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luglio-agosto 2002

Studî e commenti

GIUSEPPE RODDI

Un ibrido negoziale: il leasing al consumo

 

     Sommario: 1. Premessa. – 2. Peculiarità dell’istituto. – 3. Le fonti. – 4. I soggetti. – 5. La trasparenza. – 6. Il negozio. – 7. La disciplina ai fini usura. – 8. L’aspetto fiscale. – 9. Il leasing a privato. – 10. Conclusione.

 

§.1 – Premessa
     Figura della pratica finanziaria, non disciplinata in modo puntuale, se si eccettua l’ovvio riferimento alla disciplina del prestito finalizzato ed al complesso di disposizioni sulla trasparenza bancaria (e, naturalmente, ai principi generali della contrattualistica), il leasing al consumo contempera aspetti economici e giuridici delle due figure di cui riporta il nome.
     Mi pare utile dedicare un succinto esame a quest’istituto – che si colloca nell’alveo del credito al consumo, costituendone un’ulteriore accezione – soffermandomi sulle sue particolarità giuridiche, quali emergono dalla prassi negoziale via via invalsa nel contesto creditizio nazionale. Aspettative di vario genere si sono nel tempo formate intorno ad esso, senza che, peraltro, abbiano sinora ottenuto un riscontro soddisfacente (1). È, pure, stato oggetto di interessamento da parte della Banca d’Italia, che si è espressa al riguardo in modo assai generico, confermando quanto era emerso dagli approfondimenti compiuti in seno alle associazioni di categoria specializzate nei due prodotti finanziari da cui prende nome. Si constata, infine, la carenza di un’apposita disciplina fiscale, che invero lo potrebbe rendere assai attraente per il pubblico dei suoi potenziali fruitori. La realtà operativa ha, poi, delineato una ulteriore sfaccettatura di questo negozio, il c.d. leasing a privato, che a sua volta evidenzia peculiarità proprie.
     Preso in considerazione in via incidentale e con una formulazione poco chiara nella legge 19 febbraio 1992 n. 142 “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee” (legge comunitaria per il 1991) e nel D. Lgs. 1° settembre 1993 n. 385 “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” (T.U.), ove se ne prevede l’assoggettamento alle norme sul credito al consumo, quest’istituto non ha finora goduto di ampia diffusione sul mercato, né di vera considerazione in ambito scientifico. Esso consiste nel finanziare con la tecnica del leasing (la proprietà del bene resta in capo al finanziatore che lo loca) un consumatore, ossia una persona fisica che richiede un determinato bene per fini che esulano dalla propria attività professionale o imprenditoriale. Sebbene il fenomeno sia noto alla pratica negoziale italiana e si manifesti con una relativa frequenza, sono finora mancate una riflessione volta a sviscerarne le componenti ed una completa valutazione economica degli aspetti operativi che lo concernono (2).
     Mi propongo di accostarmi al tema per effettuare un esame che cerchi di tener conto dell’aspetto più propriamente scientifico e dei riflessi pragmatici che attengono all’operatività quotidiana di questa figura.

