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giugno 2002

Giurisprudenza

TRIBUNALE ROMA, 20 marzo 2002 – Presidente Deodato – Estensore Nazzicone – Giessauf c. Birreria Viennese s.r.l.
     Sono compromissibili in arbitrato le controversie riguardanti le impugnazioni del bilancio di una società di capitali, purché i vizi dedotti configurino la annullabilità e non la nullità della deliberazione.
     È legittima la delibera di approvazione del bilancio, con la quale l’assemblea di una società di capitali abbia fornito integrazioni al progetto presentato dagli amministratori.
     È nulla la delibera di approvazione di un bilancio di una società di capitali, nel quale non siano esplicitamente indicati gli ammortamenti delle immobilizzazioni, ovvero non siano indicate nella nota integrativa le ragioni del mutamento dei criteri di ammortamento.
     Viola il principio di competenza, con conseguente nullità della delibera di approvazione, il bilancio di una società di capitali nel quale non siano iscritti gli importi corrispondenti alle ferie maturate e non godute dai dipendenti nell’anno, ancorché tali ferie siano state integralmente godute nel primo scorcio dell’esercizio successivo.

 

     SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con atto di citazione notificato il 28 e 29 luglio 1999, Enrica Giessauf conveniva in giudizio la Ristorante Denominato Birreria Viennese srl e Giovannina Mancini (la citazione in proprio della medesima emergendo dalla notifica specificamente ad essa effettuata, sia pure nella veste di organo sociale), chiedendo la dichiarazione di nullità o l’annullamento delle deliberazioni di approvazione del bilancio al 31.12.1998 e di destinazione dell’utile di esercizio, assunte dall’assemblea ordinaria del 29.4.99, con ordine all’A.U. Giovannina Mancini di assumere i provvedimenti conseguenti. Precisava di essere socia per una quota pari a 25% del capitale sociale, pari a complessive £. 30.000.000, della società convenuta, della quale narrava vicende pregresse estranee alla deliberazione impugnata.
     Quanto a questa, ne sosteneva l’invalidità per i seguenti vizi: 1) mancato rispetto dell’art. 9 st., secondo cui l’avviso di convocazione va recapitato ai soci almeno otto giorni prima dell’assemblea, in quanto l’attrice lo aveva ricevuto soltanto sei giorni prima; 2) omesso deposito del bilancio nella sede sociale nei quindici giorni antecedenti l’assemblea, con violazione dell’art. 2491 cod. civ., essendo stato tale documento visibile da parte dell’attrice soltanto il 23.4.99 e presso lo studio del commercialista; 3) approvazione, da parte dell’assemblea, di una nota integrativa diversa da quella di cui al progetto di bilancio; 4) violazione delle norme di redazione del bilancio, in quanto: a) la voce immobilizzazioni immateriali era aumentata da £. 4.500.000 a £. 44.293.193, probabilmente riguardanti le spese per il rinnovo dei locali, ma non erano stati effettuati gli ammortamenti relativi, essendo la voce B10a del conto economico pari a zero, mentre essi sarebbero stati necessari (poiché l’immobile era condotta in locazione, le spese avrebbero dovuto essere ammortizzate per un periodo equivalente alla durata residua del contratto di locazione, in scadenza al 30.6.2002, appostando quindi una somma di circa L. 8.000.000); inoltre, la nota integrativa determinato l’incremento delle immobilizzazioni immateriali; b) per le immobilizzazioni materiali era stato mutato il criterio di valutazione degli ammortamenti, con violazione dell’art. 2423 bis, 1° comma, n.6 cod. civ. e 2° comma, dato che si era aggiunta la precisazione che le quote di ammortamento erano state calcolate secondo la residua possibilità di utilizzazione dei beni “entro i limiti del 50% delle aliquote fiscalmente detraibili”; c) le rimanenze finali erano state indicate in L. 35.167.240, ma ciò era inverosimile, sia per le dimensioni del locale, sia perché ciò avrebbe significato avere creato un magazzino sufficiente alle esigenze di un intero mese; d) non era stato iscritto in bilancio, alla voce solari e stipendi ed alla voce oneri sociali del conto economico, l’importo relativo alle ferie maturate e non godute dai dipendenti, nonché la voce debiti verso il personale nello stato patrimoniale; e) la società aveva diminuito i ricavi ed aumentato i costi, in modo non giustificabile.
