguito di separati decreti il GUP disponeva il rinvio a giudizio di Ferlaino Corrado, Gallo Luis, Moxedano Mario, Palombo Salvatore, Iacolare Francesco, Ponticelli Francesco Saverio, Ferraro Sandro, Ambrosio Antonio e Gallo Francesco Ellenio innanzi al tribunale di Napoli affinché gli stessi rispondessero del reato trascritto in epigrafe.
     Nel corso del dibattimento, svoltosi nella contumacia degli imputati, a seguito delle richieste di prova articolate dalle parti, si procedeva alla istruzione del processo mediante l’esame del consulente tecnico, Marciano Roberto, la acquisizione dei verbali di interrogatorio resi dagli imputati contumaci nonché mediante la esecuzione dei testi indicati dalla difesa.
     All’udienza dibattimentale del 16 maggio 2002, in relazione con la entrata in vigore del D. Lgs. n. 61/2002, all’esito della discussione orale, le parti concludevano così come specificato in epigrafe.
    Esiste una continuità normativa tra l’attuale e la precedente normativa relativa al reato di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 cod. civ.), con la conseguenza che, in un processo in corso al momento dell'entra in vigore del D. Lgs. 11 aprile 2001, n. 61, non può essere disposto il proscioglimento degli imputati ex art. 129 cod. proc. pen. Essenziale, ai fini della decisione, appare l’analisi della concreta incidenza sul reato contestato agli imputati delle modifiche normative, introdotte con il D. Lgs. sopra menzionato che ha riformulato il catalogo dei reati societari, ridefinendo anche i confini del reato di false comunicazioni sociali.
     Va preliminarmente osservato, per meglio comprendere il senso dell’intervento normativo, come gli obiettivi perseguiti dal legislatore, così come dichiarati nella relazione governativa di accompagnamento al decreto n. 61/2002, siano stati quelli di ridurre il numero delle fattispecie penalmente rilevanti, di introdurre in parallelo con questo disegno un diffuso regime di procedibilità a querela pur nell’ambito degli illeciti con mantenuta rilevanza penale, di stabilire determinate soglie quantitative per la concreta punibilità degli illeciti, di rimodellare i contenuti delle fattispecie in ossequio ai principi di offensività, determinatezza e tassatività degli illeciti.
     Nel contesto di tale complesso progetto riformatore l’originario delitto di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 comma 1 numero 1 cod. civ. è stato sdoppiato in due distinte fattispecie: una regolata dal nuovo testo dell’art. 2621 cod. civ., mirante a tutelare la semplice trasparenza societaria ed un’altra, disciplinata dal riformulato art. 2622 cod. civ., avente l’obiettivo di salvaguardare la posizione patrimoniale dei soci e dei creditori. Il senso complesso della modifica normativa appare quinti essere quello di scindere il carattere originariamente plurioffensivo del previdente delitto di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 comma 1 numero 1 cod. civ., per introdurre nell’ordinamento penale societario due distinti illeciti nella stessa materia, per l’appunto quelli regolamentati dai novellati articoli 2621 e 2622 cod. civ., a differente oggetto giuridico, e quindi caratterizzati dalla tutela separata degli interessi sopra evidenziati.
     Notevoli, così come può agevolmente desumersi dalla mera lettura delle nuove fattispecie incriminatici, appaiono essere i tratti distintivi esistenti tra il reato generico di false comunicazioni sociali, di cui all’art. 2621 cod. civ. riscritto dal D. Lgs. n. 61/2002, ed il reato di false comunicazioni sociali, di cui all’art. 2622 cod. civ. analogamente riformulato dal citato decreto.
     Ed invero l’art. 2621 cod. civ. delinea una fattispecie contravvenzionale di pericolo e di mera condotta, avente valenza puramente sussidiaria («salvo quanto previsto dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci ed i liquidatori»); viceversa l’art. 2622 cod. civ. introduce un delitto di danno a tutela esclusiva del patrimonio dei soci e dei creditori, nell’ambito del quale dunque la causazione del pregiudizio economico in danno dei soggetti sopra menzionati si atteggia come evento del reato, caratterizzato da un differente trattamento sanzionatorio e da un diverso regime di procedibilità (a querela della persona offesa ovvero in ufficio) in relazione alla circostanza dell’essere o non la società, delle cui false comunicazioni si tratta, quotata in borsa.
     Entrambe le fattispecie invece sono accomunate dalla identità dell’elemento soggettivo, venendo infatti in considerazione in entrambi i casi, nella struttura del reato, un tipo di dolo, inequivocamente di carattere specifico ed intenzionale, così come traspare dalla lettura delle medesime espressioni adoperate dal legislatore nei ridefinire i contenuti dei due reati («con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico ed al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto»).