§.2 – Peculiarità dell’istituto
     Come noto, il leasing finanziario prevede che un soggetto (in genere una banca od un intermediario finanziario) acquisti il bene richiesto dall’utilizzatore e lo ceda a costui in godimento per un certo periodo di tempo, contro il pagamento di un corrispettivo rappresentato da un canone (perlopiù) mensile; alla scadenza, l’utilizzatore è tenuto a restituire il bene, salva la facoltà di conseguirne la proprietà versando il riscatto, ovvero di rinnovare il rapporto per un ulteriore arco cronologico (venendo addebitato di un certo importo magari ancora rateizzato).
     Che un consumatore – inteso in senso tecnico – ricorra al leasing non è molto frequente. Se per una società, una ditta individuale, un imprenditore, un libero professionista, questo contratto può risultare appetito, ciò non accade, in via normale, per il consumatore. Su di questi, infatti, non ricadono i benefici di natura fiscale previsti per quegli altri soggetti. È, tuttavia, possibile che si stipulino locazioni finanziarie in casi specifici, ove un qualche vantaggio viene, comunque, individuato dalle parti contraenti (si pensi, ad esempio, ad un saggio di interessi inferiore a quello praticato nel credito al consumo per l’ottenimento del medesimo bene, al procrastinare l’acquisizione in proprietà della cosa, ecc.).
     Qualora utilizzatore sia un consumatore che (ovviamente) richieda il bene per sue personali esigenze, si rientra nel leasing al consumo. Dispone sul punto l’art. 121, c. 4, lett. f) del T.U., secondo cui le norme contenute nel capo II (dedicato al credito al consumo) del titolo VI del medesimo T.U. non si applicano «ai contratti di locazione, a condizione che in essi sia prevista l’espressa clausola che in nessun momento la proprietà della cosa locata possa trasferirsi, con o senza corrispettivo, al locatario».
     Questa frase involuta fonda in diritto il nostro istituto. Rispetto alla species leasing al consumo il credito al consumo assume, in tal modo, il ruolo di genus (3).
     Ne discende che, se il contratto di leasing, di cui sia beneficiario un consumatore, prevede alla scadenza il passaggio della proprietà, si applica la disciplina del credito al consumo. Ove il trasferimento non avvenga, ciò non accade (4). La presenza, quale parte contraente, di un consumatore qualifica, pertanto, in maniera decisiva il rapporto, facendolo ricadere nell’ambito delle figure negoziali del credito al consumo (5).
     A differenza delle altre forme creditizie, nelle quali diviene proprietario della cosa sovvenzionata o dispone di una certa liquidità che potrà impiegare per i suoi fini (dichiarati o meno), nel leasing (come abbiamo visto) il consumatore riceve il bene appetito in uso, sovente con la possibilità, al termine del rapporto, di acquistarlo. Appare immediata la differenza con il prestito finalizzato, figura peculiare del credito al consumo (cui suole accostarsi, sia pure con le debite rilevanti differenze, il leasing) ove il cliente, perlopiù, ottiene fin da subito la proprietà della cosa. Nella locazione finanziaria, invece, ne dispone soltanto, ferma restando la titolarità in capo al soggetto erogatore. Da simile premessa, se ci caliamo nella realtà rappresentata dall’istituto in esame, derivano numerosi, importanti corollari, che costituiscono gli obblighi dell’utilizzatore.
     In sintesi, si può sostenere che il leasing al consumo, appartenente al vasto genus del credito al consumo, contratto dalle molteplici manifestazioni ancora del tutto atipico, mescola e contempera peculiarità di quest’ultimo e della locazione finanziaria. Per un corretto inquadramento, mi pare indispensabile accennare ad alcune questioni che riguardano in genere i finanziamenti al consumo ed il leasing.
     Principio basilare è l’applicazione della normativa del credito al consumo sull’impianto strutturale, logico ed economico-finanziario del leasing.
     Lo schema negoziale seguito dalle parti ripete, infatti, la traccia ormai ben consolidata nell’operatività dei contratti di leasing. Si discostano, peraltro, dalle particolarità di quest’ultimo, alcune obbligazioni, che appartengono al “domaine” del credito al consumo. Siamo di fronte ad una complessa fenomenologia, in concreto riconducibile a poche, lineari caratteristiche delle due figure del leasing e del consumo. Poiché parte è un consumatore che, in sostanza, ricorre al credito presso un soggetto a tal fine abilitato, si “deve” applicare la normativa speciale sul credito al consumo.
     Non mi sembra proficuo forzare la natura di questo istituto giuridico, incasellandolo ad ogni costo in schemi astratti predeterminati. Limitandomi in questa sede ad una mera disamina sotto un profilo generale del fenomeno giuridico che lo concerne, elencherò rapidamente le fonti, i soggetti, la disciplina della trasparenza e del negozio, dedicando a quest’argomento particolare attenzione, nonché qualche altro aspetto rilevante ai fini della normativa sull’usura ed al trattamento tributario.

