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giugno 2002

Giurisprudenza

TRIBUNALE NAPOLI, 5 novembre 2001 – Estensore Pepe – Unicredito Italiano s.p.a. c. De Luca Assicurazioni s.a.s.
    È lecita, e non viola il disposto dell’art. 1283 cod. civ., la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi in ambito bancario, in quanto tale clausola costituisce un uso normativo assistito dalla opinio iuris ac necessitatis.

 

     SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con ricorso depositato l’1 settembre 1999 l’Unicredito Italiano s.p.a. deduceva di essere creditore per i saldi passivi dei conti n. 20819/00 e 20297/00, il primo intestato alla De Luca Assicurazioni s.a.s. e garantito con fideiussione dal De Luca in proprio e da Maria Grazia Stipcevich, il secondo intestato ai due soci e legato ad un’apertura di credito con garanzia ipotecaria; su queste premesse, la Banca chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo di L. 134.199.531 nei confronti della società De Luca Assicurazioni e di L. 300.818.759 nei confronti del De Luca in proprio e della Stipcevich, il tutto oltre interessi convenzionali e c.m.s. come richiesti e spese di procedura.
     Gli intimati si opponevano a tale ingiunzione di pagamento con atto notificato il 29 novembre 1999, col quale chiedevano la declaratoria di nullità della convenzione anatocistica, dei contratti di fideiussione e della convenzione di interessi usurari e la declaratoria di decadenza ed estinzione della fideiussione ex art. 1957 cod.civ, il tutto con conseguente revoca del decreto e vittoria di spese di lite. Gli intimati, appunto, deducevano l’inesistenza della prova scritta del credito ex art. 633 cod. proc. civ., la mancata pattuizione scritta degli interessi, l’invalidità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, la vigenza di interessi superiori al tasso soglia della L. 108/96 e l’inosservanza da parte della Banca delle condizioni e dei termini di decadenza previsti dall’art. 1957 cod. civ. per agire nei confronti dei fideiussori. La Banca, nel frattempo divenuta Credito Italiano per effetto di cessione di ramo d’azienda, si costituiva in giudizio e invocava il rigetto dell’opposizione e la conferma dell’impugnato decreto, con rivalsa di spese, negando la mancanza di prova scritta, le invalidità e le decadenze dedotte ex adverso.
     All’udienza di trattazione il giudicante si riservava sulla richiesta dell’opposta di concessione della provvisoria esecuzione dell’impugnato decreto, richiesta che veniva accolta con ordinanza del 17 novembre 2000, con cui si riteneva altresì la causa matura per la decisione e si fissava l’udienza di conclusioni. All’udienza del 7 giugno 2001 si costituiva per la Stipcevich, al posto dell’originario difensore, l’avv. Fulvio Santorelli, che ampliava le deduzioni e difese originarie e formulava nuove domande, in particolare contestando un abusivo riempimento di foglio in bianco in relazione al tasso di interesse del contratto con apertura di credito ed inoltre chiedendo la condanna della Banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse per un’asserita violazione degli artt. 1337, 1338, 1366 e 1376 cod. civ.; il nuovo difensore chiedeva anche la fissazione dell’udienza ex art. 184 cod. proc. civ. e, in via istruttoria, invocava una C.T.U. contabile diretta ad accertare l’effettivo credito della Banca, richiesta quest’ultima avanzata anche dagli altri opponenti e contestata dalla Banca. Il giudicante, rilevando che all’udienza di trattazione le parti non avevano chiesto nè i termini ex art. 183 ult. comma cod. proc. civ. né quelli ex art. 184 cod. proc. civ., invitava le parti a concludere. E, sulle conclusioni di cui in epigrafe, la causa veniva riservata a sentenza.