     Si costituivano le convenute il 3.11.99, eccependo l’incompetenza del tribunale per la sussistenza della clausola compromissoria, di cui all’art. 30 dello statuto, che prevedeva un arbitrato irritale per le controversie fra i soci e la società; nel merito, chiedeva il rigetto delle domande proposte. Sosteneva che l’art. 9 dello statuto intendeva, così come l’art. 2484 cod. civ., riferirsi alla spedizione e non alla ricezione della raccomandata almeno 8 giorni prima dell’assemblea; che il bilancio era stato depositato, come tutti gli anni precedenti, presso lo studio del commercialista, essendo la sede sociale posta nel locale ristorante e, come tale, inidonea alla consultazione del medesimo; che l’assemblea aveva soltanto integrato la nota integrativa, come rea ammesso da tutta la dottrina. In relazione alle censure al bilancio, sosteneva rispettivamente che: a) la voce “immobilizzazioni immateriali” consisteva in lavori di manutenzione, oneri pluriennali e spese di pubblicità, tutte ammortizzate nei limiti fiscali del 20% della metà dei lavori, mentre la nota integrativa non doveva contenere i riferimenti ai mutamenti delle immobilizzazioni, essendo stato il bilancio redatto in forma abbreviata ai sensi dell’art. 2435 bis cod. civ.; b) le informazioni di cui all’art. 2427 n. 2 e 14 potevano, per tale ragione, essere omesse, e gli effetti della variazione del criterio di valutazione non potevano essere riferiti alle immobilizzazioni immateriali; c) le rimanenze finali erano costituite da vini rossi, acquistati per esservi state due annate particolarmente favorevoli; d) le ferie ed i permessi erano stati tutti regolarmente goduti dai dipendenti nel corso del 1999, onde l’inserimento della posta sarebbe stato inattuale ed avrebbe gravato ingiustificatamente il risultato di esercizio; e) nessuna sindacato poteva svolgersi sul risultato di bilancio.
     Venivano depositati documenti ed assunta la prova per testi; quindi, precisate le conclusioni, la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. La deliberazione assunta dall’assemblea ordinaria della Ristorante denominato Birreria Viennese srl in data 29.4.99 è stata impugnata per i seguenti vizi: 1) mancato rispetto dell’art. 9 st., secondo cui l’avviso di convocazione va recapitato ai soci almeno otto giorni prima dell’assemblea, in quanto l’attrice lo aveva ricevuto soltanto sei giorni prima; 2) omesso deposito del bilancio nella sede sociale nei quindici giorni antecedenti l’assemblea, con violazione dell’art. 2491 cod. civ., essendo stato tale documento visibile da parte dell’attrice soltanto il 23.4.99 e presso lo studio del commercialista; 3) approvazione, da parte dell’assemblea, di una nota integrativa diversa da quella di cui al progetto di bilancio; 4) violazione delle norme di redazione del bilancio.
     2. L’eccezione pregiudiziale sollevata dalla convenuta va accolta con riguardo censure sub 1) e 2), le quali comportano l’annullamento della deliberazione, mentre essa va disattesa quanto alle censure sub 3) e 4), comportanti la nullità della deliberazione stessa.
Invero, le prime due censure attengono a violazioni di legge o di statuto, le quali, per l’art. 2377 cod. civ., conducono alla annullabilità della deliberazione medesima (cfr. in particolare, quanto al vizio di violazione dell’art. 2491 cod. civ., Trib. Milano 24.6.91, Soc., 1991, 1554), mentre le censure al bilancio vanno ricondotte all’art. 2379 cod. civ.. Ed è noto che le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con eslcusione però di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi: pertanto, non è compromettibile e devolvibile al giudizio di arbitri l’azione con la quale un socio chieda la nullità della delibera di approvazione del bilancio per violazione dei relativi criteri di redazione (ex plurimis, Cass. 30.3.98 n. 3322).
     3. L’attrice sostiene (punto 3) la nullità della deliberazione in forza dell’approvazione, da parte dell’assemblea, di una nota integrativa diversa da quella di cui al progetto di bilancio.