§.3 – Le fonti
     Come per le altre figure del credito al consumo, disciplinano il leasing al consumo le seguenti disposizioni (oltre all’ordinario apparato legislativo, che non riporto essendo ben noto):
     – le tre direttive comunitarie in tema di credito al consumo 87/102/CEE del 22 dicembre 1986, 90/88/CEE del 22 febbraio 1990 e 98/7/CE del 16 febbraio 1998;
     – gli artt. 18-24 della legge 19 febbraio 1992 n.142, che – ai sensi dell’art. 161, c. 2, TUB – sebbene abrogati continuano ad essere applicati fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati dalle autorità creditizie ai sensi del T.U.;
     – il D.M. tesoro 8 luglio 1992;
     – gli artt. 115 – 128 del T.U., ossia il titolo VI dedicato alla trasparenza delle condizioni contrattuali, ed il relativo apparato normativo secondario, per ora costituito dal solo D.M. 8 luglio 1992 citato;
     – gli artt. 1469-bis – 1469-sexies, costituenti il capo XIV-bis “Dei contratti del consumatore” del titolo II del libro IV del codice civile;
     – gli usi accertati dalle Camere di commercio, finora, a quanto mi consta, di Milano e di Torino.

§.4 – I soggetti
     Da un lato rinveniamo le banche o gli intermediari finanziari, dall’altro il consumatore.
     Atteso ovviamente che l’art. 121, c. 2, lett. a) e b) T.U. individua le due indicate figure di contraenti, non mi pare rientrino nel novero che qui interessa i soggetti autorizzati alla vendita di beni o di servizi nel territorio della Repubblica nella sola forma della dilazione del pagamento del prezzo, ai quali si riferisce l’art. 121, c. 2, lett. c) T.U. Si tratta, infatti, di una situazione marginale, relativa alla vendita rateale, che non concerne il fenomeno in esame.
     Controparte istituzionale, si potrebbe dire, è il consumatore, personaggio ormai ben conosciuto nel panorama non solo creditizio, fruitore di un apposito trattamento tutelativo.
     Ed è proprio in funzione di questi che si colora l’intero rapporto, che viene, in tal modo, ricondotto ad una precisa disciplina di legge.

§.5 – La trasparenza
     È evidente che restano sullo sfondo e valgono quale ius generale rispetto allo ius speciale costituito dalla normativa del credito al consumo, gli artt. 115-120 T.U. Vigono, cioè, in questo specifico ambito, le disposizioni peculiari della c.d. trasparenza bancaria. Quanto, poi, all’avviso sintetico ed ai fogli informativi analitici, si utilizza lo schema del credito al consumo e non quello del leasing.
     Sarebbe, forse, opportuno, de iure condendo, che si prevedessero un avviso sintetico ed un foglio informativo analitico dedicati a questa figura.

