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luglio-agosto 2002

Giurisprudenza

APPELLO ROMA, 16 maggio 2002 –Brignone Presidente – Bove Estensore – Azienda Agricola Fratelli Lanari s.r.l. c. Unicredito Italiano s.p.a.
     Le risultanze dell’estratto di conto corrente bancario, allegate dalla banca a sostegno della domanda di pagamento del saldo, non solo legittimano l’emissione del decreto ingiuntivo, ma nel giudizio di opposizione hanno efficacia fino a prova contraria.
     La clausola del conto corrente bancario, secondo la quale gli interessi dovuti dal correntista si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, non è sufficientemente univoca e non può, quindi, giustificare la pretesa al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale.
     La capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente nel conto corrente bancario, in quanto basata su un uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria, è nulla.



     Motivi della decisione — (Omissis) Gli appellanti deducevano che il deposito degli estratti conto del c/c n. 23790, effettuato dalla banca all’udienza istruttoria del 27 marzo 1992, non può avere efficacia probatoria, essendo semplici scritture private, provenienti dallo stesso creditore.
     Tale motivo d’appello è infondato e va, di conseguenza, rigettato.
     In proposto s’osserva che la banca ha legittimamente ottenuto il richiesto decreto ingiuntivo sulla base degli estratti dei saldaconto, previsti dalla legge 7 marzo 1938, n. 141, e certificati dal funzionario competente, atteso che l’articolo 102 della detta legge, secondo la costante giurisprudenza (vedi Cassazione, sezione I, n. 2460 del 3 marzo 1995), ha riconosciuto l’efficacia probatoria degli stessi limitatamente al procedimento d’ingiunzione, mentre nel successivo processo d’opposizione del decreto ingiuntivo ha attribuito ai medesimi rilievo di mero elemento indiziario, che, come tale, è liberamente apprezzabile dal Giudice unitamente ad altri elementi, cosicché può costituire valida prova dell’esistenza del credito, ove confermato da altre circostanze e laddove la contestazione, mossa da controparte, sia del tutto generica. Ciò, perché le scritturazioni, contenute negli estratti conto e nel documento di saldaconto, sono assistite da una presunzione di veridicità, onde la pretesa di pagamento del saldo passivo del conto non può essere respinta sulla base di una contestazione generica, che investa, cioè, il documento nel suo complesso, o si limiti alla semplice dichiarazione di nulla dovere all’istituto di credito, occorrendo piuttosto la formulazione di censure circostanziate, specificamente dirette contro singole e determinate annotazioni.
     Peraltro, gli estratti di saldaconto, secondo la costante giurisprudenza (vedi Cassazione, sezione III, n. 01101 del 30 gennaio 1995), sino a prova contraria, hanno efficacia probatoria anche nei confronti del fideiussore del correntista non soltanto per la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche nel successivo giudizio d’opposizione dello stesso sempre che ricorrano le su dette condizioni.
     Va rilevato che nel corso del giudizio d’opposizione al decreto ingiuntivo la banca ha presentato gli estratti conto, che costituiscono valida integrazione dei precedenti estratti dei salvaconto, ritualmente prodotti nella fase monitoria e legittimamente ritenuti sufficienti, al fine dell’emissione del decreto ingiuntivo in esame.
     La giurisprudenza (vedi Cassazione, sezione I, 07 marzo 1992, n. 2765) ha affermato che le risultanze dell’estratto di conto corrente, allegate a sostegno della domanda di pagamento del saldo, non solo legittimano l’emissione del decreto ingiuntivo, ma nel giudizio di opposizione hanno efficacia fino a prova contraria, con la conseguenza che possono essere disattese solo in presenza di circostanziate contestazioni, specificamente dirette contro determinate annotazioni, e non già attraverso un mero rifiuto del conto o la generica affermazione di nulla dovere.