     La censura non è fondata, dal momento che l’assemblea dei soci del 29.4.99 si è limitata ad integrare la nota, nel paragrafo “fatti di rilievo”, sotto il profilo della informazione relativa alla scelta gestionale dell’amministrazione di “non proseguire l’esperimento pub che non garantiva risultati apprezzabili dal punto di vista reddituale”.
     Si tratta, dunque, di una mera precisazione a chiarimento di un fatto gestorio, del tutto in linea con la possibilità dell’assemblea di indicare puntualizzazioni da includere nel bilancio, come la migliore dottrina da tempo ritiene possibile ed, anzi, opportuno.
     Com’è noto, il Codice di Commercio previgente prevedeva, all’art. 164, che l’assemblea potesse “discutere, approvare o modificare il bilancio”. Sebbene l’art. 2364 n. 1 cod. civ. preveda soltanto l’”approvazione del bilancio”, si reputa oggi che l’assemblea ben possa fornire indicazioni agli amministratori, specialmente nel caso in cui si tratti, come in quello di specie, di una mera precisazione afferente un fatto gestorio, informazione da includere per maggiore chiarezza nella nota integrativa.
     4. Le singole censure alle modalità di redazione del bilancio vengono, di seguito, distintamente esaminate.
     a) La censura relativa al mancato ammortamento delle immobilizzazioni immateriali è fondata. Il bilancio chiuso al 31.12.98 reca immobilizzazioni immateriali per L. 44.293.193, mentre l’anno precedente esse erano pari a L. 4.500.000.
     Il bilancio è stato redatto in forma abbreviata, ai sensi dell’art. 2435 bis cod. civ.. Per definizione, quindi, questo ha comportato una informazione carente in ordine alla voce in esame, dato che tale norma esonera gli amministratori dall’indicare, in particolare, in nota integrativa quanto previsto all’art. 2427 n. 2 cod. civ. circa i movimenti delle immobilizzazioni.
     Nella comparsa di costituzione nel presente giudizio, la convenuta ha chiarito che si è trattato delle seguenti somme: L. 9.713.243 per “lavori di manutenzione”, L. 11.806.200 per “ oneri pluriennali” e L. 22.773.750 per “spese di pubblicità”. Essendo pacifico che l’immobile in cui si svolge l’attività sociale è condotto in locazione, le spese sostenute per la ristrutturazione del locale non in proprietà vanno iscritte in tale voce, quali costi capitalizzati ad utilità pluriennale (n. 7 della lettera BI dell’attivo); anche le spese di pubblicità possono essere iscritte fra le immobilizzazioni immateriali, qualora sia ragionevole attendersi un recupero dei costi grazie a futuri ricavi ad essi ricollegabili (n. 2 della lettera BI dell’attivo).
     A parte ogni considerazione sulla natura effettiva di tali costi (su cui soltanto in comparsa conclusionale l’attrice avanza dubbi, senza avere, però, fornito in corso di causa di nessun elemento ulteriore, che potesse indurre a ritenere trattarsi di ordinarie spese di manutenzione o di pubblicità, da spesare in pieno nell’esercizio in questione perché non correlate a specifici ricavi futuri) e sulla loro corretta iscrizione all’attivo, la sola censura proposta in citazione riguarda la mancata iscrizione in bilancio dei relativi ammortamenti.
     I costi vanno iscritti all’attivo del bilancio fra le immobilizzazioni, sul presupposto della ragionevole attesa di un recupero attraverso i futuri ricavi. Dato che, però, la loro utilizzazione è limitata nel tempo, essi devono essere assoggettati ad ammortamento sistematico, in relazione alla residua possibilità di utilizzazione del bene (art. 2426, 1° comma, n.2 cod. civ.): occorre, quindi, imputare a ciascun esercizio, corrispondente al costo sopportato in quell’esercizio per la produzione del reddito.
     Le convenute, nel caso in esame, non hanno giustificato l’omissione mediante l’allegazione - né in bilancio, né nel corso del presente giudizio - della ragione per la quale la società non ha operato l’ammortamento: al contrario, esse hanno dato per pacifica la necessità di operare l’ammortamento stesso, limitandosi a precisare che in effetti è stato “regolarmente eseguito e contabilizzato l’ammortamento nei limiti fiscali del 20% della metà dei lavori” (pag.8 comparsa di risposta).