§.6 – Il negozio
     Quanto al profilo contrattuale, vengono in considerazione le obbligazioni proprie del leasing e gli aspetti sostanziali e formali del credito al consumo, soprattutto la normativa posta a tutela del consumatore in questo settore particolare.
     Gli elementi caratterizzanti la locazione finanziaria sono in via ordinaria ed in sintesi: il collegamento negoziale esistente fra il contratto di fornitura del bene (intercorso fra concedente e fornitore) ed il contratto di leasing vero e proprio (fra concedente e utilizzatore); l’attribuzione di ogni rischio inerente il bene locato all’utilizzatore, al quale in cambio viene attribuita una legittimazione ad agire direttamente verso il fornitore in caso di inadempimento di quest’ultimo; la previsione di una clausola risolutiva espressa comprensiva di penale in favore del concedente.
     L’applicazione al leasing al consumo degli artt. 121 ss. T.U. configura, sul piano negoziale, le stesse situazioni giuridiche proprie del credito al consumo in genere, alle quali rinvio.
     Un discreto rilevo assume il disposto dell’art. 125, c. 2, T.U. in tema di recesso (ossia la facoltà riconosciuta dal D.M. 8 luglio 1992 al consumatore di uscire dal rapporto contrattuale in via anticipata corrispondendo a titolo di penale non più dell’1% del capitale residuo, unitamente agli importi dovuti alla data di riferimento). È un punto di prevalenza (se così mi posso esprimere) dell’aspetto “leasing” sul credito al consumo: se recesso ed estinzione anticipata coincidono in quest’ultimo, non così accade per il leasing e ciò si constata a pieno nella situazione specifica. Attesa la facoltà del consumatore di recedere dal contratto senza penali, in assenza di una disposizione ad hoc, si può ritenere in base ai principi generali di fare salvo il diritto del concedente al risarcimento dei danni subiti, anche se eventualmente limitati al solo danno emergente e non anche al lucro cessante.
     Circa, poi, la responsabilità diretta del concedente nei casi di inadempimento del fornitore qualora sussista un suo diritto di esclusiva e sia risultata inutile la costituzione in mora del fornitore da parte dell’utilizzatore, si pone il problema se ed in che modo agisca la responsabilità sussidiaria, ex art. 125, c. 4 T.U. Ciò, in quanto il bene è di proprietà dell’intermediario finanziario, mentre il consumatore assume la veste di utilizzatore non titolare e potrà divenire proprietario a pieno titolo solo dopo ed a seguito dell’eventuale esercizio del riscatto.
     Se quelli indicati rappresentano alcuni elementi caratterizzanti, che contraddistinguono il leasing al consumo dal restante ambito del credito al consumo, si constatano, inoltre, perlomeno i seguenti punti, che contribuiscono a dare una propria fisionomia al negozio:
     – la proprietà del bene oggetto del leasing al consumo spetta al finanziatore: questa è una fondamentale differenza rispetto al principio generalmente diffuso nel credito al consumo – soprattutto finalizzato – secondo cui il bene appartiene in genere fin da subito al sovvenuto;
     – l’importo finanziato viene restituito generalmente in forma rateale con un ricarico di interessi corrispettivi (così anche nel credito al consumo);
     – come utilizzatore compare il consumatore, di cui sono ben conosciute le caratteristiche poste dal legislatore. Si tratta, inequivocabilmente, di nota che contraddistingue il credito al consumo. Si può discutere sul ruolo di questo soggetto, che – mentre nel leasing ordinario è un’impresa, una società, un libero professionista, ecc. – nella figura di cui ci occupiamo è, appunto, un consumatore. Ciò gioca un ruolo precipuo, in quanto non ricorrono – salvo interventi, peraltro ad oggi non immaginabili da parte del legislatore fiscale – le caratteristiche significative sotto il profilo fiscale, che hanno finora reso allettante il leasing.
     Siamo (lo ripeto, essendo un cardine dell’istituto) nel mondo del credito al consumo, con tutto quanto ciò comporta in termini di normativa eretta a difesa del soggetto consumatore. Il leasing svolge il ruolo di mezzo, di strumento tecnico e si adatta (finisce nei fatti per adattarsi) al mercato – e alla disciplina giuridica – del credito al consumo. Non appare necessario osservare le regole (non scritte dalla legge) del leasing in genere, in quanto operano – e s’impongono – quelle (ormai da anni codificate) del credito al consumo.
     In breve, il leasing al consumo è un ibrido che si ispira ai principi economico-finanziari del leasing e rimane assoggettato alla legislazione sul credito al consumo (6).

§.7 – La disciplina ai fini usura
     in assenza di un’apposita disciplina del leasing al consumo anche per quanto concerne i tassi soglia dell’usura, si può ipotizzare la condotta da assumere a questo proposito per non esporsi a possibili reati.
     Per quanto riguarda, in particolare, i tassi effettivi globali mensili, di cui alla legge 7 marzo 1996 n. 108 “Disposizioni in materia di usura”, per la determinazione del tasso soglia ai fini dell’usura, mentre si attende la predisposizione di una voce dedicata a questa figura (o, almeno, che si fornisca un indirizzo preciso, facendola ricadere in una delle attuali classificazioni), si potrebbero prendere come riferimento quelli della classe residuale relativa agli «anticipi, sconti commerciali, crediti personali e altri finanziamenti effettuati dagli intermediari non bancari».
     non sembra, infatti, possibile ricondurli nella classe del «credito finalizzato all’acquisto rateale», posto che in quest’ultimo caso il finanziamento è rivolto essenzialmente all’acquisto rateale di beni al consumo, mentre nel leasing l’acquisto finale, anche se può apparire automatico sul piano economico, su quello giuridico-formale non lo è, restando comunque rimesso ad una nuova ed ulteriore manifestazione di volontà dell’utilizzatore.
     Nel caso in cui le operazioni di leasing al consumo venissero poste in essere da banche, la classe di tassi di riferimento potrebbe essere quella dei «crediti personali ed altri finanziamenti alle famiglie effettuati dalle banche».

