dircomm.it

luglio-agosto 2002

Studî e commenti

ANTONIO GIOVANNONI

Esperibilità dell’azione revocatoria di rimesse bancarie contro il cessionario di attività e passività di una banca in liquidazione coatta amministrativa


Sommario: 1. La revocatoria delle rimesse bancarie in rapporto all’art. 90 T.U.B.– 2. Profili della liquidazione di attività e passività. – 3. La responsabilità del cessionario in ordine alle passività cedute. – 4. Considerazioni finali.

 

1. La revocatoria delle rimesse bancarie in rapporto all’art. 90 T.U.B.
     Prima di affrontare il tema in esame , occorre preliminarmente, riassumere l’attuale orientamento relativo alla revocatoria delle rimesse bancarie (1). A riguardo c’è da evidenziare che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte le rimesse in conto corrente bancario sono di natura ripristinatoria della provvista quando il conto corrente sia affidato ed il saldo passivo rientri nei limiti del fido concesso al soggetto fallito e, in tal caso, non revocabili; quando,invece, le rimesse sono effettuate su conti scoperti, cioè non assistiti da affidamento o con un saldo passivo superiore al fido, le stesse hanno natura solutoria e sono revocabili se sussistono i presupposti previsti dall’art 67 II comma legge fall., e cioè: a) che siano state effettuate nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento e b) la curatela fornisca la prova che la banca accipiens conosceva lo stato d’insolvenza del correntista dichiarato fallito. Sono altresì revocabili le rimesse successive alla chiusura del conto o alla revoca del fido (2).
     Ciò premesso, appare necessario verificare se tale soluzione, che non presenta problemi di ordine sostanziale e processuale nel caso di rimesse in conto corrente bancario effettuate nei confronti di una banca in bonis al momento della proposizione dell’azione revocatoria – che è poi l’id quod plerumque accidit – sia applicabile nel caso che la banca presso la quale esisteva il conto corrente, sul quale sono state effettuate le rimesse oggetto della revocatoria, sia stata posta in liquidazione coatta amministrativa e le relative attività e passività siano state cedute ad altro istituto di credito ai sensi dell’ art. 90 T.U.B., che espressamente regola la liquidazione dell’attivo (3).

2. Profili della liquidazione di attività e passività
     L’art 90 stabilisce – come sopra precisato – che «la cessione può avvenire in qualsiasi stato della procedura, anche prima del deposito dello stato passivo; il cessionario risponde comunque delle sole passività risultanti dallo stato passivo» (4). Tale articolo va, inoltre, coordinato con la normativa relativa alle insinuazione tardive, ex art. 89 T.U.B: questa norma prevede che i creditori, che non abbiano ricevuto comunicazione ex art. 86, 8° comma T.U.B e che non risultino inclusi nello stato passivo possano far valere i propri diritti mediante la presentazione di una domanda tardiva di ammissione al passivo come previsto per la fase giudiziale dell’ accertamento del passivo (5).
     Fatte queste premesse, occorre esaminare :
     • se il cessionario delle attività e del passività dell’azienda bancaria cedute risponda del debito di restituzione conseguente ad azione revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente ,
     • in caso affermativo se tale pretesa deve essere azionata o mediante ricorso all’insinuazione tardiva allo stato passivo dell’azienda ceduta ex art. 89 T.U.B., o mediante citazione diretta in giudizio dell’azienda cessionaria.
     Per quanto riguarda la responsabilità dell’ azienda bancaria cessionaria per debiti conseguenti a revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente occorre evidenziare che l’art. 90 T.U.B. sancisce che «il cessionario risponde comunque delle sole passività risultanti dallo stato passivo», che è quello depositato dal commissario liquidatore con le eventuali variazioni derivanti da opposizione o da insinuazioni tardive accolte ex artt. 87, 88, 89 T.U.B. Dal che si desume che il fallimento istante deve proporre tempestiva domanda di ammissione al passivo dell’azienda ceduta della propria pretesa, o domanda tardiva anteriormente al perfezionamento della cessione, in modo che, risultando il relativo credito nello stato passivo, il cessionario sarebbe tenuto di conseguenza a risponderne ex art. 90 T.U.B. Ma tale ipotesi è meramente teorica considerato che secondo la prassi costante la cessione in blocco di attività e passività viene effettuata immediatamente nelle prime fasi della procedura di liquidazione coatta amministrativa, al fine prioritario di salvaguardare «a) dalla dispersione del valore insito nell’organizzazione aziendale; b) tutela del risparmio sia in senso statico – rimborso dei depositanti – sia in senso dinamico – prosecuzione dei rapporti con un cessionario solvibile ed efficiente – ; c) sterilizzazione dei fattori di potenziale instabilità ed incertezza nel circuito degli intermediari e degli imprenditori ed operatori economici in generale» (6).
     Dalle osservazioni sopra esposte appare quindi evidente che l’iter dell’ammissione della pretesa revocatoria del fallimento allo stato passivo della liquidazione non appare percorribile in quanto, da un lato,l’ammissione tempestiva è, di fatto, impossibile, e, dall’altro, quella tardiva quasi sicuramente priva di un utile risultato nel riparto dell’attivo, in quanto per essere opposta al cessionario dovrebbe essere esperita prima del perfezionamento della cessione.