     Tuttavia, non vi è traccia in bilancio dell’ammortamento delle immobilizzazioni immateriali: né nello stato patrimoniale, dove esso compare alla voce BII per i beni materiali, ma non alla voce BI per i beni immateriali; né al conto economico, dove è nulla la voce B10 a) “ammortamento delle immobilizzazioni immateriali”; né, di conseguenza, nella nota integrativa, dove viene spiegato soltanto che le immobilizzazioni immateriali “sono iscritte al costo storico di acquisizione”, senza nessun cenno ad eventuali ammortamenti.
     È appena il caso di ricordare che l’art. 2435 bis cod. civ. impone che dalla voce BI siano “detratti in forma esplicita gli ammortamenti”. La violazione dell’art. 2426, 1° comma, n.2 cod. civ., così realizzata, comporta, dunque, la fondatezza della censura in esame.
     b) La seconda censura è, parimenti, fondata.
     Con riguardo alle immobilizzazioni ma

iali, gli ammortamenti al 31.12.98 ammontano a L. 117.066.980, mentre al 31.12.97 erano pari a L. 114.621.651. Il conto economico indica, quanto agli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali, la somma di L. 6.787.545.
     La nota integrativa precisa che le quote di ammortamento sono calcolate «attesi l’utilizzo, la destinazione e la durata economico-tecnica dei cespiti, sulla base del criterio della residua possibilità di utilizzo entro i limiti del 50% delle aliquote fiscalmente detraibili». L’ultima frase è stata introdotta nel bilancio in esame, dato che essa non esisteva nella nota integrativa al bilancio dell’esercizio 1997.
     Ciò indica la modifica del criterio di valutazione degli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali, nonché la loro indicazione secondo criteri del c.d. bilancio fiscale e non civilistico: essi, infatti, non sono stati più commisurati al residuo valore di realizzo (art. 2426 n. 2 cod. civ.), ma sono stati effettuati tenuto conto del limite delle prescrizioni fiscali ai fini della detrazione dal reddito imponibile (si deve presumere, ai sensi dell’art. 67 d.p.r. 22.12.86 n. 917).
     Ne deriva che è stato mutato il criterio di ammortamento, senza tuttavia evidenziarne adeguatamente nella nota integrativa la ragione con una congrua motivazione, con violazione dell’art. 2426, 1° comma, n. 2 cod. civ., applicabile anche alle società che si avvalgono della facoltà del bilancio in forma abbreviata.
     c) La censura relativa alle rimanenze finali non risulta, invece, fondata.
     Le rimanenze finali ammontano a L. 35.167.240, somma che l’attrice reputa, in sé, sospetta, corrispondendo a scorte di magazzino sufficienti per circa un mese. Tuttavia, non vi sono ragioni per ritenere tale importo fittizio: sia perché molti beni, sia pure per attività di ristorazione, ben possono essere acquistati per coprire le esigenze di almeno quindici giorni; sia perché, per la parte residua, la convenuta ha prodotto numerose fatture di acquisto di vini per l’importo di circa L. 12.000.000, le quali possono spiegare l’incremento della voce.
     d) La mancata iscrizione in bilancio - alla voce “debiti verso il personale” del passivo dello stato patrimoniale ed alle voci “salari e stipendi” ed “oneri sociali” dei costi in conto economico - dell’importo relativo alle ferie maturate e non godute dai dipendenti è stato giustificato dalla convenuta con la circostanza che, per una precisa politica di gestione, i dipendenti sono stati indotti a fruire dell’intero periodo di ferie di spettanza nel corso dell’anno 1999, ossia dell’anno successivo a quello di redazione del bilancio per cui è causa.
     Si è, quindi, trattato della mancata iscrizione in bilancio di costi afferenti l’esercizio 1998, ossia di competenza economica di tale esercizio (come è confermato anche dai documenti della convenuta, relativi alle ferie non godute dall’attrice nella sua qualità di dipendente della società: ne deriva che è stato violato il principio di competenza, avendo l’amministratore omesso di indicare una posta dovuta.
     e) La censura riguarda non vizi del bilancio, ma doglianza sul merito della gestione amministrativa, in sé insindacabile dal giudice.
     In conclusione, va dichiarata la nullità della deliberazione impugnata, per la sussistenza dei vizi di redazione del bilancio, sopra riscontrati.(Omissis)

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