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luglio-agosto 2002

Studî e commenti

PIETRO MASI

Privatizzazioni regionali e diritto della concorrenza *

     Sommario: 1. Premesse. – 2. Gli interlocutori istituzionali. – 3. Privatizzazioni regionali e principi antitrust. – 4. Privatizzazioni e aiuti alle imprese. – 5. Considerazioni di sintesi.

 

     1. Le osservazioni che seguono investono il tema dei rapporti tra privatizzazioni e regioni sotto il profilo delle interferenze con il diritto della concorrenza; profilo particolare, ma non marginale, ed oggetto infatti di frequenti ed interessanti riferimenti negli interventi che ho qui ascoltato, ai quali saranno riservate le mie citazioni.
     Sono opportune due precisazioni circa l’orientamento del mio intervento e la delimitazione del tema.
     a) Quanto al primo, la varietà degli aspetti da considerare e gli spazi a disposizione inducono a rinunziare all’approfondimento censendo alcuni spunti di riflessione da offrire all’attenzione degli addetti ai lavori nell’ottica di chi – nel caso la regione – è protagonista delle privatizzazioni; la materia è stata del resto scarsamente esplorata e l’esame di questioni o criteri di azione che l’esperienza segnala può valere anche per operazioni future.
     b) La caratterizzazione in termini “regionali” delle privatizzazioni vincola a tenere conto del rapporto dimensionale che tra privatizzazione e mercato si può in concreto instaurare. A tale proposito ricordo che la potenzialità di rilevanza di dismissioni di aziende pubbliche regionali non si limita al mercato regionale inteso come territorio della regione, e che d’altra parte mercato regionale è fattispecie diversa e presumibilmente più ristretta di mercato nel quale operano imprese regionali, al quale ultimo deve farsi riferimento. Richiamo poi l’attenzione sull’esistenza di soglie di interesse del diritto antitrust nazionale fissate nella legge 287 del 1990 e collegate ad un rilievo nel mercato nazionale od in una sua parte rilevante delle intese e degli abusi di posizione dominante, o ad una dimensione minima significativa delle concentrazioni. Non si esclude allora che privatizzazioni regionali siano tali da incidere su mercati nazionali oltre che locali, e talvolta persino sugli scambi fra Stati membri della Comunità europea, rendendo competenti la Commissione o il Consiglio CE, e si evidenzia l’importanza di valutare preventivamente quali siano le norme interessate, salvo il verificare – dirò qualcosa nel seguito – se anche nelle altre ipotesi di applicazione non necessaria di norme antitrust le norme medesime non meritino comunque considerazione in termini di principi del nostro ordinamento.
     In termini astratti, le privatizzazioni regionali non creano rischi di lesione della concorrenza e del mercato diversi da quelli delle privatizzazioni statali e quindi in una parola dal pericolo di costituzione di monopoli o di erogazione di aiuti di stato. Se però ci si avvicina all’esperienza concreta, tendenze diverse da quelle nazionali – ad esempio per ciò che concerne il rapporto tra privatizzazione e liberalizzazione – e la dimensione talvolta molto ridotta delle operazioni possono creare l’opportunità di prassi e schemi di azione specifici.
     Aggiungo, in relazione alle tipologie di privatizzazione, che interessa la distinzione tra le privatizzazioni formali, nelle quali la titolarità dell’ente resta pubblica ma si promuove un’azione in regime privatistico, e quelle sostanziali nelle quali il trasferimento della titolarità delle imprese ai privati integra la fattispecie. Si è ricordato che per le prime occorre spesso una cornice normativa (Ibba), e nasce quindi con riguardo alle ipotesi di dismissione che interessano un problema di sufficienza a tale scopo di norme regionali; nell’affrontarlo dovrebbe anche tenersi conto della pluralità di situazioni che la legislazione regionale presenta e fra l’altro della distinzione tra le regioni a statuto speciale e le altre. Condivido l’osservazione (Weigmann) che il rapporto tra pubblico e privato non dovrebbe incidere, e la sottolineatura che sono relativi sotto molti aspetti i confini tra le due sfere; aggiungo però che la tradizionale affermazione della incapacità della legge regionale di regolare i rapporti di diritto privato, la quale dovrebbe fornire un orientamento in equivoco, esprime un principio che talvolta incontra nella realtà condizionamenti, per ciò che la cornice amministrativa dell’azione imprenditoriale è indissociabile dai profili privatistici della regolamentazione dell’impresa, e tale cornice amministrativa da norme non statali può essere fissata, e lo è specialmente in regioni a statuto speciale; talvolta, e magari con riguardo a privatizzazioni, la programmazione regionale può incidere sull’accesso al mercato e sulla configurazione del medesimo, almeno indirettamente incidendo su libertà e scelte di iniziativa economica.
     Sempre in tema di fonti, è stata qui anche sottolineata l’incidenza del diritto comunitario, ed in particolare della regolamentazione comunitaria della concorrenza e del mercato, sul diritto amministrativo (Stella Richter) come sulle categorie privatistiche dell’iniziativa economica (Weigmann), e si è in più interventi (per tutti cito Malavasi e Pirastu) ricordato che le regole della concorrenza ed in particolare quelle sugli aiuti di stato non tollerano “isole felici”.
In definitiva, le privatizzazioni regionali, avendo per obiettivo di ridurre la presenza pubblica nell’economia stimolando l’efficienza e la competitività delle imprese nel mercato (Racugno), non possono prescindere dal contesto normativo generale, e la regione ad ogni livello di azione, normativo o amministrativo, è tenuta a conformarsi a tale contesto, che gli organi comunitari intendono violato anche da atti applicativi o da forme di attuazione in modo elusivo.