     A tal fine, peraltro, è irrilevante che dette risultanze non siano già state stragiudizialmente rese note al correntista, in quanto anche la produzione in giudizio dell’estratto costituisce “trasmissione”, ai sensi dell’articolo 1832 c.c., ed onera il correntista stesso di provvedere alle necessarie contestazioni specifiche, ove voglia superare l’efficacia probatoria della produzione.
     La banca, al fine di dimostrare l’entità del credito, vantato nei confronti della G.s.l.e. S.p.A. e garantito dagli appellati, ha sostenuto che, ai sensi dell’articolo 8/4 delle prodotte «norme , che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi», «i libri e le altre scritture contabili dell’azienda di credito fanno piena prova nei confronti del correntista» e, quindi, anche del fideiussore.
     Peraltro, come evidenziato dalla banca, la stessa G.s.l.e. S.p.A. con la prodotta lettera in data 7 febbraio 1991, indirizzata all’I.c.i.r. S.p.A., all’Azienda Agricola Fratelli Lanari, alla Lanari Estero di Alessio S.r.L. ha riconosciuto d’essere debitrice nei confronti della banca di L. 8.449.029.910 sul massimo scoperto sino al 31-12-1990 sul c/c n. 23790. Successivamente il liquidatore della G.s.l.e. S.p.A., con la prodotta lettera senza data, ha comunicato alla banca di riconoscere di «essere debitrice verso il pool dell’importo di L. 10.294.444.769».
     La descritta documentazione (estratti di saldaconto, estratti di conto corrente e lettere su citate) dimostrano, pertanto, la reale entità del credito, vantato dalla banca nei confronti del debitore principale G.s.l.e. S.p.A., garantito dai fideiussori.
     Gli appellanti col quinto motivo d’impugnazione hanno lamentato che il Tribunale non ha esaminato la loro eccezione in ordine alle eccepite nullità, inefficacia o, comunque, non operatività della fideiussione, dagli stessi prestata, avendo trattato genericamente di un’astratta fideiussione senza tenere conto che il decreto ingiuntivo in esame era stato emesso dal Presidente del Tribunale sulla base d’una pluralità di dichiarazioni fideiussorie, diverse tra loro per contenuto e per data di rilascio, che, lungi dal garantire qualsiasi delle obbligazioni, anche future, assunte della G.s.l.e. S.p.A., individuano in modo puntuale le obbligazioni, garantite dai fideiussori, come le due fideiussioni in data 27-4-1981, sottoscritte la prima dal Carlo Lanari, dal Sante Lanari e dall’Aldo Lanari, e la seconda dall’Azienda Agricola Fratelli Lanari, in cui sono specificati i rapporti garantiti il tipo degli stessi, i numeri dei c/c e l’esposizione debitoria al momento del rilascio della fideiussione. Detti atti, precisavano agli appellati, sono diversi dalle altre fideiussioni ed in particolare da quella rilasciata dal Paolo Lanari, che, per il suo contenuto, rientra nel novero delle fideiussioni omnibus vere e proprie.
     La banca ha eccepito che tale domanda è stata spiegata per la prima volta in sede di atto di citazione in appello e, pertanto, ne ha rilevato l’inammissibilità, ai sensi dell’articolo 345 c.p.c., dichiarando, comunque, di non accettare il contraddittorio su detto punto. In proposito s’osserva che, con l’atto di citazione in opposizione del decreto ingiuntivo, i detti appellati hanno esposto che «a differenza di altri garanti, la fideiussione, prestata dagli opponenti, è limitata alle esposizioni debitorie relative ai c/c n. 56793 (ordinario), n. 58548 (anticipi) nonché agli altri anticipi specificamente indicati nel contratto, tutti accesi presso l’agenzia n. 9 del Credito Italiano».
     All’udienza istruttoria del 29-1-1993 dinanzi al Tribunale gli appellati hanno precisato le conclusioni, chiedendo che il decreto ingiuntivo opposto fosse dichiarato nullo e privo d’efficacia con conseguente revoca dello stesso. Con la comparsa conclusione, avente la funzione di illustrare le prese conclusioni, e con la comparsa di replica gli appellati hanno eccepito d’avere prestato fideiussione limitatamente ad alcuni rapporti contrattuali, intercorsi fra la G.s.l.e. e la banca, con esclusione delle garanzie, che esulano dagli specificati rapporti, non avendo, fra l’altro, la banca provato l’estensione della loro fideiussione a rapporti ulteriori rispetto a quelli contrattualmente assunti.