§.8 – L’aspetto fiscale
     La cennata dicotomia dell’istituto che stiamo studiando trova riscontro anche in ambito fiscale, ove, pure, vengono in considerazione le caratteristiche del credito al consumo e del leasing.
     Ribadisco, innanzitutto, che l’utilizzatore di questa particolare forma di leasing (naturalmente, il consumatore) non fruisce delle norme fiscali che, invece, si riferiscono espressamente a chi eserciti attività di impresa o lavoro autonomo. Manca, infatti, un’apposita normativa che lo concerna.
     Cerchiamo, pertanto, di cogliere quale potrebbe essere la disciplina da osservare nel nostro caso.
     Circa le imposte indirette, il ruolo di chi finanzia non muta sia che si tratti di leasing al consumo, sia che vengano in esame operazioni con imprenditori o professionisti. In altri termini, non variano le modalità per la determinazione del reddito di impresa, fra cui, ad esempio, il computo dei canoni periodici fra i ricavi e la deducibilità di quote di ammortamento finanziario corrispondenti alle quote di capitale insite nei canoni maturati nei vari periodi. Appare distinta la situazione del consumatore-utilizzatore. Atteso che non esercita attività di impresa o lavoro autonomo, e che, in ogni caso, simile eventualità non dovrebbe assumere rilevanza alcuna in questo frangente, costui non può dedurre dal proprio reddito complessivo i canoni periodici del contratto di leasing. Né occorre, pertanto, che quest’ultimo preveda una durata non inferiore ai limiti stabiliti dagli artt. 67 e 50 del TUIR (il periodo, infatti, opera unicamente per la deducibilità dei canoni da parte dell’utilizzatore che agisca quale imprenditore o lavoratore autonomo, che non è – ovviamente – il caso in esame). E non vale l’art. 55 del TUIR, secondo cui, in caso di cessione del contratto di leasing, è sopravvenienza attiva tassabile in capo all’utilizzatore-cedente del contratto il valore normale della cosa che ne rappresenta l’oggetto.
     Circa l’IVA, il contratto di credito al consumo rientra fra le operazioni di credito e di finanziamento esenti ex art. 10, c. 1, n.1, D.P.R. 26 ottobre 1972 n.633. Ove, in forza dell’art. 36-bis dello stesso DPR, l’intermediario finanziario (come in genere accade) decidesse per la dispensa dagli adempimenti di fatturazione e registrazione di tali operazioni, non dovrebbe (perlopiù) emettere fattura per interessi, a meno che il cliente la richieda. Allo stesso regime degli interessi vengono poi sottoposte le spese accessorie delle pratiche di finanziamento che siano riaddebitate al cliente (spese, queste, che ricadono nel tasso annuo effettivo globale, adempimento tipico dei negozi di credito al consumo e non certo del leasing).
     in ordine all’imposta di registro, i contratti di leasing – fra cui pure il leasing al consumo – sono soggetti all’obbligo della registrazione solo in caso d’uso, anche se siano stati conclusi per atto pubblico o scrittura privata ai sensi della nota all’art. 1, parte II della Tariffa di registro (inserita con l’art. 21, c. 21 della legge 27 dicembre 1997 n. 449). Vale a dire, si stabilisce l’esonero fino al caso d’uso dalla registrazione dei «contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari e finanziari e al credito al consumo, per quali il titolo VI del D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 prescrive a pena di nullità la forma scritta».