     2. Nella sua azione di promozione e gestione di operazioni di privatizzazione, la regione deve preoccuparsi di rapporti con alcuni soggetti preposti al mercato, per il loro ruolo di competenza istituzionale generale ovvero per la loro azione di vigilanza su mercati particolari.
     Sotto il primo profilo viene in considerazione l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, la quale ha, come è noto, funzioni sia di repressione di comportamenti vietati, sia – ed è ciò che qui più interessa – di formulazione di pareri, anche su richiesta di amministrazioni ed enti pubblici interessati, in relazione a problemi attinenti la tutela della concorrenza e ad iniziative legislative (art. 22 l. 287 del 1990) o di effettuazione di segnalazioni al Parlamento nazionale, al Governo ed ad enti locali e territoriali per evidenziare norme legislative o regolamentari o provvedimenti amministrativi di carattere generale che determinino distorsioni della concorrenza e del mercato (art. 21, l. 287 del 1990).
     Oltre a rilevare che il criterio generale di azione deve essere quello di evitare distorsioni non giustificate da un interesse generale, può segnalarsi l’interesse di una regione ad attivare con l’Autorità antitrust rapporti di consultazione, specialmente con riguardo a materie delicate come quella delle privatizzazioni ed in funzione preventiva, quindi nel momento della predisposizione dei progetti e della definizione delle procedure e delle modalità di azione.
     In varie occasioni (v. ad esempio le segnalazioni AS26 del 1 luglio 1994, relativa a Concorrenza e regolamentazione nei servizi di pubblica utilità, AS06 del 19 dicembre 1992, su Programma di riordino delle partecipazioni statali, ed AS182 del 21 ottobre 1999, concernente il riordino dei servizi pubblici locali), l’Autorità è intervenuta in merito a fenomeni a vario titolo attratti nel concetto di privatizzazione, suggerendo gli spunti di fondo, come ad esempio quello per cui la privatizzazione dovrebbe accompagnarsi nei settori riservati ad interventi di liberalizzazione, per lo meno nei mercati non caratterizzati da contesti di monopolio naturale, o ribadendo il principio per il quale nelle attività caratterizzate da contesti di monopolio naturale si dovrebbe ricercare quanto meno una concorrenza per l’accesso al mercato. Concetti del genere, riferiti sia a processi di rilievo nazionale, sia a fenomeni di dimensione locale, possono ritenersi pertinenti ad una esperienza regionale, confermando che in linea di principio i problemi concorrenziali della privatizzazione sono sostanzialmente omogenei.
     Venendo agli organi comunitari, interessa ricordare che la regione, come ogni interessato legittimato dalle norme comunitarie, può svolgere un ruolo attivo, anche ai sensi del regolamento 659/99/CE che disciplina le procedure in tema di aiuti di Stato, nei rapporti – che talvolta assumono anche valenza in senso lato politica e quindi rendono particolarmente significativa una impostazione di confronto degli interessi e di trattativa – con la Commissione che procede alla valutazione dell’aiuto e può chiedere il ripristino della situazione violata, con il Consiglio che può autorizzare l’aiuto, con la Corte di Giustizia chiamata eventualmente a sindacare i profili di censura dell’aiuto.
     Potrebbero nascere, inoltre, esigenze di segnalazione di concentrazioni rilevanti da parte di acquirenti in occasione di processi di dismissione; sarebbe anche in tal caso auspicabile un coinvolgimento della regione o di enti collegati, benché non vincolati a comportamenti specifici nella loro veste di alienanti, ancora una volta nello sforzo di sviluppare la politica delle privatizzazioni interloquendo direttamente e talvolta persino preventivamente con le autorità di vigilanza del mercato nazionale e di quello comunitario.
     Viene infine in considerazione il rapporto tra la regione ed enti vigilanti su mercati particolari: così ad esempio per operazioni che riguardino il settore bancario nasce l’esigenza di contatti con la Banca d’Italia, per la dismissione di società quotate interlocutore necessario è la CONSOB, mentre esiste l’eventualità di chiamata in causa di altre autorità, competenti ad esempio in materia di energia o di comunicazione.
     Interessa aggiungere che, se da una parte è opportuno preoccuparsi prima di ogni vicenda degli interlocutori dei quali si è appena fatto cenno, dall’altra l’esperienza dell’azione di rapporto con tali interlocutori altrove maturata potrebbe risultare utile per evitare comportamenti che pongano a rischio eventuali operazioni di privatizzazione ulteriori, stimolando la creazione di una organizzazione competente per i rapporti in questione con valenza globale e stabilità nel tempo, così da gestire efficacemente situazioni complesse e nuove. Prendo spunto a tale ultimo riguardo dalla ipotesi di privatizzazione della società finanziaria regionale sarda (SFIRS): l’operazione, per la plurispecialità della società interessata che è società finanziaria, società quotata in borsa, società privatizzata, dovrebbe conciliare esigenze diverse confrontandosi con più interlocutori istituzionali; ad esempio, il ricorso a strumenti di golden share potrebbe generare violazione di parità di trattamento o di altri principi regolatori del mercato finanziario.