     Quanto su riferito consente d’affermare che, contrariamente a quanto eccepito dalla banca, gli appellanti non hanno proposto alcuna domanda nuova nel presente grado di giudizio e, conseguentemente, va rigettata l’eccezione d’inammissibilità della stessa.
     Passando all’esame della eccezione in ordine alle nullità, inefficacia o, comunque, non operatività della fideiussione, eccepite dagli appellati, va rilevato preliminarmente che il decesso del Carlo Lanari, ha determinato la successione nel contratto di fideiussione dell’Alda Bassi, atteso che, secondo la giurisprudenza (vedi Cassazione, sezione III, 13-4-200, n. 4801), la morte del garante non estingue il contratto di fideiussione omnibus, e gli eredi, che abbiano accettato l’eredità con accettazione pura e semplice, succedono nel contratto (senza che occorra una comunicazione da parte della banca) e rispondono anche delle obbligazioni, contratte dopo la morte del de cuius, secondo la disciplina anteriore al 1992, considerato che, nella specie, la stipulazione del contratto era avvenuta in epoca anteriore al 1992 e la morte del de cuius in epoca successiva.
     Ciò precisato, s’osserva che nella specie le due fideiussioni, contratte dagli appellati in data 27 aprile 1981, specificano nella premessa qual era, al momento della stipulazione del contratto, la situazione debitoria totale del debitore principale G.s.l.e. S.p.A. nei confronti della banca, elencando i singoli debiti, di cui solo alcuni sono rilevati ai c/c n. 56793 e n. 58548 presso l’agenzia n. 9 della banca.
     Ciò posto, s’osserva che nel contesto della fideiussione la garanzia non risulta prestata limitatamente alla detta elencata esposizione, esistente alla data 27 aprile 1981. Infatti, come si legge nei detti due contratti, «ciò premesso, con la presente ci costituiamo fideiussori della G.s.l.e. S.p.A. o di chi avesse, comunque, a subentrare nei suoi rapporti con codesta banca per l’adempimento di qualsiasi obbligazione verso codesta banca, dipendente da operazioni bancarie di qualunque natura già consentite o che venissero in seguito consentite al predetto nominativo o a chi gli fosse subentrato». Successivamente è specificato che la «fideiussione garantisce qualsiasi altra obbligazione, che il debitore principale si trovasse in qualsiasi momento ad avere verso codesta banca in relazione ad operazioni, consentite a terzi per qualsivoglia titolo o causa».
     Tale fideiussione, lungi dall’essere limitata, come sostenuto dagli appellati, senza presentare l’affermata «incertezza ermeneutica circa il valore della precisa individuazione delle obbligazioni garantite» estende la sua garanzia a tutte le obbligazioni presenti e future del debitore nei confronti della banca e, quindi, rientra nell’ambito delle c.d. fideiussioni omnibus senza le dedotta limitazione ai soli conti correnti, richiamati nel contratto.
     Gli appellanti hanno sostenuto che la fideiussione è, comunque, nulla, avendo la banca erogato il credito alla G.s.l.e. S.p.A. in modo arbitrario senza rispettare le norme sulla concessione del credito ed in modo non conforme all’attività del buon banchiere, trovandosi la G.s.l.e. S.p.A. già alla fine dell’anno 1982 in gravissime difficoltà finanziarie, alla stregua dei risultati dei bilanci, resi pubblici con il deposito del Registro delle Imprese, sicuramente forniti prima alla banca, sua unica finanziatrice.