     MOTIVI DELLA DECISIONE – L’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla De Luca Assicurazioni s.a.s. di Vincenzo De Luca, nonché da Vincenzo De Luca in proprio e da Maria Grazia Stipcevich non può trovare accoglimento. (Omissis)

CAPITALIZZAZIONE TRIMESTRALE DEGLI INTERESSI
     Trattasi del problema forse più delicato, ancora attuale dopo la pronuncia n. 425/00 della Corte Costituzionale, che, rilevando un eccesso di delega, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 25 D. Lgs. 34299, disponente per i contratti in corso la validità della capitalizzazione trimestrale sino all’emananda delibera CICR prevista dal comma 2. La questione è delicata perché, com’è noto, la Corte di Cassazione, con un improvviso revirement di una giurisprudenza ultraventennale, ha in più riprese escluso che la capitalizzazione trimestrale prevista nei contratti bancari corrisponda ad un uso normativo, dichiarando pertanto l’invalidità delle relative clausole, basate esclusivamente su un uso negoziale, inidoneo a legittimare l’anatocismo in base alla costante interpretazione del disposto dell’art. 1283 cod. civ. (vedi Cass. 2374/99 e Cass. 3096/99, seguite anche da Cass. 12507/99).
     I giudici della Suprema Corte hanno basato il loro nuovo convincimento su una serie di argomentazioni, descritte nella prima sentenza (quella 2374/99): a) l’inesistenza di un uso pregresso rispetto alle norme bancarie uniformi del 1952 e, quindi, l’impossibilità di attribuire alla clausola di capitalizzazione trimestrale, contenuta in dette norme bancarie, la funzione probatoria di usi locali preesistenti; b) il difetto di opinio iuris ac necessitatis nell’applicazione della capitalizzazione trimestrale, in definitiva imposta solo e soltanto dalle norme bancarie uniformi; c) l’invalidità, sanzionata dall’art. 4 L. 154/94, poi trasfuso nel T.U.B., delle clausole contrattuali di rinvio agli usi.
     Ad avviso di questo giudice, il primo assunto (sub a) non tiene conto della reale prassi bancaria ante 1952; ed invero, fermo che l’art. 347 del codice di commercio consentiva il rinvio agli usi nella materia commerciale e che nei primi anni del 900 intervennero alcune leggi prevedenti l’anatocismo in settori affini a quello creditizio (art. 2 R.D. 1677/22, art. 24 L. 453/13, art. 6 D.L. 296/27), già la Circolare della Confederazione Generale Bancaria Fascista n.30/2545 del 7 gennaio 1929 contemplava la capitalizzazione trimestrali degli interessi passivi, allineandosi ad una prassi richiamata in vari manuali commerciali dei primi decenni del 900 (a tale manualistica fanno cenno le sentenze di merito allegate dall’Unicredito) e che, oltretutto, risulta menzionata anche in una sentenza del 1927 (Cass. Regno 9 maggio 1927 n. 1682, in Rep. Gen. Annuale a cura della direzione e redazione del Foro It., Vol L.II Anno 1927); si arriva così agli anni ’30, epoca in cui in varie raccolte di usi provinciali (Catania, Bari, Roma: vedi le sentenze di merito allegate) si parla esplicitamente della capitalizzazione trimestrale; ed ancora, molte raccolte di usi pubblicate dopo il dopo-guerra rinviano all’anatocismo trimestrale bancario (a tali raccolte si fa riferimento nell’allegata sentenza del Tribunale di Taranto, che richiama in proposito un recente articolo pubblicato in Foro It. 2000, parte I, pag. 460). Dunque, alla luce di queste premesse, deve ritenersi che la regola della capitalizzazione trimestrale era applicata ben prima del ’52, anzi ben prima del ’42, anno di entrata in vigore del nuovo codice civile, recante la nuova disposizione dell’art. 1283 cod. civ., ne deriva che la disciplina delle norme bancarie uniformi può reputarsi ricognitiva di una situazione preesistente e, come tale, avente funzione probatoria di un uso normativo pregresso, ed appunto per questo è stata introdotta la relativa clausola contrattuale, altrimenti in contrasto con l’art. 1283 cod. civ.