§.9 – Il leasing a privato
     Costituisce figura a sé quell’accezione del leasing al consumo, denominata nella prassi “leasing a privato”, in cui l’erogato eccede (in misura significativa, quantitativamente rilevante) i limiti di importo posti dall’attuale normativa sul credito al consumo. Nulla impedisce alle parti di assoggettarsi volontariamente alla disciplina contenuta nella legge n. 142/92 o nel T.U. ed alle relative norme di attuazione dedicate al credito al consumo pur non essendone per legge sottoposte. Sorgono, peraltro, dubbi sull’autonomia concettuale ed anche operativa di simile figura. Ci si domanda, poi, se ricada nella disciplina del credito al consumo ovvero in quella del finanziamento in genere, vale a dire, se sia sottoposta alla sola normativa generale sulla trasparenza e non anche a quella, speciale, del credito al consumo, più protettiva e particolare.
     Come noto per l’art. 121, c. 4, lett. a) T.U., In base a quanto tuttora fissato dal D.M. 8 luglio 1992, rientrano nella nozione di credito al consumo i finanziamenti compresi fra il limite minimo di lit. 300.000 e massimo di 60.000.000, rispettivamente divenuti, a seguito della conversione, € 154,93 ed € 30.987,41.
     Per i contratti di leasing aventi ad oggetto beni di importo considerevole – nella prassi ci si riferisce perlopiù a quelli superiori a 300.000.000-400.000.000 di lire, paragonabili oggi a € 150.000-200.000 – stipulati con “consumatori" non si rientrerebbe forse nella fattispecie del leasing al consumo, ma in quella diversa (e, a mio avviso, di scarsa rilevanza scientifica e non così ampia diffusione pratica) del leasing a privati (locuzione, a mio avviso, non particolarmente perspicua, invalsa nel mondo delle società finanziarie). Se si accogliesse questa impostazione, ne deriverebbe la disapplicazione – nel caso di specie, comunque, limitata e certo non rilevante – delle disposizioni del T.U. In materia di credito al consumo. Segnalo, in particolare, che la cospicua entità dell’importo farebbe ipotizzare che non sia più leasing al consumo, bensì altra diversa figura di finanziamento, pur sempre attinente ad un consumatore (peraltro, forse, non così bisognoso di tutela qual è il soggetto cui si riferisce la normativa approntata per tutelare a priori questo soggetto). Di fatto, inoltre, in quest’ambito ben raramente si stipulano numerosi negozi di serie, né si utilizzano i formulari predisposti unilateralmente dal concedente, mentre si suole ricorrere alla trattativa individuale di cui all’art. 1469-ter, c. 4, cod. civ. (Secondo cui non sono considerate vessatorie le clausole che ne hanno effettivamente formato oggetto).
     mi domando se sia fondata in diritto o quanto meno opportuna sotto l’angolo visuale economico-finanziario questa distinzione, che in realtà assume un peso solo quantitativo, dato l’importo cospicuo del finanziamento, dai riflessi meramente pragmatici. Non è, forse, sempre la stessa cosa, cioè anch’essa mero leasing al consumo, mutando (in incremento) solo l’ammontare del finanziamento? Il nocciolo del problema è, in sintesi, se il soggetto che richiede il finanziamento per simili cifre, pur essendo tecnicamente un consumatore (in quanto persona fisica che agisce per fini posti al di fuori della sua attività professionale o imprenditoriale), meriti ancora di fruire della protezione – eccezionale, rispetto a quella ordinaria, prevista per il non consumatore – appositamente stabilita per simile controparte. Sul mercato si riscontrano talora finanziamenti di importo elevato concessi a persone fisiche per esigenze personali, quali l’acquisto della barca di lusso, del motoscafo, dell’auto da corsa o di marca rinomata, del cavallo di razza, di gioielli o di altri beni preziosi di elevato costo. Ora, si può dubitare se, in tali casi, siamo ancora nel campo del credito al consumo e, più propriamente, nella particolarità del leasing al consumo, quale si è finora cercato di delineare. Probabilmente ce ne troviamo ormai al di fuori, il limite di € 30.987,41 essendo ormai del tutto oltrepassato. E, come detto ripetutamente, nulla impedisce ai contraenti di sottoporre il rapporto fra loro pattuito alle norme sul credito al consumo. Ma, viceversa, non sembra che queste “debbano" necessariamente essere applicate e, di conseguenza, rispettate.