     Tutto ciò premesso, appare evidente come inevitabilmente il tribunale debba esaminare a questo punto la complessa problematica afferente i rapporti tra la originaria disciplina del reato di falso in bilancio e quella introdotta, con i riformulati articoli 2621 e 2622 cod. civ., dal D. Lgs. n. 61/2002. In estrema sintesi, trattandosi di un intervento normativo riformatore posto in essere dal legislatore nell’ambito della stessa materia, si tratta di accertare se, nel caso di specie, vi sia stata, per effetto della nuova regolamentazione, una totale abrogazione della vecchia fattispecie incriminatrice in considerazione del carattere eterogeneo della disciplina ex D. Lgs. n. 61/2002 con conseguente applicabilità delle previsioni liberatorie di cui all’art. 2 comma 2 cod. pen., ovvero se, tenuto conto dei profili di continuità normativa desumibili dall’analisi comparate delle regolamentazioni succedutesi nel tempo, il problema sia esclusivamente quello di ricercare, nel rapporto tra le due discipline, quella in concreto più favorevole agli imputati in applicazione della disposizione di cui all’art. 2 comma 3 cod. pen.
     Ad avviso del tribunale la questione deve essere risolta nel senso della assoluta continuità normativa esistente tra le due discipline, e dunque, in relazione alla concreta incidenza sulle posizioni degli imputati, in termini di ricerca, nell’ambito delle leggi penali succedutesi nel tempo nella stessa materia, delle disposizioni normative ai medesimi più favorevoli ex art. 2 comma 3 cod. pen.
     La tesi della continuità tra le due regolamentazioni del reato di falso in comunicazioni sociali sulla base del raffronto tre gli elementi costituiti delle fattispecie incriminatici comparate trova il suo fondamento nelle seguenti considerazioni: a) vi è sostanziale identità della natura dell’interesse protetto dalla norma, l’unica differenza essendo esclusivamente ravvisabile nel fatto, già in precedenza evidenziato, che al carattere originariamente plurioffensivo dell’illecito fa seguito attualmente uno sdoppiamento del reato in due distinte fattispecie poste autonomamente a tutela in modo separato dei beni in considerazione (l’interesse alla compiutezza ed alla veridicità del patrimonio dei soci e dei creditori tutelato dal novellato art. 2622 cod. civ.) b) l’originaria disciplina del reato di falso in comunicazioni sociali contemplava un illecito proprio di pericolo ed a dolo specifico; la nuova regolamentazione, fermo restando questo nucleo strutturale portante della fattispecie incriminatrice chiaramente desumibile dalla lettura del nuovo testo dell’art. 2621 cod. civ., si limita ad aggiungere, essenzialmente nella nuova figura di reato disegnata dall’art. 2622 cod. civ., alcuni elementi specializzanti (maggiore tipizzazione delle comunicazioni sociali penalmente rilevanti; introduzione di soglie quantitative di punibilità; il danno patrimoniale dei soci o dei creditori, quale elemento costitutivo del reato); c) i riferimenti agli orientamenti giurisprudenziali formatisi sotto il vigore della previdente disciplina nonché la stessa analisi della originaria normativa confortano ulteriormente il giudizio del collegio circa il legame di continuità enucleabile tra le regolamentazioni succedutesi nel tempo. Si tenga al riguardo presente che il profilo intenzionale del dolo di inganno era giù represso, nel testo originario dell’art. 2621 comma 1 numero 1 cod. civ., dall’uso dell’avverbio «fraudolentemente» presente nella disciplina sostituita; che la previsione di un danno patrimoniale, sia pure riferita alla situazione finanziaria dell’impresa, era già contenuta, in termini di circostanza aggravante, nel testo dell’originario art. 2640 cod. civ.; che il perseguimento di un ingiusto profitto per sé o per altri, esplicitato nella nuova regolamentazione come oggetto del dolo specifico degli autori dell’illecito, già faceva parte del contenuto dell’elemento soggettivo del reato in relazione alla disciplina pregressa, così come chiaramente affermato dalla giurisprudenza della Suprema corte («nel delitto di false comunicazioni sociali il dolo specifico, indicato dal legislatore con l’avverbio fraudolentemente consiste nella volontà di trarre in inganno ossia di determinare un errore nei soci o nei terzi in ordine alla effettiva situazione patrimoniale della società, accompagnata dal proposito di conseguire attraverso l’inganno un ingiusto profitto per sé o per altri, con correlativa messa in pericolo del bene giuridico tutelato» cfr. Cassazione, sezione quinta, 25 febbraio 2000, Bellotto).