     3. Venendo al rapporto fra privatizzazioni regionali e principi antitrust, in primo luogo tengo a segnalare l’esigenza di rispetto di parità di trattamento e libertà di stabilimento. Ho già accennato all’esigenza generale di rispetto delle regole del mercato e certamente i rapporti con operatori esterni devono poi improntarsi all’osservanza delle libertà fondamentali di circolazione sancite a livello comunitario, come è stato più volte affermato dalle stesse istituzioni comunitarie chiamate a valutare la coerenza al sistema di processi di privatizzazione; in particolare, ricordo la sottolineatura della esigenza di ricorrere a procedure di gara aperte, trasparenti e non discriminatorie nelle fasi di dismissione.
     Esiste una prevalenza del diritto sostanziale su quello formale – lo notava Stella Richter – e interessa l’effetto della privatizzazione più che il procedimento o la tipologia, è allora da sottolineare che, quale che sia la scelta delle modalità di azione o la tecnica dell’intervento anche in termini di regolamentazione, la concessione di sovvenzioni ad imprese da privatizzare o la concessione di sovvenzioni a vantaggio dell’acquirente non sarebbero compatibili con la regolamentazione del mercato, perché lesive degli altri operatori economici non coinvolti nella privatizzazione ed operanti nello stesso mercato.
     Almeno un cenno merita in questa prospettiva il problema dei “poteri speciali” che possono esistere nelle società privatizzate, poteri di recente interessati da una pronuncia della Corte di Giustizia, 23 maggio 2000, Causa C- 58/99, e ritenuti in tale pronuncia lesivi di regole del mercato. In particolare, la Corte ha ritenuto che l’attribuzione dei poteri in questione al Ministro del tesoro, in forza dell’art. 2 del d.l. 332 del 1994, fosse di ostacolo all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato CE, anche per l’effetto di scoraggiare gli operatori provenienti da altri Paesi membri ad investire nelle imprese italiane da privatizzare. In tale prospettiva è parsa essenziale al rispetto degli obblighi posti dal Trattato CE la definizione di una regolamentazione dei poteri speciali improntata al principio di non discriminazione e ad una limitazione del loro impiego ai soli casi in cui ciò sia conforme a motivi imperativi di interesse generale.
     La riforma poi introdotta dalla legge n. 488 del 1999 (v. in particolare l’art. 66, comma 3), per la quale i poteri speciali possono essere previsti esclusivamente per rilevanti ed imprescindibili motivi di interesse generale, nel «rispetto dei principi dell’ordinamento interno e comunitario» oltre che in coerenza con la tutela della concorrenza e del mercato, sembrerebbe effettivamente ricondurre la disciplina nazionale alle esigenze poste dal Trattato CE. Essa non è parsa però sufficiente, a testimonianza della particolare attenzione che gli Organi comunitari dedicano alla materia, a risparmiare allo Stato italiano una sentenza di condanna per inadempimento degli obblighi posti dal Trattato, che la Corte ha ritenuto di dover comunque contestare a causa della tardività dell’intervento nazionale di riforma, realizzato solo dopo la scadenza del termine che la Commissione aveva assegnato ai sensi dell’art. 226 – ex 169 – del Trattato CE.