3. La responsabilità del cessionario in ordine alle passività cedute
     Resta, quindi, da considerare se il cessionario delle attività e passività della liquidazione cedute in blocco sia responsabile anche dei debiti già sorti dalla attività bancaria precedentemente alla cessione, e se quindi abbia la legittimazione passiva rispetto ad azioni revocatorie relative a rimesse revocabili effettuate all’istituto di credito cedente. A riguardo c’è da osservare che la banca cessionaria, citata in giudizio, generalmente eccepisce la propria carenza di legittimazione passiva rispetto ad azioni revocatorie relative a rimesse revocabili effettuate all’istituto di credito ceduto, in quanto sarebbe succeduta solo nei debiti e crediti già sorti al momento della cessione delle attività e delle passività; non sarebbe invece succeduta nelle pretese, quali quelle revocatorie, poiché, tenuto conto della natura costitutiva della relativa sentenza, il debito da revocatoria diviene tale solo a seguito della pronuncia.
     Tale eccezione non sembra condivisibile in quanto si verrebbe a configurare una ingiustificata esenzione dalla revocabilità degli atti posti in essere dall’azienda ceduta, anche se la stessa eccezione è stata accolta dal Tribunale di Milano, con sentenza in data 8 giugno 2000, n.7032 (Fall.to Fraccari Giancarlo S.p.A c. Banco Ambrosiano Veneto S.p.A.), con la quale ha sottolineato che è «superfluo ricordare la natura costitutiva della sentenza di revoca che comporta inevitabilmente come prima che l’azione venga intrapresa dalla curatela non esiste alcun diritto di credito della massa che sorge solo all’esito della sentenza», e, più avanti, che «la pacifica natura costitutiva della sentenza di revoca conferma che il preteso credito della curatela non risultava, né poteva presumibilmente risultare, dalle scritture contabili obbligatorie e ciò evidenzia che la conferitaria non ha ricevuto alcuna posizione debitoria riguardante i rapporti con il fallimento». Questa decisione, pur riferendosi ad un conferimento di azienda ai sensi dell’art. 58 T.U.B., può essere presa in considerazione, in via analogica, in relazione all’ipotesi di cessione delle attività e passività ex art. 90 T.U.B., ragionando a contrario che : a seguito del fallimento, come rilevato dallo stesso Tribunale di Milano il conto corrente si scioglie automaticamente, e pertanto «il principio della natura costitutiva della sentenza revocatoria non è suscettibile di esplicare alcun rilievo sulla fattispecie perché dallo scioglimento del contratto derivano tutta un serie di obbligazioni a carico sia della banca che del correntista, le quali sono null’altro che espressione e sviluppo del rapporto contrattuale scioltosi ex lege. Al momento del conferimento – nel nostro caso della cessione delle attività e passività – del complesso aziendale bancario sussisteva una serie di diritti, di pretese e di aspettative facenti capo alla banca, ma anche al fallito, e fondate proprio su quel conto corrente; sussisteva quindi, una complessa situazione giuridica non ancora esaurita e antecedente al conferimento, ancora potenzialmente produttiva di effetti giuridici» (7).
     Tanto è vero che lo stesso Tribunale di Milano con sentenza del 29/01/2001 n. 1011(Fall.to Fimaprint S.p.A c. Banco Ambrosiano Veneto S.p.A.), capovolgendo la precedente decisione dell’ 8 giugno 2000, n. 7032, ha deciso che «nel caso di trasferimento di azienda bancaria ai sensi dell’art. 58 T.U.B. che riguardi l’intero complesso aziendale dell’istituto di credito cedente, il cessionario risponde di tutte le pretese relative al patrimonio dell’azienda cedente, come pure di tutte le pretese che trovino origine nell’attività svolta dall’azienda ceduta, con conseguente responsabilità del cessionario d’azienda anche per tutti i rapporti sorti dall’attività bancaria precedentemente alla cessione ». Con questa sentenza il Tribunale di Milano ha confermato l’orientamento di una sua precedente sentenza in data 11 aprile 1988 (Ceretti&Tafani S.p.A. in amministrazione straordinaria c. American Service Bank c. American Express International Banking Corporation (8), che ha deciso un’identica fattispecie sotto l’impero della precedente legge bancaria , che regolava, all’art. 53, la sostituzione di un’azienda di credito ad un’altra per l’esercizio di una filiale, respingendo l’eccezione di carenza di legittimazione della convenuta, sulla base delle seguenti argomentazioni:
     • la banca convenuta, in via preliminare, aveva eccepito la propria carenza di legittimazione passiva con riferimento all’art. 2560, I2° comma, cod. civ., in forza del quale l’acquirente di una azienda risponde dei debiti solo se essi risultano dai libri contabili obbligatori;
     • il Tribunale di Milano ha ritenuto infondata la suddetta eccezione considerato che : a) l’accoglimento della revocatoria fallimentare non determina il sorgere di una nuova passività, la quale non essendo inserita nella contabilità obbligatoria non può essere posta a carico dell’acquirente dell’azienda, b) l’azione revocatoria invece rende inefficaci nei confronti della massa dei creditori determinati atti di disposizione patrimoniale, con la conseguente restituzione dell’oggetto della revocatoria (beni o somme di danaro) alla garanzia dei creditori del fallimento per l’esercizio dell’azione esecutiva; c) in conclusione l’azione revocatoria non determina il sorgere di una nuova passività, ma «opera un depauperamento dell’azienda ceduta ed un corrispondente obbligo restitutorio in capo al cessionario».
     Una recente sentenza della Suprema Corte a sezioni unite (9) ha definitivamente chiarito quali siano gli effetti della successione del cessionario nel rapporto obbligatorio affermando che «la cessione ad un’altra banca (od ente ad esso equiparato), in caso di liquidazione coatta amministrativa di un istituto di credito, o di “attività o passività, azienda, rami d’ azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco”, ai sensi e nel vigore dell’art. 90 secondo comma del D. Lgs. 1°settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ), implica, per le posizioni debitorie, la costituzione di un’ulteriore obbligazione con vincolo di solidarietà, oppure, ove si determini la liberazione dell’originario debitore, un mutamento soggettivo riconducibile nell’ambito di successione nel rapporto». Di conseguenza, in entrambe le ipotesi, l’azione esercitata dal creditore nei confronti della banca cessionaria non coinvolge la banca cedente in liquidazione coatta amministrativa e, pertanto, «si sottrae in radice alle speciali norme che regolano l’esercizio del credito in pendenza e all’interno di detta procedura liquidatoria».