     In proposito s’osserva che, come rilevato dalla banca, la lettera a) del contratto di fideiussione, specificamente approvata per iscritto, ai sensi dell’articolo 1341/2 c.c., obbliga il fideiussore ad avere «cura di tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore ed, in particolare, di informarsi presso lo stesso dello svolgimento, dei suoi rapporti con la banca, la quale è dispensata dal chiedere al fideiussore la speciale autorizzazione, prevista dall’articolo 1956 c.c. per fare credito al debitore».
     In proposito s’osserva che, secondo la giurisprudenza costante (vedi Cassazione, sezione I, 28-7-1999, n. 8176), in tema di fideiussione omnibus in favore di un istituto di credito, stipulata, come nella specie, in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 154/92, la stessa è valida ed efficace, a condizione che l’istituto bancario tenga, nel corso del rapporto, un comportamento improntato ai principi di buona fede e correttezza, con la conseguenza che le anticipazioni, accordate dalla banca in modo arbitrario al debitore sono escluse dalla garanzia, ma la prova della violazione di detti principi grava sul fideiussore, che ne assuma la violazione.
     Nella specie, gli appellati, pur avendone l’onere, non hanno fornito alcuna prova di avere adempiuto a tale esplicito incombente, non avendo provato che le anticipazioni, concesse dalla banca alla G.s.l.e. S.p.A., erano state arbitrarie e scorrette.
     In proposito va ancora rilevato che, secondo costante giurisprudenza (vedi Cassazione, sezione III, 17-11-1999, n. 12743), l’articolo 10 della legge 17 febbraio 1992, n. 154, che ha modificato gli articoli 1938 e 1956 c.c., condizionando l’ammissibilità della fideiussione per obbligazioni future alla preventiva determinazione dell’importo massimo garantito e negando la possibilità della anticipata rinuncia del fideiussore di invocare la propria liberazione per crediti, concessi nonostante le sopravvenute difficoltà economiche del debitore, non costituisce interpretazione autentica delle norme del codice e, quindi, non ha natura retroattiva, con conseguente sua inefficacia rispetto al contratto inter partes anteriore all’entrata in vigore della legge.
     Gli appellati hanno ancora dedotto che, quando la fideiussione omnibus è rilasciata a tempo indeterminato, la garanzia del fideiussore incontra i limiti della determinabilità dell’oggetto del contratto anche sotto il profilo temporale e che, pertanto, la stessa non può valere al di là della prevedibilità al momento del rilascio della fideiussione. In proposito hanno eccepito la nullità della clausola, di cui alla lettere e), affermando che la stessa rientra fra quelle vessatorie, che hanno bisogno della specifica approvazione scritta, ai sensi dell’articolo 1341/2 c.c., ed hanno rilevato d’avere comunicato il loro recesso dal contratto con la lettera in data 9 loglio 1990, inviata alla banca.
In proposito s’osserva che la clausola e), che predispone, a carico del fideiussore, l’onere d’informarsi delle condizioni economiche del debitore ed in particolare dei suoi rapporti con la banca, è stata specificatamente approvata per iscritto dagli appellati unitamente alle clausole f), g), i), m) e p).
     In ordine al dedotto recesso dal contratto fideiussorio, s’osserva che, ai sensi della lettera d) del contratto, «il fideiussore può recedere dalla garanzia, dandone comunicazione alla banca con lettera raccomandata», che nella specie è stata ritualmente inviata e ricevuta. Nella stessa lettera d) è specificato, che «il fideiussore risponde oltre che delle obbligazioni del debitore in essere al momento in cui la banca ha preso conoscenza del recesso di ogni obbligazione, che venisse a sorgere successivamente in dipendenza dei rapporti esistenti al momento indicato».
     La banca ha documentalmente dimostrato l’entità del debito dei fideiussori prima della dichiarazione di recesso in esame, specificando che l’importo, richiesto col decreto ingiuntivo, era stato raggiunto con il conteggio degli interessi di mora.