     Come già detto, nelle ultime decisioni la Suprema Corte nega altresì la sussistenza del requisito soggettivo dell’opinio iuris ac necessatis, e cioè la convinzione dell’obbligatorietà della regola della capitalizzazione trimestrale, ritenuta dettata da una norma facente parte dell’ordinamento (è l’argomento sub “b”). Anche in questo caso l’opinione non è condivisibile, poiché la Corte non tiene conto del fatto che tale opinio iuris ac necessatis si è formata nel corso del tempo, anche dopo l’entrata in vigore del codice del ’42, in virtù di una costante applicazione della regola della capitalizzazione trimestrale, ritenuta conforme ad un uso normativo dalla stessa Corte di Cassazione per circa un ventennio (anni ’80-’90); quel che si vuol dire è che stata la stessa Suprema Corte che, nel ribadire a più riprese la validità di simili clausole, ha creato la convinzione della legittimità dell’imposizione dell’anatocismo nei rapporti bancari, ha cioè creato quell’opinio iuris ac necessitatis necessaria per la configurabilità in concreto dello “uso normativo”; è infatti evidente che, per la stessa funzione nomofilattica attribuita alla Corte di Cassazione, un principio di diritto più volte ribadito dai giudici di legittimità assume la veste di “diritto vivente” e, come tale, vale ad attribuire ad un mera prassi la valenza di norma consuetudinaria, rendendo la generalità dei cittadini convinti della obbligatorietà giuridica di quel principio.
     La soluzione appena evidenziata, che muove dalla premessa di fondo, ancorata al dato testuale dell’art. 1283 cod. civ., dell’assoluta legittimità della creazione di un uso normativo in materia di anatocismo anche durante la vigenza del codice del ’42 (l’art. 1283, invero, non contiene alcuna limitazione temporale riguardo alla creazione di una norma consuetudinaria), è apertamente in contrasto con l’affermazione contenuta nelle ultime sentenze della Corte di Cassazione, secondo cui la giurisprudenza precedente non avrebbe mai «affermato l’esistenza di una norma consuetudinaria di questa precisa portata, essendosi limitata ad affermare, sulla base di un dato di comune esperienza, che l’anatocismo trova generale applicazione nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti». La lettura dei vari precedenti giurisprudenziali degli anni ’80-’90 smentisce l’assunto delle ultime sentenze della Suprema Corte, in quanto in esse vi è sempre il riferimento ad “usi normativi” legittimanti nei rapporti bancari la produzione di interessi anatocistici al di fuori dei presupposti dell’art. 1283 cod. civ. (vedi ad esempio, tra le ultime, Cass. 12765/98, Cass. 3296/97, Cass. 9227/95); del resto, all’inizio delle sentenze che hanno operato l’overruling, si parla espressamente di «un orientamento giurisprudenziale che ha avuto inizio con la sentenza n. 6631/81…» e col quale si «è ripetutamente affermata l’esistenza di un uso normativo» in materia di anatocismo bancario, sicché la successiva affermazione dell’inesistenza di tale indirizzo giurisprudenziale appare contraddittoria ed inspiegabile.
     Sempre facendo leva sul dato, ad avviso di questo giudice incontestabile, della possibilità di creazione di un uso normativo in materia di anatocismo bancario successivamente all’entrata in vigore del codice del ’42, va detto che la rilevazione della presenza di tale uso in varie raccolte di usi locali operate dalle Camere di Commercio, ai sensi degli artt. 34, 39, 40 R.D. 2011/34 e dell’art. 2 del D. Lgt 315/44, nel corso degli anni ’50 e negli anni seguenti comprova una generale applicazione della regola della capitalizzazione trimestrale, e questo dato oggettivo (usus), accompagnato da quanto sopra specificato in ordine al sorgere dell’elemento psicologico della norma consuetudinaria (l’opinio iuris ac necessatitis), induce a concludere nel senso che, se già non esisteva prima, negli ultimi ’50 anni, si è sicuramente creata una norma consuetudinaria autorizzante la produzione di interessi anatocistici nei rapporti bancari al di fuori degli schemi fissati dall’art. 1283 cod. civ.