     Quanto ai profili di regolamentazione coerenti con le regole sugli abusi di posizione dominante, dovrebbero evitarsi condizioni imposte all’acquirente capaci di vincolare l’offerta delle attività privatizzate a condizioni non coerenti con i principi del mercato, sia la creazione di posizioni dominanti private. Creazione, questa ultima, già da tempo oggetto di dibattito in dottrina e la sottolineatura della cui pericolosità è evidente per ciò che, se al monopolista legale si applicano vincoli nel senso di obblighi a contrarre e rispetto della parità di trattamento ai sensi dell’art. 2597 c.c., per il monopolista di fatto secondo taluno nemmeno tali vincoli varrebbero, mentre è difficilmente contestabile che la successione di un monopolio di fatto ad un monopolio pubblico non riduce i rischi di violazione delle regole della concorrenza in termini di abuso da parte del monopolista.
     Venendo al ruolo dei principi antitrust con riguardo alle fattispecie non riconducibili alle regole comunitarie o a quelle della l. 287 del 1990, torno su una ipotesi accennata all’inizio di interpretazione delle norme previgenti, e ad esempio di quelle del codice civile, sulla base di una valutazione sistematica di tali norme e di quelle del diritto antitrust, che l’art 1 della l. 287/1990 proclama in attuazione dell’art 41 della Costituzione.
     In altri termini, anche laddove l’intervento dell’Autorità Garante non è dalla legge previsto per il mancato raggiungimento delle soglie di attenzione dovuto ad una dimensione relativamente minore dei fenomeni, il comportamento rispettoso di principi del mercato di trasparenza ed efficienza pare preferibile rispetto ad altri comportamenti e probabilmente da scegliere nelle situazioni di alternativa.
     La brillante relazione di Angelo Luminoso sulle clausole contrattuali nei rapporti di privatizzazione offre allora lo spunto per richiamare l’attenzione su comportamenti che talvolta privilegino interessi specifici rispetto a quelli del mercato. Ricorderei al riguardo che la regolamentazione antitrust vieta di imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, e del pari di subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione di prestazioni supplementari che per loro natura secondo gli usi commerciali non abbiano alcuna connessione con l’oggetto del contratto stesso. Non è qui il caso di entrare nel merito di pattuizioni che, ad esempio nell’intento in altra logica magari apprezzabile di favorire operatori regionali o di promuovere l’occupazione nella regione, vincolino la scelta dell’acquirente dell’impresa privatizzanda, pattuizioni la cui coerenza con l’ordinamento richiederebbe un approfondimento anche al di là di una espressa e diretta applicabilità di norme specifiche.
     Riterrei comunque che, al di là della esistenza di previsioni normative – in altri settori talvolta giustificate; potrei citare la disciplina dell’amministrazione straordinaria di grandi imprese insolventi e l’ipotesi nella medesima prevista di preferenza in caso di cessione di complessi aziendali per acquirenti che garantiscano continuità ai rapporti di lavoro – il rispetto delle regole del mercato vincoli l’interprete chiamato a valutare le intese restrittive della concorrenza e le situazioni monopolistiche di cui agli articoli 2596 e 2597 del codice civile. Segnalo del resto la tendenza interpretativa a collegare comunque tutta la lettura del diritto della concorrenza, e non solo l’applicazione delle appena citate norme del codice civile, a principi di trasparenza, parità di trattamento e tutela dei consumatori. Ne deriva che le osservazioni svolte in precedenza potrebbero riguardare privatizzazioni anche di dimensione modesta, comunque dovendo un soggetto come la regione nella sua azione non sottrarsi al rispetto della sostanza di principi generali come quelli in questione, quando anche mancasse una loro espressa affermazione nel caso di specie.