     A tutto ciò aggiungasi infine che ulteriori e non insignificanti segnali depongono nel senso della volontà del legislatore di non recidere il legame esistente la disciplina sostituita e quella introdotta con il D. Lgs. n. 61/2002. Basti pensare al fatto che nel nuovo testo normativo non vi sono mai espliciti riferimento alla abrogazione della pregressa regolamentazione del reato di falso in comunicazioni sociali; alla conservazione, per la nuova disciplina, della medesima originaria collocazione normativa; alla stessa previsione, in sede di disposizioni transitorie ex art. 5 D. Lgs. 61/2002, di un termine per la proponibilità della querela in relazione ai reati commessi prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto, a dimostrazione proprio nel nesso di continuità esistente tra le fattispecie incriminatici succedutesi nel tempo.
     Esclusa pertanto in considerazione delle valutazioni appena effettuate la prospettazione difensiva mirante a sostenere la attuale sopravvenuta irrilevanza penale della condotta posta in essere dagli imputati e dovendosi esclusivamente procedere alla individuazione della disciplina penale più favorevole nel rapporto tra le regolamentazioni normative in tema di false comunicazioni sociali succedutesi nel tempo, non è dubbio, a giudizio del tribunale, che le disposizioni di maggiore favore siano quelle contenute nel D. Lgs. 61/2002, introduttive dei riformulati articoli 2621 e 2622 cod. civ..
     Ed invero una serie in equivoca di dati (natura meramente contravvenzionale del reato di cui all’art. 2621 cod. civ., introduzione di un regime di procedibilità a querela per il delitto di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2622 cod. civ. relativamente alle società non quotate in borsa; trattamenti sanzionatori più miti previsti dal legislatore per tutte le fattispecie incriminatici di false comunicazioni sociali; abbassamento dei tetti relativi ai termini di prescrizione) induce a ritenere che la disciplina introdotta sia di gran lunga più favorevole per gli imputati rispetto a quella contenuta nel contestato art. 2621 comma 1 numero 1 cod. civ. – originaria formulazione.
     In concreto ritiene poi il tribunale che il regime giuridico applicabile nella fattispecie in esame sia quello contenuto nel nuovo testo del reato contravvenzionale di cui all’art. 2621 cod. civ. Agli imputati non è infatti applicabile la nuova disciplina del delitto di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori di cui al riformulato art. 2622 cod. civ. in quanto, così come emerge con chiarezza dalla contestazione, agli stessi viene addebitata la predisposizione di un bilancio falso relativo alla situazione patrimoniale ed economica della SSC Napoli alla data del 31 maggio 1994, funzionale allo scopo di alterare i dati rilevanti per la iscrizione di tale società al campionato di calcio 94/95 imposti dalla FIGC. Dunque, nel caso di specie, non viene in alcun modo in considerazione una condotta fraudolenta mirante a cagionare un danno patrimoniale ai soci o ai creditori, ma esclusivamente un comportamento elusivo dei rigidi parametri di bilancio richiesti dalla federazione.
     Viceversa la condotta contestata è perfettamente inquadrabile nell’ambito del paradigma delineato dal nuovo art. 2621 cod. civ. Il bilancio in esame venne infatti predisposto con artifizi contabili (quelli puntualmente indicati dal consulente tecnico del PM Marciano in relazione ai vari profili della contestazione) atti ad indurre in errore i destinatari dell’atto sulla reale situazione patrimoniale, economica e finanziaria della SSC Napoli; il fatto venne posto in essere con la chiara intenzione di trarre in inganno la FIGC ed allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la società, rappresentato dalla iscrizione al campionato 1994/95.
     Tale reato contravvenzionale si è peraltro prescritto alla data del 21 gennaio 1999 in considerazione del decorso del termine prescrizionale massimo di quattro anni e sei mesi decorrenti dall’epoca di consumazione dell’illecito, inferiore rispetto a quello originario tenuto conto della applicabilità, per quanto sopra detto, al caso di specie delle disposizioni di maggior favore contenute nel D. Lgs. 61/2002.
     Né può essere adottata nei confronti degli imputati una formula di proscioglimento avente più ampia valenza liberatoria. Al riguardo va tenuto presente che, essendo incontestabilmente emersa in corso di processo la sussistenza di una causa estintiva del reato, la regola di giudizio deve essere quella esplicitata dal secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen., che impone, in simili casi, la adozione di una più favorevole formula di proscioglimento solo in presenza di prove evidenti della innocenza dei giudicabili.
     Tale situazione probatoria non ricorre nella fattispecie in esame, avendo gli imputati o partecipato, anche in considerazione della cariche formali ricoperte, alla approvazione del bilancio in questione (Gallo Luis, Moxedano Mario, Palombo Salvatore, Iacolare Francesco, Gallo Francesco Ellenio) o esercitato poteri gestionali di fatto nella predisposizione del bilancio (Ferlaino Corrado) o fatto parte del collegio sindacale con tutti gli effetti conseguenti penalmente rilevanti ex art. 40 comma 2 cod. pen. (Ponticelli Francesco Saverio, Ferraro Sandro, Ambrosio Antonio).
(Omissis).

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