      Ad ogni modo, ogni dubbio sull’effettiva “normativizzazione” della regola della capitalizzazione trimestrale sembra venir meno ove si consideri che il legislatore del ’92, nell’emanare la L. 154/92 sulla “trasparenza bancaria” all’art. 8 ha richiamato esplicitamente la regola della “capitalizzazione degli interessi” tra le varie condizioni contrattuali oggetto di comunicazione periodica alla clientela e vari provvedimenti attuativi della nuova legge, tra cui il D.M. 24 aprile 1992 (all’art. 3) e la circolare Bankitalia del 24 maggio 1992 (ai parr. 1 e 5) richiamano il principio della “capitalizzazione periodica” degli interessi. Certo, l’art. 8 della L. 154/92 è stato abrogato in quanto sostituito dalla disciplina del T.U.B. di cui al D.Lgv. 358/93, ma ciò non rileva ai fini che interessano, sia perché i provvedimenti attuativi della legge sulla trasparenza, per effetto della disposizione transitoria dell’art. 161 comma 2 del T.U.B., hanno continuato ad avere vigore sino all’emanazione dei nuovi provvedimenti previsti dal T.U.B., sia perché è vero che in tale nuovo T.U.B. non si parla mai della capitalizzazione trimestrale, ma è altrettanto vero che gli artt. 117 comma 4 e 118 comma 1 fanno riferimento alle «condizioni … e maggiori oneri in caso di mora», espressioni di carattere così generale che sembrano dover ricomprendere anche la regola della capitalizzazione trimestrale, in definitiva non prevista espressamente dal legislatore del ’93, ma ritenuta implicita nell’insieme delle condizioni contrattuali; del resto, il legislatore del ’93, se avesse voluto modificare quanto precisato, per la prima volta, nell’art. 8 della legge abrogata, si sarebbe presumibilmente premurato di indicare la volontà di escludere la regola, importantissima, della capitalizzazione trimestrale degli interessi, senza ricorrere a formule generiche interpretabili in modo estensivo. In conclusione, oggi la regola della capitalizzazione trimestrale è stata recepita in norme di legge, che hanno quindi una volta per tutte avallato e convalidato la precedente norma consuetudinaria.
     L’ultimo argomento della Cassazione (sub “c”) si fonda, come visto, sul generale divieto di rinvio agli usi in materia bancaria, disposto prima dall’art. 4 L. 154/92 e poi confluito nell’art. 117 comma 6 del T.U.B. Tuttavia, non sembra che il divieto riguardi gli usi normativi, perché, anche ragionando sotto il profilo storico, risulta con chiarezza che gli usi che si è voluto colpire sono quelli negoziali, attraverso i quali si rimette ad elementi esterni la determinazione delle condizioni del credito; tipico esempio è rappresentato dalla nota, vigente per i contratti stipulati ante T.U.B., del rinvio agli usi abitualmente praticati sulle piazza per la determinazione del tasso d’interesse convenzionale. Il divieto normativo, in definitiva, si riaggancia alla necessità, normativamente imposta (vedi oggi l’art. 117 comma 1 T.U.), di un’apposita determinazione per iscritto di tutte le condizioni contrattuali, e quindi non pare applicabile ad un uso normativo quale quello della capitalizzazione trimestrale, appunto trattandosi in questo caso di una disciplina discendente da una fonte normativa, disciplina tra l’altro specificamente recepita nei singoli contratti attraverso la testuale riproposizione della corrispondente clausola delle norme bancarie uniformi. In altri termini, il divieto dell’art. 117 comma 6 T.U.B. riguarda solo e soltanto gli usi negoziali e, trattandosi di una norma eccezionale, appunto perché pone un limite, non può essere applicata analogicamente alla diversa ipotesi degli usi normativi (art. 14 delle preleggi).
     Riepilogando, il Credito Italiano ha legittimamente capitalizzato trimestralmente gli interessi passivi di mora maturati nei rapporti oggetto di causa, alla stregua dell’“uso normativo contrario” vigente in materia e riconoscimento dall’art. 1283 cod. civ. (Omissis)

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