     4. Un ulteriore ordine di considerazioni riguarda il rapporto tra privatizzazioni regionali ed aiuti di Stato; l’argomento si presenta complesso e specifico rispetto alle dismissioni “nazionali”, già perché la regione non si identifica necessariamente con lo Stato nel ruolo di assunzione delle scelte, ma anche nel ruolo di interlocutore degli organi di vigilanza del mercato e nella assunzione di responsabilità; azioni regionali potrebbero poi creare distorsioni all’interno della sfera nazionale, a seguito di divergenze su obiettivi, criteri e procedure con quelle assunte altrove.
     Deve subito distinguersi tra aiuti regionali alle imprese, aiuti a finalità regionale, ed aiuti a finalità settoriale ed orizzontale perché una eventuale compatibilità con il mercato comune di interventi agevolativi in ragione degli interessi perseguiti può aversi solo in alcuni casi di aiuti a finalità regionale, e non in tutti i casi di aiuti regionali alle imprese.
     Il diritto della concorrenza considera infatti con favore l’impegno a colmare svantaggi ma non tutte le regioni si collocano nella stessa prospettiva, e non tutte le azioni di una regione, anche considerata in termini generali svantaggiata, rientrerebbero nella fattispecie. Ad esempio, la Regione Sardegna potrebbe allora apparire svantaggiata in alcuni settori e non svantaggiata in altri, tanto che andrebbe valutata preventivamente la compatibilità della finalità regionale perseguita con le logiche del mercato in concreto interessato; rinvio agli esperti la formulazione di qualche esempio sul quale riflettere, provando a proporre quello del turismo, o quello dell’artigianato, nei quali la Regione non necessariamente potrebbe considerarsi svantaggiata rispetto ad altre regioni nazionali o europee.
     Un altro profilo di rilevanza del rapporto tra privatizzazioni regionali e concorrenza nella concessione di agevolazioni riguarda il rapporto tra impresa pubblica ed oneri impropri (attribuiti agli enti pubblici per fini di rilevanza sociale), rapporto rilevante ai fini del diritto antitrust ed in particolare significativo in occasione delle privatizzazioni che vedono sostituiti a soggetti pubblici operatori privati per i quali, in caso di commistione nell’oggetto di attività estranee all’impresa connotate dall’assenza o da gradi diversi di economicità, sarebbe almeno da richiedere una contabilità separata, al fine di escludere che il cumulo di elementi diversi in un oggetto complesso renda non trasparenti le condizioni di azione, consentendo il ricorso a sussidi incrociati e la destinazione di agevolazioni ad attività per le quali non sarebbero tollerate.
     Venendo alla tipologia degli interventi di sostegno alle partecipazioni regionali che potrebbero interessare in questa sede, mi limiterò a citare il profilo della garanzia all’operazione o il profilo dell’assunzione di partecipazione; in ambedue i casi l’interpretazione degli organi comunitari vorrebbe che fosse rispettato il criterio dell’investitore medio o dell’operatore economico privato, tanto che la concessione di garanzia o l’assunzione di partecipazioni non giustificata da un interesse economico risulterebbe in violazione delle regole. Non mi soffermo sulla circostanza che proprio in Sardegna una delle esperienze di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi venuta all’attenzione degli organi comunitari e considerata lesiva della concorrenza, quella relativa alla cartiera di Arbatax, ha fornito esperienza e spunti importanti di riflessione.
     Un cenno specifico meritano infine le agevolazioni fiscali, per la connotazione regionale delle dismissioni e per la caratterizzazione specifica della Sardegna.
     Sotto il primo profilo, ogni regione ha, ad esempio, la possibilità di intervenire in materia di Irap, anche per ciò che concerne la determinazione delle aliquote, e una differenziazione di condizioni di azione degli operatori non è però in linea di principio contraria alle regole del mercato.
     Esiste un aspetto ulteriore di interesse per regioni come la Sardegna che è disciplinata da uno statuto speciale. Il legislatore regionale potrebbe, per quello che qui più interessa, intervenire nelle materie di competenza esclusiva (agricoltura, artigianato, trasporti, solo per fare qualche ipotesi) creando fattispecie a disponendo agevolazioni, magari volte ad attrarre imprese o a stimolare privati ad acquistare aziende già in mano pubblica, potenzialmente capaci di effetti distorsivi della concorrenza e del mercato. Non essendo possibile approfondire temi collegati alla prospettiva del federalismo fiscale, pare opportuno almeno un invito alla cautela negli interventi, con una valutazione preventiva di come azioni anche preesistenti, non rilevanti come lesive della concorrenza se orientate a favore di settori interessati dall’intervento pubblico, potrebbero invece risultare censurabili poi in caso di privatizzazione e di sostituzione in quei settori ad enti pubblici di operatori privati.