4. Conclusioni
     Alla stregua delle considerazioni sopra esposte e degli orientamenti giurisprudenziali sopra delineati si può concludere che il cessionario delle attività delle passività di una banca in liquidazione coatta amministrativa è responsabile per tutti i rapporti sorti dall’attività di impresa bancaria precedentemente alla cessione, e quindi nei suoi confronti esperibile l’azione revocatoria ex. art. 67, 2° comma legge fall. In relazione a rimesse bancarie revocabili effettuate nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento da soggetti falliti a favore di un istituto di credito successivamente posto in liquidazione coatta e le cui attività e passività siano state cedute al medesimo cessionario ai sensi dell’art. 90 T.U.B.

 

Note

     (1) È inoltre importante considerare il rapporto fra T.U.B e legge fall., sul punto vedi ampiamente Desiderio, I provvedimenti straordinari, La nuova legge Bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, tomo II, 1996, p.1241.

     (2) Si veda sul punto: Cass. Civile 1997/6558 ; Cass. Civile 1997/4473; Cass. Civile n. 1996/10848, uniformate alla prima in tal senso Cass. Civile n. 1982/8413.

     (3) in ordine al problema FAUCEGLIA, in Banca, borsa, tit. cred., I, 1997, p.453: «è noto che le operazioni di cessione di attività e passività si sono rivelate lo strumento preferito per la gestione delle crisi bancarie, ed in questa prospettiva nella pratica hanno finito per anticipare la chiusura della procedura concorsuale, provocando una sovrapposizione di rapporti non facilmente districabili. …Attraverso questo strumenti, in realtà, si percepisce la “continuità” dei rapporti rispetto alla loro “mera interruzione”, conseguente alla dichiarazione di messa in liquidazione della impresa bancaria».

     (4) con riferimento alle modalità della liquidazione e dei poteri dei commissari liquidatori, nonché di quelli della Banca d’Italia ex. Art 84 T.U.B, si rimanda a TUSINI COTTAFAVI, La Liquidazione Coatta Amministrativa, in G. BOCCUZZI, La crisi dell’ impresa bancaria, Milano, 1998, p. 299 ss.; per un’ analisi storica del problema – quando, nel vigore dell’ art. 72, II comma, legge bancaria,. era richiesto all’ Istituto di Vigilanza da parte dei commissari un “mero parere” , e non già una autorizzazione – si rinvia DESIDERIO, La liquidazione coatta amministrativa delle aziende di credito, Milano, 1981, p.214.

     (5) in ordine ai presupposti sostanziali per l’esercizio dell’insinuazione tardiva TUSINI COTTAFAVI, op. cit., p. 293 SS.; Lerner, L’accertamento dello stato passivo: la fase amministrativa, in La nuova legge bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, II, p.1416 SS.

     (6) Così FORTUNATO, Commentario al T.U.B., 2001, I t, p.704, sintetizzando il pensiero di Cercone, La liquidazione dell’attivo, in La nuova legge bancaria a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, Milano, 1996, II, p. 1427 SS.

     (7) Schiavon nel commento alla sentenza del Tribunale di Milano, in Diritto Fallimentare, 2000, II, p. 999.

     (8) Sentenza citata da PORTALE, in Banca, borsa, tit. cred., I, 1989, p.15.

     (9) Cassazione Civile, Sez. un., 27 novembre 2001, n. 15005, Amabile Francesco ed altri c. Banca Popolare Emilia Romagna, in Fallimento, 2002, p. 410.

 

Top

Home Page