     A proposito di detti interessi gli appellanti hanno rilevato che erroneamente il Tribunale ha applicato gli interessi del prime rate in luogo degli interessi legali, pur avendo la banca, su cui gravava il relativo onere, omesso di provare l’entità dei convenuti “interessi d’uso” ed avendo, anzi, la stessa applicato sempre interessi superiori agli interessi del prime rate, cosicché, essendo il credito, vantato dalla banca, composto per la massima parte d’interessi anatocistici, che non possono essere applicati, chiedevano che l’eventuale credito della banca fosse depurato sia degli interessi ultra legali sia dell’anatocismo, essendo stati entrambi applicati abusivamente.
     La banca a tale eccezione ha opposto l’articolo 7/2 e 3 delle prodotte norme, disciplinanti il c/c in esame, su citato. Il primo comma prevede che «i rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente, in via normale, a fine dicembre di ogni anno». Il secondo comma che «i conti, che risultano, anche saltuariamente, debitori vengono, invece, chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente e, cioè, fine marzo, giungo, settembre e dicembre» ed il comma terzo che «gli interessi, dovuti dal correntista all’azienda di credito, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni, praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, e producono, a loro volta, interessi nella stessa misura».
     In proposito s’osserva che, secondo la consolidata giurisprudenza (vedi Cassazione, sezione I, 07-013-1992, n. 2765) l’obbligo della forma scritta, imposto dall’articolo 1284, 3° comma c.c., per la pattuizione di interessi in misura superiore a quella legale, non postula necessariamente che il documento negoziale contenga l’indicazione in cifra del tasso pattuito, ma può essere adempiuto, secondo i principi generali sulla determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, contenuto nell’articolo 1349 c.c., anche in richiamo, operato per iscritto dalle parti, a prestabiliti criteri o elementi estrinseci obiettivamente e sicuramente individuabili, che consentano la concreta determinazione di quel tasso nel corso del rapporto contrattuale.
     Inoltre, secondo la Cassazione, sezione I, 08-05-1998, n. 4696, la clausola del contratto di conto corrente di corrispondenza, stipulata anteriormente all’entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 154, con cui la misura degli interessi ultra-legali è fissata mediante rinvio alle condizioni, praticate usualmente dalle banche su piazza, è valida a condizione che la fonte, ivi richiamata, sia univoca, tale, cioè, da consentire di determinare detta misura in modo oggettivo.
     Nella specie, però, tale clausola (gli interessi, dovuti dal correntista all’azienda di credito, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni, praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza) non è sufficientemente univoca e non può, quindi, giustificare la pretesa al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale, in quanto, data l’esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente rifarsi (vedi Cassazione, sezione I, 10-11-1997, n. 11042).
     Tale clausola è nulla per violazione dell’articolo 1284, 3° comma c.c. e, conseguentemente, in accoglimento di tale punto della doglianza, proposta dagli appellati, gli interessi sono determinati nella misura legale. (Omissis)
     La banca ha lamentato che l’Alda Bassi in sede di precisazione delle conclusioni abbia introdotto la domanda nuova di accertamento dell’illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte della banca stessa.
     Tale domanda non è nuova, atteso che, in sede di citazione in appello, il Carlo Lanari, dante causa dell’Alda Bassi, e l’Azienda Agricola Fratelli Lanari S.r.L. hanno fatto rilevare che il credito, vantato dalla banca, è composto per la massima parte d’interessi anatocistici, che non possono essere applicati, poiché non esistono usi, contrari alla regola, di cui all’articolo 1283 c.c.. Hanno chiesto, quindi, che il debito della G.s.l.e. nei confronti della banca sia depurato degli interessi ultralegali e dell’anatocismo, abusivamente applicati. Tale applicazione trova la sua fonte nella determinazione degli interessi trimestrali, i quali producono, a loro volta, interessi.
     In proposito s’osserva che la Cassazione, sez. I civile, con la sentenza n. 2374 del 16 marzo 1999, ha stabilito la nullità della clausola, contenuta in un contratto bancario, che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi, dovuti dal cliente, in quanto basata su un uso negoziale e non su una vera e propria norma consuetudinaria, con conseguente illegittimità dell’anatocismo. (Omissis)

 

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