     5. Venendo a qualche considerazione di sintesi, richiamo l’esigenza di sintonia tra gli ordinamenti per ciò che concerne il diritto dell’impresa, evocata da Ibba, aggiungendo che tale esigenza già oggettivamente apprezzabile coinvolge anche un ruolo efficace dell’azione regionale comportando uno sviluppo della valutazione preventiva di problemi spesso inesplorati e un confronto attento con la prassi dei soggetti omologhi o degli interlocutori.
È allora coerente collocarsi – come gli organizzatori del Convegno nel quale si inserisce questo intervento hanno inteso fare – nella veste dei protagonisti dei processi economici di privatizzazione, e la coerenza implica azioni adeguate alla delicatezza dei problemi da affrontare, prospettiva che posso rallegrarmi di considerare realizzabile dopo ciò che ho ascoltato ed appreso.
     Una notazione finale – collegata al tema solo da un aggancio lessicale perché al rapporto tra privatizzazioni regionali e concorrenza collega il rapporto di possibile auspicabile cooperazione tra regioni nelle privatizzazioni e nella gestione dell’economia – riguarda l’opportunità che la regione promuova sempre più logiche di azione condivise con enti omologhi o cointeressati in un mercato che si estende, proiettandosi verso l’esterno. Senza perdere il ruolo di protagonista di operazioni che incidono sul proprio territorio, essa può mirare ad aggiungervi l’altro di soggetto attivo di politiche economiche di portata più ampia e da organizzare di volta in volta; una privatizzazione, o un’operazione di mercato, potrebbe coinvolgere la Sardegna e la Sicilia in relazione a problemi della pesca o del turismo, e risulterebbe proficuo, nei rapporti interni con gli eventuali partners come nei rapporti esterni, adeguarsi a prospettive di sviluppo attraverso unione di sforzi con economia di risorse per la soluzione di problemi comuni, anche per quanto concerne il momento della regolamentazione e la gestione delle procedure amministrative.

     * Il testo riproduce, nella sostanza, l’intervento svolto al Convegno su “Privatizzazioni e regioni”, tenuto a Cagliari nei giorni 1 e 2 dicembre 2000, ed è destinato alla pubblicazione negli Atti del Convegno.

 

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