§.10 – Conclusione
     Al termine di questa rapida disamina, si può ritenere che il leasing al consumo – vero e proprio ibrido contrattuale dalla genesi pragmatica e, per taluni risvolti, anche un po’ cervellotica – contempera aspetti economico-finanziari e giuridici delle due figure di cui porta il nome. Preso in considerazione, in via del tutto marginale, dalla legge 142/1992 e dal T.U., Ove se ne prevede l’assoggettamento alle norme sul credito al consumo, non ha finora goduto di una significativa diffusione sul mercato, né di una vera considerazione in ambito scientifico. Come abbiamo visto, esso consiste nel finanziare con la tecnica del leasing un consumatore, che richieda un determinato bene per fini perlopiù esulanti dalla sua attività professionale o imprenditoriale.
     Resta, comunque, fermo che ci troviamo nell’area (vasta, ma agevolmente delimitabile) del credito al consumo, quale disciplinata dalla legge. Il leasing svolge la funzione di strumento tecnico finanziario, una sorta di struttura portante, e si adatta al mercato del credito al consumatore. La normativa dei prestiti al consumo impronta, invece, le obbligazioni reciproche e finisce per attrarre sotto la relativa disciplina i contraenti. Non devono essere necessariamente osservate le regole (non previste dal legislatore, se non per taluni aspetti in sede fiscale, e, qui, quantomeno per ora, non calzanti) fondamentali del leasing, mentre si seguono quelle “civilistiche" più restrittive e cautelative sul credito al consumo.
Appare di tutta evidenza come viga l’art. 1322 cod. civ.. Le parti hanno determinato il contenuto delle loro intese, rimanendo nel solco tracciato dalla legge. In altri termini, il leasing al consumo non appartiene ai negozi tipici delineati dal legislatore. È, peraltro, diretto a conseguire interessi meritevoli di tutela nel nostro ordinamento giuridico, ove detiene un pieno e completo diritto di cittadinanza.
     Non resta che attendere se questo ibrido negoziale saprà in concreto farsi strada nella realtà del mercato dei finanziamenti ai consumatori.

 

Note

     (1) Data la rilevanza concreta, prima ancora che scientifica, l’associazione italiana del leasing, Assilea, e quella del credito al consumo e immobiliare, Assofin, hanno ritenuto di costituire appositi gruppi di lavoro per approfondire l’argomento. Se per chi opera nel leasing questa particolare espressione finanziaria sembra costituire una sorta di cavallo di troia per sconfinare vittorioso nel territorio del credito al consumo, per coloro che finanziano al consumo, invece, si tratta di un nuovo prodotto, che serve a coprire ulteriori esigenze manifestate dalla clientela dei consumatori. Di entrambi i gruppi di lavoro ho fatto parte: del primo, come responsabile e, del secondo, come coordinatore della commissione giuridica che lo ha istituito nel proprio ambito.

     (2) I beni su cui cade questa tipologia di finanziamento sono mobili, dal diverso valore. Perlopiù ci si riferisce a motocicli, personal computer e, nel caso del leasing a privato, a barche, automobili e ad altri cespiti di elevato prezzo.

     (3) Sarei tentato di addentrarmi in un’interessante (e insidiosa) discussione circa la riconducibilità di tutto il leasing al genus credito al consumo o, se non a questo, che potrebbe risultare una sterile forzatura, al genus finanziamento. Ciò parrebbe confortato da certa giurisprudenza e dottrina che ravvisa nel leasing una forma di finanziamento. Se così fosse, probabilmente, la celebre (e discutibile) impostazione giurisprudenziale che suole ripartire il leasing nelle due tipologie, rispettivamente, del leasing di godimento e del leasing traslativo, e in queste racchiudere tutte le espressioni di leasing verrebbe probabilmente meno. Quantomeno, si assisterebbe ad un’innovazione di qualche pregio: potremmo, così, parlare di leasing come – e soltanto come – finanziamento, senza più compiere ambigui e pericolosi distinguo, che hanno finora improntato questa figura.

     (4) in tale evenienza, si porrebbe comunque la questione relativa a quale sia la normativa applicabile, trattandosi pur sempre di un consumatore.

     (5) Per maggiori e più completi riferimenti alla normativa, agli istituti ed alla bibliografia in questo settore, rinvio alla mia pubblicazione su Il credito al consumo. Tipologie contrattuali, soggetti, aspetti tributari, Etas, Milano, 1999.

     (6) La Banca d’Italia, nella sua risposta all’associazione nazionale del leasing, Assilea, del 24.3.2000 “Leasing al consumo. Quesito", dopo aver ricostruito per sommi capi l’istituto, afferma: «Ciò posto si ritiene che alla luce del richiamato quadro normativo – le operazioni di leasing al consumo, come sopra definite, integrino una particolare forma tecnica del credito al consumo e che, come tali, risultino assoggettate alla relativa disciplina, contenuta nel Tit. VI, Capi II e III, del Testo unico bancario».

 

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